Yahya Sinwar – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il nuovo disordine mondiale/ 26 – La guerra post-umana https://www.carmillaonline.com/2024/09/22/il-nuovo-disordine-mondiale-26-la-guerra-post-umana/ Sun, 22 Sep 2024 20:00:05 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=84603 di Sandro Moiso

Tra pace e guerra non esiste un sottile confine, ma una vasta zona grigia, dove gli stati danno vita a quella che viene definita competizione strategica, utilizzando in diverse combinazioni i quattro elementi che formano il potere di uno stato: diplomatico, militare, economico e informativo. Proprio quest’ultimo fattore, complice la pervasività delle tecnologie digitali, ha assunto una rilevanza senza precedenti. (Alessandro Curioni – Intelligenza artificiale, etica e conflitti, 21 settembre 2024 «il Sole 24 ore»)

Quando esploderà il mio cellulare? Molti di noi hanno cominciato a chiederselo perché in fondo quello che Israele, il Mossad, i [...]]]> di Sandro Moiso

Tra pace e guerra non esiste un sottile confine, ma una vasta zona grigia, dove gli stati danno vita a quella che viene definita competizione strategica, utilizzando in diverse combinazioni i quattro elementi che formano il potere di uno stato: diplomatico, militare, economico e informativo. Proprio quest’ultimo fattore, complice la pervasività delle tecnologie digitali, ha assunto una rilevanza senza precedenti. (Alessandro Curioni – Intelligenza artificiale, etica e conflitti, 21 settembre 2024 «il Sole 24 ore»)

Quando esploderà il mio cellulare? Molti di noi hanno cominciato a chiederselo perché in fondo quello che Israele, il Mossad, i suoi servizi segreti hanno fatto nei confronti di militanti di Hezbollah potrebbe essere usato contro di noi in una futura guerra. Altri nemici e altre potenze ostili potrebbero ripetere quel tipo di attacco attraverso gadget tecnologici disseminati nella nostra vita quotidiana e quindi: quando esploderà il mio cellulare? (Federico Rampini – Quando esploderà il mio cellulare?, Corriere TV 23 settembre 2024)

Valutare le cause, le conseguenze e il risultato ultimo dei recenti attacchi israeliani di carattere digitale ai militanti e ai capi di Hezbollah, è qualcosa che si potrà fare soltanto più avanti nel tempo. Anche se, a giudizio di molti esperti, al momento attuale gli assassinii mirati e il terrorismo impiegati dall’IDF e dai suoi ipocriti alleati americani non sembra essere in grado di piegare la resistenza e l’azione militare anti-sionista sia a Gaza che in Libano. Resta ancora aperta, poi, la possibile azione militare contro l’Iran che però, così come del resto in Libano una volta messi gli stivali per terra, richiederebbe il pieno e dichiarato appoggio militare statunitense ad una guerra sul fronte mediorientale.

Un’azione militare totale che, nella migliore tradizione statunitense e occidentale, ha però bisogno di una “giusta causa” ovvero di un attacco via terra e via aria diretto da parte del fronte sciita sul territorio israeliano. Cosa che al momento attuale gli interessati evitano per non cadere nella trappola organizzata da Washington e Tel Aviv e non soltanto perché indeboliti dai ripetuti attacchi mirati contro comandanti e membri delle loro forze armate. Che, comunque, nel 2006, nonostante le distruzioni portate in Libano dai bombardamenti dell’aviazione dello Stato ebraico, bloccarono e di fatto sconfissero le truppe israeliane costringendole al ritiro dopo un’avanzata di pochi chilometri sul suolo della terra dei cedri.

I guerrafondai, quelli che vogliono prendere il mondo a manate si dichiarano sempre innocenti. I disordini non li hanno inventati loro, diamine… Agiscono, reagiscono, si difendono. Non cominciano nulla, semmai sono gli altri…[…] Prendete Beniamino Netanyahu. Sguazza dasempre nella confusione.[…] La vendetta a Gaza è un rompicapo militare che, dopo un anno, appare senza uscita […] Allora che fare? Cambiare scenario, diversioni, nuovi campi di battaglia più arabili, un cocktail sciagurato a cui tutti coloro che sono a corto di idee purtroppo restano affezionati. Il turbolento fronte Nord è lì per questo. Netanyahu dunque ha bisogno che Hezbollah lo attacchi, i missili che cascano qua e là non bastano, sono ordinaria amministrazione. Non bastano a giustificare una rappresaglia colossale, una Gaza bis su cui si possa infierire in permanenza. […] Bene! Ma se gli sciiti della Bekaa non collaborano, non «scavalcano» la linea rossa? La necessità della vittoria stimola il desiderio e la capacità di darle una mano1.

Alle osservazioni del giornalista torinese occorre aggiungere soltanto che il tutto ha però bisogno anche di un peloso aiuto americano che, pur fingendo di cercare una soluzione altra al conflitto regionale, lo inciti all’azione. Magari per eliminare vecchi nemici come quell’ Aqil, responsabile di aver organizzato l’attentato contro la caserma dei marines a Beirut nel 1983. Come ha affermato il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan: «E’ qualcuno che gli Stati Uniti avevano promesso di portare davanti alla giustizia molto tempo fa. Tante famiglie vivono ancora nel dolore provocato dalle sue azioni. E ogni volta che un terrorista che ha ucciso degli americani viene consegnato alla giustizia è un risultato positivo»2.

Inutile sottolineare come per il portavoce della Sicurezza nazionale “assicurare alla giustizia” e “assassinio mirato” siano di fatto sinonimi, atti soltanto a mascherare le azioni terroristiche portate avanti in tutto il mondo ormai da anni dalle forze armate statunitensi e israeliane, là dove occorre, per interposta persona. Ma queste riflessioni sulle motivazioni degli attentati in Libano e a Beirut, così come quelle sui maneggi delle borghesie arabe per liberarsi dell'”asse della resistenza” e indebolire l’Iran3, fanno ormai parte di una storia passata. La Storia di una terza (o quarta?) guerra mondiale già in atto e che soltanto il pieno dispiegarsi dello scontro tra Stati Uniti e Cina porterà al suo pieno compimento, anche per quanto riguarda il fronte ucraino.

