Zio Fester – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Divine Divane Visioni (Cinema porno) – 77 https://www.carmillaonline.com/2017/09/21/divine-divane-visioni-cinema-porno-77/ Thu, 21 Sep 2017 21:00:48 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40618 di Dziga Cacace

Plus tu baises, moins tu cogites et mieux tu dors.

900 – Ma pensa tu che mistero, Il triangolo delle Bermude di René Cardona Jr., Italia/Messico 1978 Mani sulle palle o dove vi aggrada, perché secondo me questo film mena rogna come pochi. È tutto sinistro, tutto inquietante, a partire da una fattura quasi amatoriale, con una fotografia sgraziata, degli zoom telescopici e un cast che lascia sconcertati per i nomi coinvolti e per l’utilizzo che se ne fa: a fianco di John Huston (no, dico: John Huston!) e Marina Vlady [...]]]> di Dziga Cacace

Plus tu baises, moins tu cogites et mieux tu dors.

900 – Ma pensa tu che mistero, Il triangolo delle Bermude di René Cardona Jr., Italia/Messico 1978
Mani sulle palle o dove vi aggrada, perché secondo me questo film mena rogna come pochi. È tutto sinistro, tutto inquietante, a partire da una fattura quasi amatoriale, con una fotografia sgraziata, degli zoom telescopici e un cast che lascia sconcertati per i nomi coinvolti e per l’utilizzo che se ne fa: a fianco di John Huston (no, dico: John Huston!) e Marina Vlady c’è pure Gloria Guida, loro improbabile figlia, dalla fisicata clamorosa e con occhi che sembrano due fanali. Bene, questi popò di attoroni danno vita a una vicenda che ruota attorno a uno di quei supposti Misteri che negli anni Settanta davano i brividi a lettori ingenui come me. Prima del complottismo e delle verità alternative dei social si dibatteva dell’esistenza dell’Uomo delle nevi, del continente perduto di Atlantide, dell’autocombustione improvvisa e, ovviamente, dell’inesorabile Triangolo delle Bermuda, poligono che sembrava esaltare le mie fantasie adolescenti molto più di altri triangoli (…). Erano misteri che trovavi pure in edicola, a dispense, altro che Costruisci il tuo presepe o Colleziona sottobicchieri di marchi di birra. Bene, quelli erano i tempi e non poteva mancare l’esito cinematografico che io vidi per la prima volta assieme a mia madre al cinema Lumière di Genova in una proiezione pomeridiana, sul finire degli anni Settanta, mio esordio nell’amata sala dove avrei passato molte serate felici ai tempi dell’università. Comunque: regista di questa cosa abbastanza improponibile era il professionale (e non si direbbe, eh) René Cardona Jr., già autore di quel Tintorera prediletto da Quentin Tarantino visto più e più volte sulle tivù locali genovesi durante gli anni Ottanta e figlio del Cardona Senior che ha firmato I sopravvissuti delle Ande, mio film formativo visto al parrocchiale di Champoluc (formativo perché mi ero reso conto della differenza tra riprese in studio e riprese in esterna, montate assieme in modo fotograficamente lancinante). Il plot de Il triangolo delle Bermude è semplice da far tenerezza: c’è uno yacht un po’ scassato che incrocia nel Triangolo maledetto per una missione archeologica. La dirige il vecchio Huston, a bordo con la famiglia: la moglie e i 4 figli. Partecipano anche il fratello, un medico alcolizzato identico a Marcello Lippi che ha sulla coscienza un intervento in cui ha ucciso un paziente (il medico, non Lippi), e la sua consorte (sempre del medico, non di Lippi). (Vabbeh, la smetto). Poi c’è il resto dell’equipaggio: il capitano nervosetto, l’ufficiale sciupafemmine, il motorista indio e il cuoco di bordo nero che parla da bovero negro. Gli leggi già in faccia che hanno tutti il destino segnato. Nel prologo assistiamo al naufragio di un veliero: in mare finisce anche una bambola con la faccia assassina che – oplà – viene trovata dai nostri eroi odierni ed è subito adottata dalla figlia minore di Huston, una mocciosa tremenda. La bambolina le parla e le rivela chi morirà, quando e come, cosa che puntuale la stronzetta annuncia lasciando tutti basiti.
Intanto lo yacht riceve via radio messaggi insensati, tipo quelli che lo stesso yacht manda nell’etere. Oppure arrivano richieste di soccorso – contemporanee o vecchie di anni – di aerei e navi che si perdono. La bussola è sempre impazzita, l’orizzonte assume colorazioni bizzarre, il mare ribolle, si sentono voci come le sirene di Ulisse e il radar manda immagini inquietanti. Insomma, una crocierina tranquilla. Durante una missione subacquea in cui si trova niente meno che una città sommersa avviene un maremoto e Gloria Guida rimane sotto una colonna che le frana addosso, sfasciandole le gambe. La cosa ha dell’incredibile perché le colonne sono in cartapesta, ma non meno straordinario è il colore rosso Ferrari del sangue che lorda le lunghe leve dell’attrice. E da lì la trama ha un’accelerata e si va verso un finale cialtrone, quasi sbrigativo. Tanto non c’è nulla da spiegare, il mistero del Triangolo rimane un mistero e fessi voi che pensavate che questo filmaccio potesse risolverlo. Il film ha un suo ritmo malato, è innegabile, e alterna le vicende sullo yacht – cioè le morti o le scomparse dei vari membri dell’equipaggio uno dopo l’altro – a scene documentarie che raccontano di altre sparizioni inspiegabili in quella porzione di oceano. Beh: che faccio, ve lo consiglio? Massì, dài. Magari risolvete l’arcano voi. E poi mi dite. (17/12/11)

