Vladimiro Giacché – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 24 Dec 2024 23:01:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Hegel: un ”cane morto” molto vivace. Intervista a Vladimiro Giacché https://www.carmillaonline.com/2024/01/19/hegel-un-cane-morto-molto-vivace-intervista-a-vladimiro-giacche/ Thu, 18 Jan 2024 23:01:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80786 di Luca Cangianti

Nel “Poscritto alla seconda edizione” del Capitale Marx stigmatizzava la generale disposizione a trattare Hegel da «cane morto», si professava suo discepolo ed evidenziava l’imprescindibile necessità della dialettica per afferrare il funzionamento del modo di produzione capitalistico. Tuttavia, se in Marx vediamo la dialettica al lavoro, rimane pur sempre aperta la questione di che cosa sia nello specifico. Certo, ci si può rivolgere direttamente a Hegel per togliersi la curiosità, ma il pensiero di questo filosofo è notoriamente esposto con un linguaggio spesso oscuro. Per accostarci a questo pensatore, quindi, un’opera come Hegel. La dialettica di Vladimiro Giacché (Diarkos, [...]]]> di Luca Cangianti

Nel “Poscritto alla seconda edizione” del Capitale Marx stigmatizzava la generale disposizione a trattare Hegel da «cane morto», si professava suo discepolo ed evidenziava l’imprescindibile necessità della dialettica per afferrare il funzionamento del modo di produzione capitalistico. Tuttavia, se in Marx vediamo la dialettica al lavoro, rimane pur sempre aperta la questione di che cosa sia nello specifico. Certo, ci si può rivolgere direttamente a Hegel per togliersi la curiosità, ma il pensiero di questo filosofo è notoriamente esposto con un linguaggio spesso oscuro. Per accostarci a questo pensatore, quindi, un’opera come Hegel. La dialettica di Vladimiro Giacché (Diarkos, 2023, pp. 240, € 18,00) risulta di grande utilità. Nella nuova edizione (la prima era uscita nel 2020 in piena pandemia), l’autore ha ulteriormente semplificato il linguaggio (in verità già ampiamente chiaro), arricchito la parte antologica e aggiornato i riferimenti alle nuove edizioni critiche.

LC – Hegel viene considerato da molti il filosofo della reazione prussiana. Eppure da giovane scrive opere sovversive (che si guarda bene dal pubblicare), sostiene la necessità dell’abolizione dello stato e manda alle stampe testi politici anonimi. Poi, nel corso di tutta la vita, intreccia rapporti con rivoluzionari, liberali ed ebrei fino ad aiutare un prigioniero politico. Insomma, che tipo di filosofia è quella di Hegel? Ha ragione Marx a ritenerla rivoluzionaria o di contro Popper a sostenere che fosse reazionaria?

VG – Popper sicuramente non ha ragione. Di contro alle opere giovanili e a quanto contenuto nelle lettere, è vero che nei volumi pubblicati e specialmente nella Filosofia del diritto si avverte un adeguamento alla situazione politica vigente. Ma il tema va affrontato in termini più filosofici che politici. Il problema è come interpretiamo il rapporto tra razionale e reale. Come noto, per Hegel «ciò che è reale è razionale”. Ma questo non significa affatto che tutto ciò che esiste, per il fatto stesso di esistere, sia razionale. Uno stato cattivo può ben esistere, ma per Hegel è “non-vero”, cioè inadeguato, imperfetto. Inoltre – Engels lo ha spiegato molto bene – il nesso realtà-razionalità in Hegel non può esser considerato in termini statici: in questo senso si può dire che era razionale il feudalesimo, ma anche il capitalismo che l’ha sostituito. La filosofia di Hegel è basata sulla processualità delle cose e sulla realtà della contraddizione. Questa non è un fallimento del pensiero, ma una sfida per il pensiero, che deve essere capace di comprenderla. Una filosofia del genere non si presta a giustificare un ordine economico e giuridico immutabile. Alla base del pensiero hegeliano c’è l’inquietudine.

