#zonarossabellini – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Nov 2024 23:50:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Camerino 47. Attore morto che parla (3-fine) https://www.carmillaonline.com/2021/03/26/camerino-47-attore-morto-che-parla-3-fine/ Thu, 25 Mar 2021 23:01:17 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65409 di Alfredo Angelici

Per la prima e la seconda puntata vai qui e qui.

Gli pneumatici della Fiat Bravo d’ordinanza dei carabinieri urlando inchiodano davanti al Teatro Bellini. L’automobile viene parcheggiata come da coreografia tradizionale, in diagonale, rispetto al marciapiede, bloccando così l’intera carreggiata.

Tutti gli astanti vivono in quel momento un fenomeno di psicosi collettiva e pensano all’unisono: – “ma se tutti i parcheggi sono liberi, perché non parcheggiano per dritto senza bloccare la strada?”

I lampeggianti restano accesi. I gendarmi scendono. Uno è [...]]]> di Alfredo Angelici

Per la prima e la seconda puntata vai qui e qui.

Gli pneumatici della Fiat Bravo d’ordinanza dei carabinieri urlando inchiodano davanti al Teatro Bellini. L’automobile viene parcheggiata come da coreografia tradizionale, in diagonale, rispetto al marciapiede, bloccando così l’intera carreggiata.

Tutti gli astanti vivono in quel momento un fenomeno di psicosi collettiva e pensano all’unisono: – “ma se tutti i parcheggi sono liberi, perché non parcheggiano per dritto senza bloccare la strada?”

I lampeggianti restano accesi. I gendarmi scendono. Uno è basso e magro l’altro è alto e gigantesco. Comanda il piccoletto. Noi siamo sulla porta a parlare con amici che non vedevamo da tanto tempo. Spaventati ci rifugiamo nel foyer.  È una serata speciale, scostumata ed impertinente: il teatro è aperto nonostante il divieto e c’è il pubblico. Abbiamo commesso un reato!

Vvvvvvvrrrrrrrrrttt

Crono figlio di Urano finisce di sgranocchiare un figlio, ormai sazio risparmia Zeus che un giorno lo spodesterà, poi, per digerire, capovolge la clessidra del nostro tempo.

Flashback.

La pellicola del film che stiamo vivendo gira all’indietro, e ci riporta a qualche ora prima. Siamo ora nella sala del bar del teatro. Matilde dice che la nostra entropia risulta “invertita”, e che pertanto se ci muoviamo all’indietro viaggiamo nel futuro per mezzo dell’inversione del flusso temporale.

-“non ho capito che hai detto”- esclamiamo noi tutti in coro

Arriva a sorpresa Christopher Nolan, avido di concetti casual-fisico-filosofici e sceneggiature criptiche, ruba l’idea di Matilde, scrive il film Tenet, nessuno capirà mai di che parla, allora lui vince l’Oscar.

Dicevamo, siamo noi quattro, i superstiti…Matilde Federica Lorenzo ed Io. Pier Giuseppe ci ha abbandonato al 30° giorno, Licia ha resistito fino al 66°. Ha firmato la regia dello spettacolo e, sull’orlo di una crisi di nervi, ha deciso di lasciarci e tornare a far l’amore tra gli ulivi pugliesi col suo fidanzato.

Ho un’erezione isterica al pensiero

Sono le 13e30 e a noi, invece, ci potete guardare come sempre in streaming, siamo in pausa prove, mangiamo lenticchie e ci interroghiamo sul daffarsi.

Il morale è basso, un po’ perché abbiamo perso il conto dei giorni che non vediamo la luce del sole ed il calore degli affetti si è già raffreddato, un po’ perché al tg per l’ennesima volta non viene nominano lo spettacolo dal vivo come parte integrante del tessuto sociale italiano, ma soprattutto per via del fatto che lo sponsor che ci riforniva di vino ha chiuso i rubinetti dopo il primo mese. In questo momento ci ritroviamo a pasteggiare con un aglianico dolce e mosso, comprato alla mescita a uno e novantanove dai nostri angeli custodi: gli uomini e le donne del Difuori. Quelli che possono uscire e che pensano ai nostri viveri e ad i beni di prima necessità. Adorabili, preziosi, essenziali, ma evidentemente primordiali e basici conoscitori di vino.

Lorenzo travestito da Vinicius De Morales mette su Spotify un Fado portoghese dallo sconsolato fascino rilassante, uno di quei pezzi struggenti che fanno star bene, poi dice:

-“como sàimos daqui. Não aguento mais, estou morrendo, quero sair, quero que alguém nos observe”.

Poi gira la testa tre volte e si arrampica sui muri come un ragno. Padre Lankaster Merrin, detto l’esorcista, si affaccia e ci chiede se è tutto a posto.

-”si padre, ce lo scusi, è l’effetto della Sindrome da Prisonizzazione”

-”è tutto sotto controllo padre, è un semplice processo di erosione dell’individualità funziona che sviluppi nuovi modi di mangiare, vestire, lavorare, dormire, parlare, assumi ideologie di tipo malavitoso e criminale. Per il resto a casa tutti bene grazie!”

Padre Lankaster Merrin ci guarda con rispetto, poi per sicurezza spara due:

– “Exorcizámos te, ómnis immúnde spíritus, ómnis satánica potéstas”

poi torna nel film. Lorenzo scende dal muro e torna Lorenzoforme.

-“come facciamo ad uscire da qui?”

-“facciamo come avevamo detto, quando il dpcm riaprirà il teatri invitiamo il pubblico e ce ne andiamo”

-“non è previsto….la data del 27 marzo suona farlocca è una data slogan”

-“ma ti pare che un Ministro fa un annuncio tipo uno spot su Twitter, non si rende conto che in un momento di gigantesca fragilità del nostro settore ogni frase, ogni parola o sillaba che lui dice è fondamentale? Ha un peso enorme”.

-”Perché ci tratta come dei ragazzini? Un Ministro che si rispetti studia, riflette, ascolta, fa i conti, poi ragiona poi tace di nuovo”.

-“Tace”
“-Tace”
“-Tace”
-“Lavora”
-“Lavora”
-“Lavora”

-”…e alla fine parla ma solo quando ciò che dice è un fatto concreto, un valore che effettivamente può essere un programma”.

Silenzio

Matilde, colpita dal ragionamento si inquieta. Prende la scopa e comincia a spazzare nervosamente.

