Viggo Mortensen – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 12 Mar 2025 07:15:44 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Divine Divane Visioni (Cinema di papà 07/08) – 64 https://www.carmillaonline.com/2014/11/20/divine-divane-visioni-cinema-papa-0708-64/ Thu, 20 Nov 2014 21:42:54 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18491 di Dziga Cacace

dvd6401Non stupirti se ti dico che io parlo con le piante, il millepiedi e l’elefante

702 – Il necessario Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi, Italia 2008  Un documentario sull’evoluzione del ruolo della donna nella società italiana, tra diritti negati e conquistati e battaglie che non finiscono mai. La formula è intrigante e si sviluppa attraverso tre diari intimi, diversi per estrazione e cultura. Ed è una scommessa difficile: non c’è un personaggio principale cui affezionarsi e bisogna affidarsi a delle voci, senza una presenza fisica tangibile. In compenso l’apparato iconografico è ricco e curioso, utilizzando immagini di [...]]]> di Dziga Cacace

dvd6401Non stupirti se ti dico che io parlo con le piante, il millepiedi e l’elefante

702 – Il necessario Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi, Italia 2008 
Un documentario sull’evoluzione del ruolo della donna nella società italiana, tra diritti negati e conquistati e battaglie che non finiscono mai. La formula è intrigante e si sviluppa attraverso tre diari intimi, diversi per estrazione e cultura. Ed è una scommessa difficile: non c’è un personaggio principale cui affezionarsi e bisogna affidarsi a delle voci, senza una presenza fisica tangibile. In compenso l’apparato iconografico è ricco e curioso, utilizzando immagini di pubblicità, dibattiti tivù, fotoromanzi, super 8 privati, filmati militanti, cartoni animati e si perdonano anche alcuni didascalismi per “macchiare” il narrato. Il film è venuto fuori in un momento particolare, durante il consueto e ricorrente attacco ai diritti acquisiti, stavolta guidato dal debordante Giuliano Ferrara, scopertosi feroce antiabortista televisivo quotidiano, ed è sicuramente interessante, necessario e piacevole ma non so quanto riuscito in toto. Nel senso che ha acquisito meriti dovuti anche alla crociata del panzone “però molto intelligente” (viene sempre specificato, mi adeguo anche per evidenziare la manica di coglioni che gli vanno dietro) ma questo non può e non deve diventare uno dei pregi di Vogliamo anche le rose (titolo bellissimo). A me manca una regia un po’ più forte e mi rimane l’impressione di un collage stimolante, dove però viene fuori la consueta distanza dal pubblico: nessuna didascalia, nessuna contestualizzazione esplicita, tutto affidato alla tua capacità di leggere le immagini e fare le giuste connessioni. Okay, non ti obbliga nessuno a coccolare così lo spettatore, però… ecco, io vorrei che un film così fosse popolare, visto da tanti, non solo dagli ultimi cittadini di sinistra rimasti, magari donne (sui “democratici” non conto più da mo’, sono scomparsi), se no fa solo venire la lacrimuccia alla femminista nostalgica e un ghigno feroce allo stronzo maschilista (che mai il film lo guarderà) e finisce lì, come tante buone intenzioni. La regista ha scelto una cifra sommessa, ammirevole in epoca di urlate mediatizzate e provocazioni continue, ma il risultato alla fine mi sembra più consolatorio che efficace, insomma. La parte più incisiva è paradossalmente l’ultima, slegata dal destino individuale delle tre voci ascoltate fino a quel momento, ma in realtà patrimonio di tutte e tutti: una carrellata delle battaglie sostenute e vinte e oggi messe in discussione, che nella sua semplicità è quasi emozionante. Film molto dibattuto sui media (anche perché la Marazzi è in gamba, parla bene e l’intento era doveroso) e spinto dalle tristi vicende politiche nostrane: purtroppo lo hanno visto in troppo pochi. Peccato. (Dvd; 3/6/08)

ddv64 24 Bauer703 – L’annata di pregio 24 – Season Five di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2006
L’ennesima giornata infernale di Jack Bauer. Dopo due serie discrete (meglio la quarta della terza, comunque), una serie di nuovo clamorosa, zeppa di complotti, tradimenti e sorprese, sicuramente la migliore del lotto dopo la sorpresa del primo anno. Tanta azione ma stavolta con fosforo e plot e sub plot di altissima qualità a cascata. I cattivi sono inizialmente dei simil ceceni ai quali, ancora una volta va la mia simpatia di spettatore politicamente consapevole. Però poi la serie prende una piega clamorosa: si va dritti al cuore dell’impero del Male. Il presidente degli USA è un fifone isterico e complessato e gli balla il mento come Nixon quando caccia qualche balla; sua moglie, mezza matta con passioncella alcolica, è in realtà consapevole del consueto complotto interno alla Casa Bianca e nessuno le crede; la congiura è orchestrata alla grande e urla “11 settembre” a più non posso. Certo, uno vede 24 e poi pensa che le teorie della cospirazione siano sempre tutte fandonie. E invece no! Ancora una volta la fiction racconta la realtà meglio di ogni inchiesta e reportage. Solo che gli americani (produttori inconsapevoli e fruitori ipnotizzati) non l’hanno capito e pensano che sia tutto solo entertainment e basta. Cast clamoroso che si arricchisce anche di Peter Weller, Julian Sands, Paul McCrane (il dottor Romano di E.R. ma con le braccia) e – in una parte di 6 secondi non accreditata – pure del futuro candidato repubblicano alla Casa Bianca vera, John McCain, presenza oltremodo inquietante. Ad ogni modo, datemi retta: diamo a Jack Bauer Ustica, Bologna, G8, Italicus, piazza della Loggia, caso Pinelli, 12 dicembre e pure Moggi e vi assicuro che questo risolve tutto in due giorni a dir tanto. Senza neanche farsi una scappata in bagno. (Dvd; giugno e luglio ‘08)