LC – Nel tuo libro sottolinei l’importanza attribuita dalla filosofia hegeliana alla «capacità del soggetto di essere una struttura autocentrata, in grado di conservarsi e mantenersi in unità con sé nel rapporto con l’esterno» e noti come la Fenomenologia dello spirito sia stata pubblicata in Germania proprio quando erano diffusi i romanzi di formazione. In «queste opere letterarie – sostieni – veniva descritto il duro e necessario cammino, costellato di difficoltà e sconfitte, attraverso cui il protagonista della narrazione poteva infine giungere alla conquista della verità su se stesso e sulla vita.» Queste affermazioni mi fanno tornare in mente il viaggio dell’eroe così come concepito da Joseph Campbell e Christopher Vogler, ma anche da Carl Jung. Sono similitudini che vedo solo io o c’è qualcosa di più sostanziale?

Vladimiro Giacché

VG – Hegel definiva i filosofi come «eroi della ragione pensante» e la stessa struttura della Fenomenologia è debitrice al modello letterario dei romanzi di formazione, quali il Wilhelm Meister di Goethe e l’Heinrich von Ofterdingen di Novalis. Bisogna tuttavia fare tre precisazioni.
La prima: la riflessione di Hegel è focalizzata sul concetto di soggettività e ha come riferimenti storici in primo luogo fonti filosofiche: Kant – che rivendica alla centralità del soggetto il processo conoscitivo -, l’irriducibilità dell’Io fichtiano e in misura minore la nostalgia romantica nei confronti dell’assoluto; in questo contesto per Hegel il soggetto (sia esso un essere umano, un organismo vivente o un sistema politico) è ciò che fa perno su di sé nel rapporto con l’altro, è la capacità di confrontarsi con il mondo esterno senza venire sopraffatti e senza perdere la propria identità; è questo che Hegel definisce «essere presso di sé nell’altro».
Seconda precisazione: Hegel non è un filosofo dell’originario. Per filosofia dell’originario intendo quelle concezioni che presuppongono una perfezione originaria perduta e da recuperare: alla fine del viaggio l’eroe si limita insomma a recuperare qualcosa che aveva perduto. Il ritorno di Hegel, invece, non è un vero ritorno, perché è il raggiungimento di una situazione più ricca. In una delle sue lezioni Hegel paragona l’idea assoluta (il punto d’arrivo della Scienza della logica) «al vecchio che pronuncia le stesse frasi religiose del fanciullo, ma per lui queste frasi hanno il significato di tutta quanta la sua vita». L’attenzione di Hegel non è rivolta al punto di partenza, ma al punto di arrivo, in quanto questo comprende in sé tutto il percorso compiuto: «l’interesse – afferma – sta nell’intero movimento».

LC – Insomma, il viaggio del soggetto hegeliano sembra un viaggio che non finisce, che, guarda caso, assomiglia agli itinerari più eterodossi della narratologia, quelli in cui l’eroe non torna a casa a restaurare l’ordine sconvolto dall’incidente scatenante, ma riparte per nuove avventure come l’Ulisse dantesco e il Che. Adesso però non dobbiamo dimenticarci della terza precisazione che avevi annunciato.

VG – Certo, si tratta di una caratteristica della soggettività hegeliana che non è in linea con molte tendenze contemporanee: il soggetto per Hegel non è un’entità ricombinabile a piacimento; l’autocoscienza nel suo confronto vincente con il mondo esterno non può plasmarsi fisicamente, psicologicamente, culturalmente a piacere. L’idea di un’identità indefinitamente plasmabile è estranea all’orizzonte hegeliano. Il soggetto hegeliano non è qualcosa di immobile, si evolve e cresce nel confronto e nello scontro con la realtà. Ma non è liquido.

LC – Tu, anche per motivi professionali, ti sei occupato molto di economia, anzi direi che sei più conosciuto come economista, malgrado la tua originaria formazione filosofica. In cosa può esser utile Hegel in una disciplina apparentemente così prosaica?