Pausa, poi dice:

-“Un Ministro che si definisca tale non sottintende, non sintetizza, non grida ai quattro venti la riapertura dei teatri. Lo fa solo quando diventa consapevole che la filiera della teatralità italiana è messa nelle condizioni vere e concrete di poter tornare a lavorare e creare e produrre. E ad incontrare il pubblico, il suo pubblico. Il governo o l’amministrazione non può non conoscerne la complessità. Perché bisogna conoscere la complessità teatrale perché si abbia davvero una ripartenza e non è un’accensione simbolica delle luci di sala”

Ascolto queste sagge parole e mi incendio m’infiammo e m’infuoco, mi infilo la zuppiera a mo’ di elmo, sfilo la cucchiarella come spada, rubo la scopa a Mati, ci salto su a cavalcioni.

Declamo eroico:

“vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore, ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza, ci sarà l’ora dei lupi e degli scudi frantumati, quando l’era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno. Quest’oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella terra, v’invito a resistere. Uomini dell’Ovest!”

Gli altri mi guardano tra l’attonito, il meravigliato e il compassionevole.

Intanto Daniele, l’autore, che è passato a salutarci travestito da Frodo Baggings, per farmi rinsavire mi molla un calcio in culo e mi fa cadere l’elmo dalla testa e con lui tutti i miei sogni di gloria.

-“scusate” – dico – ”è il provino che ho portato al Teatro di Roma, credevo fosse adatto all’occasione”
– “ti hanno scelto?”
– “no”
– ”devi lavorare sui costumi”

-“allora, stavamo dicendo: apriamo senza il permesso, un atto di protesta e di rottura”
-“ha detto l’avvocato che è un reato penale, non solo per noi ma anche per il pubblico che verrebbe”
-“allora non possiamo”….

Pausa
Silenzio

Federica fa per versarsi un bicchiere di vino.
Smorfia di disgusto degli altri.
Cambia idea.

-“usciamo e buonanotte ai sognatori”
-“dichiariamo il nostro fallimento e tutti a casa”
Federica assume un colore in volto tendente al blu, posseduta dallo spirito di Edward Norton e mossa da Spike lee

Urla

-“vaffanculo, fanculo tutti, fanculo anche noi, fanculo questa merda di paese, fanculo al pubblico che non sa chi c’è dietro al mondo dello spettacolo, in culo agli attori che vogliono aprire i teatri, fanculo ai registi che credono di essere indispensabili, fanculo agli autori che non hanno più un cazzo da scrivere, fanculo ai disegnatori luci che nessuno ha capito mai come si fa a disegnare con la luce, e vaffanculo agli ingegneri del suono che tanto oramai ascoltiamo tutto con la qualità dell’audio di una radiolina a transistors, che se ne andassero a fanculo macchinisti, elettricisti, fonici, falegnami, microfonisti, camionisti, costruttori di scena, pittori di scena, scenografi, coreografi, arredatori, autisti di produzione, musicisti, compositori, librettisti, aiuto registi, aiuto sceneggiatori, attrezzisti, aiutoattrezzisti, costumisti, sarte di scena, aiutosarte di scena, sottotitolisti, grafici, bozzettisti, assistenti alla regia, uffici stampa, direttori artistici, truccatrici, parrucchieri, comparse, figuranti, accompagnatori di minori, siparisti, suggeritori, mimi, trovarobe, addetti al catering (un tempo cestinari), trasportatori, stunt man, addestratori di animali (un tempo animalari), maestri d’arme, maschere, addetti alla biglietteria, guardarobieri, custodi, addetti alla sicurezza, addetti alla pulizia e al facchinaggio, montatori, aiutomontatori, montatori della scena, mixer, acrobati, addetti agli effetti speciali, rumoristi, disc jockey, marionettisti, burattinai, direttori di produzione, ispettori di produzione, segretari di produzione, location manager, casting, fotografi di scena, autori del backstage, imballatori, amministratori di compagnia, orchestrali, coristi, bandisti, maestri di canto, vocalisti, ballerini, danzatori, direttori di scena, impiegati amministrativi, curatori di produzione, trainer, produttori e distributori .….”

-“…e le loro famiglie”

Che ora è?

La 25esima.

-“certo che siamo proprio tanti”

Riflettiamo in silenzio che nessuno valuta seriamente l’indotto di cinema e teatro. Non solo la spesa al botteghino, ma lo shopping, i trasporti e i pasti fuori: 5,3 miliardi di spese, un valore aggiunto annuale del settore di 4,7 miliardi di euro, una produzione aggiuntiva da 10,8 miliardi, oltre a 99 mila unità di lavoro.

-“io a cosa servo”
-“io a cosa servo”
-“Io a cosa servo”
-“Io a cosa servo”

In questo momento esce Edipo dalle pagine della tragedia di Sofocle, ci guarda sorridente e ci intima che

-“proteggere e liberare le città dai danni provocati da un’epidemia, significa innanzitutto conoscere se stessi, prima che un’intera comunità si ammali di tristezza non riuscendo più a immaginare un futuro”.

Lo cacciamo via, che noi adulti qui si sta parlando di soldi non di sogni. Qualcuno dice che poi Edipo, non avendo retto al dispiacere di quello che ha visto in noi, è tornato nel libro ed ha ucciso il padre, copulato con la madre e si è ciecato. Non poteva sopportare la vista di come abbiamo bruttato ’sto mestiere.

Per farla breve, alla fine decidiamo di aderire a “Facciamo luce sui teatri”, la protesta ideata da Unita – Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo – un’associazione di categoria che suona seria ed aderente al settore. Siamo uno dei 600 teatri italiani che per questa notte accenderà le luci, le insegne, aprirà i portoni, inviterà il pubblico a recarsi a teatro … mamma mia come suona antico sembra una cosa del tipo “vi ricordate quando ancora si poteva….”. Come quando una specie si estingue e la si commemora.

In quattro e quattr’otto organizziamo la serata. Posizioniamo un podio nel foyer modello “Hyde Park corner”. Un microfono e basta. Chiunque vorrà, potrà salire sul podio e leggere un brano selezionato da noi, un testo scelto da lei, un pensiero condiviso da tutti. Stiamo attenti alle misure di sicurezza: amuchina come se non ci fosse un domani, litri di amuchina, ettolitri di amuchina. Eppoi rossetti, sì, proprio il lipstick del trucco. Serve alle persone che verranno, per scrivere sui mille specchi del Teatro Bellini. Per rispondere con dei pensieri alle domande: “cos’è il teatro per te” – “cosa ti manca del teatro” – “come vorresti che il teatro cambiasse” – “cosa può fare il teatro per te” …e così via.

Andiamo nei camerini e ci facciamo carucci. Ci laviamo, ci vestiamo coi vestiti della festa, ci trucchiamo, uomini e donne indistintamente. Mi metto per sbaglio troppo gel in testa, si crea l’effetto “ciuffo in su”. Lo prendo come un omaggio a Tutti pazzi per Mary, quando Cameron Diaz inconsapevole si sistema i capelli con lo sperma di Ben Stiller.

