Vittorio Vidali – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il tempo del disincanto https://www.carmillaonline.com/2020/01/22/il-tempo-del-disincanto/ Tue, 21 Jan 2020 23:01:30 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=57469 di Sandro Moiso

Sandro Saggioro, Gli ultimi anni di Victor Serge (1940-1947), Quaderni di pagine marxiste, serie blu V, 2018, pp. 138, euro 7,50

E’ un grande merito l’aver ripubblicato il testo di Sandro Saggioro sugli ultimi anni di vita di Victor Serge, precedentemente edito nella serie dei Quaderni Pietro Tresso (n°57 del 2006), arricchendolo di una introduzione a cura di Graziano Giusti e di un apparato di note decisamente ampliato rispetto a quello dell’edizione originale oltre che di una serie di biografie utilissime per inquadrare meglio le decine di militanti, uomini [...]]]> di Sandro Moiso

Sandro Saggioro, Gli ultimi anni di Victor Serge (1940-1947), Quaderni di pagine marxiste, serie blu V, 2018, pp. 138, euro 7,50

E’ un grande merito l’aver ripubblicato il testo di Sandro Saggioro sugli ultimi anni di vita di Victor Serge, precedentemente edito nella serie dei Quaderni Pietro Tresso (n°57 del 2006), arricchendolo di una introduzione a cura di Graziano Giusti e di un apparato di note decisamente ampliato rispetto a quello dell’edizione originale oltre che di una serie di biografie utilissime per inquadrare meglio le decine di militanti, uomini politici ed intellettuali che compaiono nella ricostruzione delle vicende di quel periodo.
Un testo sintetico, ma importante che fa rivivere, sia allo studioso che al militante delle rivoluzioni a venire, un periodo nevralgico e buio della storia del movimento operaio e dei partiti sedicenti “comunisti” che ne avrebbero dovuto rappresentare l’anima più radicale e rivoluzionaria.

Un periodo in cui la sconfitta, dovuta sia al trionfo della controrivoluzione staliniana in URSS che a quello dei totalitarismi fascisti e nazisti in Italia e Germania, si accompagnava al ritorno sulle scene di un macello interimperialista, nuovamente mondiale, destinato non soltanto a ridisegnare la carta geografica della spartizione imperialista del globo, ma anche quello dei compiti dei rivoluzionari e del movimento politico proletario, confusi tra scontri dottrinari e fisici tra differenti ipotesi politiche e scontri militari di portata devastante in cui il proletariato dei maggiori paesi coinvolti nel secondo conflitto globale fu portato al massacro e costretto a schierarsi in nome della Nazione, dell’Ideologia e di una fasulla concezione della Libertà e della Democrazia.

Un periodo di catastrofi politiche e umane di cui l’opera di Saggioro sa dare conto e da cui è possibile trarre ancora insegnamenti. Non soltanto per la ricostruzione del passato e della mancata affermazione di una rivoluzione comunista a livello internazionale nel corso della prima metà del XX secolo, ma anche per lo scioglimento di alcuni nodi politici del presente.

Saggioro (1949-2015), militante della Sinistra Comunista, stimato medico chirurgo e studioso della storia di quella Sinistra cui apparteneva1 , attraverso la ricostruzione delle peregrinazioni fisiche e intellettuali di Victor Serge durante i suoi ultimi anni di vita, trascorsi in Messico, ha saputo ricostruire un ambiente politico, culturale e di autentica guerra civile interna in cui il movimento comunista internazionale si trovò a dibattersi dopo la catastrofe seguita alle purghe staliniane e ai processi di Mosca della seconda metà degli anni Trenta, alla sconfitta dell’esperienza rivoluzionaria coincisa con la guerra civile spagnola, al tragico accordo tra Hitler e Stalin per la spartizione della Polonia e alla seguente suddivisione del proletariato internazionale secondo linee che nulla avevano più a che fare con gli interessi dello stesso o della rivoluzione.