ddv6403704 – L’emozione interrotta di Ortone e il mondo dei Chi di Jimmy Hayward e Steve Martino, USA 2008
In casa siam tutti dietro ad Elena – due settimane -, aspettando che cominci a darci tregua la notte, e allora decido di portare la sorella maggiore, emozionatissima, a vedere il suo primo film nel buio della sala. Ma a metà proiezione Sofia, disillusa, si confessa: “Torniamo a casa, che qui non si riesce a dormire, il volume è troppo forte”. Missione fallita. Del resto avrei dormito anch’io volentieri, ma è vero che c’era un dolby esasperato reso inoltre irritante dall’immotivato doppiaggio di Christian De Sica che butta lì un po’ di romanesco alla maniera sua, troncando le parole da pelandrone, tutto senza motivo se non per appagare chissà quale fan vanziniano, boh. La trama – del mitico dr. Seuss – è lineare: l’elefante Ortone scopre che in un granello di nettare che fluttua nell’aria si nasconde un mondo, quello minuscolo dei Chi (e non so quanto questo fosse chiaro a Sofia): l’allegro mammiferone zannuto s’incarica di salvarlo superando diverse peripezie. Animato freneticamente mi sembra più rivolto ai grandi che ai bimbi, o forse lo penso perché la mia è veramente piccola e io ho preteso troppo. Insomma: sono influenzato dal parere di una treenne e trovo il film piacevole ma non clamoroso, anche se so che meriterà un’altra visione più rilassata. Un giorno. (Cinema Ducale, Milano; 22/6/08)

ddv6402705 – Lo scintillante Eastern Promises di David Cronenberg, USA/Canada/Gran Bretagna 2007
Dovrei parlarvi del film, perché lo meriterebbe: questo La promessa dell’assassino è dritto al punto, con trama perfettamente articolata, dialoghi secchi ed essenziali, una fotografia che è spettacolare e degli attori in parte (Naomi Watts morbida e intrigante, Viggo Mortensen maschissimo). Dovrei parlarvene perché capita raramente un film così riuscito e che, dopo più di una delusione, ha fatto risalire Cronenberg nel mio personale ranking. Dovrei, lo so, ma son stravolto da troppo poco sonno e troppo tanto Springsteen ieri sera. Sono andato a San Siro già scosso dalle ultime notti in bianco (la neonata Elena ha un curioso modo di vivere l’oscurità), con una congiuntivite appena esplosa e con cosce del turista irritate. E cosa ti imbandiscono Bruce e la sua E Street Band? Una performance oceanica, incurante di multe promesse in caso di sforo sull’orario, con una Twist and Shout finale da maratoneti del rock. Io – temo – non ho veramente più l’età per tutto ciò. (Dvd; 26/6/08)

ddv6405706 – Balliamo? Con Happy Feet di George Miller, Australia/USA 2006
Quando la giornata volge al termine, prima che calino le ombre della sera, ci sta un Dvd con Sofia. Magari a pezzetti, ma tivù niente. Ci pensano già quei fedifraghi dei nonni, noi no: lavoro nell’Inquisizione e so quali danni faccia. E poi non abbiamo Sky, coi canali tematici lardellati di pubblicità pericolosissime (“Papà, io devo avere Baby Amore”, il pupazzo che caga e piscia, non bastasse l’Elena vera che già abbiamo). Per cui vediamo un film che solo a posteriori scopro da chi è stato fatto: il regista di Mad Max che è tornato dietro la cinepresa per dedicarsi ai bambini con una sorta di musical in computer grafica. E ci ha vinto un bell’Oscar. Un carpiato pazzesco, come se Berlusconi si arruolasse nell’EZLN in Chapas e poi trionfasse al Nobel per la pace. Però, devo dire: film divertente e pieno di idee, animato in maniera perfetta con una regia che predilige movimenti (virtuali) di macchina al montaggio, senza frenesie fuori luogo. Protagonista è Mambo, un pinguino imperatore che a differenza dei suoi simili non canta ma preferisce ballare (e le coreografie sono eccezionali!). Cacciato dalla comunità conservatrice, intraprende il classico percorso iniziatico che lo porta a conoscere il mondo (gabbiani stercorari mafiosi, foche assassine, leoni marini puzzolenti, altri pinguini danzerecci, fino agli uomini, i temibili alieni che minacciano l’Antartide) sinché non torna a casa: e secondo voi come va a finire? L’epilogo è pacifico e surreale e si può sopportare di fronte al messaggio ecologista. Film a più livelli, molto denso, che dà piacere a tutte le età e a tutti i gradi di competenza musicale, con belle cover adattate. Sofia s’è divertita abbastanza, senza grandi spaventi (“Tanto finisce bene, no?”), anche se abbiamo dovuto spiegarle che l’uomo è cattivo etc. etc. e frega il cibo ai poveri pinguini. “Ma io non sono cattiva!”. Eeeh… tipico rifiuto delle responsabilità collettive. Ma a tre anni non si può pretendere troppo, o no? Bel filmetto, ‘anvedi. (Dvd; 1/7/08)

ddv6406707 – L’illusorio Red e Toby nemiciamici di tre tizi, USA 1981
Film disneyano del periodo di crisi, all’alba degli Ottanta: c’è incertezza registica (Art Stevens, Ted Berman e Richard Rich, due ultra sessantenni vecchia scuola e un trentenne) e grafica e una vicenda “antica” e sempliciotta a fronte di tutta un’evoluzione del genere. Dunque, per farla breve: nel profondo paese interno yankee con cretinismo campagnolo annesso, volpe e cane sono amici da piccini ma nemici da grandi, secondo l’istinto naturale. Finisce bene in spregio di ogni considerazione etologica, turlupinando il pubblico infantile. Musica country and western e melense song, animazione classica, trama lineare, montaggio disteso, morale rassicurante. Esattamente per bambini. A Sofia piace e la rilassa dopo le convulsioni tersicoree di Happy Feet. Io lo sopporto, ma non l’han fatto per me, è chiaro. (Dvd; 8/7/08)