Non esiste un’economia hegeliana, anche se Hegel nella Filosofia del diritto si è occupato di questa disciplina studiando Adam Smith, riflettendo sul pauperismo e sulla società civile. Per rispondere alla tua domanda, tuttavia, bisogna tornare al nucleo della sua filosofia, al suo modo di pensare: Hegel offre un metodo che consente di reagire produttivamente alla sfida della complessità, quando le variabili in gioco sono molte, gli interessi in ballo molteplici, la linea causale non unica né univoca. Questo pensatore si trovava poco a suo agio con la meccanica newtoniana del suo tempo proprio perché il suo metodo alludeva ante litteram alla cibernetica, alla considerazione di dinamiche di azione e reazione, di correlazione tra quantitativo e qualitativo. Tutti strumenti concettuali ancora validi. Faccio un esempio: nelle crisi che abbiamo vissuto, prima del 2008 e poi del 2011, il sistema produttivo italiano ha avuto un cambiamento quantitativamente importante riducendosi di un quarto. Ciò ha provocato un mutamento qualitativo che impedisce ormai di riferirsi a questa formazione economico-sociale negli stessi termini di prima. La morfologia economica dell’Italia è ormai sostanzialmente differente rispetto a 15 anni fa. Un altro esempio: tutta l’insistenza sull’austerità e sul debito pubblico elevato che necessiterebbe di restrizioni di bilancio per contenere il deficit è profondamente anti-dialettica. Non considera infatti che la restrizione di bilancio può ridurre il denominatore, cioè la crescita, più del numeratore. Poi ci si sorprende (almeno chi è in buona fede) che alla fine della “cura” il debito sia aumentato! Non si capisce che ci sono delle interdipendenze che trascurate possono avere effetti opposti a quelli perseguiti.

LC – Nella storia del marxismo abbiamo avuto pensatori che hanno riconosciuto il debito di Marx nei confronti di Hegel e altri che lo hanno negato. Come si spiega questa divergenza di giudizio?

VG – Questi posizionamenti vanno collocati nella cultura del tempo. Le letture antihegeliane di Marx in Italia nascono come una critica alle correnti marxiste influenzate dallo storicismo crociano; in Francia nascevano da una forte egemonia dello strutturalismo, evidente in Althusser per esempio. C’erano inoltre elementi di critica politica nei confronti dei rispettivi partiti comunisti, sia in Italia che in Francia, ritenuti colpevoli di aver assorbito nelle loro culture politiche impostazioni storicistiche e umanistiche considerate sbagliate. In verità, al netto di queste considerazioni, non vanno dimenticate due cose: in primo luogo Marx – dopo la critica giovanile agli esiti politici dell’hegelismo di destra – nei Grundrisse e nel Capitale utilizza una quantità impressionante di strutture concettuali hegeliane; in secondo luogo, ritiene che gli strumenti teorici offerti da Hegel, in particolare in riferimento al concetto di soggettività, siano utili a illustrare l’automovimento del capitale, la sua struttura e la sua articolazione. Per Marx Hegel è stato decisivo per leggere la realtà economica in opposizione all’economia borghese del suo tempo. Ecco perché Lenin nei Quaderni filosofici diceva che se non si capisce Hegel non si capisce nemmeno Marx. E qui voglio infine ricordare Brecht che nel Me-ti definiva la dialettica come il «Grande Metodo»: un metodo che «permette di riconoscere nelle cose dei processi» e che «insegna a porre delle domande che rendono possibile l’azione». Trovo questa definizione di grande importanza, perché fa emergere come alla dialettica sia inerente un elemento intrinsecamente trasformativo.

]]>
Le strade iniziate e interrotte della filosofia https://www.carmillaonline.com/2023/01/30/le-strade-iniziate-e-interrotte-della-filosofia/ Sun, 29 Jan 2023 23:01:42 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=75861 di Luca Cangianti

Vladimiro Giacché, Filosofia dell’Ottocento. Dall’Idealismo al Positivismo, Diarkos, 2022, pp. 594, € 26,00 stampa, € 12,99 ebook.