Ci sorridiamo con pudore come quando i fanciulli si accostano per la prima volta al sacramento dell’Eucarestia.

Emozione
Emozione
Emozione
Emozione

È una serata importante. Simultaneamente Veronica, Lello e Margherita dell’ufficio comunicazione lanciano l’evento sui social, spediscono email invitano amici e nemici.

Siamo pronti sono le ore 19. Orario della convocazione. L’eccitazione dell’attesa è palpabile. Carlo il custode si avvicina e mi dice una cosa in napoletano stretto. Capisco solamente che anche lui è emozionato. Gli sorrido ma con le mascherine sembriamo tutti Actarus il pilota di Goldrake. Allora gli canto il simpatico motivetto:

“Si trasforma in un razzo missile con circuiti di mille valvole
fra le stelle sprinta e va…
Lui respira nell’aria cosmica
è un miracolo di elettronica ma un cuore umano ha…
Ma chi è? Ma chi è?”

Felicità, isteria, trepidazione. Arriva la gente, il pubblico ed è

-L’INCONTRO

che aspettiamo da 76 giorni.

Dopo un anno circa il teatro, il nostro teatro torna ad essere un rito collettivo, catartico e purificatorio, basato su

-L’INCONTRO.

Si riprende violentemente la sua funzione sociale che risponde da sempre all’innato bisogno degli uomini di desiderio mimetico, di gioco, della narrazione delle storie, anche feroci, senza il timore di riceverne una punizione. Ed infine al piacere che c’è nel vivere la trasformazione dell’attore.

Il foyer si riempie ma la folla non diventa follia di massa, è tutto moderato e possibile. Il podio si illumina. Daniele fa da padrone di casa e legge un testo di Petrolini sulla funzione del Teatro. Poi io leggo Gaber. Poi qualcuno legge Flaiano. Poi Shakespeare, immancabile poi…poi….poi….

Qualcuno si disinfetta le mani e sale e legge

Garcia Lorca

“Finché attori e autori resteranno in mano d’imprese assolutamente commerciali, senza valore letterario o controllo statale di nessuna specie, imprese digiune di ogni criterio e senza alcuna garanzia, attori, autori e il teatro intero sprofonderanno ogni giorno di più….”

Poi un altro rimpiazza l’oratore di prima e legge Galeano

“Lei sta all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi. L’ orizzonte si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve L’utopia? A questo, serve: a camminare”.

Le persone sul podio si trasformano, arriva Kierkegaard in persona

“Accadde in un teatro che le quinte presero fuoco. Il Buffone uscì per avvisare il pubblico. Credettero che fosse uno scherzo e applaudirono; egli ripeté l’avviso: la gente esultò ancora di più. Così mi figuro che il mondo perirà fra l’esultanza generale degli spiritosi, che crederanno si tratti di uno scherzo”.

Ci raggiunge Goethe

“Vorrei che il palcoscenico fosse stretto quanto il filo di un funambolo, cosicché nessun incompetente oserebbe metterci piede”.

Non può mancare Carmelo Bene

“Qui non si tratta della crisi di un teatro, ma del fatto che tutto il teatro è in crisi. Finché si penserà al teatro come a un raduno mondano, per assistere alla recita di gente imparruccata”.

Vvvrrrrrrrmmmmmm

Crono assonnato e gonfio di cibo riporta la clessidra del tempo ad ora. La pellicola si riavvolge nel futuro ed il passato raggiunge il presente. Avevamo lasciato la Fiat Bravo dei carabinieri parcheggiata male coi lampeggianti accesi. I gendarmi scendono. Uno è basso e magro l’altro è alto e gigantesco. Comanda il piccoletto. Noi siamo sulla porta a parlare con amici che non vedevamo da tanto tempo. Spaventati ci rifugiamo nel foyer. I due militari ci seguono all’interno ed io mi ricordo che furono due gendarmi ad arrestare Pinocchio. Lui diceva bugie. Sosteneva che l’uomo può trasformare la propria condizione passando dalla vita istintiva, simile a quella animale, alla vera vita, cospargendosi così del profumo di umanità.

L’app “Fata Turchina” che ho appena scaricato lampeggia e mi ricorda che “Se del perdono non sarai degno tutta la vita sarai un legno”.

Entra il carabiniere piccoletto. Guarda gli affreschi dell’800 del teatro e ci dice in dialetto sardo “Carrino questo llocale, ha apperto da ppoco?”

Buio

Sipario

Saluti

…e visto che ci siamo

Baci

Appare una scritta creata espressamente a chiusura della storia

-il vento può spegnere una candela ed accendere un incendio-

 

La prima foto è di Michele Amoruso.

(Il 5 marzo, a un anno esatto dalla chiusura dei teatri, si è sciolto il progetto Zona Rossa, un’iniziativa che ha unito protesta e performance artistica per denunciare la situazione di abbandono in cui versano i teatri nel nostro Paese. Il gruppetto di attrici, attori e drammaturghi/registi che ha trascorso settantasei giorni di reclusione all’interno del teatro Bellini di Napoli senza mai uscire ha messo fine al suo confinamento volontario. Durante questo tempo i reclusi hanno fatto teatro, si sono interrogati sul senso di questo lavoro, sulla sua necessità, sulle ragioni della crisi dello spettacolo dal vivo, esasperata dalla pandemia, e hanno mostrato in streaming non uno spettacolo compiuto, ma le fasi creative che portano alla sua realizzazione. Tutto questo in attesa dell’annuncio della riapertura dei teatri, per debuttare davanti a un pubblico. Ma la data del 27 marzo, indicata dal Governo per la ripresa delle attività, è sembrata da subito uno specchietto per le allodole e certamente non ha mai rappresentato per i protagonisti del progetto Zona Rossa una risposta alle criticità e alla complessità del settore. Missione fallita dunque? Anche se così fosse, per gente di teatro non sarebbe un buon motivo per perdersi d’animo, stando almeno a quanto sosteneva Samuel Beckett: “Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio”. F.C.)

 

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Camerino 47. Attore morto che parla (2) https://www.carmillaonline.com/2021/03/10/camerino-47-attore-morto-che-parla-2/ Tue, 09 Mar 2021 23:01:00 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65267 di Alfredo Angelici

Qui la prima puntata

Giorno indefinito. Camerino. Interno notte. 

