ucronia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Un viaggio in ucronia https://www.carmillaonline.com/2024/10/11/un-viaggio-in-ucronia/ Fri, 11 Oct 2024 20:00:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=84882 di Paolo Lago

Emmanuel Carrère, Ucronia, trad. it. di F. Di Lella e G. Girimonti Greco, Adelphi, Milano, 2024, pp. 160, euro 14,00.

C’è l’utopia, un luogo che non esiste, un “non luogo” in senso etimologico, c’è l’eterotopia (un “luogo altro” e separato) coniata da Michel Foucault e da lui definita come una contestazione al contempo mitica e reale di qualsiasi altro spazio e c’è anche l’ucronia, cioè un “non tempo”, un tempo che non esiste, parola coniata e utilizzata per la prima volta da Charles Renouvier nella sua opera Ucronia del 1876. L’ucronia si rivolge principalmente al passato e mira [...]]]> di Paolo Lago

Emmanuel Carrère, Ucronia, trad. it. di F. Di Lella e G. Girimonti Greco, Adelphi, Milano, 2024, pp. 160, euro 14,00.

C’è l’utopia, un luogo che non esiste, un “non luogo” in senso etimologico, c’è l’eterotopia (un “luogo altro” e separato) coniata da Michel Foucault e da lui definita come una contestazione al contempo mitica e reale di qualsiasi altro spazio e c’è anche l’ucronia, cioè un “non tempo”, un tempo che non esiste, parola coniata e utilizzata per la prima volta da Charles Renouvier nella sua opera Ucronia del 1876. L’ucronia si rivolge principalmente al passato e mira a ricostruire una sorta di universo parallelo in cui i fatti ormai appurati come ‘storici’ sono avvenuti in un modo diverso portando a diverse conseguenze. Ad esempio, due fra le ucronie più studiate riguardano due figure storiche come Napoleone e Hitler: allora, pensando ucronicamente, se così si può dire, ci potremmo chiedere cosa sarebbe successo se Napoleone non fosse stato sconfitto a Waterloo o se Hitler avesse vinto la seconda guerra mondiale. Emmanuel Carrère, nel suo interessante saggio dal titolo Le Détroit de Behring, edito in Francia nel 1986 e recentemente uscito in italiano nella bella traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco con l’azzeccato titolo Ucronia, ci guida attraverso un vero e proprio viaggio in un’altra dimensione, in un tempo che non c’è.

I più importanti esempi di ucronia verso cui ci conduce lo scrittore francese appartengono alla modernità culturale piuttosto che alla postmodernità. Come ha notato Fredric Jameson, infatti, nella cultura postmoderna la categoria di spazio è considerata come dominante, in opposizione a quella di tempo, assai più importante, invece, per la modernità. Se l’eterotopia, infatti, nell’analisi di Foucault, appare una caratteristica importante della postmodernità (ma non l’utopia, che è stata sempre importante dagli antichi ai contemporanei), l’ucronia, nella cui etimologia campeggia la parola “tempo”, appare intrisa di modernità. Ecco che Carrère ci presenta nelle prime pagine del suo saggio una importante ucronia, Napoleone apocrifo, creata nel 1836 da Louis-Napoléon Geoffroy-Chateau, figlio di un ufficiale dell’esercito napoleonico caduto ad Austerlitz. Da notare anche che si tratta di un’ucronia nata prima che Renouvier coniasse il termine. Geoffroy ci racconta appunto di un Napoleone che, non sconfitto, ha creato un impero universale fino a morire per un colpo apoplettico nel 1832, a 62 anni. Creando un Napoleone imperatore del mondo, come nota Carrère, l’ucronista Geoffroy “non può rassegnarsi all’idea della sua caduta, che lo tocca così da vicino” e si autoconvince che la storia che egli racconta sia quella giusta adoperandosi per screditare quella che conosciamo e per estirparla alle radici: “dal momento che non si può fare in modo che la storia sbagliata non abbia avuto luogo, e neppure che gli uomini la ignorino, bisogna prodigarsi, soli contro tutti, per screditarla”. E se la storia ‘ufficiale’ fosse un enorme inganno? Se fosse stata creata ad arte da alcuni occulti ‘reggitori dei fili’? solo mettendo in discussione la storia si può giungere a una possibile legittimazione dell’ucronia. D’altra parte, Carrère cita il grande storico Paul Veyne che così si esprime: “Non si è storici se non si avverte, attorno alla storia che si è realmente verificata, una moltitudine indefinita di storie compossibili, di cose che avrebbero potuto andare altrimenti”.