Victor Serge (il cui vero vero nome era Viktor L’vovič Kibal’čič), militante, intellettuale e scrittore rivoluzionario che dalla sua nascita nel 1890 a Bruxelles, figlio di un militante prima del gruppo Zemlja i Volja e poi di Narodnaja Volja costretto ad emigrare in Belgio per sfuggire alla polizia zarista, portò fin dall’infanzia le stimmate del rivoluzionario perseguitato, imprigionato e costretto ad emigrare vagando attraverso l’Europa, la Russia della rivoluzione e poi dello stalinismo e infine attraversando l’Atlantico per sfuggire, destino che lo accomunò a molti altri, sia al nazismo dopo la caduta della Francia sia allo stalinismo che dava una caccia implacabile in ogni angolo d’Europa e poi anche dell’America ai suoi avversari politici.

Tanto è vero che il travaglio messicano, diciamo così, di Serge inizia proprio nell’anno in cui Lev Trockij è assassinato a Coyoacán dal sicario, addestrtao dalla NKVD, Ramón Mercader. Episodio che costituirà soltanto uno dei tanti anelli di una catena di delitti che contribuiranno a indebolire le file dell’Opposizione di Sinistra, trotzkista e non, e a seminare dubbi e ripensamenti, grazie anche ad un gigantesco sistema di disinformazione e calunnia governato dalla centrale di Mosca, di cui però, alla fine, approfittarono anche gli americani e gli esponenti dei partiti sia totalitari che liberal-democratici europei.

Oggi sembra davvero troppo facile attribuire patenti di tradimento o di eroismo a coloro che, in quei giorni, operarono per salvare almeno un minimo di dignità e continuità, individuale o di piccoli gruppi; in quegli anni catastrofici, in cui il dubbio revisionista ebbe buon gioco a trionfare nella mentalità di molti. Eppure, eppure…
Scorrendo le pagine del libro si può rivivere tutta l’angoscia, le ambiguità, i dubbi e le fragili certezze di coloro che si opposero alla marea stalinista e che in tale tentativo finirono con l’essere travolti, uccisi o che si suicidarono oppure, ancora, passarono le linee per affidarsi, ormai delusi e sfiduciati, al nemico borghese di sempre.

Questo dramma è tutto compreso nelle opere letterarie maggiori di Victor Serge, tutte scritte durante il soggiorno messicano e quasi tutte comparse postume, nei suoi, preziosi Carnets scritti tra il 1936 e il 1947 e nel le sue memorie, oltre che nel gran numero di saggi, articoli e lettere che egli ebbe a scrivere sull’argomento2.
Opere attraverso le quali il militante rivoluzionario, seppur sconvolto da una vita in frantumi e dalle vicende che lo accompagnarono fino al giorno della sua morte, cercò sempre di tenere la barra dritta, non su un improbabile, per l’epoca e forse ancora per l’oggi, obiettivo di liberazione della classe perseguito attraverso l’uso di una fede dogmatica o di un partito più autoritario e settario che autenticamente rivoluzionario, ma almeno su una serie di principi e una dirittura morale ed etica individuale su cui non volle mai transigere. Anche a costo di rompere con amici, compagni e militanti con cui aveva condiviso anni di lotte ed esperienze importantissime.

Fu forse per questo motivo che gli Stati Uniti non gli concessero mai un visto di ingresso, anche quando nel 1942 vi fu una forte mobilitazione di personalità americane, tra cui John Dos Passos e altri scrittori e intellettuali, a favore del suo ingresso negli Stati Uniti. E fu proprio questo crescente e insuperabile isolamento a colpirlo, più di ogni altra cosa. Proprio come aveva scritto a proposito della solitudine intellettuale che aveva accompagnato Lev Trockij prima del suo assassinio, in quella casa che Serge chiamava “la tomba di Coyoacán”:

Si dimentica troppo spesso che l’intelligenza non è un dono individuale. Che cosa sarebbe stato di Beethoven isolato tra i sordi? L’intelligenza di un uomo, fosse anche un genio, ha bisogno di respirare. La grandezza intellettuale del Vecchio era in funzione di quella della sua generazione; gli occorreva il contatto diretto con uomini della sua stessa tempra spirituale, capaci di capirlo al volo e di opporglisi sullo stesso piano […] Così, solo, continuava a discutere con Kamenev, morto fucilato: lo udirono spesso pronunciare il suo nome […] mentre camminava su e giù parlando fra sé3.