Quello su cui occorre invece riflettere sono invece le nuove modalità di guerra imposte dall’evolversi dell’IA e del cosiddetto IoT (Internet of Things), Internet delle cose, alla guerra in atto. Guerra che se già ha prodotto l’uso su larga scala dei droni pilotati da remoto come micidiali strumenti di distruzione adottati su tutti i fronti delle guerre in corso e l’uso di missili di ogni tipo, genere ed età (dai razzi Katjuša di fabbricazione russa, risalenti ancora alla seconda guerra mondiale a quelli più recenti e ipersonici oppure alle cosiddette “bombe plananti” dotate di una certa intelligenza operativa nella scelta degli obiettivi da colpire una volta lanciate dai bombardieri), nel corso degli ultimi giorni ha visto un ulteriore salto di qualità, con l’uso di strumenti quali cercapersone, smartphone, computer o, come è stato segnalato ma senza certificazione ufficiale, pannelli solari, come armi.

Già da tempo si sapeva della possibilità di individuare soggetti e bersagli attraverso l’uso sprovveduto dei telefonini e degli smartphone, cosa per cui recentemente il leader di Hezbollah aveva consigliato ai militanti e responsabili operativi di utilizzare i cerca persone per tenersi in contatto, mentre Osama Bin Laden, Messina Denaro e Yahya Sinwar hanno sempre preferito comunicare per mezzo di “pizzini” consegnati a mano. Ma i recenti attacchi terroristici israeliani nei confronti di militanti, ma anche civili, libanesi hanno aperto una finestra sul possibile uso e le finalità intrinseche racchiuse nell’intelligenza digitale degli oggetti di uso quotidiano.

Certo, è possibile che l’operazione del Mossad e del gruppo 8200, l’Unità di guerra cibernetica capace d’intercettare tutto quanto viene detto o scritto sui canali di comunicazione nemici e alleati, attraverso cui è stato possibile colpire i vertici di militari di Hezbollah sia con i cercapersone che con i missili sganciati da due F 35 israeliani sul quartiere di Dahiya, alla periferia meridionale di Beirut, sia stata preparata con cura certosina nel corso di anni. Basterebbe infatti leggere un romanzo come La Tamburina di John Le Carré che, pur risalente agli anni Ottanta, è ancora estremamente utile per spiegare le sottigliezze, gli accorgimenti, la pazienza e le astuzie con cui i servizi israeliani operano in ogni angolo del mondo.

Ma tutto ciò non basta ancora: reti operative spionistiche e di intelligence e ditte fasulle prestanome costituiscono soltanto uno degli aspetti della questione. L’altro è costituito dalla diffusione delle tecnologie digitali che da strumento di possibile controllo si sono trasformate anche in strumenti da usare direttamente nel corso delle guerre. Sia tra gli Stati che civili, non solo più come indicatori della posizione di chi li usa, ma come autentiche armi.

D’altra parte, da tempo, si discute della sicurezza delle rete e degli oggetti ad essa collegati oppure della possibilità di incendio ed esplosione delle batterie al litio, sia che si tratti di smartphone oppure di auto elettriche.
La batteria dei cercapersone esplosi infatti dovrebbe essere una batteria al litio, esattamente come quella dei nostri smartphone. Per rispondere a questa domanda bisogna guardare a qualche caso di cronaca del passato Nel 2016 Samsung ha presentato il Galaxy Note 7, uno smartphone tra i più potenti usciti in quell’anno. Questo dispositivo è diventato noto alle cronache proprio per le esplosioni. Un difetto di fabbrica, presente soprattutto nei primi modelli commercializzati, provocava un surriscaldamento delle batterie. Da qui partiva un effetto a catena che portava prima le batteria a gonfiarsi e poi a prendere fuoco. Il problema era così evidente che alcune compagnie aeree hanno vietato ai passeggeri di portare il dispositivo sul mercato. Samsung alla fine ha ritirato il modello. Le batterie al litio che abbiamo nei nostri dispositivi elettronici non sono tutte uguali. In base alla tecnologia con cui sono costruite hanno reazioni diverse alle sollecitazioni esterne. […] Negli ultimi anni sono emersi diversi casi di incidenti che hanno coinvolto le Tesla. Parliamo di batterie diverse, sia per le dimensioni che per le composizione. Anche in questo caso però vediamo delle caratteristiche simili. In caso di incidente le batterie non sono direttamente esplose ma hanno preso fuoco4.

Tralasciando, però, i problemi collegabili all’uso delle batterie al litio, diventa necessario addentrarsi invece nel labirinto delle differenti applicazioni e intelligenze digitali usate quasi quotidianamente da tutti.

Mentre ci si interroga su quale sia il peso della guerra cyber nel conflitto tra Russia e Ucraina, basterebbe fare un piccolo sforzo di astrazione e proiettare in un futuro non molto lontano quello che vediamo a trarne una debita conclusione. Facciamo un passo alla volta e diamo uno sguardo a quale sarà il nostro radioso futuro grazie alle tecnologie dell’informazione. Con diverse velocità, tutti i Paesi del mondo sono proiettati verso la digital transformation, termine vago e utilizzato in maniera ondivaga. Forse sarebbe più comprensibile se si parlasse di grande convergenza, ovvero quel processo che progressivamente interconnetterà tutte le tecnologie digitali. In effetti esse sono più numerose di quanto si possa pensare e per anni sono state separate, alcune completamente altre meno. L’esempio più evidente riguarda il mondo IT, a cui appartengono software e hardware che la stragrande maggioranza delle persone utilizza per lavorare, e quello OT (Operational Technology), che comprende i sistemi industriali destinati a gestire milioni di macchinari e strutture compresi acquedotti, reti elettriche, impianti ferroviari. Un terzo ambito è l’Internet delle Cose, diciamo quelle più piccole: dalle prese elettriche ai termostati di casa per arrivare fino ai dispositivi di quella che si chiama telemedicina. Si tratta di una quantità enorme di oggetti (in Italia sono circa 95 milioni) accomunati tutti dall’aggettivo “smart”. L’obiettivo è l’integrazione di tutte queste tecnologie per raggiungere livelli di servizio e di efficienza impensabili. […] Ecco, alla fine, che giunge l’ultima e forse più potente delle tecnologie: l’intelligenza artificiale, sistemi specializzati e addestrati a gestire enormi basi dati per estrarre conoscenza e quindi suggerire la giusta decisione. Ecco la grande convergenza, e la sua apoteosi sarà rappresentata dalla Smart City5.