Certo, si potrebbe pensare che l’ucronista, sotto sotto, possa essere anche un oscuro creatore di fantasie di complotto dal momento che molti complotti, come nota Wu Ming 1 in La Q di Qomplotto, si basano su “un gioco di realtà alternative divenuto mostruoso”. Perché non dobbiamo mai neanche sottovalutare, per utilizzare un’espressione di Carrère, “l’onnipotenza di chi ha in mano la penna” e basterebbe evocare un titolo come Il pendolo di Foucault di Umberto Eco, in cui si infittiscono manoscritti criptati dai quali per gioco emergono piani e fantasie di complotto. E anche quest’onnipotenza – si potrebbe aggiungere – appare del tutto appartenente alla modernità: oggi, nel mondo digitalizzato, basterebbe forse sfiorare pochi tasti di un touch screen. Del resto, lo stesso Manzoni nei Promessi sposi, pur non creando un’ucronia, grazie al potere e alla maestria della sua penna (con la quale ci ha anche presi in giro creando la messinscena del manoscritto ritrovato) ha ritagliato all’interno della storia una vicenda fantastica (ma plausibile) con personaggi anch’essi fantastici ma anche profondamente realistici. L’ucronista-complottista, allora, quasi fosse l’oscuro killer di un romanzo noir, avanzerebbe cancellando prove e eliminando studiosi e testimoni, per creare il suo universo alternativo e per tramandarlo ai posteri, come in una versione moderna di Matrix.

L’ucronista non è un folle, anzi, è estremamente lucido e intelligente perché ha trasformato la sua idea ucronica in un feticcio: il suo solo campo di battaglia – nota Carrère – è la memoria. Se l’ucronia a carattere ‘privato’ e personale può portare a speculazioni, appunto, dal carattere più o meno innocuo (del tipo, se io avessi studiato fisica nucleare probabilmente adesso non starei qui a scrivere questa recensione, ma non si sa mai), quella che ingloba grandi accadimenti storici può essere uno strumento di potere. Charles Renouvier, nella sua opera che si intitola appunto Ucronia, “non dipinge un idillio, non traccia, come Geoffroy, una curva trionfale tutta ascendente: ci sono guerre, invasioni, crisi, proprio come nella realtà” (e in questo modo l’ucronia appare più verisimile). Il filosofo francese costruisce un mondo in cui il cristianesimo non ha attecchito in Occidente, restando relegato in Oriente. In Occidente, anche nella modernità, continua a prosperare la potenza di Roma, rigorosamente pagana, perché gli imperatori hanno cercato di bloccare l’avanzata del cristianesimo in ogni modo (infatti, “se mai riusciranno a trionfare, dovremo rinunciare a tutto ciò per cui la vita è degna di essere vissuta: ai nobili piaceri, alla virtù disinteressata, alla libertà di cui godiamo, alla speranza di estenderla nel mondo…”). Sempre su questo tema, si potrebbero ricordare allora altri romanzi che Carrère nel 1986 non poteva conoscere, e cioè la trilogia ucronica di Sophie McDougall, composta da Romanitas (2005), Roma brucia (Rome burning, 2007) e Il sangue di Roma (Savage city, 2010), in cui si immagina appunto che l’impero romano non sia mai caduto arrivando fino ai giorni nostri.

Lo scrittore francese, nel suo interessante saggio, ricorda anche altre ucronie, tra cui Ponzio Pilato (1961) di Roger Caillois, in cui non solo l’Occidente, come nell’opera di Renouvier, ma tutto il mondo riesce a scongiurare il cristianesimo semplicemente perché Ponzio Pilato decide di non condannare e di liberare Gesù. Un altro importante romanzo ucronico è La svastica sul sole (The Man in the High Castle, 1962) di Philip K. Dick, in cui lo scrittore immagina che le potenze dell’Asse abbiano vinto la seconda guerra mondiale e gli Stati Uniti nel 1960 siano diventati un protettorato giapponese. Come in un’ucronia che si rispetti, l’autore non indugia nel descrivere le circostanze che hanno portato a questi eventi: dal momento che si tratta della realtà (seppure fittizia), sono conosciuti da tutti e non è necessario descriverli. È con questa reticenza, con questo ‘non detto’ che l’ucronia si rafforza. E grazie al libro di Carrère, che oggi questa bella e appassionante traduzione ci permette di leggere finalmente in italiano, capiamo come negli interstizi della storia si possano celare spazi di ‘non detto’, delle ellissi che possono spalancare porte verso territori immaginari e immaginati: perché la storia e – si potrebbe aggiungere, vista la complessità che circonda da ogni lato – anche le vicende contemporanee, vanno sempre lette e sondate con estrema attenzione e lucidità e, perché no, anche con la giusta pacatezza e modestia.

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Tutte le Storie possibili https://www.carmillaonline.com/2022/10/26/storia-e-non-storia/ Wed, 26 Oct 2022 20:00:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=74440 di Sandro Moiso

Diego Gabutti, Ucrònomicon. Ovunque e quandunque nel multiverso, WriteUp Books, Roma 2022, pp. 208, 21,00 euro.

Sono poco meno di 380 le ucronie esplorate e rivelate dal testo di Diego Gabutti, recentemente dato alle stampe dalla WriteUp Books. Un numero sufficiente per destare l’attenzione di chiunque sia appassionato o si interessi di letteratura fantastica o fantascientifica, anche se non tutte quelle contenute e riassunte nel volume provengono dalla penna di autori rinviabili alla paraletteratura o letteratura di genere.

Oltre ad autori come Harry Turtledove (un vero specialista del genere [...]]]> di Sandro Moiso

Diego Gabutti, Ucrònomicon. Ovunque e quandunque nel multiverso, WriteUp Books, Roma 2022, pp. 208, 21,00 euro.