Militante anarchico imprigionato in Francia per cinque anni, militante bolscevico durante la Rivoluzione e la guerra civile, membro dell’Opposizione nuovamente imprigionato ma nel Gulag staliniano, esule dopo essere stato liberato in seguito ad una vasta mobilitazione internazionale a suo favore, Victor Serge visse gli anni del disincanto comunista-bolscevico e ne bevve fino in fondo l’amaro calice.

Sono forse le parole che egli dedicò nei suoi Carnets al nipote adolescente di Trockij a riassumere, meglio di qualsiasi altro commento, il senso di un’epoca, che ne ha sfatta un’altra sicuramente gloriosa, ma che non è ancora stata sostituita da una equivalente, anche se certamente diversa.

2 marzo 1944 – Incontro in autobus il piccolo Sĕva, il nipote di Lev Trotsky. Assomiglia in modo straordinario a suo nonno, quale lo mostrano le foto della giovinezza […] Sĕva sta entrando nell’adolescenza, deve avere diciassette anni. Un viso ossuto, duro, severo, triste, con gli occhialetti. «Parli ancora il russo?» «No, l’ho completamente dimenticato». «Ma bisogna impararlo, allora!» «Perché? Per l’attaccamento sentimentale, ah, ma no!» (lo dice violentemente). Rispondo che la Russia cambierà tanto, fra non molto, che dobbiamo restarle fedeli e conservare grandi speranze. Sento che non ci crede, che le mie parole sono prive di senso per lui. – Vive sulla tomba di Coyoacán con Natalija Sedova (la vedova di Lev Trockij), vedendo solo qualche mediocre settario che non sa capirlo. Egli è già al suo secondo sradicamento. Sua madre, Zina Lvovna, si è suicidata a Berlino; suo padre è scomparso nelle prigioni; lui è stato ferito all’epoca dell’attentato di Siqueiros contro suo nonno nel maggio del 1940; ha visto uccidere suo nonno tre mesi dopo e conosciuto l’assassino come “un compagno”…4

Un’opera al nero si potrebbe definire la ricerca di Saggioro, un balletto tragico in cui anche personaggi celebri per la mitologia di una sinistra consunta, quali Vittorio Vidali (il comandante Carlos delle Brigate Internazionali), David Alfaro Siqueiros (il pittore muralista messicano), Pablo Neruda (il poeta cileno) e molti altri, sono destinati ad apparire (finalmente) al lettore odierno per quello che realmente sono stati e hanno rappresentato in quegli anni crudeli. Leggere per credere.
Leggere per pensare ed uscire, forse, da un tunnel che ancora ci inganna, come quello dei fantasmi dei vecchi luna park.


  1. Tra le sue opere principali si vedano: S.Saggioro – A.Peregalli, Amadeo Bordiga 1889-1970. Bibliografia, Colibrì 1995; S.Saggioro – A.Peregalli, Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), Colibrì 1998; S.Saggioro, Nè con Truman né con Stalin. Storia del Partito Comunista Internazionale (1942-1952), Colibrì 2010; S.Saggioro, In attesa della grande crisi. Storia del Partito Comunista Internazionale «il programma comunista» (dal 1952 al 1982), Colibrì 2014. Si veda qui la recensione su Carmillaonline del secondo dei due.  