Che questi sistemi siano stati e siano tutt’ora facilmente attaccabili è cosa risaputa, anche se spesso il maggiore allarme proviene dai rischi connessi all’uso di dati personali e bancari oppure al sabotaggio hacker di reti di servizio. Pericoli segnalati con dovizia di particolare in riviste e articoli specializzati.

Ogni singolo sistema tecnologico che ho citato presenta dei punti deboli. I sistemi OT hanno cicli di vita molto lunghi, spesso pluridecennali: questo significa che i software che li supportano sono obsoleti e presentano delle vulnerabilità note che non saranno mai corrette. Una volta connessi a Internet saranno raggiungibili attraverso i sistemi IT, esponendo le loro debolezze potenzialmente a chiunque. Il mondo dell’Internet delle Cose è già popolato da svariati miliardi di oggetti, il più delle volte connessi in rete senza alcun tipo di autenticazione. Allo stato attuale la gestione dei dispositivi domestici è affidata nella maggior parte dei casi ai singoli cittadini che dovranno occuparsi anche degli aspetti di sicurezza. A tutto questo aggiungiamo l’intelligenza artificiale la cui fragilità è pari alla sua potenza. È stato dimostrato che modifiche nelle basi dati con cui vengono addestrate oppure nei dati di input le inducono a commettere errori molto grandi. […] L’accessibilità dei sistemi, la complessità gestita da molteplici intelligenze artificiali specializzate che dialogheranno tra loro e l’insieme delle diverse debolezze di ognuna delle tecnologie produrranno una moltiplicazione e dilatazione dei rischi proporzionale alle opportunità. Se c’è del vero nell’affermazione che le auto a guida autonoma potrebbero quasi azzerare gli incidenti stradali, altrettanta verità vi è nella considerazione per cui un malware inserito nei sistemi di aggiornamento delle autovetture smart potrebbe causarne in dieci secondi centinaia di migliaia. Ora possiamo trarre almeno quella conclusione di cui scrivevamo al principio ponendoci una domanda: per colpire una smart city saranno più efficaci ed efficienti i missili o i virus informatici6?

Secondo Federico Rampini, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe messo al bando il software cinese installato sulle automobili, decisione che oltre a confermare l’escalation del protezionismo, è anche figlia dell’ultimo exploit del Mossad, poiché col passare dei giorni lo «sterminio dei nemici attraverso gadget tecnologici» ha suscitato altre analisi, ivi compreso nella comunità della difesa Usa.

Dal punto di vista strettamente tecnologico, infiltrare e manipolare a distanza degli apparecchi di uso quotidiano, non è una novità. Gli esperti hanno riesumato dagli archivi molti precedenti, israeliani e non. Gli stessi americani avevano fatto qualcosa di simile, che il mondo intero scoprì all’epoca delle rivelazioni di Edward Snowden: l’intelligence Usa aveva manomesso i cellulari di leader amici, tra cui l’allora cancelliera Angela Merkel, per intercettarne le comunicazioni. Un altro precedente celebre fu l’operazione israelo-americana che entrò nei comandi informatici di una centrale nucleare iraniana guastandola. E tuttavia quelli furono casi di uso «passivo» dei gadget, per fare spionaggio o sabotaggio, non per ucciderne gli utenti. L’exploit libanese (non rivendicato) del Mossad, pur non essendo veramente nuovo, ha oltrepassato numerose linee rosse: in termini di spettacolarità, e per il bilancio di vittime. Perciò ci si chiede se non abbia legittimato una nuova forma di guerra. La cyber-guerra del futuro, quella in cui ogni confine tra militari e civili sarà cancellato, le convenzioni internazionali diventeranno sempre più irrilevanti (non che siano mai state molto rispettate). La banalità degli oggetti in questione — i cerca-persone pre-smartphone — diventa un’aggravante. Perché non immaginare che qualcuno stia studiando di utilizzare a fini bellici i semiconduttori che fanno funzionare i nostri computer e cellulari così come i nostri elettrodomestici, praticamente ogni oggetto animato da memorie e circuiti elettronici? E le nostre automobili, per l’appunto, che ormai sono delle centraline digitali7.

Glenn Gerstell, per anni consigliere generale della National Security Agency, ha recentemente osservato sul «New York Times», a seguito degli attacchi israeliani, che le esplosioni sincronizzate di dispositivi wireless attivate dall’intelligence israeliana contro le milizie islamiche libanesi, rappresenta una impressionante anticipazione dell’accelerazione digitale della guerra. “Questo potrebbe essere il primo e spaventoso scorcio di un mondo in cui, in definitiva, nessun dispositivo elettronico, dai nostri cellulari ai termostati, potrà mai essere considerato completamente affidabile”.

Mentre Alessandro Curioni, esperto in sicurezza informatica ed ex- direttore del Centro di Ricerca IBM di Rüschlikon, si è spinto più in là nella riflessione immaginando come in un conflitto caratterizzato da una cyber war come quello in corso su più fronti anche le caldaie controllate da remoto potrebbero trasformarsi in micidiali strumenti di distruzione di interi stabili oppure di singoli appartamenti8, così come avvenne già durante il bombardamento di Dresda nel 1945 quando migliaia di persone morirono letteralmente bollite vive nelle cantine usate come rifugi antiaerei in cui avevano trovato riparo a causa del surriscaldamento e successiva esplosione delle caldaie a causa dell’innalzarsi della temperatura esterna dovuta all’uso di bombe incendiarie al fosforo da parte dell’aviazione alleata9.