Mai quarta di copertina fu più adeguata a esprimere lo spirito e le ragioni di un’opera come Filosofia dell’Ottocento. Dall’Idealismo al Positivismo. Le parole sono quelle di Hegel: «Il patrimonio di razionalità autocosciente che oggi ci appartiene non si è sviluppato soltanto dal terreno del presente. Esso è essenzialmente un’eredità. La nostra attuale filosofia è il risultato del lavoro di tutti i secoli». L’autore del libro, Vladimiro Giacché, che conosciamo per le sue [...]]]> di Luca Cangianti

Vladimiro Giacché, Filosofia dell’Ottocento. Dall’Idealismo al Positivismo, Diarkos, 2022, pp. 594, € 26,00 stampa, € 12,99 ebook.

Mai quarta di copertina fu più adeguata a esprimere lo spirito e le ragioni di un’opera come Filosofia dell’Ottocento. Dall’Idealismo al Positivismo. Le parole sono quelle di Hegel: «Il patrimonio di razionalità autocosciente che oggi ci appartiene non si è sviluppato soltanto dal terreno del presente. Esso è essenzialmente un’eredità. La nostra attuale filosofia è il risultato del lavoro di tutti i secoli».
L’autore del libro, Vladimiro Giacché, che conosciamo per le sue opere di storia ed economia (una fra tutte: Anschluss. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa) nasce come filosofo e a ben vedere non ha mai smesso di esserlo, anche occupandosi di flussi monetari, guerre e imperialismi. Questo suo ultimo lavoro è molto di più di uno dei tanti manuali in cui i sistemi filosofici vengono giustapposti a freddo, quasi fossero reparti di un manicomio prima della legge 180. Giacché tratta con grande fluidità i pensatori dell’Ottocento immergendosi nel loro lessico e nel loro orizzonte intellettuale. Ciò nonostante nell’introduzione dichiara apertamente il senso “politico” della sua operazione: la storia della filosofia è un antidoto potente contro la velenosa e diffusa credenza che allo stato presente delle cose non vi sia alternativa; essa ci offre una profonda conoscenza del presente insieme a molti altri scenari diversi e devianti, «Strade iniziate e interrotte» che in alcuni casi potrebbero perfino essere riprese.

Il volume – cui ne seguiranno altri – prende le mosse da un evento storico, la Rivoluzione francese, e da un processo, la dissoluzione del sistema kantiano. Vengono così spiegati i sistemi filosofici di Fichte, Schelling, Hegel e i rispettivi tentativi d’individuazione di principi assoluti del sapere capaci di abbracciare la realtà nel suo complesso. Di contro alle metafore meccaniche del Settecento emergono spiegazioni teleologiche improntate alla complessità e all’organicità.
Si tratta degli ultimi tentativi di dare alla filosofia un volto sistematico, poi tali ambizioni titaniche entrano in crisi: le costruzioni di Schopenhauer, Kierkegaard e Feuerbach, pur nella loro eterogeneità, sono sia causa che effetto di tale processo dissolutivo. Parallelamente il pensiero scientifico moderno sviluppa un sapere basato sull’esperienza con un conseguente scetticismo riguardo all’utilità di un’indagine sull’essenza delle cose. Le cosmologie positiviste di Comte, Mill e Spencer trovano grande diffusione anche oltre i circoli specialistici, senza tuttavia evitare di ritornare «a quelle concezioni ingenue del rapporto tra pensiero e realtà la cui critica da parte di Kant aveva dato avvio ai dibattiti filosofici idealistici e romantici.»