901 – L’irriducibile Baise-Moi di Virginie Despentes e Coralie Trinh Thi, Francia 2000
Crime thriller sui generis a tinte noir e al contempo – per chi ama le categorizzazioni – rape e revenge movie, Baise-Moi è un film che ha avuto vita molto difficile, vietatissimo in molti paesi, ritirato in Francia, osteggiato da giudici cavillosi e dalle varie associazioni di rompicoglioni che devono decidere su cosa sia giusto o no vedere. Perché? Perché è un salutare calcio nelle palle al buon gusto borghese e un violento sputo in faccia al perbenismo cinematografico. È un film esplicito (in tutti i sensi, con penetrazioni e tutto l’armamentario da cinema hard) tacciato per convenienza di pornografia. Ma in realtà non evoca alcuna fantasia erotica, non eccita mai, semmai disturba e respinge ed è doloroso come una pallottola su per il culo (e non uso l’espressione a caso). Dunque: Nadine e Manu sono figlie delle banlieu, senza passato e senza futuro. Nadine fuma, beve, ascolta musica punk, si masturba. Se fosse un maschio sarebbe un figo nichilista. È una donna e quindi è una poco di buono. Del resto, si prostituisce, come l’assioma pretende. Manu è una beurette disoccupata che prende sberle da ogni lato: ha un fratello possessivo e violento che la considera – come tutti – una zoccola (avendo preso parte a un film porno per raggranellare qualche soldo). Viene violentata assieme a un’amica da quello che la stampa morbosa definirebbe un branco: subisce senza opporre resistenza, inanimata, per evitare il peggio. Non vi sto a dire cosa succede poi ma gli eventi prendono una piega vagamente estrema e Manu e Nadine, che non si conoscono, incrociano le loro strade e decidono di fuggire assieme. Da qui in poi è un delirio di violenza senza freni, una ribellione assoluta a regole e gerarchie, al mondo patriarcale e paternalista che le (e ci) attornia: questa vita non ha senso, e allora perché non sconvolgerla, perché non ribaltarla e provare un piccolo, momentaneo, attimo di rivincita e di felicità? “Più scopi, meno pensi, meglio dormi”, come esemplifica Nadine. La coppia scappa attraverso la Francia, la stampa gioca coi due personaggi che lasciano dietro di loro una striscia di sangue e tu spettatore sei sopraffatto dal racconto senza sconti, che non vuole indorarti la pillola facendo delle due assassine due romantiche eroine. Baise-Moi (che non vuol dire “baciami” ma “scopami”) è un Thelma e Louise amorale. E finalmente, dico io. A me quello era sembrato finto femminismo mercantilistico, una sorta di concessione su pellicola secondo logiche maschili e maschiliste. (Esagero. Però, insomma, pensateci). Questo film invece ti deve dar fastidio, è la sua ragion d’essere. Ti deve far male come la vita fa male alle protagoniste, due donne – due corpi – considerate a disposizione dalla società in cui vivono. La regia è di Virginie Despentes, autrice anarco-femminista del romanzo da cui il film è tratto, e Coralie Trinh Thi, ex attrice porno. E attrici hard lo sono anche le due interpreti principali, Karen Lancaume e Raffaëla Anderson, bravissime (senza ironia, giuro). La messa in scena è rozza, sgraziata e nervosa come il montaggio e tutto è girato in digitale, con luce solo naturale: l’impressione di realtà è molto forte e se ti aspetti i bei colori, l’immagine stabile, il cinema di papà, no, sei fuori strada, amico. Nel 2005 la Lancaume si è suicidata, quasi a mettere un sigillo reale ai problemi posti dal film che ha interpretato. Ma sto facendo il trombone: il film è particolare e può risultare indigesto ma è anche un ceffone che vi auguro di prendere sul muso. (18/12/11)

902 – E niente, non ce la faccio proprio: Guerre stellari – Il ritorno dello Jedi di Richard Marquand, USA 1983
Trascrivo i nervosi appunti sparsi che ho preso durante la visione assieme alla seienne Sofia: 1) l’imperatore si chiama Palpatine, giuro, e sembra Jorge, il monaco cieco del Nome della rosa, andato a male e con qualche problema di igiene dentaria in più. 2) Jabba the Hutt è un pouf di gommapiuma a forma di lumaca e nella sua taverna si suona del rhythm and blues da bordello veramente inascoltabile. 3) Yoda – altro che Jedi! – è un nano rugoso e furfante che insegna a Luke Skywalker a barare, a saltare come nessun altro è capace e a muovere gli oggetti come provava invano a fare Massimo Troisi in Ricomincio da tre. 4) Mark Hamill, Luke, appunto, è invece un curioso incrocio tra Johnny Dorelli, la salma di Mike Bongiorno e Franco Stradella (che conosco solo io, ma vi assicuro che c’entra) e il suo confronto edipico col padre è una palla al cazzo che non vi dico. 5) Darth Fener, quando si toglie il cascone nazistoide, è lo zio Fester! Ooooh, orrore e raccapriccio! 6) Luke ha inoltre intuito che Leila è sua sorella (primo colpo di scena mancato), poi (altro anticlimax) glielo dice e lei risponde: “Lo sapevo!”, roba che neanche a Carràmba! Che sorpresa in acido. 7) Tra l’altro Carrie Fisher fa la figa in bikini, ma non lo era prima con quei due pretzel in testa , figuriamoci ora col reggiseno che sembra fatto in ferro battuto. 8) Comunque tra il primo Guerre Stellari e questo terzo episodio della saga (in realtà il sesto ma lo sapevamo in pochi) il cast deve essere stato investito da una tempesta di meteoriti perché sembrano tutti invecchiati in maniera inclemente. 9) Gli ewoks, abitanti della “Luna boscosa di Endor”, sono dei nanetti imbustati in pigiamini pelosi. 10) Tra gli alleati dei ribelli ci sono anche dei branzini alieni veramente incredibili, da far cadere le braccia. Bene, cosa concludo, dopo queste noterelle amene? Beh, che questo è un film di una noia mortale: dura oltre due ore e non ti finisce più. Non so bene cos’abbiano aggiunto in questa versione rimasterizzata, rivista, ricorretta e tante altre palle. So che non ricordavo per niente le scene di giubilo in giro per la galassia alla notizia della vittoria contro l’Impero, tante enormi Times Square la sera di capodanno, questo mentre i nostri eroi fanno una festicciola intorno al fuoco come dei boy scout. Tutti tentativi di rendere un po’ meno naif la materia trattata, anche perché qui ci sono sganassoni da film per bambini, nemici cattivissimi che si arrendono senza colpo ferire, i nostri eroi che non vengono mai colpiti e non si sporcano neppure. A Sofia la fiaba prende moderatamente, specialmente il plot familiare, ma la conclusione è di film “carino”, giudizio che mi eviterà ripetute visioni future che avrei trovato letali. Lo so, per tanti amici e fedeli lettori sto bestemmiando, ma in verità, in verità vi dico, che Il ritorno dello Jedi è una cagata pazzesca. (Dvd; 19/12/11)