Sono poco meno di 380 le ucronie esplorate e rivelate dal testo di Diego Gabutti, recentemente dato alle stampe dalla WriteUp Books. Un numero sufficiente per destare l’attenzione di chiunque sia appassionato o si interessi di letteratura fantastica o fantascientifica, anche se non tutte quelle contenute e riassunte nel volume provengono dalla penna di autori rinviabili alla paraletteratura o letteratura di genere.

Oltre ad autori come Harry Turtledove (un vero specialista del genere ucronico), Philip Josè Farmer, Michael Moorcock o Robert Heinlein, solo per citarne alcuni, possiamo trovare infatti Luciano Bianciardi (con le sue cronache garibaldine frammischiate a quelle delle proteste di piazza degli anni Sessanta), William Burroughs, Guido Morselli, Michel Houellebeq, Philip Roth, Winston Churchill (sì, proprio quello) e molti altri ancora che hanno scelto di parlare del proprio tempo magari immaginandone un altro, dalla storia pregressa o futura decisamente diversa e “impensabile” secondo gli standard di ciò che è stato acquisito come verità immutabile..

In cosa consiste in fin dei conti l’ucronia se non nell’immaginare tempi e modi di una Storia che non è mai stata, ma che avrebbe potuto essere. L’ucronia può infatti essere definita come una presentazione di eventi coerente, ma ipotetica, simulata sulla base di dati non realistici. Una “non storia”, come la battezzò Charles Rouvenier nel 1857, per metterla in rima con la parola coniata da Tommaso Moro nel 1516; utopia o “non luogo”. Un non luogo temporale che potrebbe aver sostituito, in altre dimensioni o in uno o più universi paralleli, la nostra realtà e le interpretazioni a posteriori che di questa sono state date.

Una Storia, ci dice Gabutti, fatta con i se piuttosto che con la documentazione storica, scritta e “certificata”, con cui è stata ricostruita la nostra, antica e recente.
Per questo l’autore divide meticolosamente l’antologia di autori, citazioni e riflessioni in una serie di capitoli (denominati Divergenze)che vanno Dal Big Bang (ma anche prima e di lato) al primo anno dell’era cristiana (prima “divergenza”) all’Anno Duemila e dove chissà (undicesima e ultima divergenza) passando per Crociate, Jihad e la scoperta di molte Americhe, Fine Ottocento e ancora le macchine a vapore parallele e Guerra fredda e rock’n’roll, per citarne solo alcuni a caso.

Metodo che permette al sempre ironico e smaliziato autore di mettere in evidenza come un po’ tutta la Storia sia fatta coi se, considerato il fatto che tutte le grandi (?) ideologie e i loro derivati, dal cristianesimo al marxismo, stalinizzato oppure ortodosso (aggettivo sempre estremamente ambiguo), fino al liberalismo o al fascismo e al nazismo, l’hanno prima di tutto interpretata e spiegata ancor prima che ricostruita “fedelmente”. Per annunciare tanto il socialismo in un solo paese e l’avvento dell'”uomo nuovo” sovietico quanto il Reich Millenario o la stessa “fine della Storia” per merito del liberismo globalizzante.

L’assunto teleologico di ispirazione giudaico-cristiana ha infatti finito col dominare la visione del tempo, del suo divenire e della sua o del suo fine. Trasformando lo scorrere, spesso disordinato e casuale, degli eventi in un motivato, ineluttabile e certo percorso per il raggiungimento di obiettivi sovra-determinati da un dio, dalla volontà soggettiva (o di una classe), dall’idea hegeliana oppure dallo scorrimento della tettonica a zolle costituita dai rapporti economici di proprietà e produzione.

Negli ultimi due secoli, mentre l’horror film della modernità scorreva macabro e interminabile, con rari intervalli tra un tempo e l’altro per uscire a sgranchirsi le gambe o a fumare una sigaretta, la storia e il potere si sono visti e piaciuti, così hanno stretto un patto d’acciaio, come a suo tempo l’Altissimo e i signori del mondo per diritto divino: il potere gioca la sua partita e gli storici badano a convalidare e anzi a consacrare ogni sua mossa. Da racconto più o meno ordinato degli eventi, un genere letterario come tanti, la storia esige d’un tratto la maiuscola, che subito ostenta come una croce di cavalierato, quindi scolpisce le sue leggi sulla carne viva dei popoli e si autoproclama «scienza»1.

In attesa di eventi “imprevedibili” che possano rimetterla in discussione, insieme ai suoi bonzi, la lettura, possibilmente attenta oltre che divertita, di questo ampio e come al solito, nello stile di Gabutti, implacabile excursus letterario, si rivelerà utile al fine di evitare di prendere troppo seriamente e considerare come verità assolute quelle che potrebbero rivelarsi come nient’altro che ipotesi tra le tante possibili. Insomma soltanto altre ucronie di cui un giorno qualcuno potrebbe ridere (atto che, comunque, se imposto dagli eventi, è sempre più desiderabile di quello di piangere). Buona lettura!