Mi impegno a prendere sonno. Ma sono oppresso. Ansimo, mi volto, grugnisco e mi rivolto tra lenzuola esauste in un letto troppo piccolo. Strano vero? Vivo in 7 metri quadri e mi ci sento stretto. Eppure dovrei essere contento, secondo le direttive comunitarie un maiale ne ha solo 6 di metri quadrati a disposizione. 

– “Io sono più fortunato” – mi scappa sarcastico a voce alta.

– “Ho un metro in più per grufolare”. Erompo in una risata [...]]]> di Alfredo Angelici

Qui la prima puntata

Giorno indefinito. Camerino. Interno notte. 

Mi impegno a prendere sonno. Ma sono oppresso. Ansimo, mi volto, grugnisco e mi rivolto tra lenzuola esauste in un letto troppo piccolo. Strano vero? Vivo in 7 metri quadri e mi ci sento stretto. Eppure dovrei essere contento, secondo le direttive comunitarie un maiale ne ha solo 6 di metri quadrati a disposizione. 

– “Io sono più fortunato” – mi scappa sarcastico a voce alta.

– “Ho un metro in più per grufolare”. Erompo in una risata ebete quanto solitaria la cui eco subito muore contro la troppo vicina parete. Subito davanti mi appare giudicante la mia coscienza travestita da maiale di Trilussa, si avvicina calma, mi guarda e mi da uno schiaffone, poi mi dice: 

“bisogna esse filosofo bisogna 

non fa lo scemo 

che ci ritroveremo  

in qualche mortadella de Bologna”. 

Non c’è tempo da perdere. Approfitto dello stordimento che mi deriva dallo sganassone ricevuto dal maiale coscenzioso, lo rinforzo con della “melatonina retard”, dose consigliata 1 pastiglia all’occorrenza, ne butto giù tre. Occorreva. 

Spengo la luce e mi volto sul mio fianco preferito. Ora dormo. Ora dormo. Ora dormo. Ora mi addormento. Ecco, ci sono quasi. Sto per…. un corto circuito mi elettrosciocca il pensiero, le sinapsi diventano indipendenti, la riflessione riflette da sola. Espello l’incubo: da qui non ne usciremo mai più! Uff…

Pausa. 

Silenzio. 

Respiro profondamente forte dei miei anni di pratica Kundalini. Chiamo a me il prana. 

-ad guray nameh, jugad guray namo, mi inchino alla saggezza originaria, mi inchino alla saggezza invisibile –  io mi inchino dove vuoi tu ma tu però fammi dormire.

Ecco, funziona….ora dormo. Sto per abbandonarmi tra le braccia di Orf…- no! Ancora un corto circuito, cavolo, questa volta c’è anche del fumo che mi esce dalle orecchie, eccolo di nuovo, il pensiero nero: 

si sono dimenticati di noi. Uff…

Eddai però!

I rumori notturni che sento in questa reclusione volontaria non appartengono a questo mondo. E’ un’orchestra stonata di condizionatori, bocchettoni a norma, caldaie non a norma, scarichi gocciolanti, ventole dimenticate accese, lampadine di là da esplodere per sovravoltaggio, legni che strillano dilaniati dai tarli e tarli che urlano dilaniati dall’antitarlo. 

Il teatro produce un fracasso tale che passeggiare a Guanzhou nel Guandong, nell’ora di punta, con l’assolo di batteria di Whiplash sparato a cannone nelle orecchie, a confronto è un’oasi di pace.

Sono circa le 5 si “sente già in lontananza l’allodola, messaggera del mattino”. Non faccio a tempo a soffocare la retorica Giulietta con il cuscino in faccia, che da fuori la porta sento le urla indistinte di qualcuno che non conosco. Questo qualcuno si precipita rumorosamente giù per scale. I mie compagni stanno dormendo, ne sono sicuro. Non possono essere loro. 

Shhht, zitto! Ascolta. 

Pausa.

Ancora urla e slavine di passi pesanti su e giù per le scale. 

Il mio cuore di leone mi suggerisce di chiudere a chiave la porta ma l’avevo già fatto. Apro e richiudo, per sicurezza. Non c’è il minimo dubbio, è un fantasma. Guardo sotto al letto per sincerarmi che non ci sia il coccodrillo che voleva mangiarmi quando ero piccolo, c’è, è lì e mi guarda. No Alfredo torna in te, i coccodrilli non esistono deve essere per forza un fantasma, il famoso fantasma del teatro Bellini. 

Calma.

Pausa.

Silenzio.

Infilo prudente l’occhio nel buco della serratura, sbircio la sagoma di un bambino, oppure un uomo molto basso di statura, insomma una persona piccola che ha una specie di saio con delle fibbie argentate sulle scarpe:

“O’Munaciello!”

E’ vero! Ci aveva avvertito il direttore artistico, Daniele, sornione.

-“L’avete già conosciuto” – ci disse quel giorno tra le righe e tra le quinte.

-“Conosciuto chi?”

-“O’Munaciello”

-“O’ che?” 

-“Il fantasma del teatro, vive qui. Alla fine di una replica, durante lo smontaggio, anni ed anni fa, un tecnico macchinista cadde dalla graticcia e morì sul palco, da quel giorno il suo spirito vive qui e  molte persone lo hanno incontrato”.

-“ arghszhjui!!*?#^ghthdff” –  rispondo deciso prima di strozzarmi.

-“si, ma se ancora non si è fatto vivo vuol dire che gli state simpatici”.

Eh no eh ! Così non va, ma che me lo dici adesso? A saperlo non avrei mai accettato di dormire qui, aspetta no…aspetta, intendevo dire che sapendolo avrei chiesto molti più soldi….

Mentre dico queste parole comincio a sentirmi come offuscato, drogato, la vista deforma il veduto, il tatto il toccato, l’udito l’udito e mi ritrovo in un luogo che non conosco. 

Un calendario sul muro con l’immagine del partenone di Agrigento segna 23 dicembre 1967. Sono in una villa, le pareti di un intonaco rossastro scolorito, colonne a sostegno delle cupole. Passo attraverso una  porta vecchia che un tempo deve essere stata verde. Come ci sono finito qui?

L’impertinente “Munaciello” ora è davanti a me, un nano grasso vestito da bambino, di pelo rosso e con un faccione di terracotta che ride largo, d’un riso scemo nella bocca ma negli occhi malizioso.

Corre avanti ed indietro da muro a muro, sembra rimasto intrappolato, fa sentire la sua presenza.

Io prendo coraggio, avanzo a passi incerti.

Coscienza –  “hai paura? Non Tremare”.

Pulcinella  – “Gnornò, je nun tremmo, me spasso a facere ‘no minuetto cu’ la paura”.

La mia voce tenta di uscire ferma ed avvolgente, invece suona ingolata come quando mi metto i calzini in bocca.

