Val d’Ossola – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La “Rivoluzione” interrotta https://www.carmillaonline.com/2016/05/14/la-rivoluzione-interrotta/ Fri, 13 May 2016 22:01:52 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30473 di Fiorenzo Angoscini

semprepartigiano Pino Tripodi, Per sempre partigiano. L’insurrezione di Santa Libera, DeriveApprodi, Roma 2016, pp. 243, € 16,00

Non si sono ancora del tutto spenti gli echi della festa d’aprile del 1945 che numerosi proletari, semplici combattenti – tra cui comandanti di brigata e commissari politici – per convinzione e non per convenienza, intuiscono ciò che si sta programmando, annusano l’aria, colgono l’atmosfera: è solo un cambio d’abito. Chi tira le fila, e continua a condurre le danze, sono i soliti profittatori di sempre.

Presidente del consiglio è Alcide De Gasperi (ministro della malavita, secondo un [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

semprepartigiano Pino Tripodi, Per sempre partigiano. L’insurrezione di Santa Libera, DeriveApprodi, Roma 2016, pp. 243, € 16,00

Non si sono ancora del tutto spenti gli echi della festa d’aprile del 1945 che numerosi proletari, semplici combattenti – tra cui comandanti di brigata e commissari politici – per convinzione e non per convenienza, intuiscono ciò che si sta programmando, annusano l’aria, colgono l’atmosfera: è solo un cambio d’abito. Chi tira le fila, e continua a condurre le danze, sono i soliti profittatori di sempre.

Presidente del consiglio è Alcide De Gasperi (ministro della malavita, secondo un efficace e tagliente slogan comunista) che si sforza in tutti i modi di essere accettato e ben visto dai pronipoti dello zio Sam, i quali, tramite “addetti militari”, “consiglieri politici” e “funzionari diplomatici”, stanno cercando di incastrare tutti i pezzi necessari per garantire la loro democrazia e soggettiva stabilità alla giovane repubblica italiana.1 Così, nemmeno troppo dietro le quinte, insieme a vecchi arnesi, generali felloni e voltagabbana si armeggia e trama nei retrobottega e anticamere dei palazzi della politica istituzionale. Il personale dell’amministrazione statale proviene ancora, per la stragrande maggioranza (vicina al 100%) dalle strutture del passato regime: prefetti, questori, magistrati, ispettori di PS, capitani dei carabinieri ai posti di comando, hanno tutti vestito la camicia nera. Per non parlare degli operatori finanziari, quelli che allargano, o stringono, i cordoni della borsa, i presidenti dei vari enti statali, gli insegnanti di tutti i gradi e livelli.

In aggiunta, nei primi giorni del 1946, i pochi partigiani arruolati nella polizia ausiliaria, vengono allontanati. Il corpo viene epurato dagli elementi non affidabili. E’ troppo pericoloso che ex combattenti per la libertà detengano legalmente delle armi. Essendo poliziotti, sono armati.
La classica goccia che fa traboccare il vaso delle promesse non mantenute, è la legge emanata dal segretario nazionale del Partito Comunista Italiano, il Ministro della Giustizia, guardasigilli Palmiro Togliatti. Il 22 giugno 1946 entra in vigore il dispositivo per cui, in sostanza, si liberano i fascisti e si arrestano i partigiani responsabili di reati “comuni” o crimini “efferati” (eliminazione di gerarchi e simili) negli ultimi mesi della guerra di liberazione nazionale. Ma che è stata anche guerra civile e guerra di classe. Partendo da queste realtà prende corpo e si sviluppa il racconto di Pino Tripodi.

Manipoli di presunti vincitori, potenziali sconfitti ma non arresi, decidono di incidere profondamente sull’andamento delle cose. Vogliono cambiare il corso delle storie. In molte province, soprattutto del centro-nord Italia si riorganizzano, rispolverano le armi, ricostituiscono le Brigate, tornano in montagna.

Le agitazioni insurrezionaliste partigiane si registrano nelle province di Brescia, Sondrio, Mantova, Vercelli, Pavia,2 Lucca, Parma, Massa, Savona, Reggio Emilia, Pistoia, Verona, La Spezia,3 Vicenza, Firenze, Udine, Genova, Asti, Alessandria, Cuneo.