Tutto ciò deve spingerci a riflettere su come tecnologie apparentemente docili e sistemi apparentemente intelligenti costituiscano in realtà, non per complotto programmato ma per semplice costrutto definito dal tempo in cui si vive, un autentico inserimento delle attività belliche in ogni ambito della vita civile, dimostrando come la guerra non costituisca un “errore” nel contesto del modo di produzione capitalistico, ma una costante mentre soltanto la cosiddetta pace, per quanto momentanea, può essere ritenuta “impropria”.

Ma oltre a questo ancora un’altra riflessione si impone a proposito di Intelligenza Artificiale e del suo uso così come è stato immaginato. Talvolta anche a “sinistra” e soprattutto in ambito fantascientifico. Una IA che se lasciata fuori controllo potrebbe essere causa di attacchi nei confronti della specie umana, ma che se usata con piena coscienza potrebbe costituire un’occasione evolutiva per la specie stessa e contribuire al miglioramento delle sue condizioni di vita e dell’organizzazione sociale. Sostanzialmente una visione culturalista, riformista e progressista che annulla l’azione di classe e della specie per il necessario ribaltamento politico delle strutture di governo ed economico-proprietarie legate all’attuale modo di produzione.

Un dibattito che fu particolarmente vivace, fiducioso e ottimistico, al limite della naiveté, nell’ambito del primo Cyberpunk e dei manifesti cyber degli anni Ottanta e Novanta, soprattutto a proposito dell’integrazione tra mente umana, rete e AI oppure della democrazia rappresentata dall’uso delle rete, che allora si andava appena delineando, e che ancora oggi attraverso il post-umanesimo o il trans-umanesimo oppure ancora per mezzo della corrente letteraria del Solarpunk si illude di poter utilizzare gli stessi strumenti per superare l’esistente senza per forza ricorrere agli obbligatori strumenti politici della lotta di classe e della rivoluzione.

Un dibattito di fatto reso nullo dall’attuale attività di controllo dell’enorme quantità di dati, Big Data, che da semplice strumento di controllo dei gusti e delle tendenze degli utenti dei social e di Internet si è trasformato in strumento di violenza e distruzione omicida, sia individuale che collettiva. Uno strumento totalmente sfuggito alle mani degli idealisti della rete e dell’IA e che ormai soltanto i signori del traffico delle informazioni e della guerra possono usare a proprio vantaggio.

Come dimostra anche il recente spostamento verso posizioni trumpiane e ultra-conservatrici, ma fa lo stesso per quelli ancorati al progetto “democratico” della Harris, dei miliardari più rappresentativi di quella che nel periodo sopracitato fu vista come l’utopia “hippie-cibernetica” della Silicon Valley californiana10, «dove esiste una nota “filiera” di innovatori direttamente collegati ad alcuni settori delle forze armate israeliane. Nei dintorni di Stanford e Palo Alto, Cupertino e Mountain View, cioè negli stessi luoghi celebri per i quartieri generali di Google, Apple e Facebook, esistono decine di società di cyber-sicurezza fondate da membri della Unit 8200, una divisione dell’esercito israeliano. È il modello che fu creato dal Pentagono con la Darpa, la sua filiale per il venture capital»11 che Israele ha portato all’ennesima potenza.


  1. Domenico Quirico, Quelle linee rosse disegnate apposta per costringere il nemico alla guerra, 20 settembre 2024 «La Stampa»  

  2. Paolo Mastrolilli, Israele-Libano, raid e missili. Gli Usa: “Evitare l’escalation”, 22 settembre 2024 «la Repubblica»  

  3. F. Paci, Intervista a Gilles Kepel: “Netanyahu fa il lavoro sporco che nessuno vuole fare”, 23 settembre 2024 «La Stampa»  

  4. Valerio Berra, Perché non è possibile che i nostri smartphone esplodano per un attacco hacker, 18 settembre 2024.  

  5. A. Curioni, La convergenza fragile dei sistemi digitali e le opportunità del futuro, 7 aprile 2022 – «il Sole 24 ore».  

  6. Ivi.  

  7. F. Rampini, E l’America vieta il software cinese sulle auto, Corriere della sera 23 settembre 2024.  

  8. A. Curioni, La vera vulnerabilità è nell’Internet delle cose, 21 settembre 2024 «il Messaggero»  

  9. Su tale drammatico bombardamento, durato più giorni, si vedano: F. Taylor, Dresda. 13 febbraio 1945: tempesta di fuoco su una città tedesca, Arnoldo Mondadori editore, Milao 2005: J. Friedrich, La Germania bombardata, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2004: W.G. Sebald, Storia naturale della distruzione, Edizioni Adelphi, Milano 2004; K. Vonnegut jr., Mattatoio n.5 ovvero la crociata dei bambini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1970.  

  10. Si veda G. Riotta, Silicon Valley. In fondo a destra, 22 settembre 2024 «la Repubblica»  

  11. F. Rampini, cit.  

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Nei labirinti della guerra https://www.carmillaonline.com/2024/09/11/un-generale-nei-labirinti-della-guerra/ Wed, 11 Sep 2024 20:00:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=84253 di Sandro Moiso

Gen. David Petraeus, Andrew Roberts, L’arte della guerra contemporanea. Dalla caduta del nazismo al conflitto in Ucraina, UTET 2024, pp. 650, 34 euro

Se, anche troppo spesso, le spiegazioni per le cause delle guerre moderne sono state riduttive e perfino evanescenti nell’appoggiarsi a questa o quella ideologia (da quella che ne indica la causa in quella della difesa della libertà e della democrazia a quella che ne individua l’origine nelle necessità o nella crisi dell’imperialismo, soprattutto occidentale), il loro sviluppo e svolgimento ha rivelato come quasi sempre queste finiscano con l’avvilupparsi in autentici labirinti di contraddizioni, menzogne, [...]]]> di Sandro Moiso

Gen. David Petraeus, Andrew Roberts, L’arte della guerra contemporanea. Dalla caduta del nazismo al conflitto in Ucraina, UTET 2024, pp. 650, 34 euro

Se, anche troppo spesso, le spiegazioni per le cause delle guerre moderne sono state riduttive e perfino evanescenti nell’appoggiarsi a questa o quella ideologia (da quella che ne indica la causa in quella della difesa della libertà e della democrazia a quella che ne individua l’origine nelle necessità o nella crisi dell’imperialismo, soprattutto occidentale), il loro sviluppo e svolgimento ha rivelato come quasi sempre queste finiscano con l’avvilupparsi in autentici labirinti di contraddizioni, menzogne, disastri e massacri in cui gli stessi responsabili iniziali rimangono imprigionati e faticano a districarsi.