-Tu chi sei, cosa fai qui?- dico

Lui si fa rosso rosso in faccia come se avesse uno spillo in gola. Parla con estrema accortezza, con cautela.

 – “Facciamo i fantasmi. Tutti quelli che ci passano per la mente… son tutti di nostra fantasia. Con la divina prerogativa dei fanciulli che prendono sul serio i loro giuochi, la maraviglia ch’è in noi la rovesciamo sulle cose con cui giochiamo, e ce ne lasciamo incantare. Non è più un gioco, ma una realtà maravigliosa in cui viviamo, alienati da tutto, fino agli eccessi della demenza”.

Avverto la barba crescermi all’improvviso, velocemente divento più alto, mi appare Kafka e mi fa l’occhiolino, io proseguo la metamorfosi, sono ora corpulento, un omone. Un omone barbuto dalla bella faccia aperta. Anche gli occhi si spalancano e da piccoli ed impauriti si fanno occhioni ridenti, splendenti e sereni. Io, orgogliosamente bruno dalla nascita, sorrido di denti sani nel pizzicarmi il biondo caldo dei baffi della barba non curata. Intanto di spalle Pirandello prende appunti.

Faccio un giro su me stesso col mio nero giacchettone a larghe falde e larghi calzoni chiari e, un po’ aperta sul petto, una camicia azzurrina. Mi scappello un vecchio fez da turco. Saluto educatamente:

-voi inventate le persone che non esistono…incredibile?

Il nano si siede accanto a me, ma io sono all’impiedi. Non può funzionare. Pirandello corregge all’istante e compare un divano, mi siedo ed ascolto:

– “Le figure non sono inventate da noi; sono un desiderio dei nostri stessi occhi. Non è possibile che non ci creda anche lei, come noi. Voi attori date corpo ai fantasmi perché vivano – e vivono! Noi facciamo al contrario: dei nostri corpi, fantasmi: e li facciamo ugualmente vivere. I fantasmi… non c’è mica bisogno d’andarli a cercare lontano: basta farli uscire da noi stessi”.

Vedi come si fa!!  E io che invece ho sempre inventato le verità, infatti alla gente è parso sempre che dicessi bugie…

Il nano si alza in piedi ma è alto uguale a quando era seduto, allora, meschino ed offeso lentamente si dissolve dicendo:

– “Ebbene, signori, vi dico come si diceva un tempo ai pellegrini: sciogliete i calzari e deponete il bordone. Siete arrivati alla vostra mèta. Da anni aspettavo qua gente come voi per far vivere altri fantasmi che ho in mente….”

Respiro aria favolosa. 

Intanto il temporale continua. 

Le prove del nostro spettacolo proseguono tra improvvisazioni ed esplorazioni ad ampio raggio, molto ampio, troppo ampio, immenso. Tanto abbiamo tanto tempo. 

Non sappiamo né quando né se usciremo. Ogni tv,  blog, rivista, tg ed affini, nazionali ed internazionali ha saputo ed ha parlato di noi. Anche il tessuto sociale napoletano in questo si è rivelato molto premuroso ed accogliente nei nostri confronti. Le pasticcerie ci offrono dolci di solidarietà, le pizzerie ci regalano pizze di sostegno, i caseifici ci tirano mozzarelle di fratellanza…ma le amministrazioni no. Non ci considerano (e sono stato un signore) di striscio. Non un assessore, un sindaco, un consigliere, un sottosegretario, un portaborse,  un usciere, che si sia affacciato a dirci – “ehi, sappiamo che oramai sono 70 giorni che siete chiusi li dentro, sto andando a fare la spesa, serve qualcosa?” – niente. 

Il nostro spettacolo parla del lavoro che ci vuole per fare uno spettacolo che nessuno ci farà mai fare e che a nessuno interessa che noi facciamo.

Quindi staremo qui, abbiamo tempo, possiamo permetterci il privilegio della ricerca. 

Io per esempio oggi ho fatto una performance, ho fatto della ricerca: 

mi sono vestito da precario e mi sono messo una fetta di brie legata ai fianchi che toccava terra. Camminavo, la strusciavo al suolo, mentre facevo il commento musicale imitando il controfagotto con la bocca. L’ho intitolata il formaggio. Poi ho proseguito per tutto il giorno, anche a pranzo. I colleghi mi chiedevano.

“Scusa che stai facendo?”

“Sto facendo una performance”. 

“Mi sembrava che stessi lavando i piatti”.

“No, ti sembra, ma questa è una performance”. 

“Ed ora? Stai andando a buttare l’immondizia?”.

“No, no,  sempre una performance”.

“Ah scusa”.

Forse per questo la politica non passa a trovarci, e taglia i fondi e le opportunità, non capisce il ruolo innovativo del teatro. Non capisco, eppure la mia improvvisazione è piaciuta molto, soprattutto per l’originalità dell’immagine.

Tutte le storie sono già state scritte, raccontate, tutto è già accaduto, esistono solo sfumature ed interpretazioni. Disney ad esempio per il Re Leone ha preso Amleto e gli ha fatto completare il cerchio della vita. Si limita a far scoprire a Simba il senso della vita che Amleto non ha mai voluto capire, il testone, intrappolato ed indeciso nel suo essere o non essere.

“Credete di vivere, vi arrabbatate, vi abbaruffate, ma ripetete solo le storie dei morti” – Eddai Pirandè, essù, ma non eri andato via? Abbiamo capito, sei stato chiaro. Scusatemelo. 

Luigi è fatto così…compare spesso da queste parti, lancia dei macigni di riflessione e se ne va. Ma non è che a uno gli va sempre di pensare, di scegliere, di vivere. 

La reclusione in Zona Rossa Bellini è diventata comoda, regolare, ripetitiva, confortante, consolatoria. Il libero arbitrio è solo relegato alla funzione creativa. Ma io ho deciso, non posso essere libero perchè sono  “debole, vizioso, inetto e ribelle.” Giornata tipo:

Ore 8 colazione

Ore 9 training

Ore 11 prove 

Ore 14 pranzo

Ore 15 montaggio spettacolo

Ore 19 fine prove, doccia

Ore 20 cena

Ore 22 fine giornata, netflix e letture

Ripetendo questo programma per 80/100 giorni di seguito (a proposito, siamo nel guinness dei primati come giorni di permanenza senza mai uscire da un teatro), utilizzando sempre gli stessi spazi, e scambiando sempre gli stessi sorrisi con le stesse quattro paia di occhi, si rischia di non poter più fare a meno della reclusione e si diventa “docili, sottomessi e pavidamente ubbidienti”.