903 – Mi regalo Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio, USA 1982
È il mio compleanno e mi tolgo una soddisfazione rara. Mi vedo un film alle 17, a casa, incurante di chicchessia, con Sofia che pronta si distende sulla mia calda ventrazza. Ed è Koyaanisqatsi, senza plot, senza dialoghi, solo la musica celestiale e inquietante di Philip Glass. E io, like a boss, godo di bestia, ad almeno 18 anni dall’ultima visione, quando facevo finta di studiare: assieme alla fraterna amica Hilda avevamo fantasticato col nostro relatore di scrivere la tesi di laurea sul rapporto tra cinema e architettura, abusato legame di volta in volta evocato da cineasti che vogliono darsi delle arie o da architetti in vena di fancazzismo; ci incontravamo la mattina per vedere film ed era veramente dura con tipi come Jon Jost (guardatevi City of angels e poi sappiatemi dire). Però questo Koyaanisqatsi, no, era stato un piacere che aveva coinvolto anche il nostro prof (che in una riunione dell’istituto di Urbanistica lo aveva chiamato – giuro – Coituoiscazzi). Attraverso riprese di bellezza abbacinante vediamo il mondo sconvolto dalla presenza umana. La poesia cinematografica mette in scena la natura, coi suoi tempi eterni e la sua maestosità imperturbabile, e la civiltà (per modo di dire) occidentale che avanza: miliardi di esseri che tutto travolgono e divorano, come un virus frenetico, folle e impazzito. Siamo wurstel in metropolitana, ecco cosa siamo, macchie di luce sull’autostrada mentre cala la Luna. Le immagini diventano astratte in velocizzazioni e rallenti, un caleidoscopio di colori e di suggestioni pittoriche, tra palazzi che cadono e muti monumenti in vetro e cemento al Capitale che riflettono le nuvole in incessante movimento. Il risultato è magnifico, assolutamente emozionante e struggente. Dovrei leggermi bene su Wiki le responsabilità autentiche di cotanto capolavoro, ma il direttore della fotografia (Ron Fricke) mi sembra la vera mente grafica di questa operazione, durata una decina di anni e sponsorizzata da Francis Ford Coppola una volta vista una preview. Eccezionale, veramente. (Dvd; 20/12/11)

904 – Adorabili, I compagni di Mario Monicelli, Italia 1963
Film personale e sfortunato di Monicelli, con le vicende di un gruppo di operai che rivendica cose minimamente civili nella Torino umbertina. Finisce male, in maniera anche narrativamente prevedibile, ma è caruccio, dotato di un calore che è raro trovare nel cinismo distaccato del vecchio Mario. Mastroianni – dolente e magnifico – è l’intellettuale, un po’ profittatore ma anche dotato di spina dorsale e capace infine di prendersi le sue responsabilità. I compagni risultò un film scomodo, poco popolare nonostante gli intenti ed ebbe scarso successo, peccato. Girato in un bianco e nero scintillante (fotografia di Giuseppe Rotunno), con precise e discrete caratterizzazioni e una Raffaella Carrà – fresca diplomata al Centro di Cinematografia Sperimentale, non scherzo – assolutamente credibile e mai più così a sinistra neanche quando ha ballato il Tuca tuca o presentato Pronto, Raffaella? (qui, scherzo. Però una grande). (Dvd; 23/12/11)

905 – Natale con Asterix e Obelix contro Cesare, Francia/Italia/Germania 1999
Vigilia natalizia santificata con film di fama incognita, ma mooolto desiderato dalle piccine. Ed è una porcata, che alle bambine piace (anche se a Elena, 3 anni, mette un po’ paura) e a noi adulti, o presunti tali, annoia tremendamente. Il film è un continuo esercizio di umorismo infantile che perde la magica qualità dei fumetti di Goscinny e Uderzo: saper far ridere a più livelli. Effettacci digitali (che forse, all’epoca… oggi: mah), Benigni che folleggia e almeno dà un po’ di vitalità, migliaia di comparse, Idefix che è il cane di Asterix e non di Obelix, Depardieu che non è dovuto ingrassare di un grammo per interpretare quest’ultimo e altre bestialità in un copione confuso che mescola diverse storie dell’amato villaggio di galli che non vuole arrendersi alla prepotenza romana. È un tradimento continuo, come sempre accade quando porti una narrazione da un media a un altro. Ma ci sono tradimenti possibili che sortiscono grandi invenzioni e tradimenti da infingardo che tradiscono la fiducia data e questo è il caso. Laetitia Casta – reduce allora da un festival di Sanremo muto a fianco di Fabio Fazio – si presta per una comparsata nuovamente silente ma molto tettuta, con testa vaporosa anni Ottanta per nulla filologica. Poco altro da ricordare, se non il rigonfiamento scrotale del sottoscritto: film costosissimo, lo han visto una trentina di milioni di persone nel mondo, potere della persuasione pubblicitaria e probabilmente dell’ignoranza del testo originale. A visione ultimata le bimbe vanno a dormire e noi ci mettiamo a impacchettare come dei carbonari i regali da mettere sotto l’albero. Poi ci tocca allestire la messinscena del passaggio delle renne di Babbo Natale in terrazzo: Barbara ha lasciato con Sofia ed Elena dei biscotti e una ciotola con del latte. Tocca a me consumarli truffaldinamente e lasciare la ciotola sporca e un po’ di briciole (si butta via mica niente, qui, eh). Infine io solo – in piena notte – mi riduco a costruire una maledetta cucina giocattolo in legno che sembra progettata da un ingegnere dell’Ikea in preda ai vapori della colla. (Dvd; 24/12/11)