Proprio di quella che è diventata il simbolo (anche se poco conosciuta e studiata) e “capitale” delle rivolte partigiane dell’estate 1946, l’insurrezione di Santa Libera (20 agosto),4 località collinare del comune di Santo Stefano Belbo, provincia di Cuneo, paese natale del letterato-poeta-comunista Cesare Pavese, ci racconta, in forma romanzesca, l’autore di Per sempre partigiano.

ario L'IBER(N)AZIONE Grazie ad un lascito manoscritto, una sorta di autobiografia postuma consegnata ad un prete “illuminato” e progressista, che a sua volta la regala a Tripodi, uno dei protagonisti, Giovanni Primo Rocca, nato proprio – strani incroci del destino – il 21 gennaio 1921,5 capo – insieme ad Armando Valpreda 6, anch’egli reduce partigiano e, all’epoca dei fatti, presidente provinciale dell’Anpi di Asti – della rivolta, mescolando infanzia-adolescenza-giovinezza-amore-lotta-delusione-abbandono, dipana la storia di una sessantina di uomini che tornano in quella “casa sulla collina” dove, fino a pochi mesi prima, inquadrati nella Brigata Garibaldi Stella Rossa, avevano combattuto contro gli occupanti nazisti e i loro servi in camicia nera.

Rivendicano il diritto ad una vita di affetti, giustizia e riscatto sociale. Pretendono dignità umana e politica, chiedono ciò che era stato loro promesso, ma che non hanno ottenuto.
Tripodi-Rocca, in una sorta di duetto da ventriloquo, ricordano: “…sei un nero che frequenta le scuole dei bianchi. Glielo devi far capire che loro hanno i soldi mentre tu sei intelligente…”; accusano: “…i partigiani mi sono amorevolmente antipatici…mio padre è un partigiano. Mio padre è uno stronzo dunque tutti i partigiani sono stronzi…così per inerzia inizio a vedere in ogni partigiano un rompiballe presuntuoso”; si contraddicono: “…dicono che mi piace vincere però non sopporto le responsabilità della vittoria…” ; rimpiangono, inteso come rammarico: “…ai partigiani privi di santi in paradiso tocca la sorte dell’emarginazione della disoccupazione…” ; perché sono “persone storte”. Nel senso di diversi, non omologati, divergenti e distinti.

Nel loro narrare ci sono anche affermazioni forti che possono offendere o stupire. Ad esempio nel dichiarare, riferendosi alla nefasta e famigerata amnistia comunemente abbinata al nome di Togliatti, che: “…neanche andasse Hitler al governo potrebbe concepire un provvedimento simile…” . Oppure ancora: “…appendere Mussolini morto a testa in giù è il gesto meglio copiato dai nazifascisti…non è la nostra vendetta per i martiri di Piazzale Loreto massacrati dai fascisti. E’ la vendetta di Mussolini. Il ghigno di un assassino che può dire al mondo intero voi che vi liberate di me siete di me peggiori” . Il massimo dell’equiparazione repubblichini-partigiani. Anzi…criticano duramente la cultura antifascista: “…si dicono combattenti per la libertà ma hanno la cultura reazionaria introiettata anche nei calli…” Fino a sostenere: “…le spie…ci sono già a Santa Libera. Hanno in tasca le nostre stesse tessere di partito”. Per arrivare alle ultime “confessioni”, le più incredibili, le più amare, le più dolorose per un partigiano. “Primo Comandante sempre”, quasi come un pugile suonato, afferma: “…ogni qual volta c’è un peto di discontinuità nell’aria…qualcuno mi chiede di riprendere la vita attiva di partecipare a storie che chiamano in modo assai poco originale di nuova resistenza. Succede dopo l’attentato a Togliatti all’indomani del governo Scelba e tante altre volte. Chiunque senta il prurito di riprendere la lotta di ricominciare a combattere di imbracciare le armi viene da me. Lo ascolto con pazienza e lo licenzio con cortesia. Non sono cose per me…L’unica tentazione di tornare a vivere nella vita vera l’ho all’indomani del sessantotto ma dura appena un attimo…I compagni mi avvertono ti stai allontanando da noi”. (Per tutto il virgolettato: nessuna punteggiatura come nel testo, ndr).