Cambio scena

Ad un mio cenno la squadra tecnica: macchinista, aiuto macchinista, datore luci, ingegnere del suono e direttore di scena, capitanati dallo scenografo, ci regalano un cambio scena da pit stop. Siamo ora in Spagna, a Siviglia, al tempo piú pauroso dell’inquisizione quando ogni giorno nel paese ardevano i roghi per la gloria di Dio e con grandiosi autodafé. 

Anche la costumista ha fatto un gran lavoro, e, in tandem con la truccatrice è riuscita a trasformarmi in un vecchio quasi novantenne, “alto e diritto, dal viso scarno, dagli occhi infossati, ma nei quali, come una scintilla di fuoco, splende ancora una luce”. 

Entra il mio collega, il prigioniero, viene trascinato davanti al pubblico ha i capelli rasati, vestito con sacco di juta , calza un berretto da somaro, è Dio.  

Io (con tono di sfida nei confronti di Dio) –  “questi uomini sono più che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi, il merito va a me di avere infine soppresso la libertà e di averlo fatto per rendere felici gli uomini”.

Guardo il mio collega negli occhi. Indico il pubblico che guarda col fiato sospeso. 

Io- “L’uomo fu creato ribelle; possono forse dei ribelli essere felici?”

Dio mi guarda con occhi profondi. Non risponde. Dio è un compagno di scena incredibile. Parla con gli occhi, c’è complicità tra me e lui, ci capiamo con uno sguardo. Lo conosco da molto tempo. L’ho sostituito in scena una volta, mi deve un favore. Dio è un attore intenso ed ha una invidiabile presenza scenica. Mi lancia un’occhiata mite di perdono, io di rimando mi infiammo di rabbia.

Io- “Nessuna scienza darà loro il pane, finché rimarranno liberi,  sono venuti da me implorando: Riduceteci piuttosto in schiavitù ma sfamateci!”

La battuta seguente è la più importante del testo, la dimentico sempre, come se il mio cervello la rifiutasse. Com’è che faceva? “Pane terreno….inconciliab…..ripartire?” Ah si! Ce l’ho e la dico dritta, tutta d’un fiato:

Io- “Lo capisci che libertà e pane terreno e per tutti sono fra loro inconciliabili, giacché mai, mai essi sapranno ripartirlo fra loro?”.

Pausa.

Mi aspetto l’applauso.

Silenzio.

“ Stop!!”

Dalla platea  Lorenzo il drammaturgo e Licia la regista urlano, mi dicono di essere meno emotivo, di agire come se tutto fosse già accaduto….si, a volte gli attori la prendono troppo sul serio. 

Che succede? Chi è quell’uomo?  Feodor Dostoyesky si alza dalla poltrona e scuote la testa. Se ne va, abbandona il teatro, disconosce il testo e toglie la firma….cosa è successo? Perché se ne è andato? Leggenda narra che andandosene qualcuno lo abbia sentito dire -“cane!-, quell’attore in scena abbaia!” 

Annuisco e mi sorprendo ad  accennare un piccolo inchino. Si, mi è rimasto un pò del suo Inquisitore appiccicato addosso, non c’è dubbio. E tra me e me sussurro “Non c’è per l’uomo rimasto libero più assidua e più tormentosa cura di quella di cercare un essere dinanzi a cui inchinarsi”.

Il mio compagno di scena, Dio, a un tratto mi si avvicina in silenzio e mi bacia piano sulle esangui labbra novantenni mentre mi sto già struccando.

La prima e la quinta foto sono di Michele Amoruso, la seconda di Guido Mencari.

(Continua)

 

 

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Camerino 47. Attore morto che parla https://www.carmillaonline.com/2021/02/22/camerino-47-attore-morto-che-parla/ Sun, 21 Feb 2021 23:01:58 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64986 di Alfredo Angelici

(Il 23 febbraio i lavoratori dello spettacolo e della cultura scendono in piazza a un anno esatto dal blocco totale di cinema, teatri ecc. Un composito cartello formato da gruppi di lavoratori autorganizzati e sindacati di base ha indetto una manifestazione per rivendicare misure strutturali e universali di sostegno al reddito e una riforma del settore. Tra le diverse iniziative di lotta intraprese negli ultimi 12 mesi, una sta andando in scena, è proprio il caso di dirlo, dal 20 dicembre scorso a Napoli. #zonarossabellini è il nome [...]]]> di Alfredo Angelici

(Il 23 febbraio i lavoratori dello spettacolo e della cultura scendono in piazza a un anno esatto dal blocco totale di cinema, teatri ecc. Un composito cartello formato da gruppi di lavoratori autorganizzati e sindacati di base ha indetto una manifestazione per rivendicare misure strutturali e universali di sostegno al reddito e una riforma del settore. Tra le diverse iniziative di lotta intraprese negli ultimi 12 mesi, una sta andando in scena, è proprio il caso di dirlo, dal 20 dicembre scorso a Napoli. #zonarossabellini è il nome di questo progetto che unisce protesta e performance artistica: due attrici, un attore e due drammaturghi/registi sono reclusi all’interno del Teatro Bellini senza poter uscire, senza contatti con l’esterno e sotto l’occhio sempre vigile delle telecamere che riprendono costantemente e mandano in diretta streaming l’intero processo creativo che ha l’obiettivo di dare vita a uno spettacolo teatrale. Questa è la loro storia raccontata da uno dei reclusi. F.C.)

20 dicembre 2020 – Primo giorno di reclusione. Volontaria. C’è il sole a Napoli e il profumo del mare che….

“Sono un carcerato eccezionale e spero di rimanere tale per tutto il tempo che dovrò trascorrere sotto questa rubricazione”.

Subito si impone a schiaffo Gramsci impertinente col suo monito e rovina l’inizio ordinario e rassicurante del mio racconto. Nubi di zizzania coprono di presagi il sole partenopeo.

Entro in teatro con un certo entusiasmo, è quasi un anno che non vedo un palcoscenico. Sorrisi, progetti, buoni propositi, pacche sulle spalle ed abbracci tra i partecipanti. Noi adesso lo possiamo fare, toccarci, siamo tutti tamponati, da oggi siamo “conviventi”, ci tocchiamo molto.