Winston Churchill, al tempo del secondo conflitto mondiale, aveva già potuto affermare che «in guerra la verità deve essere sepolta sotto un cumulo di menzogne», ma oggi si potrebbe tranquillamente affermare che sotto alle menzogne non vi è più alcuna verità e che soltanto le bugie delle parti in causa rimangono a spiegare le motivazioni, le scelte e le azioni che le determinano.

Valga come esempio per tutte l’attuale conflitto russo-ucraino con le reciproche accuse di terrorismo e nazismo che i due principali protagonisti si rimpallano ormai da più di due anni. Chi scrive non si aspetta certo altro da personaggi del calibro di Zelensky e Putin, ma almeno un po’ di dignità dovrebbe spingerli a dire che ciò che accade è una guerra, non un’operazione militare speciale o un’perazione di polizia o altro, e che non vi è altro modo di condurre una guerra, in età moderna, se non ricorrendo a bombardamenti massicci sia sugli obiettivi militari che civili, l’invio al fronte di soldati sempre più numerosi e sempre meno motivati destinati a diventare carne da cannone nel giro di poco tempo e a tecnologie sempre più micidiali nell’opera di distruzione.

Il buon vecchio, ma sempre vituperato, Céline, in tutta onestà, aveva definito tutto questo come “il tritacarne”, mentre oggi politici, finti pacifisti e giornalisti da strapazzo parlano a sproposito di “crimini di guerra”, indicando nell’avversario l’autentico mostro che occorre distruggere con il massimo impiego di violenza e tecnologia della devastazione, giustamente e opportunamente distribuite per poter giungere ad una pace “giusta”.

Motivo per cui tutto viene giustificato quando si tratta di infliggere colpi al nemico e, grazie ai social media e alla loro diffusione, trasmesso attraverso uno sguardo sulla morte altrui degno dei peggiori snuff movie. Ciò che colpisce la parte che si vuole difendere è sempre visto come orribile stragismo, disgustoso e sintomo delle malevoli intenzioni dell’avversario, mentre i colpi portati allo stesso sembrano sempre essere “giusti”, meritati e auspicabili in forme sempre più devastanti.

Così anche il surreale dibattito sulle armi che è possibile utilizzare sul territorio ucraino oppure sul territorio della Federazione russa, come anche l’eterna questione di lana caprina tesa a definire e a separare i concetti di “difesa” e “attacco”, soprattutto quando la costruzione di sempre nuove basi militari NATO ai confini della Russia oppure l’incursione ucraina in direzione di Kursk vengono considerate scelte “difensive”, rivelano l’ipocrisia di una rappresentazione della guerra che mira soltanto a nasconderne i limiti e le finalità dei contendenti. Peccato, però, che in mezzo a tutto ciò ci siano i civili, gli adulti, i bambini, le donne, gli anziani e anche i soldati che muoiono davvero o riportano ferite e mutilazioni, oltre che traumi psicologici, spesso orribili e irreparabili.

Per uscire da questa rappresentazione ipocrita e binaria della guerra, in cui l’intelligenza diventa artificiale non solo in virtù degli strumenti elettronici usati, ma grazie soprattutto al soffocamento di qualsiasi capacità individuale di interpretare e reagire con disgusto allo spettacolo osceno della morte rappresentata soltanto come un evento dovuto alla malvagità dell’avversario oppure alla bontà della causa rappresentata è, talvolta, meglio affidarsi alle riflessioni di chi la guerra la fa, per così dire, “per mestiere” e, proprio per questo, si trova costretto a non condirne l’immagine con troppi imbellettamenti o, al contrario, con un eccessivo imbarbarimento del nemico.

Strumento spesso usato in politica per rendere l’avversario degno soltanto di odio, avversione e distruzione (più o meno programmata). Strumento che, più le guerre vanno avanti trascinandosi in situazione sempre più complesse, confuse, imprevedibili e devastanti, diventa quasi sempre, come si accennava già all’inizio, l’unico per spiegarne l’utilità ai propri cittadini e alleati da parte dei governi e delle forze politico-economiche e militari coinvolte.

Ecco dunque il motivo per cui vale la pena di affrontare la lettura del testo del generale David Petraeus edito dalla UTET. Un generale che certo non potremmo catalogare tra i “nostri”, ma che per la lunga esperienza, anche là dove si lascia più facilmente trasportare dall’orgoglio del ruolo di difendere le libertà garantite dal sistema dei diritti di stampo occidentale e statunitense, deve, per forza di cose, render ragione delle scelte fatte sul campo, le difficoltà incontrate dagli attori delle guerre e le conseguenze, spesso impreviste, delle stesse. Sempre a partire dalle armi utilizzate, dalle tattiche adottate e dalle strategie messe in atto negli scenari di guerra.

Esperto di “guerra concreta”, il generale, insieme al coautore Andrew Roberts, storico e giornalista specializzato in biografie quali quelle di Napoleone e Churchill (personaggi in cui ruolo politico e militare risultano inseparabili), ci guida nei labirinti delle numerose guerre che hanno devastato il mondo successivamente al secondo conflitto mondiale, contribuendo a ridefinirne spazi geo-politici e, talvolta, i rapporti tra le classi sia a livello nazionale che internazionale. Poiché, ed è questa piena convinzione di chi scrive, la guerra non è un errore, un fatale incidente che, con altre scelte, avrebbe potuto essere evitato se solo i governi e le forze politiche lo avessero voluto, ma è parte integrante della storia delle società divise in classi e del loro sviluppo, ascesa o caduta. Potremmo definirla come la massima rappresentazione, formale e sostanziale allo stesso tempo, di ciò che certa storiografia si ostina a definire come “civiltà”.