Filosofia dell’Ottocento è un libro rivolto sia a chi ha formazione filosofica, sia a chi desidera approfondire – anche con un sano godimento nella lettura – la storia dei sistemi di pensiero umani. A tal fine, oltre al linguaggio chiarissimo, contribuiscono al successo del progetto: la suddivisione dei capitoli in paragrafi brevi, la selezione di letture commentate e di brani critici, l’inclusione di poeti (Hölderlin, Goethe, Leopardi), letterati (Mazzini) e scienziati (Darwin) che permettono una trattazione del pensiero filosofico calata nella ricchezza e nella complessità del tempo.

]]>
Hegel ai tempi della pandemia https://www.carmillaonline.com/2020/03/26/hegel-ai-tempi-della-pandemia/ Wed, 25 Mar 2020 23:01:26 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=58856 di Luca Cangianti

Vladimiro Giacché, Hegel. La dialettica, Diarkos, 2020, pp. 208, € 18,00.

Quando sarà nuovamente possibile viaggiare e vi capiterà di andare a Berlino, concedetevi una visita al Cimitero di Dorotheenstadt. Entrate al civico 126 di Chausseestraße: sulla destra si trova la casa dove abitarono Bertolt Brecht e Helene Weigel, ma voi senza indugio immergetevi nella selva di monumenti funebri classicheggianti alla ricerca dell’ultima dimora di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, nato 250 anni fa e morto nel 1831 di colera – stando almeno a quanto riportato sul [...]]]> di Luca Cangianti

Vladimiro Giacché, Hegel. La dialettica, Diarkos, 2020, pp. 208, € 18,00.

Quando sarà nuovamente possibile viaggiare e vi capiterà di andare a Berlino, concedetevi una visita al Cimitero di Dorotheenstadt. Entrate al civico 126 di Chausseestraße: sulla destra si trova la casa dove abitarono Bertolt Brecht e Helene Weigel, ma voi senza indugio immergetevi nella selva di monumenti funebri classicheggianti alla ricerca dell’ultima dimora di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, nato 250 anni fa e morto nel 1831 di colera – stando almeno a quanto riportato sul certificato di morte. Chiese di esser seppellito accanto a un altro filosofo, Johann Gottlieb Fichte, morto di tifo 17 anni prima.
Hegel è stato considerato il filosofo ufficiale dell’assolutismo prussiano, ma sono molte le tessere anomale che non permettono di completare coerentemente il puzzle di questa immagine: da giovane scrive opere sovversive che si guarda bene dal pubblicare, sostiene la necessità dell’abolizione dello stato, manda alle stampe testi politici anonimi, intreccia nel corso di tutta la vita rapporti con rivoluzionari, liberali ed ebrei fino ad aiutare un prigioniero politico; i funzionari del governo e della corte disertano infine il funerale del filosofo e, che se ne sappia, non inviano messaggi di condoglianze.
Sulla base di queste circostanze Jacques D’Hondt sostenne che dietro la rinomata oscurità del periodare hegeliano, si nascondesse un filosofo tutt’altro che conservatore – ipotesi che riceve un indiretto sostegno anche dalle persecuzioni giudiziarie della maggior parte dei suoi collaboratori.1