906 – The Decline of Western Civilization di Penelope Spheeris, USA 1981
Il nome della regista probabilmente non vi dice niente, ma l’avete amata – eccome – per Wayne’s World, quello che un distributore italiota aveva ribattezzato incongruamente Fusi di testa. Ho ricordi antichi di quel film ma le parti migliori erano quelle di racconto sociologico della grande provincia americana e dei suoi miti spettacolari e consumistici. Ma dieci anni prima la Spheeris si era già misurata (e poi avrebbe continuato) col documentario vero e proprio, un esercizio indipendente di guerrilla filmmaking sulla scena hardcore punk losangelena. The Decline of Western Civilization è un film interessante, per nulla piacione, e in qualche maniera distaccato e disilluso, con un atteggiamento speculare a quello di chi viene raccontato e interpellato per dire la sua. I gruppi investigati (Black Flag, Germs, Fear, X e altri a me ignoti) mi fanno – confesso – cacare a spruzzo: son colpevole, lo ammetto, ma non son mai riuscito ad amare l’hardcore pur comprendendone le ragioni. A mia difesa posso solo dire che probabilmente il cacare a spruzzo verrebbe di molto apprezzato dai protagonisti di quella singolare esperienza musicale. Del resto – con chitarre, testi e costruzioni armoniche – questi, orgogliosamente, non vanno tanto lontano e gli interventi in concerto palesano che l’inabilità strumentale non sia questo gran problema: sono schifati, annoiati, contro tutto e tutti, e quel suonare storto, urlando e vomitando l’oscena verità è il loro modo per manifestarlo. Gli fa schifo la società, gli fan schifo i vecchi hippie così come i plastic people, rifiutano la politica tradizionale, la famiglia, il modo in cui (gli) è organizzata la vita. Gli X, con Exene Cervenka, sembrano quelli più strutturati, sia musicalmente che ideologicamente. Gli altri più spesso lasciano interdetti per mancanza di elaborazione ma se il senso è quello di non rispondere ai nostri abituali canoni dialogici, allora ci sta tutto. Dal punto di vista narrativo il documentario è abbastanza confuso e lasco e le interviste e le riprese non sono granché pensate. In questo senso è molto punk anche il film, quindi, che ha però un forte valore testimoniale, spaziando dalle esperienze personali dei protagonisti alla teoria e pratica del pogo e dello stage diving, passando per tatuaggi, testi, strumenti e ascoltando anche spettatori, fan, promoter e sicurezza dei locali. Qualche volta mi vien da sonnecchiare (a me è un mondo che non interessa granché, che ci devo fare?), ma c’è almeno una scena clamorosa che dovreste recuperare, con Lee Ving, il cantante dei Fear, che provoca il pubblico: finisce a sputazzate e mazzate, con una ragazza dalla mira implacabile (con saliva e mani). Il senso di tutta l’operazione – del film e del movimento artistico – la dà Richard Biggs, direttore della fanzine Slash e poi anche dell’etichetta omonima: il punk – dice – è l’unica forma di rivoluzione rimasta. E questo è in effetti un buon punto a favore. (26/12/11)

907 – La delusione de I diavoli volanti di A. Edward Sutherland, USA 1939
Vedo in edicola Stanlio e Ollio che mi salutano dal classico primo numero di una collana di Dvd a prezzo stracciato e, ancora circonfuso di spirito natalizio e trovando buono e giusto il consumo in questo momento di crisi, procedo all’acquisto pensando che le bambine si divertiranno un mondo. Beh: no. Durante la visione le sento che sbuffano e si distraggono. Il film è lentissimo, in effetti, e le gag si contano sulle dita di una mano. C’è la famosa scena in cui si canta e danza “Guardo gli asini che volano nel ciel…”, ma l’evento non smuove le piccole. La trama è elementare: per una delusione d’amore di Ollio il duo finisce nella Legione straniera, dove ne combinano di ogni colore (per modo di dire, visto che non succede quasi nulla). Si va avanti a tentoni e tutto risulta più frustrante che appagante. Carina la scena finale: dopo un’improbabile e involontaria fuga in aereo, i due comici si schiantano per terra e Ollio va in cielo come un angioletto. Però ritorna reincarnato in un cavallo. E vabbeh. I programmi di Giancarlo Governi che vedevo quando ero bambino distillavano il meglio della coppia e lo riproponevano montato ad hoc; un film intero, invece… bah! Va detto che si tratta di uno degli ultimi prodotti di Laurel e Hardy e in effetti, criticamente, non se lo fila nessuno. Però adesso ho paura anche a ripescare I figli del deserto che ho sempre amato tantissimo. (Dvd; 28/12/11)
P.s.: arriva il lieto fine! Siccome non ci sto a vedere denigrati gli amati Stanlio e Ollio, su YouTube recupero Liberty, una vecchia comica dove i due amici, scappati di prigione, si avventurano sulla struttura di un grattacielo in costruzione in compagnia non richiesta di un granchio che si infila nelle braghe di Ollio. Beh, qui si ride e tanto e le bimbe apprezzano moltissimo. E io sono sollevato: buon anno!