Cronache del pre-Bomba
dvd6407Se non lo scrive, non esiste.
Sarà che non dormo da due mesi, ma ormai devo scrivere ogni cosa. Ma non solo per raccontare la mia vita in scala 1 a 1, proprio per ricordarmi ogni cosa che devo fare. Ci manca che mi segni sul taccuino “vai in ufficio”, “mangia”, “caga”. E devo appuntarmi anche tutti i bagliori di memoria: se queste cose non le segno ora, adesso, subito, non le recupererò più.
Per cui eccovi una veloce Cronaca di prima che diventassi una palla di lardo, per nervoso e golosità compulsiva incurabile. Siamo negli anni Settanta più profondi e io sono in piazza Ragazzi del ’99, a Genova, in un cinema che oggi è diventato un supermercato. Non so come, ma son finito lì per una proiezione gratuita del pessimo Tarzan in India con protagonista un biondone col torace enorme (scopro ora il suo nome: tale Jock Mahoney). Tra i due tempi di un film la cui evidenza come vaccata era chiara anche ai miei 7/8 anni, una cinevendita infinita – giuro – di pentolame assortito. Come ci ero capitato a ‘sta cosa? Ricordo che in quegli anni ti arrivavano cartoline o telefonate a casa in cui ti proponevano di andare a ritirare un regalo per il tuo compleanno e allo stesso tempo provavano a venderti un’enciclopedia. Mia madre avrà letto che c’era una proiezione gratis e allora… sai, da genovesi…
Del resto erano tempi di ingenuo marketing e zero privacy.
Più o meno come adesso: mi chiamano a tutte le ore sul telefono di casa per propormi magiche offerte per ogni operatore telefonico. Siccome non sono sull’elenco da sempre, stanno utilizzando il numero del vecchio inquilino, ma non di rado sanno anche il mio nome. La prima volta sono cortese ma con una punta di fastidio, la seconda irritato, la terza sbotto e bestemmio come un camallo: chi cazzo vi ha detto chi sono?
E qui il colpo di genio. Loro, però: “Non glielo posso dire per rispetto della privacy”! Aaargh!
Chiamo ‘sto benedetto Garante della privacy, l’authority che dovrebbe difendermi dalla pubblicità invasiva, tra le altre cose (presieduta da tale Francesco Pizzetti che guadagna per il disturbo 289mila euro all’anno, misero), e il gentilissimo operatore telefonico mi invita a iscrivermi al Registro delle opposizioni. Siccome siamo in un paese medievale sono dunque io che devo specificare che nessuno mi rompa i coglioni a casa, non loro a non doverlo fare. Come se sul portone di casa ci dovesse essere una targhetta: “Non gradisco furti in casa”, se no è lecito entrare e rubare quel che si può. E perché non girare per strada con la t-shirt con scritto “Non inculatemi” sulla schiena, allora? Vabbeh. Ci metto venti minuti a far capire all’operatore che non posso iscrivermi al Registro, perché NON sono sull’elenco telefonico. Compreso – ma dopo un po’ – il Comma 22, subentra il silenzio. Poi la soluzione: compilare una protesta dove devo specificare tutti i dati sensibili possibili, pure con gli estremi della carta d’identità, ci mancano giusto il peso, il deodorante che uso (Neutro Roberts, banale, lo so) e il curriculum studi.
Insomma: il Garante garantisce quelli da cui dovrebbe difendermi. Rinuncio rodendomi il fegato. E poi non dormo. E devo segnarmi tutto.
dvd6408Giusto, dov’ero rimasto? Ah, sì: ritorno al passato, fine anni Settanta: La gang dei Dobermann in un cinema di corso Buenos Aires, sempre a Genova, con mia nonna Franca che chissà come aveva scelto quel titolo. Anche quella sala oggi è un supermarket e il thriller canino da straculto – lo ricordo nitidamente – faceva cagare a spruzzo anche uno di bocca buona come me.
E poi non so più il titolo di un film che ho visto al parrocchiale di Casella, nell’entroterra genovese vicino a Busalla (dove, in quegli anni, mi beccai anche il flaccido I due superpiedi quasi piatti con Bud e Terence e il colonialista La conquista del West, in bianco e nero). Quello di Casella era invece un western fossile – tipo anni Sessanta – che finiva con l’arrivo del Settimo cavalleggeri a salvare qualcuno catturato dagli apache cattivi. Ricordo ancora i colori vivissimi, la grotta dove stavano i prigionieri e l’eroico trombettiere (era forse di colore? Mi ha influenzato Hollywood Party?) che riusciva a dare l’allarme per non fare cascare i suoi commilitoni in un’imboscata…
Ecco, quel titolo, purtroppo, è perso per sempre: non posso più scrivermelo.

dvd6409709 – L’ennesimo classico: Gli Aristogatti di Wolfgang Reitherman, USA 1970
E anche qui, come in Ortone c’è un personaggio, il gatto Romeo, che – non si sa bene perché, o meglio sì: per qualche astuzia dei traduttori creativi – parla romanesco (con la voce di Renzo Montagnani). E poi il quadro è stato tagliato dagli originali 7:4, come se non fosse possibile vederselo (se siete dei deficienti) autonomamente in 16:9, zoomando sull’immagine, preservando però la ratio per chi vuole vederselo così come il film era stato fatto. Il concetto di composizione dell’immagine evidentemente sfugge alla Disney, anche in un’edizione deluxe come questa: che grossissime teste di. Vabbeh. Per fortuna Sofia non lo sa e gode di questa simpatica avventura e io non sporgerò denuncia al Telefono Azzurro. Mi attacco a ‘ste cose perché sono fuso come la colata di un altoforno e non mi faccio un sonno filato da cinque ore da almeno due mesi e mezzo e la famosa svolta del settantesimo giorno di cui blaterano i pediatri non esiste, credetemi. Comunque, dette queste cose assolutamente fondamentali, il film è caruccio. Semplice semplice, con un’architettura classista che faccio finta di non notare (ma se mi metto anche a pensare a Dorfman e Mattelart e al loro Come leggere Paperino allora è la fine), è ricchissimo cromaticamente e pittoricamente, con sfondi parigini Belle Epoque deliziosi. Tratto anni Sessanta, qualche zoom (era il periodo, del resto, in cui lo si utilizzava di più anche nel cinema non d’animazione), belle caratterizzazioni e scatenata musica dixieland (che non c’entra nulla a Parigi, ma non importa). (Dvd; 19/7/08)

dvd6410710 – Di corsa assieme a Balto di Simon Wells, USA 1995
Gradevole filmetto spielberghiano che Sofia molto apprezza. Si ispira alla corsa sulla neve di una squadra di cani che nel 1924 portò di gran carriera un medicinale a Nome, Alaska, salvando così molti bimbi da una morte per difterite. Quando una vicenda si ispira a un fatto reale è evidente che l’hanno stravolta per fini cinematografici, ma al Central Park di New York c’è effettivamente un monumento al cane Balto che guidò la spericolata corsa tra i ghiacci. Animazione tradizionale, cast “disneyano” (animali umanizzati, antagonista cattivo con coprotagonisti comici, storia d’amore, uomini di contorno), buon ritmo, narrazione semplice e diverse ideuzze rubate poi da L’era glaciale (ne conto almeno quattro). Prologo e finale con sorpresa filmati dal vero e non particolarmente riusciti. Buonino. (Dvd; 28/7/08)