Conosciamo Vladimiro Giacchè come professionista del mondo finanziario e autore di opere di storia economica quali Anschluss. Adesso, con la nuova monografia dedicata a Hegel per i tipi di Diarkos, scopriamo che dietro quelle analisi eterodosse sull’euro e la crisi economica si nasconde un motore filosofico capace di pensare la complessità con una potenza da mille cavalli vapore. Il libro è un’introduzione che illustra con grande chiarezza i temi chiave del filosofo tedesco, accompagnandoli con una ricca sezione antologica.
La filosofia di Hegel è un viaggio verso la soggettività concepita, secondo Giacchè, come «capacità del soggetto di essere una struttura autocentrata, in grado di conservarsi e mantenersi in unità con sé nel rapporto con l’esterno». Non è casuale, quindi, che la Fenomenologia dello spirito sia stata pubblicata nel 1807, quando in Germania erano diffusi i romanzi di formazione (si pensi al Wilhelm Meister di Goethe, all’Enrico di Ofterdingen di Novalis, all’Iperione di Hölderlin, ma anche all’Emilio di Rousseau). In «queste opere letterarie – afferma l’autore – veniva descritto il duro e necessario cammino, costellato di difficoltà e sconfitte, attraverso cui il protagonista della narrazione poteva infine giungere alla conquista della verità su se stesso e sulla vita.»
Similmente in Hegel la verità non è mai un semplice risultato da contrapporre alla fallacia, ma il percorso della coscienza che proprio superando errori e apparenze di visioni del mondo, forme di religione e relazioni sociali, si eleva al sapere assoluto, cioè alla verità che incorpora in sé anche le tappe precedenti del cammino intrapreso. In questo modo la verità assume un carattere processuale: è «il risultato di un approfondimento, di uno scavo nelle implicazioni delle categorie del pensiero, dalle più semplici alle più complesse, in un processo in cui le prime rimandano, conducono… alle seconde». In questo viaggio filosofico la dialettica, mossa dalla “negazione determinata” a partire da una concettualizzazione multidimensionale della realtà, mostra il lato transeunte di ogni cosa, il suo essere mero momento di un cammino infinito. Da questo punto di vista l’intelletto è il pensiero della singola tappa e può andar bene per realtà semplici e statiche; se ci confrontiamo però con fenomeni complessi e interattivi – un organismo vivente, un sistema sociale, una crisi economica o uno sconvolgimento dello status quo – allora abbiamo bisogno della facoltà della ragione che sa pensare la contraddizione.

Nel “Poscritto alla seconda edizione” del Capitale Karl Marx stigmatizzava la generale disposizione a trattare Hegel da “cane morto”. È un monito valido anche al giorno d’oggi, perché quando dietro le catastrofi sanitarie si nascondono, rimosse, quelle sociali, le apparenze feticistiche prima o poi si dissolvono, dogmi e parametri cadono a pezzi e perfino i morti possono tornare nel mondo dei vivi.


  1. Cfr. Jacque D’Honte, Hegel. Biographie, Camann-Lévy, 1998 

]]>
Anschluss: il colonialismo monetario e la Ue https://www.carmillaonline.com/2019/11/12/anschluss-il-colonialismo-monetario-e-la-ue/ Mon, 11 Nov 2019 23:01:34 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=56125 di Luca Cangianti

Vladimiro Giacché, Anschluss. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Diarkos, 2019, pp. 329, € 18,00.

Sahariane ocra, elmetti tropicali, pantaloni alla zuava e fucili puntati che si fanno strada in una fitta vegetazione. Non è detto che sia necessariamente questa l’immagine di un colonialismo che avanza per sottomettere popoli, culture e modi di vita. Ce n’è per esempio un’altra, senza baionette sporche di sangue, apparentemente più pulita, aritmetica: quella del cambio alla pari tra due valute, di cui una ha un quarto del valore dell’altra. È quello [...]]]> di Luca Cangianti

Vladimiro Giacché, Anschluss. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Diarkos, 2019, pp. 329, € 18,00.

Sahariane ocra, elmetti tropicali, pantaloni alla zuava e fucili puntati che si fanno strada in una fitta vegetazione. Non è detto che sia necessariamente questa l’immagine di un colonialismo che avanza per sottomettere popoli, culture e modi di vita. Ce n’è per esempio un’altra, senza baionette sporche di sangue, apparentemente più pulita, aritmetica: quella del cambio alla pari tra due valute, di cui una ha un quarto del valore dell’altra. È quello che è successo nella Repubblica democratica tedesca (Rdt) il 1° luglio del 1990, a otto mesi dalla caduta del Muro di Berlino. Trent’anni dopo quegli avvenimenti torna in libreria Anschluss, un libro di Vladimiro Giacché che, uscito per la prima volta nel 2013, ha venduto oltre 10 mila copie ed è stato tradotto in tedesco, francese e spagnolo. Adesso il volume è stato ripubblicato dalla casa editrice Diarkos con nuovi aggiornamenti, integrazioni e un poscritto.