Non a caso, per lungo tempo e ancora oggi, ad ogni svolta militare dei rapporti tra gli stati e le classi, tra oppressori e oppressi, tra potenze in ascesa e altre in declino, si è parlato e ancora si parla di “scontro di civiltà”, Che si tratti del vecchio conflitto tra USA e URSS ai tempi della mai calda davvero “guerra fredda”, del confronto possibile domani tra Stati Uniti e Cina, oppure di quello Medio Orientale che ha sempre come epicentro la presenza militare e politica israeliana mentre di volta in volta gli avversari possono cambiare (Lega Araba, Egitto di Nasser, Hezbollah libanesi, Iran e palestinesi espropriati delle loro terre e dei loro diritti minimi, solo per citarne alcuni), o, ancora, quello sempre attuale come esempio (per i teorici dello scontro di civiltà), ancora a distanza di quasi duemilacinquecento anni, tra Atene e Sparta e l’impero persiano. Che poi quarant’anni dopo la vittoria greca sull’impero asiatico, le due città vincitrici si impegnassero in una guerra distruttiva tra di loro, durata quasi trent’anni, per chi dovesse dominare sul Peloponneso è storia che viene tenuta in disparte dalla prima, anche se di grande interesse per chi voglia studiare le contraddizioni e gli interessi che creano alleanza oppure le disfano trasformandole in nuovi fattori di guerra.

David Petraeus (n. 1952), va detto subito, è un ex generale dell’esercito degli Stati Uniti ed ex direttore della CIA (dal settembre 2011 al novembre 2012), e ha guidato i contingenti americani in Iraq (dal febbraio 2007 al settembre 2008) e in Afghanistan (dal luglio 2010 al luglio 2011). Complessivamente ha servito per trentasette anni nelle forze armate statunitensi ed oggi è considerato, a livello internazionale, un esperto di scienza bellica mentre è attualmente Senior Fellow e Lecturer presso l’Università di Yale.

Un curricolo che certo non lo rende appetibile per gran parte dei lettori di Carmilla, ma che pure ne rende interessanti le osservazioni sulle decine di conflitti che hanno insanguinato il mondo dalla guerra di Corea fino all’attuale confronto russo-ucraino, passando per le guerre di decolonizzazione, a quelle in Vietnam, Medio Oriente, Falkland, Iraq e Afganistan. Tutte analizzate dal punto di vista delle scelte strategiche e tattiche e dei conseguenti errori di valutazione oppure di accelerazione in direzione della vittoria o della sconfitta dei protagonisti. Fattori determinati spesso dalle tecnologie e dalle armi a disposizione dei combattenti e, molto spesso, dal morale delle truppe e delle popolazioni coinvolte. Tutte guerre, comunque, in cui la presenza degli interessi statunitensi è passata di volta in volta dal ruolo di semplice giocatore-ombra a quello di protagonista.

L’immagine di copertina, in cui compaiono sia un Kalašnikov Ak-47 che un drone di ultima generazione, riassume abbastanza significativamente le evoluzioni delle tecniche e degli strumenti di distruzione che hanno sempre più caratterizzato i conflitti dalla seconda metà del ‘900 fino ai nostri giorni. Cui andrebbero aggiunti gli strumenti della cosiddetta “guerra ibrida”, basata sull’uso o sul disturbo degli apparati e dei dispositivi elettronici e della rete, affiancati dall’uso del terrorismo diretto e indiretto (il secondo soprattutto su scala mediatica).

Un’evoluzione che, invece di ridurre l’importanza dei soldati sul campo di battaglia, ha fatto sì che gli eserciti abbiano dovuto sviluppare competenze e specializzazioni prima inimmaginabili. Trasformando in potenziale arma letale qualsiasi strumento o competenza dell’agire quotidiano e, contemporaneamente, in potenziale obiettivo militare strategico qualsiasi struttura (reale o virtuale), edificio o attività sociale, di ordine economico, sanitario e logistico. In un gioco al massacro dell’avversario in cui, pur di evitare l’uso dell’arma nucleare che comunque non appare mai esclusa dall’orizzonte della guerra, si amplificano e moltiplicano i danni e le sofferenze portate alle popolazioni civili e ai combattenti coinvolti nei conflitti. Su una scala un tempo impensabile.

L’illusione delle guerre rapide, travestite da operazioni di polizia sostenute da piccoli contingenti militari, come anche l’ultima scatenata da Putin in Ucraina, sembra essere definitivamente tramontata, rivelando che il numero dei soldati impegnati sul campo e nella logistica sia destinato a diventare sempre più grande. Fattore che oggi pesa enormemente non soltanto sulle scelte politiche occidentali nel possibile rilancio e utilizzo degli eserciti di leva1, ma sulla stessa politica militare russa che dei fanti trasformati in carne da cannone fino all’esaurimento delle scorte di munizioni degli avversari ha fatto il suo punto forza fin dal secondo conflitto mondiale.

Quello della crescita numerica degli eserciti, che in un campo di battaglia come quello ucraino si affianca alla necessità di tornare ad attuare nuovamente tattiche ereditate fin dalla prima guerra mondiale (trincee, uso delle forze corazzate su vasta scala, tentativo di dominare i cieli con l’uso dell’aviazione e azioni marittime di varia portata destinate al controllo delle vie d’acqua, dei porti e dei mari) tenendo conto di nuovi e micidiali strumenti (quali droni e missili e bombe capaci di cercare da sé i bersagli) messi a disposizione dalla più recente tecnologia bellica, comprende però anche sempre quello del morale delle truppe.

Tema cui Petraeus dedica molte pagine nel contesto di svariate guerre, sottolineando indirettamente come la rivolta dei soldati sia sempre possibile, come conseguenza delle sempre peggiori condizioni in cui questi vengono a trovarsi durante l’evoluzione dei conflitti e degli strumenti bellici adottati dalle parti in causa. Motivo per cui se lo storico militare Norman Keegan aveva sottolineato come nelle trincee della prima guerra mondiale si fossero realizzate le peggiori e maggiormente paurose condizioni di combattimento e sopravvivenza dei soldati2, fattore inseparabile dagli eventi che portarono alle rivolte nelle trincee del 1917 e alla successiva ondata rivoluzionaria iniziatasi in Russia, ma che oggi vedono un ulteriore peggioramento delle stesse con un aumento repentino dei morti sia militari che civili nei conflitti.