dvd6411711 – Estate animata con Alla ricerca di Nemo di Andrew Stanton, USA 2003
Niente di nuovo da dichiarare rispetto a quanto già blaterato alla prima visione (vedi qui). Ora l’interesse è vedere la reazione della pupattola: è molto più affamata di cinema di me, ha l’hard disk vuoto e soprattutto è decisamente più sveglia. Coglie particolari e significati che ormai al mio occhio cinico e – vista anche l’ambientazione marina – giustamente da triglia, sfuggono. Me li passa e io puntualmente dimentico, tanto che adesso non ho nulla da scrivere. Comunque ha apprezzato, anche se rispetto agli altri film visti quest’estate è un po’ più difficoltoso (due vicende parallele abbastanza articolate, molti episodi, troppe ambientazioni) e non so se lei riesca a comprenderne il disegno generale: le piace ma non lo richiede – per fortuna – nei giorni successivi alla prima visione. Ci sarà un motivo, no? (Dvd; 1/8/08)

dvd6412712 – E ancora: Le avventure di Bianca e Bernie di tre vecchie volpi, USA 1977
L’aristocratica Bianca e il proletario Bernie volano a recuperare un’orfanella rapita, passando da una New York cosmopolita e moderna a un sud fangoso popolato da assortito white trash. Fiaba carina e ritmata e progetto che risente un po’ dell’indecisione Disney anni Settanta: le musiche, il montaggio e anche il tratto del disegno non rispondono mai – secondo me – a un progetto forte, unitario, ma sembrano sempre un po’ a cavallo tra classicismo e rinnovamento. La regia era di tre veterani di Burbank (Wolfgang Reitherman, Art Stevens e John Lounsbery, morto a lavorazione in corso) e il film sbancò il botteghino. A Sofia è piaciuto, ovviamente, nonostante sia molto dark e abbastanza tensivo. A me sembra un’occasione persa, anche perché l’ambientazione nelle paludi del sud degli States poteva essere veramente spunto per un sacco di cose che rimangono solo a livello embrionale: c’è giusto una gag sulla grappa bootleg esplosiva, ecco. Un po’ poco, ma anche qui le visioni ripetute e il sorriso stampato sulla faccia di mia figlia mitigano il giudizio. Tagliato arbitrariamente in widescreen ad usum yankeebus coglionibus. (Dvd; 14/8/08)

dvd6413713 – L’insostenibile fracassamento genitale di Anna dai capelli rossi, Giappone 1979
La nonna Claudia regala alla nipotina i primi due episodi di questo seriale giapponese di fine anni Settanta e la visione risulta devastante: un cagamento di cazzo mai visto. America di inizio secolo, direi: Anna è un’orfana macrocefala e rossocrinita, una stracciacoglioni di livello galattico che per errore viene mandata ad una coppia adottiva (fratello e sorella anziani) che però voleva un maschio che li aiutasse nei campi. Il primo episodio consta praticamente di tre scene. In una la signora Cuthbert racconta a un’altra comare perché vuole adottare un bambino ed è un realistico conciliabolo tra due vecchie zitelle rimbambite che ripetono le cose più volte. Ci mancava giusto la gag della sordità per allungare la broda e giuro che non avrebbe stupito. La seconda scena vede il signor Cuthbert che in stazione attende il ragazzo, con di fianco Anna che aspetta. Silenzio e attesa per qualche minuto fino al reciproco riconoscimento. Infine, nell’ultima scena, eterna ed esiziale, la strana coppia si dirige verso casa e praticamente il viaggio in calesse è in tempo reale: una dozzina di minuti di commenti estatici della cretina dai capelli rossi che vede la campagna, i fiori e i colori, e orgasma tutto il tempo. Col povero Cuthbert che dovrebbe affezionarsi a ‘sta rompiballe petulante, logorroica e perbenista. Sofia l’ha guardato distraendosi continuamente e io mi volevo sparare una rivoltellata: questo non è un cartone animato, è un Sinflex grosso come una boccia da bowling. Al confronto un film di Ozu sembra un action movie e consiglierei l’uso di questo Dvd in sala operatoria perché io non ho mai provato un anestetico così potente. Micidiale e firmato, secondo l’IMDB, da Hayao Miyazaki come scene design e layout: non so bene cosa significhi, se non che anche lui è coinvolto in questo disastro e la cosa mi inquieta molto. Sigla di Albertelli e Tempera scopiazzata impunemente da Boney M., musicalmente gradevole ma un po’ insensata a livello di testo. Non andiamo oltre le prime due puntate, comunque: come Lubitsch, vogliamo vivere! (Dvd; 16/8/08)

dvd6414716 – L’improbabile Sognando Beckham di Gurinder Chadha, USA/Gran Bretagna/Germania 2002
Concludo l’annata scolastica 07/08 con un film da grandi. Per modo di dire, visto che si tratta di una commedia giovanilistica, ma sembro un recluso di Guantanamo, esaurito dalla deprivazione del sonno e dai continui cartoni animati, e mi berrei qualunque sbobba. La Rai m’è venuta incontro con questo filmetto commerciale, politicamente corretto e completamente implausibile. Keira Knightley e Parminder Nagra, una ragazza di origine indiana, giocano a pallone: le due faranno strada nonostante opposizioni familiari e la rivalità in amore nei confronti dell’allenatore, il plasticoso Jonathan Rhys-Meyers. Che, e qui si tocca il sublime, preferisce l’immigrata alla Knightley, nello splendore dei suoi vent’anni, gnocca come non mai. E vabbeh, buoni sentimenti e cinema permettono queste fantasie folli (sono semplicemente innamorato di Keira e molto geloso). Commediola multirazziale ruffiana, ben congegnata e con aberrazioni calcistiche degne di Holly e Benji. Ma in una sera d’estate, distrutti dalla figliolanza e con troppissimo sono arretrato, si può vedere. Prima di crollare, fino al primo risveglio verso l’una circa, maledizione. (Diretta su RaiUno; 30/8/08)