(Continua, ancora un poco – 77)

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Divine Divane Visioni (Cinema porno 08/11) – 74 https://www.carmillaonline.com/2015/12/17/divine-divane-visioni-cinema-porno-0811-74/ Thu, 17 Dec 2015 21:03:45 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27148 di Dziga Cacace

Nella voglia più totale nel discorso trasparente

ddv7401826 – Il labirintico e irritante Inception di Christopher Nolan, USA/Gran Bretagna 2010 Esce il film e tanta critica pavida e prezzolata ne esalta le qualità tecniche e il gioco di scatole cinesi. Amici fidati, però, son tutti bestemmie e stridore di denti e mi chiedono di fare giustizia di siffatta creazione cinematografica. Allora vado alla guerra, mi metto l’elmetto e scendo in trincea per una visione che quanto a trituramento di palle m’è sembrato seconda a poche. Attenzione: non una cagata tout court, ci [...]]]> di Dziga Cacace

Nella voglia più totale nel discorso trasparente

ddv7401826 – Il labirintico e irritante Inception di Christopher Nolan, USA/Gran Bretagna 2010
Esce il film e tanta critica pavida e prezzolata ne esalta le qualità tecniche e il gioco di scatole cinesi. Amici fidati, però, son tutti bestemmie e stridore di denti e mi chiedono di fare giustizia di siffatta creazione cinematografica. Allora vado alla guerra, mi metto l’elmetto e scendo in trincea per una visione che quanto a trituramento di palle m’è sembrato seconda a poche. Attenzione: non una cagata tout court, ci mancherebbe, ma questo Inception m’è parso un assembramento laocoontico di suggestioni senza un’anima, un calore, un’emozione. È un film freddo, dal coinvolgimento nullo, affascinante come una tavola logaritmica e divertente tale e quale. In due parole è un film rompicapo e rompicoglioni, dove sei trascinato nel sogno del sogno nel sogno del protagonista e siccome quello che vedi potrebbe essere qualunque cosa, compreso il subcosciente di DiCaprio stesso (intendo l’attore, tanto vale tutto), all’ennesima discesa nel regno di Morfeo ti scappa un rotondo e sveglissimo vaffanculo. Certo: grandi effetti speciali e al tecnologico Nolan verrebbe da dirgli anche “bravo”, sennonché alla terza invenzione realizzata col computer chi se ne strabatte il cazzo, eh. Avrai una bella RAM ma sto vedendo un film, mica un numero di bravura del tuo processore, eddài. Il thriller onirico (di cui mi rifiuto categoricamente di ricostruire la trama, arrangiatevi) è impreziosito dallo struggimento d’amore del protagonista, ma siccome han tutti facce da fessi il dramma non mi tocca manco per niente, zero empatia, anzi, quasi penso che gli stia bene a Leo sempre a frignare col suo faccione gonfio, tanto l’Oscar te lo scordi. E poi ‘sto crucipuzzle dura quasi 2 ore e mezza, una cosa che dovrebbe essere resa illegale. Carina Marion Cotillard, il resto non m’interessa. Ed è questa è la cosa grave: questo cinema che crea – giocoforza, visti gli incassi – immaginario, è sterile, ci abitua all’indifferenza se non al mero apprezzamento del dato tecnico, a quella soddisfazione un po’ ottusa che prelude al non-pensiero. Non avendone uno neanche io non so dire molto di più. Amen. (Dvd; 17/2/11)

DDV7402825 – Leccato e convincente: Valentino: The Last Emperor di Matt Tyrnauer, USA 2008
Valentino: un ometto dall’incarnato bronzeo e con una testa che pare l’abbiano pucciato in una pozza di pece. Tutto azzimato, la boccuccia a culo di gallina e l’espressione corrugata di chi è costretto a vivere in un mondo che non è mai all’altezza dei suoi ideali di eleganza. Ecco, questa è l’idea che ho di uno dei più stimati e famosi haute couturier di sempre. Idea che il film conferma in parte, regalandoci però diverse sorprese in un ritratto brioso e intelligente. Sì, c’è tutto quello che ti aspetti e che di solito passa per luogo comune: modelle stragnocche esilissime trattate come cerbiatte decerebrate, jet set con gentaglia perennemente abbronzata vestita da pagliaccio e accompagnata a fighe di plastiche, tutti fatti e rifatti, specchio di un’ineleganza morale che è il nulla infiocchettato e tirato a lucido. Ma il ritratto riesce comunque a essere affettuoso, intrigante, pure indiscreto, e qui risiede il suo vero valore documentario. La troupe è impicciona al limite del fastidioso e chi è spiato talvolta se ne rende conto e ce lo ricorda e sembra miracoloso che un ritratto così dall’interno del mondo della moda sia arrivato sullo schermo. Lode al regista (che conosce benissimo questo ambiente, è un inviato speciale di Vanity Fair) che non si è mai fermato e ha sguinzagliato i suoi operatori anche quando educazione e opportunità lo avrebbero sconsigliato. Valentino ha le prevedibili – e anche giustificate – scheccate isteriche, i collaboratori sembrano tutti dei gran cialtroni, impegnati a cinguettare i complimenti al capo, ma si distinguono lo staff di artigiane, autentiche operaie della sartoria, sempre a rammendare l’orlo di una crisi di nervi, e soprattutto il grandissimo Giancarlo Giammetti, già compagno di Valentino e – da quarant’anni – mente imprenditoriale del gruppo. Fasti, ville faraoniche, sci a Gstaad, cagnolini carlini insopportabili, un lusso incomprensibile che diventa contraddittoria opera d’arte proprio per la sua unicità folle, irraggiungibile dai comuni mortali. Gran bel film, divertente e curioso, se non avete preclusioni ideologiche. (Dvd; 12/2/11)