  2. Poiché la bibliografia sarebbe davvero impossibile da contenere in un singola nota, si ricordano qui alcune delle sue opere, letterarie e non, più importanti cui si accennava prima: V.Serge, Memorie di un rivoluzionario, Massari 2011; V.Serge, Il caso Tulaev, Fazi 2017; V.Serge, Anni spietati, Mondadori, 1974; V. Serge, E’ mezzanotte del secolo, Fazi 2012; Carnets (1936-1947), Massari 2014  

  3. V.Serge, Vie et mort de Trotsky, p. XVI cit. in S.Saggioro, Gli ultimi anni di Victor Serge, p. 122  

  4. V. Serge, Carnets (1936-1947), p.217 cit. in Saggioro, op.cit. p.79  

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Fotografia, passione e utopia https://www.carmillaonline.com/2016/10/26/fotografia-passione-utopia/ Wed, 26 Oct 2016 21:00:30 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34099 di Sandro Moiso

covertina2016-653x936Pino Bertelli, TINA MODOTTI. Sulla fotografia sovversiva, dalla poetica della rivolta all’etica dell’utopia, NdA press, 2016, pp. 294, € 10,00

[Tina Modotti, fotografa, attrice, donna bellissima, contraddittoria e rivoluzionaria ha fornito all’immaginario antagonista e narrativo più di uno spunto per far parlare di sé. Nata a Udine il 17 agosto 1896 e morta a Città del Messico il 5 gennaio 1942, in circostanze ancora non del tutto chiarite, ha letteralmente attraversato il mondo dall’Italia agli Stati Uniti giù fino in Messico, per poi esserne espulsa e tornare ancora in Europa, in Unione [...]]]> di Sandro Moiso

covertina2016-653x936Pino Bertelli, TINA MODOTTI. Sulla fotografia sovversiva, dalla poetica della rivolta all’etica dell’utopia, NdA press, 2016, pp. 294, € 10,00

[Tina Modotti, fotografa, attrice, donna bellissima, contraddittoria e rivoluzionaria ha fornito all’immaginario antagonista e narrativo più di uno spunto per far parlare di sé. Nata a Udine il 17 agosto 1896 e morta a Città del Messico il 5 gennaio 1942, in circostanze ancora non del tutto chiarite, ha letteralmente attraversato il mondo dall’Italia agli Stati Uniti giù fino in Messico, per poi esserne espulsa e tornare ancora in Europa, in Unione Sovietica e nella Spagna della Guerra Civile; per poi ripartire ancora una volta alla volta del Messico.

Registrata all’anagrafe come Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, dopo aver raggiunto il padre emigrato a San Francisco, divenne prima la moglie del pittore Roubaix de l’Abrie Richey e, in seguito, nel corso del suo peregrinare, l’amante del fotografo americano Edward Weston, del comunista cubano Julio Antonio Mella, dell’inviato del Comintern Vittorio Vidali e della pittrice Frida Kahlo. Nello stesso tempo, dopo essersi avvicinata al Partito Comunista Messicano nei primi anni venti, ebbe modo di diventare organizzatrice sindacale, rappresentante del Soccorso Rosso Internazionale e fedele collaboratrice del già citato Vidali, alias Comandante Carlos delle Brigate Internazionali combattenti in Spagna. Di tutti questi aspetti della sua vita molto si è scritto e letto, sia in prosa che a fumetti,1 senza contare le opere teatrali e gli innumerevoli brani musicali che le sono stati dedicati.

modotti-3Certamente la parte più importante della sua vita e della sua attività è stata, però, quella dedicata alla fotografia. Un’attività di cui non solo è stata una delle prime e più importanti rappresentanti femminile, ma anche una radicale rinnovatrice. Sia nello sguardo che nella concezione del ruolo della fotografia. Anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che proprio il suo lavoro in tale campo l’abbia portata ad essere una delle muse ispiratrici della fotografia sociale del Novecento.