  1. D. Gabutti, Ucronia (o «non storia») versus utopia (o «non luogo») in D. Gabutti, Ucrònomicon. Ovunque e quandunque nel multiverso, WriteUp Books, Roma 2022, p. 15  

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Quando la rivoluzione socialista scoppiò in America https://www.carmillaonline.com/2019/02/27/quando-la-rivoluzione-socialista-scoppio-in-america/ Tue, 26 Feb 2019 23:01:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=51198 di Gian Filippo Pizzo

Franco Ricciardiello, Nell’ombra della luna, Meridiano Zero, 2019, pp. 314., € 18,00.

Ci sono molti personaggi storici in questo romanzo, che però non è un romanzo storico. E’ un romanzo di genere ucronico, cioè quel genere – che si può considerare a sé stante oppure un sottogenere della fantascienza – che immagina un tempo storico che si è sviluppato in seguito a un avvenimento ancora precedente svoltosi in maniera diversa da come in realtà è successo. Un genere molto difficile perché oltre agli aspetti consueti di un romanzo (lo stile, la caratterizzazione dei personaggi, lo [...]]]> di Gian Filippo Pizzo

Franco Ricciardiello, Nell’ombra della luna, Meridiano Zero, 2019, pp. 314., € 18,00.

Ci sono molti personaggi storici in questo romanzo, che però non è un romanzo storico. E’ un romanzo di genere ucronico, cioè quel genere – che si può considerare a sé stante oppure un sottogenere della fantascienza – che immagina un tempo storico che si è sviluppato in seguito a un avvenimento ancora precedente svoltosi in maniera diversa da come in realtà è successo. Un genere molto difficile perché oltre agli aspetti consueti di un romanzo (lo stile, la caratterizzazione dei personaggi, lo svolgimento della trama) l’autore deve saper immaginare con coerenza gli eventi in campo politico, sociale, economico e di costume, che devono essere conseguenti alla premessa ma anche in qualche modo rispettare la storia vera. Da noi l’esempio più noto di ucronia è forse L’inattesa piega degli eventi (2008) di Enrico Brizzi che immagina in maniera molto convincente, anche se è debole sul piano letterario, un’Italia del 1960 – l’anno delle Olimpiadi di Roma – ancora retta dal Fascismo, mentre sono purtroppo sconosciuti ai più scrittori quali Pierfrancesco Prosperi e Giampietro Stocco, che hanno scritto ucronie valide sia sotto l’aspetto formale che su quello stilistico.

I personaggi che compaiono in questo Nell’ombra della Luna sono il celebre regista Sergej Ėjzenštejn (La corazzata Potëmkin), il folk singer e sindacalista Woody Guthrie (This Land Is Your Land), Albert Einstein, il fisico Robert Oppenheimer, lo scrittore socialista Upton Sinclair, Charlie Chaplin, Lev Trockij, Antonio Gramsci e molti altri, ma nella trama è fondamentale il ruolo di Tina Modotti, fotografa e rivoluzionaria. Costei fu espulsa dal Messico nel 1930 e dopo vari giri in paesi europei finì a Mosca, ma nel libro si immagina che invece si fosse recata negli Stati Uniti e che nel 1933 abbia partecipato alla sollevazione popolare che ha portato all’instaurazione di una repubblica socialista, girando assieme a Guthrie tra operai e contadini nelle zone più rurali d’America e immortalando con la sua fotocamera le loro condizioni di vita. Questo infatti l’assunto ucronico della storia: mentre in Russia la Rivoluzione d’Ottobre non è mai scoppiata, anche a causa della morte per un incidente di Lenin, e dopo la cacciata dello zar nel febbraio 1917 rimane in carica il governo Kerenskij, negli Stati Uniti la Grande Depressione iniziata nel 1929 ha portato le masse alla ribellione. Con ciò prestando fede ad alcuni pensatori (ci piace citare l’amico Alberto Eva) che ritengono che il problema del comunismo sia stato quello di nascere non nel momento ma nel posto sbagliato, una Russia troppo arretrata e contadina per poter essere una base solida alle teorie marxiane.

Il romanzo di Ricciardiello, con la tecnica della narrazione alternata, è ambientato in tre momenti diversi. La più breve, e anche meno importante – almeno fino a quando, nel finale, si ricollega al resto – racconta alcuni momenti della rivoluzione, in particolare l’annessione del Quebec contro un esercito rinforzato da truppe inglesi e del Commonwealth. La seconda è ambientata negli anni Cinquanta, quando l’Italia è sotto il regime fascista e la Seconda Guerra Mondiale non è mai scoppiata, e ha per protagonista un giovane studente universitario italiano, Andrea (divertenti le scene in cui viene scambiato per una donna a causa del sua nome, che all’estero è considerato femminile), inviato dal regime a indagare su Enrico Fermi e altri fisici dissidenti sospettati di lavorare sulla bomba atomica. Andrea però conosce una ragazza, Anna, casualmente (o forse no) nipote di Tina Modotti, che lo coinvolge in una lunga ricerca tesa a verificare se un esperimento condotto da Einstein sul famoso paradosso del “gatto di Schrödinger” abbia prodotto un risultato attendibile. I lunghi colloqui tra i due sulla fisica quantistica, sul “principio di indeterminazione” di Heisenberg, sulla diatriba tra Einstein e altri fisici, storicamente accertata (Einstein fu avverso al probabilismo della meccanica quantistica perché non si accordava con la sua visione, anche se in seguito tentò una teoria unificatrice) non sono fini a se stessi ma servono a giustificare la tesi dell’autore sull’esistenza di due mondi paralleli, quello che conosciamo e quello del romanzo. Infatti nella terza parte, quella che narra di Tina Modotti nel 1933, ella si imbatte in un giornale che scrive dell’ascesa di Hitler al potere, cosa che nel suo mondo non esiste e che forse è un’intrusione dall’altra realtà. Anche il titolo del romanzo, Nell’ombra della Luna, non fa riferimento, come si potrebbe pensare, all’aspetto romantico che emana dal nostro satellite, ma si riferisce invece a una frase pronunciata da Einstein, sempre a proposito di fisica quantistica.