DDV7403827/828 – Cineforum Cacace: Il monello di Charlie Chaplin, USA 1921 e Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio di Andrew Adamson, USA 2005
Il dilemma del sabato pomeriggio: Elena dorme – finalmente – e bisogna occupare Sofia che invece è carica come una sveglia. Però siccome dopo pranzo abbiamo tutti l’abbiocco e finché la belvetta non si risveglia è meglio recuperare energie… allora cineforum Cacace, alé! Scelgo io il primo film (son papà mica per niente, eh) e Il monello è sempre felicemente patetico, liberatorio e tenerissimo. Ha la sua bella età, ma mi piace senza condizioni e alla fine Sofia si è molto commossa, quasi come me. A margine le vicende reali di Jackie Coogan che ho ovviamente raccontato alla piccina per metterla in guardia: il bambino clamoroso diventerà miliardario, la mamma fedifraga gli fotterà tutto, andranno per vie legali e lui se la caverà con l’aiuto di Chaplin, tra gli altri, per trovare infine pace da adulto facendo lo zio Fester nella famiglia Addams. Sì, è proprio lui, quel simil-Galliani in black and white che schioccando le dita ha resistito nei palinsesti tivù fino DDV7404agli anni Novanta. E vabbeh. Poi il secondo film lo sceglie la primogenita e mi tocca Le cronache di Narnia, pellicola che mi ha straziato l’apparato genitale, con l’apice dell’apparizione della mia nemesi, Tilda Swinton, qui conciata da nefasta principessa del ghiaccio, diafana e bruttissima e sicuramente voce in attivo della produzione non necessitando imbellettamento alcuno per risultare così mostruosa (per la cronaca, con questo tranello si è vinto pure l’Oscar per il miglior trucco). Ad ogni modo siamo durante la Seconda Guerra Mondiale (si scriverà così, in maiuscolo? Cos’ha fatto per meritarselo?) e quattro fratelli scoprono un passaggio verso un mondo parallelo, la cui porta è dentro un armadio. Per cui fanno avanti e indietro tra qui e là e la cosa piace molto a Sofia. A me no – anche perché la visione di un armadio significa: “Metti in ordine il caos stocastico creato dalle tue figlie” – e infatti ho visto il film sonnecchiando un po’ e non so di chi sia la colpa, se della mia stanchezza o della fiacchezza di ‘ste Cronache pallose. (Dvd; 19/2/11)

DDV7405829 – La classe non è acqua: Il circo di Charlie Chaplin, USA 1928
Esattamente come sabato scorso, doppio film e stesso copione: non potendo portare Sofia al circo, porto Il circo a casa. Film meno conosciuto di Chaplin eppure splendido e di una sensibilità rara. Si ride (parecchio), si ammirano l’abilità mimica clamorosa, le gag oliate alla perfezione e il consueto patetismo di fondo che lascia un sentimento struggente. Il Vagabondo rinuncia all’amore, per amore e con amore, una generosità che è stato complicato spiegare a Sofia, comunque conquistata. Ricordavo affascinante e prepotentemente erotica Merna, l’acrobata di cui s’innamora Chaplin e sulla cui inquadratura si apre il film. Avevo ragione: lei oscilla verso la cinepresa, a gambe larghe infilate negli anelli del trapezio, e la sua bellezza anni Trenta, in camicia da uomo, con quel taglio di capelli e quello sguardo, continua a essere un mio feticcio erotico, spia precisa di certe turbe sessuali ampiamente psicanalizzabili. Ma non è questa la sede. (Dvd; 26/2/11)

DDV7406830 – Mah: Le cronache di Narnia: il principe Caspian di Andrew Adamson, USA/Gran Bretagna 2008
Nel primo pomeriggio pretendo il dovere, un Chaplin, e verso sera concedo il piacere di un blockbuster recente. Che trovo più divertente del primo episodio: c’è un’epica battaglia finale, un duello con Sergio Castellitto che si piglia a pattoni con il maggior dei quattro fratelli, e c’è pure Pierfrancesco Favino, nero e fosco, ma meno stronzo di Castellitto (peraltro bravissimo in un ruolo decisamente cartoonesco). Tanta animazione digitale – molto riconoscibile – scene grandiose ma non così grandiose… insomma, è come se mancasse il manico. Voglio dire: Peter Jackson è un geniaccio e nel Signore degli anelli è tutto al top della creatività e della realizzazione, qui manca sempre qualcosa. Poi passa, okay, e per Sofia funziona, ma mi sembra che le lasci poco, a livello d’immaginario. Fa due salti, insomma, ma finito il film, stop. A me – confesso se non si fosse ancora capito – ‘sta saga non piace. (Dvd; 26/2/11)

DDV7407831 – Il volgarmente allusivo Quattro bassotti per un danese di Norman Tokar, USA 1966
È un classico della mia infanzia che – durante l’infanzia, appunto – ho sempre saggiamente evitato. Ma nella vita arriva sempre il momento giusto e me lo vedo a 41 anni suonati. Commedia familiare con cane danese combinaguai perché cresciuto assieme a dei bassotti in realtà più pestiferi di lui: grandi baraonde, case sfasciate, catastrofismo consumistico esibito con compiacimento. Diverte per modo di dire, ma ovviamente le mie figlie apprezzano (ma neanche tantissimo: visto due volte e poi basta, per fortuna), pregustando di ripetere le imprese canine in casa mia. È un ritratto dell’american way of life anni Sessanta, con casa dal doppio garage, giardinetto per barbecue, letti separati, arredamento tra prairie style e Movimento Moderno. Il poliziotto mantiene la quiete, la città è pulita e l’unico problema lo danno, appunto, dei cani. Visione dolciastra e reazionarissima della società: ecco perché gli innocenti hippie facevano tanto paura a gente così. Messo da parte che il titolo è già un’allusione pesante a una scatenata gang bang cinofila, il grosso danese è ovviamente metafora di un pisello enorme e la coppia umana protagonista litiga e non tromba proprio per la fallofobia della moglie. Quando questa accetterà di farsi devastare la vulva-casa dai cinque quadrupedi come da titolo, la pace familiare sarà ricomposta e al posto di avere figli simulacro (come evidenziato dalla prima scena, dove regna l’equivoco che la donna sia incinta) ne faranno uno vero. Però questo me lo sto raccontando io perché il film rimane ‘na gran rottura de cazzo. (Dvd; 5/3/11)