Fa male, ferisce più di una manganellata, di una purga all’olio di ricino, di una seduta di torture in una delle tante “ville tristi” allestite dai nazifascisti in molte città della penisola, di un rastrellamento di civili, di una fucilazione di anziani, donne e bambini, sentire il ‘Comandante Sempre’, Giovanni Primo Rocca, pronunciare queste frasi. Un partigiano che decide di non esserlo mai più, per sempre. Altri, fortunatamente, come forse l’ultimo degli ancora in attività e in vita di quella bell’estate, Giovanni Reuccio Gerbi, continuano la lotta: senza tregua!7

L’epilogo, con la smobilitazione, dell’insurrezione di Santa Libera avviene il 27 agosto.
Con la sua ‘fine’ si esauriscono anche le altre agitazioni partigiane dell’agosto 1946. La ‘sordina’ a quel moto di rivolta si realizza per l’intervento di normalizzazione attuato dal dirigente comunista piemontese Celeste Negarville e, purtroppo, del prestigioso comandante partigiano della Val Sesia Cino Moscatelli.8 Tacitati i ribelli della collina piemontese, come detto, anche tutti gli altri insorti “rientrano”.9

ario incompiuta Per i cosiddetti paladini della libertà, il pericolo è scampato, per gli illusi-sognatori di un futuro diverso, l’appuntamento è rimandato. Ma, nemmeno l’attentato a Togliatti, l’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena, gli assassinii di Reggio Emilia, Licata (Ag), Palermo e Catania del luglio ’60, le stragi di Milano, Brescia, Italicus e stazione di Bologna riusciranno a smuovere i vecchi e nuovi partigiani, a mobilitarli ed organizzare il definitivo e finale assalto al cielo.

A conclusione di queste considerazioni, alcune note che non sono, e non vogliono essere, osservazioni negative, né critiche trancianti, sullo stile ortografico e letterario con cui l’autore ha scelto di raccontare la confessione umana e politica di Giovanni Rocca. Perché, come alcuni sostengono: “…chi sceglie di scrivere senza punteggiatura deve possedere una grande sicurezza, cioè deve conoscere a fondo le regole e far uso delle parole in maniera tale da “costringere” chi legge a far pausa laddove, per consuetudine, ci sarebbe voluto un segno”.
Ma, si può soggiungere, si obbliga chi legge ad affrontare una lettura diversa, a compiere uno sforzo interpretativo nuovo, non sempre facile e di immediata realizzazione.

Soprattutto, magari, per chi ha frequentazioni abituali – senza scomodare i classici della letteratura – con contemporanei come Cesare Pavese che ci mette in guardia dagli intellettuali di prima e seconda mano: “Per fidarsi di quelli che studiano, bisogna studiare…si dovrebbe studiare per sapere fare a meno di quelli che studiano. Per non farsi fregare da loro”.
Oppure con Luis Sepulveda, “guerrigliero della parola”, l’internazionalista del racconto, l’apologeta del paradiso, “ma non quello dei preti, il nostro, quello in cui si fuma e si beve rum e se chiedi ad una ragazza di ballare, non ti dice mai di no” e delle “donne della mia generazione che scrissero la parola Companera su tutte le schiene e sui muri di tutte le carceri”.
Dell’erotico e anticonformista Boris Vian di “Sputerò sulle vostre tombe”.
Dell’ asciutto, sintetico e preciso Italo Calvino.
Dell’ operaio di Porto Marghera, Ferruccio Brugnaro, di Sono sempre stato da una parte sola, “…con i minatori, con i contadini, con gli operai turnisti”.
Il Pablo Neruda di Farwell, la poesia più amata da Ernesto Guevara de la Serna; di Sante Notarnicola, il bandito della poetica di La nostalgia e la memoria; di Julius Fucik e Papà Cervi..
Di Nazim Hikmet, il ‘turco’ Comunista romantico di “…so che ancora non è finito / il banchetto della miseria…/ ma finirà…” e Mahmoud Darwisch, fedayn della poesia e di “Scrivi: sono arabo…vengo da un villaggio perduto, dimenticato / dalle strade senza nome / e tutti gli uomini al campo come alla cava / amano il Comunismo”.
Questi sono alcuni esempi, non tutti.

Per concludere davvero, scomodando il filosofo di Treviri, è necessario scrivere con semplicità, precisione, chiarezza perché ci si rivolge a dei lettori che “presuppongo naturalmente vogliano imparare qualcosa di nuovo e che quindi vogliano anche pensare da sé”.