L’autore è molto bravo a reggere le fila del discorso e trova un felice equilibrio nello spostarsi sui diversi piani temporali; in particolare è convincente – sempre a livello fantascientifico – l’ipotesi che la storia alternativa dell’universo che descrive sia potuta nascere da un esperimento di fisica. I personaggi sono ottimamente delineati, sia quelli di fantasia che quelli reali, i cui comportamenti coincidono con quello che la storia ci ha tramandato (forse solo Einstein è, ma appena appena, un po’ gigionesco). Minuziosa la ricerca documentale alle origini della trama, e qui viene un sospetto, probabilmente una certezza: che Ricciardiello parlandoci di quello che sarebbe potuto succedere decenni fa in realtà stia parlando del nostro presente, costringa il lettore a riconsiderare con occhi diversi gli avvenimenti che hanno segnato la nostra storia e ci hanno portato alla situazione attuale.

In ogni caso le vicende di Andrea e Anna, di Marco, di Tina e Woody si seguono con piacere, appassionano il lettore che viene catturato dallo svolgersi delle vicende, e il romanzo raggiunge pienamente quello che dovrebbe essere lo scopo principale della narrativa: divertire e al contempo far pensare, fare riflettere e insieme emozionare.

 

 

 

 

 

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Ucronia e Distopia: Fantafascismo e Fantamarxismo https://www.carmillaonline.com/2018/08/19/ucronia-e-distopia-fantafascismo-e-fantamarxismo/ Sat, 18 Aug 2018 23:01:22 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47626 di Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo

Tratto, con modifiche, dal box “Ucronia” di prossima pubblicazione presso Odoya nel volume Guida ai narratori fantastici italiani di Walter Catalano, Gian Filippo Pizzo e Andrea Vaccaro.

L’ucronia, chiamata anche “storia alternativa”, “allostoria” e a volte “fantastoria” (che però avrebbe dei parametri leggermente diversi e più estesi), è un sottogenere della fantascienza in cui s’immagina che un certo avvenimento del passato si sia svolto in maniera diversa che nella realtà. Ad esempio, che Napoleone non sia stato sconfitto a Waterloo o che Hitler abbia [...]]]> di Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo

Tratto, con modifiche, dal box “Ucronia” di prossima pubblicazione presso Odoya nel volume Guida ai narratori fantastici italiani di Walter Catalano, Gian Filippo Pizzo e Andrea Vaccaro.

L’ucronia, chiamata anche “storia alternativa”, “allostoria” e a volte “fantastoria” (che però avrebbe dei parametri leggermente diversi e più estesi), è un sottogenere della fantascienza in cui s’immagina che un certo avvenimento del passato si sia svolto in maniera diversa che nella realtà. Ad esempio, che Napoleone non sia stato sconfitto a Waterloo o che Hitler abbia vinto la Seconda Guerra Mondiale. E’ un genere che presenta molte difficoltà, almeno se l’autore vuole scrivere un’opera valida, perché lo sviluppo della storia immaginaria deve essere coerente sia con la premessa – l’avvenimento scelto come spartiacque – che con quello che è avvenuto veramente nella realtà, in particolare le nuove tecnologie e la diffusione dei mezzi di comunicazione.

Se il genere, come abbiamo detto, è oggi a pieno titolo inglobato nella fantascienza, in Italia la sua nascita è autonoma: il primo esempio è stato un saggio di storia immaginaria scritto da Lorenzo Pignotti e intitolato Storia della Toscana sino al Principato (1813), in cui si immagina che Lorenzo de’ Medici non muoia nel 1492 e riesca a salvare l’Italia dalle invasioni straniere e addirittura a impedire il diffondersi del Protestantesimo in tutta Europa. Gli esempi successivi saranno molto più tardi ma tutti nell’ambito della narrativa e per la maggior parte con un solo avvenimento cardine: il Fascismo; se infatti a livello internazionale gli eventi più presenti sono proprio quelli citati sopra – Napoleone e la Seconda Guerra Mondiale – e se negli Stati Uniti si immagina invece un diverso risultato della Guerra di Secessione o il mancato omicidio di John Kennedy, da noi l’argomento più controverso è proprio la dittatura mussoliniana.