ddv7408832 – Approvo L’armata delle tenebre di Sam Raimi, USA 1992 e combatto i Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti, Italia 2006
Visto almeno 18 anni fa al cinema Odeon di Genova, assieme a Barbara in una sala pressoché deserta (ricordo solo un’altra coppia di disadattati come noi): c’eravamo divertiti molto e rivedendo stasera il film con la cugina Ale è facile capire il perché. L’armata delle tenebre è uno spasso sfrenato, infantile, una moltitudine di gag senza tregua. Grana grossa e grande ironia, talvolta un po’ di noia (la seconda parte, dopo l’inizio folgorante e prima del finale epico), ma tutto sommato rimane la piacevole sensazione di vedere un film che il regista si è divertito a fare, pensando ogni volta come stupire lo spettatore con una vaccata più esagerata di quella precedente. Non riesco a fare paragoni con La casa e La casa II che non vedo da troppo tempo, ma qui il gore è diventato commedia slapstick ed è tutto, ma tutto tutto proprio, buttato in caciara comica. Bruce Campbell ha una faccia straordinaria, squadrata e ottusa; la bellona di turno è insignificante; la messa in scena stupisce, con grandangoli estremi e montaggio sincopato, con accelerazioni e parti più classiche. Poi, posso dir tutto, ma Raimi rimane un magnifico discolo, senza aspirazioni “alte” un po’ segaiole alla Coen ma con una più sincera adesione al sense of wonder che il cinema un tempo sapeva dare, senza aver paura di usare trucchi magari riconoscibili ma più veri ddv7409di quelli in CGI. Poi ho visto anche venti minuti di Fascisti su Marte, prima di cedere, schiantato dal peso improponibile del film di Guzzanti. Che è un genio e lo ha dimostrato molte volte in tivù e a teatro, ma che qui toppa clamorosamente, perché uno sketch televisivo che durava (e valeva) a malapena tre minuti non può diventare un film da novanta. L’uso ricercato del linguaggio da Istituto Luce, l’ambientazione folle, i personaggi stralunati e tutto quello che vuoi… ma già al quinto del primo tempo ne hai le palle pienissime, come al terzo cucchiaino di caviale: ottimo, ma stucca e presto subentra la nausea. E poi, a Venezia nel 2003, la sera precedente la prima di Fame chimica c’era la ricca festa di presentazione di Fascisti su Marte, non ancora completato (sarebbe uscito tre anni dopo! Tre!). Ovviamente il bel mondo dello spettacolo italiano e della critica era lì a scofanarsi salatini e cocktail e il mattino dopo alla proiezione di Fame chimica non c’era un giornalista (o presunto tale) a pagarlo. E la faccenda mi ha lasciato un po’ d’amarezza, ecco. Però il problema di Fascisti su Marte è che non c’è un film, ma solo un’idea (e neanche di cinema). E allora se non c’è il film non c’è neanche lo spettatore, mi dispiace. (Dvd; 11/3/11)

ddv7410835 – L’epocale La pantera rosa sfida l’ispettore Clouseau di Blake Edwards, Gran Bretagna/USA 1976
Eeeh, questa è storia patria. Liceo e università son stati scanditi da questo film, spesso accompagnando la visione con dosi generose di erba simpatica. Con immutata stima e fiducia propongo il film a Sofietta che, vista l’età, non ha bisogno di coadiuvanti naturali o chimici al riso e si diverte molto a seguire l’impossibile rivincita dell’ex ispettore capo Dreyfus contro Clouseau, l’uomo che l’ha fatto uscire pazzo. Si parte col ritorno a casa dell’imbranato ispettore; segue un epico duello col domestico Cato in agguato e da lì è un dipanarsi di situazioni farsesche assolutamente spassose. Su tutte spiccano l’interrogatorio tenuto in una casa di campagna (con mazza ferrata in faccia a una possibile testimone) e l’epico confronto finale con Dreyfus, tutti in preda al gas esilarante. In mezzo un po’ di fuffa e qualche gag sorniona ma anche un passo diverso che forse bisognerebbe apprezzare di nuovo, dove il ritmo è dato anche dalle pause e dalle attese, accumulando sapiente tensione comica. Herbert Lom – che interpreta Dreyfus – è eccezionale, isterizzato dalla stolida ma caparbia capacità di Clouseau/Sellers di distruggere tutto, dovunque arrivi, esattamente come Hrundi Bakshi in Hollywood Party o tanto Jerry Lewis. Culto assoluto della mia gioventù, sorvolo su alcune stupidaggini per proclamarlo anche della mia vecchiaia. (Dvd; 26/3/11)

ddv7411840 – Altro che locura: A Single Man di Tom Ford, USA 2009
Una giornata nella vita di un prof di letteratura inglese, gay, che elabora il lutto dell’amante pensando al suicidio. Ma incontra un lolito che sembra Tom Cruise con un lampo d’intelligenza negli occhi e ci ripensa. E poi il resto ve lo scoprite da soli, vedendovi il film, che se no che ci sto a fare qui, io, il cantastorie? Realizzato da un noto stilista americano di cui il mio ricercato guardaroba non conosce testimonianza, A Single Man è ovviamente film raggelato di superba eleganza, composto ai limiti dell’affettazione ed evita la fiera della gaytudine ozpetekiana o di tanto cinema corrente, dove sembri obbligato a fare il pazzeriello se no non rispetti i luoghi comuni etero che vogliono tutti gli omosessuali sfrenatamente affetti da locura. Alla fin fine, è bello da vedere, A Single Man, un po’ meno seguire… ma è un problema mio che mi annoio coi drammoni. E per una bella messa in scena, i dialoghi mi sembrano invece artefatti, ma non giova la traduzione italica tutta impostata e declamata. Vecchio problema, sempre attuale, di solito risolto con l’inverificabile affermazione che “abbiamo i migliori doppiatori del mondo”, un po’ come i portieri per il calcio. Coppa Volpi a Venezia 2009 a Colin Firth, bell’ometto anzichenò. (Dvd; 17/4/11)