Alcune indicazioni di carattere bibliografico per approfondire gli avvenimenti dell’estate 1946:

Oltre alla già citata tesi di laurea di Alice Diacono, L’insurrezione partigiana di Santa Libera (agosto 1946) e il difficile passaggio dal fascismo alla democrazia, anno accademico 2009-2010;

Giovanni Rocca (Primo), Un esercito di straccioni al servizio della libertà, Art pro Arte, Canelli (Cn), 1984

Nazario Sauro Onofri, Il triangolo rosso (1943-1947), Sapere 2000, Roma, aprile 1994;

Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’insurrezione partigiana. Agosto 1946, Edizioni Gruppo Abele, Torino, marzo 1995;

Giovanni Gerbi, I giorni di Santa Libera, otto puntate su “L’eco del lunedì”, settimanale di Asti, ottobre-novembre 1995;

Marco Rossi, Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane dopo la Liberazione. 1945-1947, Edizioni Zero in condotta, Milano, 2009;

Claudia Piermarini, I soldati del popolo. Arditi, partigiani e ribelli: dalle occupazioni del biennio 1919-20 alle gesta della Volante Rossa, storia eretica delle rivoluzioni mancate in Italia, Red Star Press, Roma, giugno 2013

Accompagnano il presente testo due opere di Ario Pizzarelli:
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25 aprile 1945-2015
L’IBERNAZIONE

1946-2016
INCOMPIUTA


  1. Nel gennaio del 1947 verrà accolto negli Stati Uniti d’America dove, con il cappello in mano, si reca per elemosinare le briciole degli aiuti economici del Piano Marshall, il piano per la ripresa europea: dollari USA in cambio di sudditanza economica, politica, sociale 

  2. Nell’ Oltrepò pavese, dove la protesta è energica e decisa, coordinano l’iniziativa, tra gli altri, Angelo Cassinera garibaldino Mufla, Luigi Vercesi e Vittorio Meriggi. Questi tre, con Luigi Bassanini, a bordo di una utilitaria di fortuna, raggiungono la zona di confine tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo, per prendere contatto con gli altri insorti e concordare le azioni successive. Rientrati nel loro territorio, costituiscono due gruppi. Il primo, un’ ottantina di uomini equipaggiati con armi leggere e pesanti, è guidato da Ferruccio Fellegara e raggiunge il Brallo, una località di montagna nell’alta Valle Staffora, al confine tra le province di Pavia ed Alessandria, situata in posizione strategica e dove si controlla anche la Val Trebbia. L’altro raggruppamento, cinquanta uomini al seguito di Mufla, a bordo di un autocarro, raggiunge Pometo – comune di Ruino – da Stradella. Requisiscono scuole per utilizzarle come alloggiamenti, un albergo da adibire a “comando’” organizzano pattugliamenti e turni di vigilanza. Cassinera fa piazzare una mitragliatrice di 20 mm sulla strada principale di Brallo. Gli insorti pavesi dispongono anche di mortai e autoblindo  

  3. Dove, alla testa dei rivoltosi c’è Paolo Castagnino, maresciallo ausiliario di Pubblica Sicurezza, capo partigiano con il nome di Saetta, militante del Pci. Nell’aprile del 1972 verrà arrestato per “complicità’”con Giangiacomo Feltrinelli ed appartenenza a banda armata, ma sarà poi completamente scagionato  

  4. Inizialmente in tanti solidarizzano con i rivoltosi piemontesi, anche il sindaco Pci di Asti, Felice Platone, e molti dirigenti locali dell’Associazione Nazionale Partigiani  

  5. Lo stesso giorno in cui, a Livorno, suo padre partecipava alla fondazione del Partito Comunista d’Italia  

  6. Nel saggio di Laurana Lajolo, “I ribelli di Santa Libera. Storia di un’ insurrezione partigiana. Agosto 1946” il leader degli insorti, Armando, “…insieme ad alcuni compagni, costituì, dopo la liberazione, un gruppo clandestino denominato “808’” in onore di un potente esplosivo e che, di fronte al progressivo atteggiamento di clemenza dei giudici nei confronti dei fascisti, decise di assumersi il compito di fare giustizia.”  