Ecco quindi che Marco Ramperti nel suo Benito I, Imperatore (1950) mostra Mussolini entrare trionfalmente a Roma il 25 aprile 1945 su un cavallo bianco per festeggiare la vittoria dell’Asse, grazie alla bomba atomica; e nel 1973 Lucio Ceva nel suo Asse pigliatutto ipotizza che un certo generale Doriani riesca a convincere Ciano, Mussolini e di conseguenza anche Hitler a non dichiarare guerra agli Stati Uniti, che così combatteranno solo nel Pacifico contro il Giappone, mentre in Europa la guerra finirà con la cacciata dell’URSS oltre gli Urali e con la Gran Bretagna che perde i possedimenti in Medio Oriente (ma l’Italia, nonostante il suo Impero, sarà sempre succuba della Germania). Se il primo è molto apologetico (Ramperti passò sedici anni in galera per i suoi comportamenti filo fascisti e razzisti) il secondo è più critico. Ma torneremo più avanti sui libri di “fantafascismo” più recenti, intanto vediamo altri esempi di ucronie italiane.

La più importante e di gran lunga la migliore è Contro-passato prossimo: un’ipotesi retrospettiva (1975), di Guido Morselli (1912-1973), autore che già aveva sfiorato l’ucronia senza abbandonarvisi completamente anche in Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo (1974) e Divertimento 1889 (1975). Nel romanzo più importante dello sfortunato scrittore suicida, la modalità dell’ucronia è improntata più sulla descrizione e la narrazione della divergenza – gli esiti della Prima Guerra mondiale – che sulla rappresentazione di un universo autonomo generato da un nexus event, e in questo risulta un po’ datata: la divergenza principale affrontata è l’organizzazione, da parte degli Imperi centrali, dell’operazione Edelweiss (che consente di trasformare la guerra di trincea in un blitzkrieg vittorioso), ma Morselli inserisce anche un nexus event secondario piuttosto importante: il fortuito rapimento del Kaiser, da parte di un pilota inglese, porta comunque al dissolvimento del Reich e alla trasformazione della Germania in una repubblica, nonostante il risultato bellico positivo. Il linguaggio militare e strategico sono utilizzati in maniera estremamente pertinente e la ricostruzione della situazione politica del contesto storico è accuratissima, mentre Von Allmen, che potrebbe essere considerato il protagonista, ha un ruolo, rispetto al corso degli eventi, in fondo, piuttosto marginale, lasciando emergere invece una struttura polifonica che ricorda non poco The Man in The High Castle di Philip K. Dick.

Opera più recente, Il cavallo di Federico (1991) di Giorgio Ruffolo, già ministro dell’ambiente, è ambientato nel 2077 in una Palermo-Aziz ridivenuta capitale politica e culturale ma prende le mosse dal Duecento, quando Federico Barbarossa riesce a unificare la Penisola sotto un’unica bandiera, con sei secoli di anticipo rispetto alla realtà; mentre Ascolta, Israele (1991) di Ugo Bonanate si spinge molto lontano cronologicamente: dopo la morte di Gesù sulla croce le primissime comunità cristiane vengono distrutte e di conseguenza sarà l’ebraismo la religione predominante dei paesi occidentali. Entrambe queste ipotesi sono parzialmente contemplate ne Il volo dell’Aquila (2014) di Tullio Bologna, raro esempio di ucronia inserita in una trama fantasy, dove si descrive un mondo parallelo in cui nel periodo della decadenza dell’Impero Romano la magia ha preso il posto della religione e il protagonista tenta di riunificare l’Italia. Un autore che ha coltivato con impegno il genere è il giornalista RAI Giampietro Stocco, al quale si devono Nero italiano (2003) e il suo seguito Dea del caos (2005), Dalle mie ceneri (2008), Nuovo mondo (2010) e La corona perduta (2013). Nero italiano racconta le avventure di un giornalista della Tv di Stato, Marco Diletti, invischiato suo malgrado in una congiura politica, mentre sullo sfondo abbiamo ancora nel 1975 il regime fascista retto da un settantenne Galeazzo Ciano, regime molto ammorbidito e mantenutosi grazie al fatto che l’Italia imitando la Spagna si mantenne neutrale ma adesso si ritrova isolata in una Europa dominata dalla Germania unificata e all’interno alle prese con il nascente movimento studentesco. Il seguito è ambientato trent’anni dopo, Marco è in pensione ma gli eventi precedenti hanno ancora un peso, mentre l’Italia si ritrova spaccata in tre: a Nord Est c’è un protettorato tedesco, il resto del Nord ha proclamato la Repubblica Democratica Cisalpina e nel Sud vige un regime comunista. I due romanzi sono a metà fra il thriller e la spy story in un ambiente fantastorico ma non rivelano alcun sostrato ideologico. Dalle mie ceneri prende spunto dalla guerra tra Gran Bretagna e Argentina per il possesso delle isole Falkland/Malvinas, immaginando che Argentina e Cile si siano fuse in un unico Stato di nome Cono Sur e che il golpe di Pinochet non sia mai avvenuto; anche qui siamo in presenza di una vicenda individuale del tipo “intrigo internazionale”, con un protagonista alla ricerca di verità nascoste dal sistema politico che pure è di tipo socialista. Meno riuscito il più avventuroso, quasi salgariano, Nuovo mondo, in cui Cristoforo Colombo, accompagnato per l’occasione da Leonardo da Vinci, trova l’America già colonizzata. Altro radicale cambiamento di scena in La corona perduta, in cui Napoleone è morto durante la campagna d’Italia e di conseguenza nel 2006 è la Spagna dei Borboni la nazione egemone non solo dell’Europa, perché possiede Portogallo, Italia meridionale, mezzogiorno francese e tutta l’America latina.