(Continua – 64)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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Divine Divane Visioni (Cinema di papà 06/07) – 61 https://www.carmillaonline.com/2014/07/03/divine-divane-visioni-cinema-papa-0607-61/ Thu, 03 Jul 2014 21:26:38 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15584 di Dziga Cacace

Zitto! La smetta con quel mandolino, altrimenti ci cacciano!

ddv6101 Lost630 – Il mio week end perduto con Lost di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2004 Arriva Pasqua e io devo ovviamente lavorare. Rimango quindi solo a casa mentre Barbara va via con Sofia: tre giorni di silenzio e sonno assicurato per completare un copione impegnativo. Ce la farò. Però non ho considerato che non sono veramente solo: con me, a casa, è rimasto anche il cofanetto della prima serie di Lost. Sono 24 episodi. Ma devo lavorare. E il cofanetto è lì. Venerdì arrivo presto [...]]]> di Dziga Cacace

Zitto! La smetta con quel mandolino, altrimenti ci cacciano!

ddv6101 Lost630 – Il mio week end perduto con Lost di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2004
Arriva Pasqua e io devo ovviamente lavorare. Rimango quindi solo a casa mentre Barbara va via con Sofia: tre giorni di silenzio e sonno assicurato per completare un copione impegnativo. Ce la farò. Però non ho considerato che non sono veramente solo: con me, a casa, è rimasto anche il cofanetto della prima serie di Lost. Sono 24 episodi. Ma devo lavorare. E il cofanetto è lì.
Venerdì arrivo presto dall’ufficio, faccio una spesa blietzkrieg comprando cibi strategici e mi metto subito sotto, senza indugi, sono uno serio, io. Cioè vedo le prime quattro puntate del serial, sbafando patatine all’aceto e un caprice des dieux scartocciato e addentato come una banana. Sabato mi sveglio ad orario congruo e faccio il mio dovere professionale fino a tarda mattinata, quando ci stanno un kebab leggerissimo con Coca Cola e altre due puntate. Le vedo ruttando cipolla cruda. Riprendo a scrivere e a merenda gradisco ancora due episodi accompagnati da un Twix ciascheduno. Arrivo a sera stanco e un po’ appesantito, chissà perché, e allora ci sta una diavola presa sotto casa con litrozzo di Menabrea ghiacciata e come niente mi scoppio altre quattro puntate. Ormai ho preso il ritmo, sono a metà dell’opera (del cofanetto, intendo) e ho un’efficienza produttiva sudcoreana con rigore (e prevedibili punizioni, in caso di fallimento) nordcoreano. È già domenica e per pranzo concludo il mio lavoro, che non è neanche male. Santifico la festa e la libertà con Cipster, un intero salame di Piacenza ben stagionato che non mi preoccupo neanche di tagliare – tanto va via a morsi che è una meraviglia – e innaffiando il tutto con Lemonsoda a 4 gradi, uno dei piaceri della vita. Una festa a sorpresa per il mio colesterolo, ma chi ne gode di più sono i miei lobi cerebrali perché il fiero pasto viene consumato pazientemente mentre assumo dodici episodi di Lost, uno via l’altro, concedendomi giusto una pisciatina ogni tanto. E arrivato alla fine della maratona gastroseriale dichiaro convinto che probabilmente, ad oggi, questa è l’esperienza televisiva più clamorosa di ogni tempo. Fate questa semplice addizione: Robinson Crusoe + Cast Away + L’isola del dottor Moureau + Il signore delle mosche + il telefilm Le isole perdute + il videogame Monkey Island + la saga di Airport + L’isola del tesoro + il reality Survivors + l’estetica primi seventies e tutto l’immaginario pop che vi possa venire in mente. Ganci narrativi a profusione, apparato tecnico e artistico a livelli sublimi, attori azzeccati, dialoghi (in originale) perfetti: è impossibile mollarlo, è una droga potentissima, che il crack al confronto smetti quando vuoi. La storia la sapete e non ve la ripeto e l’intreccio è clamoroso. Ma la formula prevede anche flashback che illustrano il passato dei 14 protagonisti, formula quasi banale orchestrata magistralmente: ognuno ha un passato che nasconde qualcosa, tutti sono inspiegabilmente legati, anche senza saperlo. Alla fine ne viene fuori una macchina narrativa perfetta: si può fare di meglio, ma 24 episodi in 52 ore – dovendo lavorare – sono un mio personale piccolo record. Gli extra del cofanetto sono interessanti: i creatori di questa macchina da guerra sono tre trentenni adrenalinici, cazzoni e affilati come rasoi, capaci di mettere in piedi lo show – come lo chiamano loro – in pochi giorni, assoldando il cast mentre lo script era ancora in embrione. Oppure diciamo che la mitologia agiografica vuole così, ma non importa: la prima serie di Lost è un capolavoro, comunque vada a finire. (Dvd; 6, 7, 8/4/07)

ddv6102Douro632 – Compiacimento archeologico con Douro faina fluvial di Manoel De Oliveira, Portogallo 1931
Altra Vhs da estinguere, con una registrazione che mi aspetta da diversi anni: il primissimo film di De Oliveira, quando era appena ventitreenne. Il documentario è fortemente debitore del cinema sovietico ed è assimilabile alle tante “sinfonie urbane” di quegli anni. La vita sul fiume Douro, sotto il ponte Luiz I, dall’alba alla notte: grafismi, assonanze visive, dinamismi, nature morte, riflessi, ombre, particolari, montaggio analogico, primi piani, grandangolate. Ci rivedi dentro Ivens, Chomette, Ruttman, Clair (La Tour), Vertov, Vigo e molta avanguardia coeva: un film piccolo, bellissimo e montato da dio. Appagante il gusto per la bella immagine, pulita, pregnante. Non si è più abituati a questo nitore e la volgarità della tivù è nell’averci disabituato alla bellezza compositiva, all’inquadratura filmica come opera d’arte. Ecco. E De Oliveira l’anno prossimo compie cent’anni: ha cominciato col muto e il bianco e nero ed è ancora lì che gira e produce a tutto spiano. Magari chiava pure, non so. Pazzesco. (Vhs da RaiTre; 10/4/07)