Giornalista all’ingresso – cosa ha pensato quando le è stato proposto di vivere insieme ad altri 5 tra attori drammaturghi e registi dentro il Teatro Bellini di Napoli?
Io (questa la so) – ogni attore amerebbe chiamare casa il teatro.
Giornalista (più provocatorio) – resterete fino a che il governo non si deciderà a riaprire i teatri?
Io – Ah ah ah! (risata di chi ignora ciò che è di là da venire) si.
Giornalista (giudicante) – non crede sia un gesto un pò folle?
Io (pedante) – la follia porta gli eroi dei romanzi al trionfo se viene dalla volontà di chi vuole il mondo come deve essere.
Giornalista (in pressing) – perché lo fate?
Io (preso in contropiede) – perché ho capito che tutti i burli sono zurli, lei vede un burlo, è uno zurlo? Non necessariamente perché non tutti i zurli sono burli (risposta evasiva tipica di chi non ha un solido parere).
Giornalista – (pausa) Ah ah ah (risata di chi cerca il significato laddove potrebbe non esserci)! Grazie.
Io – buonasera.

Clausura, reclusione, isolamento, come devo chiamare questo gesto politico-artistico? Decido di non voler indugiare nel termine coloniale “lockdown”.

Entro, guardo distrattamente il fuori per un’ultima volta e subito sono inghiottito da drappi e velluti, affreschi, decorazioni e ori, costumi d’epoca e…e….luci al neon. Azz… non avevo previsto il fattore luce al neon. Con un guizzo estraggo, non visto, il cellulare.

Io – “ok google” – e poi – “si può sopravvivere senza sole?”

Google – “secondo quanto trovato sul web oltre alla conseguente carenza di vitamina D dovuta alla mancata esposizione solare, vivere nell’oscurità costante indebolisce salute fisica generale e mentale”.

Lo sguardo al “fuori” che da ora in poi chiameremo il “Difuori” diventa meno distratto, più preoccupato, la fantasia scade i pensieri nella nebbia, viaggio nei ricordi e giungo ad un amore impossibile, intorno a me tutto in assolvenza si stinge di bianco e nero, ed io divento Humphrey Bogart e dico addio per sempre al Difuori che ha il volto di Ingrid Bergman. Senza che me ne accorga scappano dalle labbra le parole – “we’ll always have Paris”. Mi allontano lentamente fino a scomparire accompagnato da un gendarme, le trombe squillano. Dissolvenza. Fine

Il camerino dove passerò la mia residenza forzata è il numero 47, faccio la smorfia e mi appare Totò morto accanto a Silvana Pampanini scosciata, che mi da i numeri, 1,75 per 4,80 metri, le misure della mia nuova abitazione. Lo standard stabilito dal Centro Prevenzione Torture del Consiglio d’Europa, stabilisce la misura minima in 6 metri quadri. Ci rientro pelo pelo. C’è il classico specchio con molte lampadine colorate, importante per il trucco scenico. Un po di fondotinta chiaro per me che ho la pelle olivastra, glielo devo a Sasà, il disegnatore luci, che si incazza sempre perché – “non ti illumini! Tu sei buono solo a prendere il buio”. Un letto di Ikea riempie quasi tutto il lato largo del mio loculo, è messo a filoparete e mi guarda onesto. Poi una rella per gli abiti. Bagno senza bidet…non dirò a nessuno che userò il lavandino per un uso promiscuo. La doccia non ha la pressione sufficiente per attivare la caldaia, quindi l’acqua è fredda. Il pensiero va ad una frase  che ho archiviato con un asterisco nel cervello, detta da Rino, l’amministratore di compagnia, l’unica che al momento ricordo tra mille dettagli più utili: “abbiamo tre casse di vino rosso nel camerino numero 9”. Confortante. Ora so dove andare a piangere nei momenti di solitudine.  Sono soddisfatto. 

Evvai! Comincia un’avventura che racconterò ai posteri. Mi dico tra me e me a voce troppo alta. Un tuono risuona spaventoso proveniente dal Difuori scrocchia via il mio pensiero. Comincia a piovere ininterrottamente.

Prima riunione di compagnia, incontro i compagni di squadra:
Personaggi ed interpreti:
Licia, regista drammaturga, di Bari
Lorenzo, drammaturgo regista, di Napoli
Alfredo, io, attore anziano, di Roma
Matilde, attrice lanciata, veneta
Federica, attrice molto richiesta, di Palermo
Pier Giuseppe, performer, che è cancellato perché ha abbandonato il campo di gioco, portandosi via il pallone al trentatreesimo giorno di reclusione. Ma di questo non so se voglio parlare.
Reparto tecnico:
Salvatore, responsabile tecnico, lui ha piazzato mille telecamere in teatro, non puoi scappare al suo sguardo Orwelliano. Lui è The Big Brother.
Noemi le beau, produzione esecutiva, nessuno l’ha mai vista mangiare, si narra che si nutra di scarti di scenografie.
Maurizio e Francesco, gentili, magri e gran lavoratori, macchinisti e all’occorrenza supereroi.

Su tutti Daniele Russo, autore del format, direttore del teatro e uomo estremamente sexy, forse troppo.
Se fossimo nei titoli di coda di un film ora ci sarebbe “e con”, a sottolineare l’importanza dell’attore: Rino, direttore di produzione nonché mamma di tutti noi. Nel tempo libero, addetto ai fornelli. Abbiamo stabilito due regole auree: martedì mozzarella e sabato pizza, per il resto Rino fa miracoli con una piastra elettrica piazzata al bar del teatro. Quando non fa scattare l’allarme antincendio, friggendo i fiorilli ripieni pastellati, spadella lenticchie e vagonate di verdure in genere. Ma per favore, basta con le carote lesse!! Il momento dei pasti è l’unico momento di insieme goliardico in una reclusione di gran lavoro.

Dicevamo. Riunione di compagnia. La prima. Sguardi sconosciuti conditi di gentilezza ci sfiorano negli approcci sorridenti della prima conoscenza. Nessuno sapeva nulla dell’altro. A leggere i curricula l’unico criterio utilizzato per la scelta sono le opposte provenienze artistiche e geografiche. Sarà divertente penso, nella diversità la ricchezza. Si ode ancora un ulteriore tuono nefasto.

Ad ospitare la nostra permanenza è il Teatro Bellini, un tempio del 1870. A Napoli si dice “ ‘O San Carlop’a grandezza e ‘o Bellini ‘p ‘a bellezza!”. Conosco bene questo teatro ci ho recitato molte volte, mai però avrei pensato che un giorno avrei utilizzato la sala grande, 870 posti a sedere tra platea e 5 ordini di palchetti, come mio salotto personale, dove trascorrere in lettura, con un bicchiere in mano, le serate pensose e solitarie, accendendo non la abajour, ma mille lucine di platea e mille proiettori da palcoscenico ad illuminare con 150 kW il libro che mi accompagnerà al sonno. Alla faccia del risparmio energetico. Ed accendo anche l’impianto audio da millemila watt, alla faccia di chi mi vuol male: “Look for the silver lining”, Chet Beker. Mi sdraio sul letto di scena.