Nel dicembre 2022, sottolinea Petraeus, i membri della 155ma brigata di fanteria navale russa avevano inviato una lettera aperta a Oleg Kožemjako, governatore della regione del Territorio del Litorale, denunciando un’offensiva cui avevano partecipato:

«In conseguenza all’offensiva pianificata “con cura” dai “grandi generali”, i quattro giorni abbiamo perso circa trecento uomini tra morti, feriti e dispersi, oltre a metà dell’equipaggiamento». Persino inviare una lettera del genere equivaleva ad ammutinamento. In quella fase della guerra, ormai gli ucraini trovavano cadaveri di ufficiali russi cui i loro uomini avevavo sparato alle spalle, pratica che ricordava gli episodi di fragging, cioè l’uccisione intenzionale di un ufficiale, nell’esercito statunitense in Vietnam3

Se Petraeus si sofferma sul dilagare della demoralizzazione tra i soldati, come elemento di difficoltà per l’esercito di Putin, è altresì vero che anche Zelensky ha dovuto fare i conti con lo stesso problema, a partire dal rifiuto, talvolta sostenuto dai civili presenti, all’arruolamento forzato da parte dei giovani e delle giovani ucraine,

Nei soli primi 4 mesi dell’anno, i procuratori ucraini hanno avviato procedimenti penali contro quasi 19mila soldati che hanno abbandonato le loro posizioni o hanno disertato. Lo scrive la Cnn in un servizio dedicato alla situazione delle truppe ucraine sul fronte. «Sono dati impressionanti», commenta l’emittente, diffondendoli. E molto probabilmente incompleti: diversi comandanti hanno infatti dichiarato che molti ufficiali non segnalano le diserzioni e le assenze non autorizzate, sperando di convincere le truppe a rientrare volontariamente, senza incorrere in punizioni. Questo approccio è diventato così comune che l’Ucraina ha cambiato la legge per depenalizzare la diserzione e le assenze senza permesso, se commesse per la prima volta. L’emittente ha parlato con 6 comandanti ed ufficiali che sono ancora o sono stati fino a poco tempo fa sul fronte impegnati a combattere o coordinare le unità dislocate nell’area. Tutti loro hanno parlato di diserzione e insubordinazione come di problemi diffusi, soprattutto tra le reclute4.

Quello delle tecnologie obsolete oppure avanzate è un altro elemento che serve a valutare gli andamenti delle guerre, anche se in determinati contesti, come ad esempio in Afghanistan, tecnologie piuttosto antiquate hanno validamente tenuto testa a quelle più avanzate messe in campo dall’esercito statunitense. Tecnologie, quelle più avanzate in cui intelligence e azioni dei droni servono ad eliminare singoli soggetti (da comandanti di settore oppure generali e dirigenti politico-militari), ma falliscono nel controllo completo del territorio, Che, ancora una volta, può essere tale soltanto mettendo sul terreno, boots on the ground, un numero elevatissimo di soldati con il rischio di perdite enormi e difficilmente sopportabili dalle opinioni pubbliche coinvolte.

Ecco allora che la combinazione di Kalašnikov Ak-47 e droni o aereo a guida remota MQ-I Predator, come quello rappresentato sulla copertina del libro, possono diventare egualmente importanti sul campo di battaglia moderno, finendo anche col limitare l’efficacia delle forze corazzate e della stessa aviazione militare tradizionale.

Per il resto, tecnologie e potenza delle reti in termini di Giga e diffusione, controllo dallo spazio e dall’alto delle mosse del nemico, possono contribuire ulteriormente al successo o meno delle campagne militari. Anche se, in ambienti più ristretti di confronto militare, l’uso dei pizzini da parte dei responsabili politici e militari (Osama Bin Laden o Yahya Sinwar ad esempio) possono mettere al sicuro sia la persone fisiche che le reti di trasmissione degli ordini dei comandanti.

Così un‘eccessiva fiducia nell’uso dei telefonini ha tradito molti generali ed alti ufficiali russi e pure i loro contingenti, esponendoli a micidiali e precisi attacchi, di cui anche la guerra mediorientale è altrettanto stata teatro. Teatri di guerra in cui, per ora, la tecnologia statunitense sembra mantenere ancora una certa superiorità, non comprovata però da effettive conquiste territoriali per le quali sarebbe necessario, lo si ricorda ancora una volta, impiegare un numero enorme di soldati ed aumentare il rischio di un confronto armato con la Russia (o con la Cina).

Per questo motivo il generale americano si sofferma in chiusura sulle possibili evoluzioni delle guerre di domani, in cui il tentativo di evita e confronti di caratter enucleare potrebbe comunque portare a scenari altrettanto paurosi. In cui accanto all’omicidio mirato dei responsabili della ricerca nucleare o tecnologica. Si affianca una maggiore attenzione per la guerra asimmetrica e ibrida.

Citando l’esperto in controinsurrezione David Kilcullen, Petraeus sottolinea ancora come l’azione decisiva possa avvenire altrove, in un ambito che non si considera di guerra guerreggiata:

per mezzo della manipolazione del trasferimento tecnologico, l’influenza della guerra cibernetica esercitata da attori civili, il controllo di risorse minerarie fondamentali5, o l’acquisto di beni immobili strategici. Simultaneamente, ai margini, la Cina6 ha fatto progressi rapidi e significativi in ambiti (come le telecomunicazioni cellulari a 5G, le operazioni cibernetiche , le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale, la robotica, il potenziamento dell’azione umana, il calcolo quantistico, la guerra politica genomica e biotecnologica, oltre alla manipolazione finanziaria) che vanno oltre la comprensione di chi in Occidente si occupa di guerra, e quindi trovano scarsa competizione militare diretta7.