ddv6103 JCS639 – Oddio, Jesus Christ Superstar di Norman Jewison, USA 1973
Nuova passione di Sofia duenne, che ne ha visto un pezzettino e non lo ha voluto mollare più. Ovviamente la visione è di pochi minuti per volta ed è rigidamente censurata quando le cose volgono al peggio per Nostro Signore Hippie. Il quesito che Sofia mi pone continuamente è perché litigano tutti (Gesù con Giuda, Giuda con gli apostoli, i farisei con Gesù etc.) e non s’immagina neanche lontanamente come finiscano malissimo tutte queste discussioni. Il film io lo ritrovo splendido e le ripetute visioni me ne fanno apprezzare ogni sfumatura. La musica, beh, è clamorosa, lo sappiamo già: prima di tutto, Jesus Christ Superstar è stato un disco strepitoso, realizzato perché in teatro nessuno si sentiva di produrre un’opera con protagonista Gesù. Se ti dicevano che l’ottica era quella di Giuda, poi… I due autori ventenni, Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, oggi baronetti, hanno poi fatto la storia del genere, ma all’epoca scommisero pesante. Girava una parola nuova, allora: “Superstar”. Decisero di fare i gggiovani e di usarla per un titolo che colpiva e per analogia costruirono un Gesù rockstar, con Giuda ideologo preoccupato dal troppo successo d’immagine che oscurava il messaggio. La storia acquisì anche sottotesti politici e, per me, una costante tensione omosessuale. Musicalmente siamo allo stato dell’arte del rock di quegli anni: influenzato dal pop, con reminiscenze di ragtime quando serve, perlopiù improntato da un rhythm and blues da infarto, non disdegnando tracce di psichedelia e hard (con la chitarra scatenata di Henry McCollough). Da contrapporre al Giuda discografico di Murray Head (quello di One Night In Bangkok!) serviva un Gesù potente e incazzoso, umano e non divino (stesse conclusioni di De André per il coevo La buona novella): l’ascolto delle urla barbariche di Child in Time sul non ancora pubblicato In Rock dei Deep Purple fece trovare l’uomo giusto, Ian Gillan. Maria Maddalena venne invece scovata per caso, mentre cantava in un club postribolare: era la Yvonne Elliman, che purtroppo dopo fu solo corista e amante di Clapton. Nell’ottobre 1970 uscì l’album doppio, da considerare assieme a Tommy capostipite di tutte le rock opera. Oggi siamo oltre le 20 milioni di copie vendute: avesse esordito come musical in un teatro di provincia non ne conosceremmo neppure l’esistenza. Invece il successo del disco fece fare due più due a qualche impresario che portò l’opera per 8 anni consecutivi nel West End londinese (record dell’epoca, oggi non so). Nel 1973 – sull’onda del successo ormai planetario – venne realizzato questo film meraviglioso che accentua gli anacronismi (e la stessa temperie hippie era già bella che passata) e leviga lo score musicale con l’orchestra, ma senza esagerare: infatti la chitarra continua a improvvisare a latere. Gillan, interpellato, non partecipò per impegni che dovete conoscere e nel cast subentrarono l’ottimo e strabico Ted Neeley e soprattutto il Giuda marxista che non dimenticheremo mai, Carl Anderson, morto tre anni fa, pace all’anima sua. In questo Jesus Christ Superstar sono eccezionali anche il montaggio, i costumi, la recitazione generale o le incredibili location on site, con il sole sempre basso (doveva fare un caldo dell’accidente, eh). Siccome sono prodotti del loro tempo – album doppio e film –, i critici li hanno sempre un po’ snobbati e li dimenticano ogni volta che bisogna fare una di quelle stupide classifiche che servono a riempire le riviste durante i mesi estivi. Ma sbagliano e le due opere meritano ancora oggi lo status di capolavoro assoluto. Oh, stiamo ben parlando di Dio, eh? (Dvd; maggio ’07)

ddv6104 Bova640 – Io, l’altro di uno inadeguato, Italia 2007
Devo confessare l’antefatto: nell’ultima puntata del programma tivù cui lavoro è stato ospite gradito Raoul Bova, un educatissimo gnoccolone – lo confermo per le lettrici femminili con la Bova alla bocca –, molto carino. E che a registrazione ultimata ci ha invitato tutti alla prima di un film che ha prodotto e interpretato, credendoci molto. Promettono tutti di venire ma al cinema mi presento solo io (redazione di paccari snob!) e siccome non ho faccia tosta abbastanza mi siedo in mezzo al pubblico plebeo e scoprirò solo dopo che avevo un posto riservato di fianco a Giorgio Armani. Pensa cosa s’è perso: un Cacace in camicia da boscaiolo e pantaloni cargo lerci, roba che ci tirava fuori due collezioni estate-inverno per l’uomo casual. Vabbeh: il film. Due pescatori, uno italiano, uno arabo, con lo stesso nome (Giuseppe e Youssef) lavorano assieme su un peschereccio, sinché non emergono dubbi e differenze e accuse. Va prevedibilmente a schifìo: il film ha sicuramente un intento meritorio ma il veleno del terrorismo raccontato da un regista con poche letture (il tunisino Mohsen Melliti) fa crollare le aspirazioni di un apologo teatrale molto scarno. I due attori (Bova e Giovanni Martorana) tengono in piedi il film nonostante lo script schematico, con passaggi di sceneggiatura che sfiorano il ridicolo e dialoghi maldestri a dir tanto. E qui la colpa è di sceneggiatori che per conto mio meriterebbero la radiazione dall’albo, se mai esiste, perché i buoni propositi non bastano. A fine proiezione esco dalla sala perplesso, pensando ai fatti miei, dimentico dell’atmosfera celebrativa e in cima alla scalinata che dà sull’esterno mi ritrovo all’improvviso abbracciato dal coraggioso Raoul Bova, accecato da un crepitare di flash che mi avranno sicuramente guadagnato una partecipazione involontaria a Sipario su Retequattro. Succede. A me. (Multisala Odeon, Milano; 14/5/07)