ddv7412841 – La mediocrità commerciale de La rapina perfetta di Roger Donaldson, Gran Bretagna 2008
Questa solenne cacata è il classico film che si proclama “basato su una storia vera” e che capisci subito che è inventato di sana pianta: la vicenda è ispirata a una rapina avvenuta nel 1971 (l’11 settembre, tanto per cambiare), di cui mai si son trovati i colpevoli della banda del buco né recuperata la refurtiva, per cui… Comunque furono coinvolti servizi segreti e Scotland Yard, tra verità inconfessabili di politici, rivoluzionari di contorno e della principessa Margret. Mah. Il fatto è che io sono a Genova per la santissima Pasqua, senza il consueto gineceo del Cacace di contorno, e papà ha deciso che si vuol vedere questo crime movie di cui ha ben letto. A torto. Tra l’altro, per non so quale vaccata feng shui il salotto dei miei ospita un’assurda trovata di mia madre: una sorta di fontanella in moto perpetuo che istiga la pisciata compulsiva. Con questa sgradita colonna sonora supplementare vedo mediamente annoiato il prodotto di un regista appassito eppure capace secoli fa di un grandissimo film, Senza via di scampo (erede e remake del bellissimo The Big Clock). Qui, Donaldson ci mette solo arida professionalità e la pellicola è anonima, sicuramente ritmata ma senza cuore né simpatia. Gli attori han facce da cazzo, la ricostruzione storica è di maniera e non ha una briciola del fascino che, per esempio, trovavi nel televisivo Life On Mars. Colonna sonora originale fuori luogo (pomposa e ritmicamente pompata, ‘nammerda) e qualche recupero ovviamente godibile (T.Rex, Kinks), ma mi pare tutto artificiale, “commerciale” nel senso deteriore del termine e le inquadrature inclinate insensatamente mi confermano la natura paracula del prodotto. Mettiamoci poi un doppiaggio dove tutti declamano manco si trattasse di Shakespeare e ho detto tutto. L’apice pestilenziale è dato dalla scena in cui il boss dei rapinatori (l’insipido Jason Statham) va dalla moglie a mollare il malloppo: questi sono braccati dal MI5, dai mafiosi, c’è già scappato il morto e lei gli fa la scenata di gelosia perché paventa il tradimento con una complice… Ma per piacere, vergognatevi: voi che l’avete scritto e tu, proprio tu che l’hai girato. (Diretta Sky HD; 23/4/11)

ddv7413842 – Pure il terzo episodio: Le cronache di Narnia – Il viaggio del veliero di Michael Apted, USA/Gran Bretagna 2010
Ennesimo episodio di queste Cronache, un po’ Signore degli anelli, un po’ stracciamento di coglioni. Al terzo episodio ci si concentra sui fratellini più piccoli, anche perché i maggiori hanno facce grottescamente cambiate (va detto che tutti e quattro i protagonisti son diventati vieppiù orrendi, crescendo). Grandi avventure, tradimenti, conversioni e lieto fine di prammatica. Se hai 6 anni, è azzeccato, e siccome io ormai non ne ho di più, mentalmente, lo vedo con Sofia senza patemi. È il migliore film del terzetto di Narnia: ritmato, colorato, combattuto, senza troppe divagazioni e doppi, tripli, quadrupli finali. Comunque il regista Michael Apted (Incident at Oglala, Gorilla nella nebbia… e un sacco di altre cose) è uno strano: un incrocio incredibile di umanità e arido professionismo, boh. (Dvd; 1/5/11)

ddv7414843 – Inaspettato Fantastic Mr.Fox di Wes Anderson, USA 2009
I Tenenbaum era una stronzata graziata da un innegabile fascino visivo, trucchetto sensoriale che ha guadagnato a Wes Anderson immeritati e superficiali fan. Stavolta il regista ha però una storia di Roald Dahl su cui lavorare, non delle suggestioni scoordinate, e vi applica il suo gusto per il bizzarro, con calligrafismo compiaciuto e – lo concedo – anche qualche svisa intelligente. Ne viene fuori un bel film, una novella per bambini (o quasi) estremamente felice anche per adulti. Musiche intelligenti di Alexandre Desplat, colori intensi, ottime ambientazioni e caratterizzazione dei personaggi riuscita; i dialoghi e alcune situazioni evitano la banalità dei film infantili e – non so se per merito del regista o dell’autore originale – il risultato c’è, nonostante una certa frenata nello sviluppo narrativo a metà film. Molto carino, rivisto più volte grazie all’entusiasmo di Sofia ed Elena. (Dvd; 6/5/11)

ddv7415845 – Io non capisco Guerre stellari – L’impero colpisce ancora di Irvin Kershner, USA 1980
Fiabona bellica, stavolta, che parte subito con una battaglia sulla neve, tipo resistenti finlandesi contro la prepotenza sovietica. Ma forse sono io un po’ fissato. Comunque, a neanche quattro anni dal primo episodio della saga (in realtà quarto: quando all’epoca lo dicevo, nessuno mi credeva), a Luke è cascata la faccia e sembra un vecchio bolso. Yoda (praticamente un pupazzo dei Muppet) lo addestra come Jedi facendogli fare ridicoli esercizi di equilibrismo. Intanto Han Solo ha continue schermaglie d’amore litigarello con la principessa Leila, diventata anche lei un cesso spaziale (e se ripenso poi all’autobiografia di Carrie Fisher intitolata Non c’è come non darla… boh, mi dico: il problema è chi se la prende). Film considerato a posteriori molto riuscito, ha avuto incassi stratosferici: a me pare un po’ una palla al cazzo e neanche un anno dopo arrivava Blade Runner e quella lì sì che era fantascienza adulta, mica questa pappa che potrebbe essere un bignamino di mitologia greca per gli yankee, tanto è ancorata a miti annacquati, a figure retoriche, a prove e ricompense. Mah. Sono evidentemente io sbagliato che non capisco la mistica di Guerre stellari. E giuro che mi farebbe piacere far parte del club, ma non c’è verso, non ci riesco. Comunque al momento del confronto edipico con Darth Fener, dopo la ferale rivelazione, Sofia subito si volta verso di me e mi dice convintissima che non crede che Luke sia suo figlio, che deve essere un tranello. Li educhi al dubbio e questo è il risultato. (Dvd, 19/5/11)

(Continua – 74)

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Qui altre Divine Divane Visioni, pensate

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