  7. Vedi la tesi di laurea di Alice Diacono, L’insurrezione partigiana di Santa Libera (agosto 1946) e il difficile passaggio dal fascismo alla democrazia, anno accademico 2009-2010  

  8. Nonostante gli accordi raggiunti, tra cui la non punibilità per i protagonisti della rivolta, vengono arrestati – perché individuati quali capi degli insorti – Battista Reggia, Giovanni Rocca e Armando Valpreda. Quest’ultimo, arrestato e rilasciato a più riprese, decide di riparare in Cecoslovacchia da dove rientra definitivamente nel 1956 a seguito dell’amnistia  

  9. In Oltrepò smobilitano entro la fine d’agosto, nello spezzino si prosegue fino al 3 settembre. L’ultimo colpo di coda avviena a Pallanza, vicino a Verbania, Val d’Ossola, il 29 agosto: circa 200 partigiani armati entrano nelle carceri e, dopo aver disarmato le guardie, liberano tre loro compagni arrestati per un omicidio politico, poi riparano in montagna  

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Un weekend del 1993 – 5/5 https://www.carmillaonline.com/2014/08/28/weekend-1993-55/ Thu, 28 Aug 2014 21:00:52 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15670 di Filippo Casaccia

[Qui le altre puntate, la 1, la 2, la 3 e la 4]

Dio c’è

weekend5La coppia anonima si rivela subito pericolosissima. Lui è un trentenne, che parla con voce soporifera. Alla povera amica che gli sta a fianco racconta del portafogli rubato sabato sera dal cruscotto della macchina. Deve rifare i documenti ed è molto scocciato. Conclude che saranno stati tossicodipendenti. Vorrei interloquire: “Magari negri”. Comunque non si può andare avanti, continua, perché è tutto tassato e non vale più la pena di lavorare. [...]]]> di Filippo Casaccia

[Qui le altre puntate, la 1, la 2, la 3 e la 4]