Anschluss si presenta come un piacevole e documentatissimo saggio di storia economica, ma in verità è qualcosa di più. Secondo l’autore, infatti, grazie al vincolo dell’unione monetaria fu progettata una potente macchina di esproprio che nella Germania unificata svolse una funzione sia di accumulazione originaria sia di creazione zone di sottosviluppo funzionalizzate alla valorizzazione del capitale. Qualcosa di simile a ciò che è avvenuto nel Mezzogiorno italiano e ora si ripete con l’attuale processo di unificazione europea. Insomma, pagina dopo pagina, vediamo prima scorrere i volti sorridenti dei giovani che, per andare a spendere i loro piccoli risparmi quadruplicati nei grandi magazzini dell’Ovest, attraversano su automobili-giocattolo le brecce aperte nel Muro; poi la potente onda d’urto della deindustrializzazione, della miseria e della depressione di un popolo reso straniero in terra propria. E così, tra i dati di un rapporto economico e un titolo di giornale di quei tempi ormai lontani, cominciano a trasparire gli sguardi più recenti degli sfrattati spagnoli, dei pensionati greci e delle centinaia di migliaia di giovani italiani emigrati che sgobbano nei ristoranti nordeuropei. «Una delle tesi più “forti” contenute in questo libro – scrive Giacché nel poscritto – è quella che ravvisa il riproporsi entro l’odierna Unione Europea (e in particolare all’interno dell’Eurozona) di dinamiche e modalità di relazione simili a quelle a suo tempo intercorse tra Germania Ovest e Germania Est.» Nel 1989 nella Rdt c’erano 3,2 milioni di lavoratori manifatturieri, nel 1994 erano diventati 664 mila con un crollo dell’80%. Il risultato è che ancora oggi il 44% della popolazione tedesco-orientale vive di sussidi, con un pil pro capite inferiore del 27% rispetto a quella dell’Ovest.
Dopo la riunificazione non c’è stata più nessuna convergenza tra Est e Ovest, la popolazione è stata privata dei servizi sociali, sono state applicate le leggi della Repubblica federale tedesca (Rft), i nomi delle vie sono cambiati, i monumenti e gli edifici legati alla storia della Rdt in gran parte distrutti: «non vi è dubbio che – continua Giacché -, dal punto di vista dei privatizzatori, l’economia dell’Est abbia offerto a imprenditori e faccendieri della Germania Ovest ottime opportunità, a prezzi di saldo impensabili ancora pochi mesi prima; così come l’apertura totale dell’economia dell’Est alle merci prodotte all’Ovest, senza alcuna possibilità per le imprese locali di esercitare la minima concorrenza (grazie alla politica monetaria prima e poi alla privatizzazione-liquidazione degli asset che tramite la politica monetaria erano stati svalorizzati), è stata senz’altro un grande regalo per le imprese dell’Ovest. Allo stesso modo, chi oggi acquista a saldo aeroporti e porti greci non ha nulla di cui dolersi.» Ecco quindi la legittimità di una parola che, gravida di storia dolente, in tedesco suona come un duro atto di accusa: Anschluss, annessione.

Il libro di Vladimiro Giacché non è tuttavia un saggio antitedesco, anzi dietro la cruda ricostruzione economica l’autore non nasconde il proprio movente etico: compiere un «atto di giustizia: nei confronti di coloro i quali, dopo essere stati privati di “ogni sostegno economico e sociale”… sono poi stati incolpati della loro stessa miseria (in quanto “incapaci di lavorare”, “corrotti dal comunismo” ecc.).» Non è inoltre un libro antieuropeo, perché mette in evidenza quali sono le condizioni affinché dietro una presunta neutrale unione economica non si celi invece un meccanismo di sfruttamento e di dominio, non tanto di nazioni, quanto di classi. Anschluss è uno dei migliori strumenti di comprensione dell’attuale dinamica d’integrazione europea, proprio perché parla di un caso storico in cui ebbe luogo un processo simile.

]]>