ddv6105 24641 – Lo stupefacente 24 – Season 1 di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2001
Di questo seriale controverso e altamente addictive, che è il non plus ultra dell’adrenalina televisiva e che porta a un consumo compulsivo simile a quanto avviene con Lost, parlo più avanti. Qui rilevo solo l’incredibile finale del thriller spionistico, una cosa che mai potreste immaginare. Abbiate fede, procuratevelo, deliziatevene e andate all’incredibile, ricchissimo, innovativo e geniale parere d’autore (cioè il mio) che troverete alla rec. #655. (Dvd; maggio e giugno ’07)

ddv6106 Uccidete la democrazia642 – Lo spaventoso Uccidete la democrazia! di Ruben H. Oliva, Italia 2006
Documentario maldestro e, purtroppo, senza uno straccio di prova esibita, sulle elezioni politiche dell’anno scorso, quando nel corso di una giornata si passò da una vittoria schiacciante dell’armata Brancaleone di Prodi a una risicatissima maggioranza a notte fonda, pelo pelo, tanto che oggi ‘sto governo vivacchia sperando che la Levi Montalcini arrivi oltre i cento anni. A urne chiuse il nano gridò subito al broglio, e siccome “l’ho detto prima io” nessuno fece notare granché che il sospetto, al limite, era per chi aveva gestito informaticamente il voto, cioè il governo uscente. Vabbeh. Sennonché sulla vicenda è tornato quel drittone di D’Alema, parlandone en passant da Fabio Fazio, dicendo cose gravissime senza però andare fino in fondo alla faccenda (lui, Fazio, i giornalisti, tutti, CAZZO!), perché tanto siamo superiori o più semplicemente complici. Il documentario in questione affronta la vicenda ed è sgrammaticato, sceneggiato male, con escursioni narrative che confondono (Portella delle Ginestre, il cospiratore americano) e con parti ricostruite in fiction semplicemente agghiaccianti, da non poterci credere, al di là del bene e del male come recitazione e testo. Mi stupisce che nessuno si sia preso la briga di prendere una videocamera e un microfono per andare da D’Alema a fare la domanda che Fazio non ha fatto: “A Massimo bello, spiegami un po’ BENE cos’è successo… perché quando si stava mettendo veramente male hai mandato Minnitti al Viminale? Cos’ha fatto là?”. E poi, facendo la fatica di cambiare interlocutore: “Caro Minnitti, spiegaci perché arrivi tu e s’inverte la tendenza dei voti…”. E magari una domandina anche a Pisanu, via!, ministro responsabile dell’epoca. Perché il flusso anomalo di voti e l’anomalia statistica della scomparsa delle schede bianche (in tutte le regioni, con le stesse percentuali, mai successo in 50 anni di Repubblica), non sono una prova, però un bell’argomento sì. E invece rimane tutto lì, adombrato, guadagnando al film la facile accusa di complottismo. Peccato, ma proprio “no buono”, come diceva Andy Luotto. (Dvd; 21/5/07)

ddv6107 apocalypto645 – Corri! Arriva Apocalypto di Mel Gibson, USA 2006
Seratina genovese, con papà che sonnecchia mentre su Sky passa Ogni cosa è illuminata, film rischiosissimo, tratto da uno dei romanzi più belli letti di recente. A film finito (e direi riuscito) e papà a letto ito, rimango solo con un dvd che mi attira terribilmente. Qui ne hanno parlato tutti malissimo – lo so – perché Mel Gibson sta prepotentemente sulle palle ai nostri critici. Del resto è un fascistone. Ma oltremare il film è stato ben accolto. Io non ho visto Braveheart la Passione di Cristo per cui non ho preconcetti e se puttanata dev’essere, che puttanata sia: me lo vedo anche se è tardi perché di sonno non ne ho per niente, domani non lavoro e ho diritto ogni tanto anch’io, eccheccazzo, al diavolo l’ideologia. E poi per me Gibson rimane l’amabile tamarro con la testa gonfia di Arma letale, l’eroe post-atomico di Mad Max e il soldatino eroico de Gli anni spezzati, mio personale stracult. Gli perdono tante cose, insomma. E vengo premiato in toto perché Apocalypto è una sesquipedale e clamorosamente divertente stronzata, un videogioco indiavolato dove un povero maya della foresta dello Yucatan deve fuggire da rapitori carogne e sacerdoti amabili che ti estraggono il cuore senza anestesia. Non ho verificato l’attendibilità storica del prodottino, ma non m’importa per niente: il thriller azteco è ritmato, colorato ed efferato e va via che è una meraviglia. E poi – per fortuna, verrebbe da dire – arrivano i conquistadores che sbarcano a sinistra dello schermo, cioè percettivamente a ovest (come se arrivassero dall’oceano Pacifico, insomma): il ribaltamento di campo geografico mi manda in sbattimento psicomotorio, tipo pilota di jet che perde l’orizzonte, e mi consegna a un sonno inquieto. Apocalypto è come una parmigiana di melanzane bisunta: sai che non devi mangiarla, lo fai, ti strafoghi, ne godi. E poi hai gli incubi. (Dvd; 26/5/07)