Dio c’è

weekend5La coppia anonima si rivela subito pericolosissima. Lui è un trentenne, che parla con voce soporifera. Alla povera amica che gli sta a fianco racconta del portafogli rubato sabato sera dal cruscotto della macchina. Deve rifare i documenti ed è molto scocciato. Conclude che saranno stati tossicodipendenti. Vorrei interloquire: “Magari negri”. Comunque non si può andare avanti, continua, perché è tutto tassato e non vale più la pena di lavorare. Non esprime motivazioni politiche: è il vero fascista inconscio, che non ha opinioni se non quelle che richiedono meno sforzi mentali e presuppongono il miglior ritorno personale. Poi, questo curioso tuttologo, attacca a parlare della calvizie ed è sicuro che alimentazione, inquinamento e soprattutto stress siano letali per il capello. A questo punto temo di tornare a Genova completamente pelato.
Continua parlando pianissimo, senza variazioni tonali: scommetto che chi lo conosce lo definisce il classico ‘pezzo di pane’. Al curaro, però. L’amica chiude gli occhi e prova a dormire, lui va avanti imperterrito e racconta del suo cane che “dà tanto affetto gratuito, mica come gli esseri umani” e io mi immagino la povera bestia che deve ascoltare il vaniloquio di questo imbecille. Poi si spegne. Per dieci secondi e riparte: è un Ariete e in famiglia son tutti segni di fuoco. Ah beh. Poi arriva il melodramma. Il padre ‘buonanima’, farebbe gli anni a breve se fosse ancora vivo, “e sarebbero pochi”. Silenzio. Poi, finalmente, scopro cosa ha fatto a Milano: un’audizione per Sanremo — tutto torna — ma dice d’aver cantato male perché gli sta venendo un’afta in bocca e che una volta ne ha avuta una che gli ha impedito di parlare per alcuni giorni. Gliene auguro una immediata e letale. Per fortuna i due scendono a Voghera.
Rimaniamo io e la dolce lettrice; sembra Julia Roberts, appena sfigurata dalla quotidianità. È silenziosa e a questo punto leggo anch’io. Finché arriva la tragica smentita: Pavia non è l’unico collettore di studenti cazzoni. Anche Genova fa la sua parte. Infatti la sconosciuta attacca a parlare con un ragazzo seduto in un altro scompartimento, suo compagno di studi, che ora sfumazza nel corridoio. La quiete è interrotta e lo stupendo libro delle critiche cinematografiche di Pasolini diventa illeggibile. Ma è una fortuna: il tizio aderisce perfettamente allo stereotipo del ‘Teatrante Pieno di Sé’ e parla con voce stentorea come se fosse sul palcoscenico. Berretto da marinaio, basetta lunga e orecchino, studia teatro a Genova ed è il sacco di merda più immenso che abbia mai incontrato dal vivo.
Poco vale il fatto che provenga dalla Val d’Ossola: studia a Genova ed è un frutto impazzito del mio ateneo. Introduce ogni discorso con una serie di roboanti IO: io qui, io là, io su, io giù… io non posso impegnarmi sentimentalmente (“Lo studio del teatro assorbe la mia concentrazione”), io sono cresciuto in un ambiente cattolico e devo appagare il mio lato pagano, io sogno consessi sibaritici, io combatto gli abbonati alla stagione teatrale, io bevo tanta birra: “Una volta, all’Oktoberfest, ne ho bevuto sette litri!”. Ma brutto babbeo, il mio amico Pitta ne ha bevuto undici e se ti piglia ti scaraventa a terra con un rutto!
Poi, con posa vissuta, indica fuori dal finestrino. C’è la statale che costeggia la ferrovia. “Vedi? Vedi, là? Sui cavalcavia, quelle scritte?”. La ragazza annuisce senza capire cosa ci sia di così importante. “Dio c’è!”. Quando mi rassegno al fatto che l’incommensurabile coglione stia per cominciare una pippa religiosa, peraltro contraddittoria con quanto sin qui declamato, si chiarisce il mistero. “Dio c’è! Vuol dire che è arrivata la droga! Ma non fare quella faccia, amore: anch’io credevo che fossero degli integralisti cattolici, però poi…”. E spiega che lui sa questa cosa perché ha un giro di amici con cui, nel rispetto del corpo e in accordo con la mente, ci scappa il pippotto ricreativo… oh: mica è un vizio, eh? Poi come se la cocaina annunciata dai graffiti ‘Dio c’è’ avesse esaurito il suo potere euforico, il patetico guitto arriva all’apice del delirio e inizia a sdilinquirsi sulla natura dell’amore, anzi dell’Amore, perché da come pronuncia la parola, beh, c’è chiaramente la maiuscola. “Per me, dopo tutto, c’è l’Amore Assoluto”. Ma come, tu, così maudit, ti cali le braghe davanti all’Amore? E giù tutte le più solenni castronerie a mascherare che sei un infantile stronzo, pieno di sé, presuntuoso e ignorante, che vorresti solo trombarti la poveretta e — parola mia — ho più possibilità io, in questo stesso preciso momento, di ingravidare Sharon Stone. Ma levati dai piedi.
Macché: inizia a raccontare dei suoi training da attore, della volta che ha sentito l’Energia (maiuscolo, è chiaro) fluire nel suo corpo. E la volta che gli si è acuita la vista o quell’altra in cui non ha parlato per due giorni… fino all’incredibile “erano quattro anni che non piangevo e tale era il senso di comunità…”. Ma questa è la ‘Testa di Cazzo Assoluta’! Se fosse la ‘Testa di Cazzo Corrente’ non ricoprirebbe alcun valore antropologico, ma, così, mi rendo conto di avere davanti un esemplare unico. Mentre la sventurata non riesce più a tenere gli occhi aperti e le oscilla la testa, arriviamo finalmente a Genova. Lascio lo scompartimento e un po’ mi dispiace, perché certe occasioni sono uniche.
Arrivo in fondo al vagone, pronto a scendere. Mi giro e vedo per l’ultima volta la poveretta tormentata dal teatrante; mi lancia un’occhiata quasi a scusarsi, poi uno strepito e vedo il dionisiaco testone di cazzo che, stretto nella sua giacchetta blu da marinaio, s’è fatto tutto rosso in faccia e sbraita. Tornato nel suo scompartimento a prendersi la divisa da Corto Maltese dei poveri, ha scoperto che gli hanno rubato il portafogli. Altro che la poesia, il teatro e l’assalto al pubblico borghese: la voce impostata e roboante si dispera per cinquantamila misere lire! Finalmente un po’ di sano e sperimentale teatro-verità!
È stato un weekend intenso, fiducioso nel futuro e sconcertante sul presente, ma alla fine vedendo il poveretto che si sbraccia da far pietà, degno di un attore del cinema muto, penso che in questo Italia incerta io finalmente una certezza ce l’ho: Dio c’è, ma sul serio.

(5 – FINE)

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