Un ottimo scrittore che ha fatto dell’ucronia (assieme all’antiutopia) quasi un marchio di fabbrica è Pierfrancesco Prosperi, che già negli anni Sessanta scriveva racconti aventi a protagonisti Mussolini, il gerarca nazista Albert Speer (architetto come lui) e altri personaggi del periodo più buio della storia europea, ma senza nessun particolare sotteso ideologico. Tra le varie opere ricordiamo almeno Seppelliamo Re John (1973), che ha per tema gli uni­versi paralleli e la storia americana: il John del titolo è infatti il presidente Kennedy, e Prosperi immagina tre futuri possibili della storia americana in cui l’assassinio di Kennedy è sempre un avvenimento fondamentale che deve essere impedito, ma finisce con l’accadere (in uno dei tre futuri, ad esempio, Kennedy non viene ucciso a Dallas nel 1963, ma nel 1965 durante il suo secondo mandato); Garibaldi a Gettysburg (1993), in cui si immagina che il Veneto sia ancora sotto la domina­zione austriaca perché l’Eroe dei Due Mondi è andato a combattere nella Guerra di Secessione americana (nella realtà l’of­ferta gli fu fatta, ma Garibaldi rifiutò); Armageddon 2014, ambientato appena un anno dopo la pubblicazione in una Israele dove un giornalista italiano – ebreo – viene inviato per realizzare dei servizi sulla crisi politica che intanto subisce un peggioramento a causa dell’atteggiamento distruttivo dell’Iran di Ahmadinejad (il quale, nel futuro immaginato da Prosperi, sarà anco­ra il capo del Governo), pronto a far esplodere una potentissima bomba nucleare su Tel Aviv; Majorana ha vinto il Nobel (2016) nel quale il celebre fisico non scompare nel 1938 come fu nella realtà ma in un 1945 in cui la Seconda Guerra Mondiale non si è mai svolta, dopo un intrigo spionistico. Aldilà delle trame i romanzi di Prosperi sono ben condotti dal punto di vista della vicenda (sempre appassionante), ottimamente documentati, fedeli all’assunto che dicevamo all’inizio su come si crea un’ucronia perfetta e scritti con un linguaggio secco e preciso che cattura immediatamente il lettore.

Enrico Brizzi (che suscitò clamore con il suo Jack Frusciante ma poi ha scritto altri libri di successo) si dedica all’ucronia nel 2008 con L’inattesa piega degli eventi, ambientato nel 1960 a ridosso delle Olimpiadi romane, dopo che l’Italia aveva rotto in tempo l’alleanza con Hitler e si era schierata con i vincitori, era diventata una repubblica e aveva ampliato le sue colonie. Ma il regime fascista è sempre in piedi, anche se Mussolini è ormai morente e tra i gerarchi si è scatenata la lotta per la successione. Su questo sfondo si muove la vicenda di Lorenzo Pellegrini, giornalista sportivo che vorrebbe seguire le Olimpiadi ma che per punizione viene mandato a seguire il campionato di calcio in Africa Orientale, il cui vincitore parteciperà poi a una specie di Champions League tra le squadre dei vari possedimenti italiani (Corsica, Malta, Albania… ). Nella colonia scoprirà che ci sono fenomeni di corruzione, razzismo, scioperi e trame indipendentiste, violenza a vari livelli, insomma che la dittatura “morbida” esistente nella Repubblica Italiana è qui molto più pesante e che la propaganda di Stato nasconde questa situazione. Da un punto di vista tecnico L’inattesa piega degli eventi è uno degli esempi migliori di come si costruisce una storia ucronica esemplare e l’ambientazione è ben costruita, peccato però che la trama sia troppo infarcita di episodi collaterali, i personaggi siano poco credibili e lo stile di Brizzi piatto e senza personalità. Il romanzo ebbe comunque successo tanto che l’autore lo ha dotato di due prequel: La nostra guerra, che descrive l’adolescenza del protagonista negli anni Quaranta, e Lorenzo Pellegrini e le donne ambientato nei Cinquanta.

Nel novero della fantastoria va messo anche un bel romanzo di Carlo Bordoni, Il cuoco di Mussolini, in cui s’immagina che il duce passi qualche giorno in un paesino della Toscana a ridosso della Linea Gotica nel tentativo di contattare segretamente gli Alleati, teoria che del resto qualche storico ha avanzato ma di cui mancano prove: un’ucronia che dura solo pochi giorni, dopo di che tutto torna alla normalità. Un’antologia degna di menzione è Se l’Italia… curata da Gianfranco de Turris, con una serie di racconti che stravolgono avvenimenti storici a partire da Romolo (che non fondò Roma) per finire con Berlusconi, passando per Dante (che non scrisse la Commedia), Cristoforo Colombo (finanziato non dalla Spagna ma da Genova), il Grande Torino (che non si schiantò a Superga), eccetera. Simile a questa è Altri Risorgimenti, dove come si intuisce dal titolo sono eventi dell’epopea risorgimentale a venire distorti nella finzione narrativa. De Turris ha operato molto in questo campo, sia per l’ucronia più in generale ma ancora di più riguardo al fantafascismo: ha curato antologie, ospitato romanzi in collane da lui dirette e ha caldeggiato la pubblicazione di altre opere presso vari editori, e questo ci porta inevitabilmente ad affrontare la questione da un punto di vista più politico, a partire da un libro “ribaltabile” che ospita due racconti antitetici ma complementari, L’estate e l’inverno di Maurizio Viano e Supplemento d’indagine di Pierfrancesco Prosperi: un’ucronia comunista e una fascista, la prima ambientata nell’Italia del Nord, sopra la Linea Gotica, la seconda nel resto della Penisola.