ddv6108 HRCCacace a Mosca (con filmino ad hoc!)
Per la consueta settimana di festeggiamento annuale dei 138 Hard Rock Cafe sparsi nel mondo, me ne vò con Riccardo a Mosca, a riprendere il concerto del nostro amico Vic Vergeat.
L’arrivo nella capitale è incredibile: smog come a Mexico City e traffico come a Mumbay, con SUV giganteschi e Lada arrugginite fianco a fianco. I semafori sono a gusto della Polizia che può cambiare segnale all’improvviso, rendendo l’attraversamento pedonale divertente come una roulette russa. Il mio albergo è davanti al Ministero dell’Interno, un imponente palazzo staliniano che negli anni Cinquanta, se eri un Giovane Pioniere, doveva sembrarti un missile puntato verso il cosmo. O verso le tue terga se eri un dissidente. Dicono che l’albergo – molto frequentato da politici stranieri – sia controllato dai servizi segreti che l’hanno tutto cablato. Mah: non ci credo, non voglio intaccare il mio sincero fervore sovietico.
L’Hard Rock invece è davanti alla casa di Puskin, sul vecchio Arbat, il corso dove la gente fa le vasche come in tutto il mondo e dove puoi vedere splendide ragazze, militari sfaccendati, facce piatte di buriati e calmucchi, artisti fasulli che disegnano caricature invendibili e turisti che ci cascano. Aperto nel 2003, il locale presenta reliquie decisamente cafone come gli abiti di scena di Ozzy Osbourne e Paul Stanley dei Kiss, gli stivalazzi di quella gran signora di Lita Ford e anche la clamorosa chitarra dei Blue Öyster Cult, sagomata come il simbolo di Cronos. Il tocco indigeno è dato da qualche balalaika elettrica di artisti francamente ignoti a noi occidentali. E a tavola altro che bortsch e blinis: panini molto yankee e per i fanatici degli Aerosmith pure la “Quesadilla alla Joe Perry”, polletto con una salsina urticante con cui faccio merenda. E poi si può fumare che è un vantaggio niente male.
Dopo le prime prove acustiche e di regia torniamo in albergo a prepararci per la serata. Vic è inquieto e accusa curiosi fastidi alla schiena, sinché non scopre che è venuto in Russia con due scarpe diverse (!) che lo fanno zoppicare. Ci prepariamo ad uscire, vagamente storditi dalla conturbante frequentazione dell’albergo di donne single eleganti ed altere che intuisco potrebbero incenerirti la carta di credito. Ma io ho una faccia da deficit e non vengo considerato come possibile cliente. Ci succede di peggio: siamo nella hall con la band e, momento surreale come pochi, da una rumorosa delegazione di politici italiani si stacca l’ineffabile Giulio Tremonti – lui, giuro – che ci piomba addosso curioso. Vuol sapere chi siamo e che facciamo a Mosca e nella vita. Non a caso non si offre come commercialista a nessuno di noi. È lì con Bertinotti per non so quale incarico comunitario (Tremonti: “Una gvuan vottua di balle”) e quando sa del nostro concerto dell’indomani e dell’abilità di Vic esclama “Magavui mi imbuco!”. Fausto non ci degna che di un cenno e devo dire che tra il rotacismo dei due risulta più simpatico quello di destra, mannaggia.
Andiamo nel ristorante più quotato della capitale in questo momento, italiano. È tutto offerto dal fantastico organizzatore della trasferta Luca e siamo trattati come superstar, con cibi nostrani pregiati e freschissimi, come certe burratine che vengono fatte arrivare dalla Puglia con voli giornalieri. Fuori dal locale una teoria di Hummer corazzati tutti col motore acceso. Chiedo distrattamente il perché a chi sa di cose moscovite e la risposta mi lascia la burratina a metà gargarozzo: “Per scappare subito in caso di attentato”. Comincio a osservare allarmato la clientela e ai miei occhi diventano tutti mafiosi ceceni, trafficanti georgiani, industriali del gas e generici tagliagole. Si finisce con classici brindisi e abbracci lacrimosi con sconosciuti e seppur barcollanti guadagniamo di nuovo l’albergo. Ric dorme 9 ore consecutive, senza pipì; io sono svegliato dagli SMS di sua moglie e tormentato da un’aria condizionata siberiana inarrestabile.
Il giovedì mattina è dedicato a un ovvio pellegrinaggio alla piazza Rossa. Vic compra delle scarpe nuove ai magazzini GUM, io mi faccio turlupinare acquistando alcune memorabilia sovietiche palesemente false, Ric riprende tutto, anche quando una guardia ci invita ad abbassare le telecamere, non capiamo se volendo una mancetta o cosa. La piazza è grossa ma non come credevo e San Basilio è proprio piccina, un labirinto espressionista. Pranziamo all’Hard Rock Cafe e poi dedichiamo il pomeriggio a prove estenuanti, fino all’ennesimo frugale spuntino e al concerto vero e proprio, davanti a una cinquantina di persone.
ddv6109 MoscaDopo l’esibizione ceniamo per l’ennesima volta nel locale, un po’ appesantiti, francamente, e nell’euforia post partum Vic ci racconta convinto della storia dell’uomo bicazzo, cui Ric e io non crediamo assolutamente. Complice la birra prima e le vodke dopo chiedo curioso di come siano posizionati i peni e ipotizzo rapporti a “presa elettrica” con la famosa donna con due buchi del culo. Ric ha un attacco di risa isterico e in albergo deve prendere il Ventolin perché ha ancora l’affanno asmatico un’ora dopo. Però poi scopriamo che la difallia esiste eccome (sui due buchi del culo non ho investigato).
Il venerdì siamo ancora storditi da alcolici, fumo e rivelazioni morfologiche, ma ci concediamo una visita più accurata del centro di Mosca, ritornando infine sulla piazza Rossa e visitando l’emozionante monumento dei caduti della seconda guerra mondiale. Ci sono segni dell’impero sovietico un po’ ovunque, non nascosti, neanche esaltati, ma presenti. Come il paragone quasi orgoglioso tra Putin e Lenin. Poi è già ora di ritorno a casa e dopo due ore in coda fino all’aeroporto Sheremetyevo, con un tempismo da film thrilling saliamo a bordo. Mosca addio. Come diceva Abatantuono nell’immortale Eccezzziunale veramente: “Che popolo, lo slafo!”. Ah: poi al concerto Tremonti ha dato buca. (Live 13, 14, 15/6/07)

655 – 24 – Season 2 di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2002
Se arrivate dalla recensione #641 vi ho fregati: per i miei pensierini su questa serie magistrale vi tocca aspettare la #688 perché, lo confesso, ciurlo nel manico anche nella #672. (Dvd; agosto ‘07)

ddv6110 History Of Violence660 – Non ho capito benissimo A History Of Violence di David Cronenberg, USA 2005
Mah! Adesso: non è che se un film lo firma Cronenberg, debba per forza essere un colpo di genio… io son rimasto freddo, confesso, mentre tutto il mondo ha gridato al miracolo. L’unica cosa che mi ha colpito è quando a metà pellicola c’è l’idea clamorosa della lite che finisce in trombata: Viggo Mortensen e Maria Bello litigano furiosamente, si menano di brutto e poi – dopo un’occhiata elettrica – scopano come cani per le scale di casa. Detto questo, mi pare un film algido, in qualche maniera irrisolto, che parte bene per poi andare totalmente sopra le righe nella seconda parte. Ma non sembra averlo notato nessuno. Boh, sbaglierò io! Ed ero pure di buon umore: l’oracolo immerso nella pipì ha confermato, l’anno prossimo ripartono le notti magiche perché arriva un altro figlio, oh yeah! (Dvd; 25/9/07)

(Continua – 61)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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