“Sono un uomo malato … Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro”.

Ora tu dimmi che c’entrano le Memorie dal Sottosuolo in un momento così romantico. Ridacchio del mio pensiero.

“Probabilmente pensate, signori, che voglia farvi ridere?” – di nuovo mi sfuggono le parole del maestro.

“Vi siete sbagliati anche in questo. Non sono affatto l’uomo allegro che forse credete”.

L’ho fatto di nuovo. Mi escono vive le parole di un uomo morto. Perché se tocco qualcosa di sublime mi appare la visione sottosopra del mondo?

Mi alzo in piedi, pronto al confronto con l’altro me, inutile opporre resistenza, conquisto il proscenio, accendo il microfono, distorco dal mixer il suono in uscita e finalmente mi libero stridendo in modo metallico:

“sì, proprio nei medesimi momenti in cui ero più capace di riconoscere ogni sottigliezza di tutto ciò che è sublime ed elevato…mi capitava non già di riconoscere, ma di commettere azioni così indecenti, che … ma sì, insomma, che magari tutti commettono, ma…che non andavano assolutamente commesse. Quanto più ero cosciente del bene e di tutto quel “sublime ed elevato”, tanto più mi sprofondavo nel mio limo e tanto più ero capace di invischiarmene completamente”.

Sento dei rumori dalla platea, guardo avanti e mi aspetto che entri Liza, la prostituta del racconto. Invece è Lorenzo il drammaturgo mio collega, con un pesce rosso in mano. Avrei preferito la prostituta. Provo a chiedere a Lorenzo se vuole interpretare, ora, la puttana, per me  … declina cortesemente.

Ecco, ho parlato di pesce rosso. Un dettaglio del quale devo rendervi edotti. L’esperimento sociale al quale sto partecipando con il mio corpo politico si chiama – “Zona Rossa”-, il simbolo è un pesce rosso in una bolla. Ognuno di noi ha un pesce rosso vivo e vibrante a cui badare. I nomi che abbiamo dato ai nostri animaletti rivelano un pò i caratteri delle persone che siamo:
“Cardone”, che è il nome del fidanzato di Licia, la proprietaria.
“Paura”, che è il sentimento primo provato da Matilde entrando qui.
“Splinter” perchè Federica è una burlona che ama segue le tartarughe ninja.
“Focaptain”, perché Lorenzo a volte è inintellegibile.
“Carmen” che è morta nello scarico del bagno di Giuseppe prima che lui ci abbandonasse perché stufo di noi.

Il mio si chiama Polluce protettore dei naviganti, vive tra l’Ade e l’Olimpo, praticamente un bipolare. E’ figlio di Leda che fu messa incinta da Zeus travestitosi da cigno. Una violenza sessuale mitologica in piena regola. Sento già i passi dei censori revisionisti che annusano discriminazione, pregiudizio ed insulto gratuito e sono pronti a cancellare Zeus dalla storia dell’uomo per metterci al suo posto Don Matteo.

Federica -“Che stiamo facendo qui?”
Licia – “Che senso ha questa scelta?”
Matilde – “Per chi lo stiamo facendo?”
Lorenzo – “………..” sta in silenzio e riflette, è silente e riflettivo.
Si accende una discussione, si infuoca, i punti di vista divergono si intrecciano e danzano in punta di fioretto.
“E sciabbole stanno appese e ‘e foderi cumbattono”. Questa non me la sento di tradurvela. Ed ancora
Licia – “la cultura è necessaria?”
Federica – “Il teatro è necessario?”
Matilde – “Che vuol dire essere artista oggi?”
Lorenzo – “…………” osserva e prende nota, un osservatore notante.
Eccolo di nuovo, il mio pensiero anarchico ed indipendente vola e va a posarsi altrove, più forte della penna. 

Di colpo si abbassano le luci di sala, un controluce color ghiaccio descrive una sagoma. Sono io, anziano, cieco, stanco. Avanzo piano e trovo seduto tra tagli laterali di luce azzurra un sacerdote cattolico. Sono ateo, ma ho chiesto un sacerdote. Mi siedo vicino a lui e parte un effetto sonoro tipo “battito del cuore” ad accompagnare la confessione del mio testamento. 

Io – “ho commesso il peggiore dei peccati che possa commettere un uomo. Non sono stato felice. Che i ghiacciai della dimenticanza possano travolgermi, disperdermi senza pietà. I miei mi generarono per il gioco arrischiato e stupendo della vita, per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco. Li defraudai. Non fui felice. Compiuta non fu la loro giovane volontà. La mia mente si applicò alle simmetriche ostinatezze dell’arte, che intesse nullerie. Mi trasmisero valore. Non fui valoroso. Non mi abbandona. Mi sta sempre a fianco l’ombra d’esser stato un disgraziato”.

Si sente in lontananza un brusio a più voci sempre più forte fino a diventare assordante :

“Franceschini, completando un’opera di destrutturazione della tradizione italiana…..il nostro teatro è girovago per vocazione e storia….oltre ad aver precarizzato il lavoro…volano per il Turismo…il concetto di “alzate di sipario” era ugualmente funzionale….quale effettivo interesse e amore ci sia per la Cultura…il primo obiettivo è il business… oltre che la conservazione della memoria collettiva…lo spacchettamento del Ministero…va colto però un aspetto positivo…” . Silenzio.

Il Teatro ha fallito? I greci antichi non avrebbero mai immaginato che duemila anni dopo una pandemia come quella dell’ Edipo re avrebbe soffocato il teatro. Cancellato i lavoratori dello spettacolo nel silenzio. Abbiamo realizzato che non siamo essenziali. Solo ora. Ma la nostra  pandemia è iniziata da molto prima. Il teatro ha abbandonato la piazza ed il dibattito pubblico tempo fa. 

Ehi, dico a te. In che cosa ti posso essere utile io in quanto attore? Te lo chiedo veramente. Se te lo chiedesse un idraulico, immagino che sapresti precisamente cosa rispondere, se te lo chiedesse un avvocato anche e così via. Ma un attore a cosa ti può essere utile? Ad intrattenere e divertire? Scenderesti in piazza per difendere la cultura? 

La mia regista insiste che il nostro vivere in teatro è testimonianza del corpo politico, mi spiega che ciò che stiamo facendo è far diventare il nostro corpo il centro della comunicazione sociale, culturale, psicologica. Non è soltanto immagine esteriore di sé ma si fa veicolo di valore e disvalore. 

Senza essere visto ordino due Ceres su Glovo.

(continua)

La prima foto è di Michele Amoruso, la seconda di Guido Mencari.

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