Al di là dell’allarme, sicuramente strumentale, lanciato da Kilcullen e sottolineato da Petraeus, di sicuro ed evidente rimane il fatto che ormai nessuna attività di ricerca scientifica e tecnologica, economica o “criminale” sfugge ad una possibile applicazione di stampo bellico. Anche se l’attitudine a tradire anche gli alleati rimane una costante sullo sfondo, come Petraeus dimostra nelle pagine dedicate al conflitto per le isole Falkland tra Gran Bretagna e Argentina, in cui la vittoria del contingente militare aereo-navale inglese, piuttosto ridotto e a migliaia di chilometri di distanza dalla madre patria, fu reso possibile non solo dallo scoramento delle truppe di terra argentine, ma anche, e forse soprattutto, dal contributo e dall’aiuto ricevuto in termini di intelligence e sorveglianza dal cielo con gli aerei Awacs forniti dagli Stati Uniti e dalla loro intelligence. Stati Uniti che pure avevano in precedenza sostenuto il regime sanguinario dei colonnelli argentini, ma che pure preferivano mantenere intatta l’immagine del domino anglo-americano di quella parte del mondo, pur apparentemente così poco importante sotto tutti i punti di vista.

L’impiego di tecnologie avanzate non elimina però ancora la necessità di mantenere un grande numero di uomini e donne sotto le armi, poiché come si sottolinea ancora nel libro:

In modo un po’ paradossale, i sistemi senza pèilota controllati da remoto richiedono una gestione umana significativa. L’aviazione americana valuta che per un’unica orbita senza interruzione di un solo Predator UAV sia necessario un equipaggio di 168 militari addetti all’efficientamento di armi, carburante, riparazioni a terra e n volo verso e dall’obiettivo, oltre che per elaborare, sfruttare, analizzare, immagazzinare e diffonder l’intelligence che raccoglie. Il Reaper 180 e il Global Hawk, veicoli senza pilota più grandi, richiedono ben 300 persone per orbita. «Il primo problema di pilotaggio dell’aeronautica statunitense è di pilotare le nostre piattaforme senza pilota» afferma uno dei suoi generali8.

Si assiste così ad una crescita esponenziale della spesa militare e del personale coinvolto nelle attività militari, magari pur vestendo abiti civili, vista anche l’importanza che cibernetica e IA assumeranno sempre più nella conduzione delle guerre future.

Grazie alla capacità di computer sempre più sofisticati di valutare grandi quantità di dati, è probabile che gli assassinii guidati da intelligenza artificiale diventeranno molto comuni nel corso di questo secolo […] per usare le parole di Henry Kissinger, l’intelligenza artificiale aumenta la facoltà degli stati di «attivare macchine e sistemi che impiegano rapidamente la logica e un comportamento emergente e in sviluppo per attaccare, difendere, controllare e diffondere la disinformazione» ma anche per «individuarsi e neutralizzarsi a vicenda». […] L’AI è già stata utilizzata nella guerra russo-ucraina in vasti settori, come il software per il riconoscimento facciale, l’ottimizzazione delle catene di rifornimento militari e la produzione di video deepfake, e possiamo essere certi che continuerà a progredire in questo e altri campi9.

A delineare e suggerire il panorama futuro più allarmante è stato però Peter Warren Singer che, capacità, autonomie e ee nel suo libro Wired War, ha scritto:

Le guerre del futuro avranno una vasta gamma di robot diversi per misure, design e intelligenza. I piani, le strategie e le tattiche impiegati in questi futuri conflitti saranno costruiti partendo da nuove dottrine che si stanno appena creando e che coinvolgeranno praticamente tutto, dalle ammiraglie robotizzate e gli sciami di droni autonomi a combattenti a tavolino che gestiranno la guerra a distanza […] In queste battaglie le macchine assumeranno ruoli più significativi, non solo eseguendo missioni, ma pianificandole. […] Le nostre creazioni robotiche stanno generando nuove dimensioni e nuove dinamiche per le guerre e le politiche umane che stiamo appena cominciando a immaginare10.

Affermazioni che hanno fatto sì che lo storico militare Max Boot sia giunto a chiedersi se «un giorno le guerre saranno combattute con macchine tipo Terminator?»11, Riflessione che, per chi conosca la saga fantascientifica basata sulla ribellione delle macchine guidate dalla rete Skynet, pur non abolendo la possibilità dell’uso dell’arma nucleare, contribuisce a delineare un futuro sempre più fosco e labirintico per le guerre in corso e a venire e per la specie umana.


  1. Mentre anche per l’arruolamento volontario si parla apertamente di crisi, proprio a partire dagli Stati uniti. Cfr. D. Bartoccini, Gli Stati uniti non trovano soldati. Cosa sta succedendo?, “il Giornale”, 31 agosto 2024.  

  2. N. Keegan, Il volto della battaglia, il Saggiatore, Milano 2005.  

  3. D. Petraeus, A. Roberts, L’arte della guerra contemporanea. Dalla caduta del nazismo al conflitto in Ucraina, UTET 2024, p. 476.  

  4. C. Guasco, Guerra, Ucraina in grave difficoltà: 19mila soldati hanno già disertato (e il morale crolla), “Il Messaggero”, 8 settembre 2024.  

  5. Si pensi soltanto a quello delle “terre rare” di cui la Cina sembra detenere, insieme alla Russia, il monopolio, o quasi.  

  6. Autentica ossessione per la difesa, l’economia e le attività controinsurrezionali statunitensi. 

  7. D. Kilcullen, The Dragon and the Snakes. How the Rest Learned to Fight the West, Oxford University Press, New Yok 2020, p. 29, Ora citato in D. Petraeus, A. Roberts, op. cit., pp. 516-517.  

  8. Ibidem, p. 520.  

  9. Ivi, p. 518.  

  10. P. W. Singer, Wired War. The Robotic Revolution and Conflict in the 21st Century, Penguin, Nee York 2009, p. 430, ora in D. Petraeus, A. Roberts, op. cit., p. 519.  

  11. Cit, in Petraeus, Roberts, op. cit., p.519. 

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