Proprio a questo aspetto, senza naturalmente separarlo dal carattere e dalle scelte di vita della comunista di origine friulana, è dedicato il volume di Pino Bertelli, critico cinematografico e culturale neo-situazionista, recentissimamente tornato in libreria in edizione economica per i tipi della NdA press. Ed è una fortuna poiché, concentrando il discorso sul significato della sua opera fotografica, si rivela essere l’opera più completa, approfondita e soddisfacente sulla Modotti.

modotti-2Accompagnato da un breve saggio della stessa Modotti, Sulla fotografia, il testo si divide in due parti. Nella prima, dal titolo Della fotografia sovversiva, commentari sulla filosofia e sulla politica della fotografia di Tina Modotti, l’autore esplora “l’etica dell’Utopia espressa nella Fotografia radicale della Modotti”, ricollegandola alle successive correnti della fotografia e della critica radicale della società. Mentre nella seconda, intitolata Tina la “Rossa”. La fotografia al tempo dell’amore e le sue puttane tristi, ricostruisce il percorso di vita della fotografa ricollegandolo alle sue scelte morali, stilistiche ed estetiche.

Proprio dalla seconda parte si dà qui di seguito un significativo estratto dalle pagine 194-197 ]

La fraternità spirituale che Tina Modotti cercava tra gli oppressi e gli sfruttati fuoriusciva fortemente dalle sue fotografie. Il suo codice visivo è legato a un’etica della visione liberata e dice che fare fotografia significa dialogare con il mondo. “La macchina fotografica è l’arma ideale di una consapevolezza di tipo acquisitivo. Fotografare significa infatti appropriarsi della cosa che si fotografa” (Susan Sontag) […] La fotografia sociale, che è una forma di resistenza attiva contro la stupidità generale, desidera l’inverso del reale o denuda il reale truccato […] La fotografia sociale di Tina Modotti seguiva un impulso morale che aveva come fine il desiderio di denunciare il sopruso o di svegliare le coscienze. La Modotti sapeva che le fotografie possono infrangere una situazione o disvelare un’impostura, semplicemente mostrando il vero. Non si tratta di fotografare la sofferenza e l’ingiustizia, occorre far vedere quali sono i mali della sofferenza e chi sono i persecutori dell’ingiustizia…queste semplici idee sono alla basse di ogni fotografia sociale. Il Manifesto di Tina Modotti – Sulla fotografia – riafferma l’importanza della fotografia sociale come riscatto estetico, etico e morale contro l’ingiustizia e la rapacità di ogni potere: “mi considero una fotografa e nient’altro, e se le mie fotografie sono diverse da quelle che si fanno in genere è perché cerco di produrre non arte ma fotografie autentiche, senza trucchi e manipolazioni, mentre la maggior parte dei fotografi aspira a effetti artistici o imita altri generi di rappresentazione, ottenendo un prodotto ibrido…Non si tratta di stabilire se la fotografia sia arte o no; si tratta piuttosto di distinguere tra buona fotografia e cattiva fotografia. modotti-5 Buona è da considerarsi quella che accetta tutti i limiti inerenti alla tecnica fotografica e utilizza tutte le possibilità e le caratteristiche che questo mezzo espressivo offre…già per il fatto di potersi produrre solo nell’attualità e sulla base di ciò che esiste obiettivamente, la fotografia è il mezzo migliore per registrare la vita oggettiva in tutte le sue forme fenomeniche; da qui il suo valore di documento e se a ciò si aggiunge sensibilità e conoscenza della cosa, e soprattutto una posizione chiara rispetto al suo ruolo storico, il risultato è degno, mi pare, di occupare un posto nella produzione sociale alla quale tutti dobbiamo contribuire”. L’eroismo della visone della Modotti non è misurabile in base a qualche nozione di verità o estetica dell’arte. Si tratta di contravvenire alla scrittura fotografica ordinaria e non farsi discepoli di nessuno che non abbia tentato di strappare la maschera del banale nell’arte e cercato di tagliare alla radice i simulacri/mitologie del potere.


  1. Basti qui citare la biografia curata da Pino Cacucci: Tina, uscita in prima edizione per Interno Giallo nel 1991  

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