E’ interessante chiedersi perché il sottogenere dell’ucronia abbia avuto tutta questa fortuna proprio a destra. I simpatizzanti degli sconfitti della Seconda Guerra mondiale si sono costruiti così una spicciola automitologia condivisa, una sorta di risarcimento immaginario al naufragio militare e politico e alla damnatio memoriae delle loro ideologie totalitarie. D’altra parte il pensiero della destra radicale ha sempre cercato di piegare programmaticamente la storia ad usum delphini, inventandosi mitologie funzionali alla propria autoassoluzione e autogiustificazione (basti pensare al negazionismo sui campi di concentramento) o ricostruzioni epiche del tutto idealizzate di una realtà storica ben più spietata e prosaica (ad esempio la “difesa” del bunker di Berlino ad opera della “migliore” gioventù europea, in realtà solo poche decine di fanatici come le Waffen SS francesi della Divisione Charlemagne – francesi proprio perché ormai ben pochi tedeschi sarebbero stati disposti a morire per il Führer). L’uso funzionale dell’ucronia appartiene esattamente a questo tipo di deriva, tanto che il fantafascismo possiamo identificarlo come una vera e propria categoria specifica.

Sebbene il personaggio di riferimento in questo settore sia il già citato Gianfranco de Turris, in realtà, per sua stessa dichiarazione (rintracciabile su internet), il gonfalone, anzi il gagliardetto della primogenitura va conferito a Riccardo Leveghi (1944-1984). Scrive De Turris: Avevo conosciuto epistolarmente una persona straordinaria che si chiamava Riccardo Leveghi, un mio coetaneo di Trento, poi morto nell’84. Nel ’64 aveva fatto una fanzine che si chiamava L’aspidistra, dal titolo di un libro di Orwell. Gli scrissi proprio in seguito alla lettura della rivistina. Leveghi, oltre ad essere un appassionato di fantascienza, poi diventato validissimo scrittore, era anche un militante di Avanguardia Nazionale. In seguito lo andai a trovare, e sugli scaffali della sua libreria trovai i libri di questo tal Julius Evola che, tramite Adriano Romualdi, ho poi conosciuto di persona, intorno al ’68. Tuttora De Turris è presidente della Fondazione Julius Evola e principale regista dell’operazione di inglobamento da parte dell’estrema destra delle figure di Tolkien (i Campi Hobbit furono, alla fine degli anni ’70, la risposta neofascista ai festival open air dell’opposta fazione) e di H.P. Lovecraft (già nei primissimi anni ’70 da De Turris entusiasticamente antologizzato sulla rivista La Destra, per Le Edizioni del Borghese, con un epistolario dove emerge il “meglio” del suo razzismo più becero).

Se le posizioni di De Turris sono però pubbliche e manifeste, quelle di Leveghi restano invece ambigue e oscure, tanto che alcuni suoi racconti (per altro obbiettivamente assai pregevoli) vengono pubblicati su riviste di tutt’altro orientamento politico come la Robot di Curtoni. Leveghi non scrive esattamente ucronie – a parte il racconto “Il fuoco della fenice”, pubblicato anche come “Storia di un anno”, che non a caso sarà ristampato nell’antologia ucronica Fantafascismo! compilata nel 2000 da De Turris – ma si dedica soprattutto a due cicli, uno “spaziale” dei deserti (ogni racconto con un colore diverso) e uno horror degli incubi (ognuno ambientato in una diversa città: il più noto è “Incubo romano”, incluso nel 1987 nel volume Racconti fantastici del ‘900, per gli Oscar Mondadori). La scrittura enigmatica e laconica di Leveghi è indubbiamente affascinante e non lascia trasparire se non in filigrana, alcun orientamento ideologico esplicito. Il capostipite dichiarato dell’ucronia fantafascista è invece Pier Carpi – di fatto solo in quest’unico testo, forse più provocatorio che effettivamente nostalgico – con “La morte del Duce”, pubblicato nel 1972 sullo storico n. 165 di Galassia, Fanta-Italia: 16 mappe del nostro futuro, seconda antologia interamente dedicata agli autori italiani, e poi ristampato nel 2000 nel volume-manifesto Fantafascismo!. Il racconto, epitome di tutta l’ucronia littoria, immagina un articolo fittizio del Corriere della Sera dove vengono descritti i funerali di Mussolini negli anni Sessanta, durante i quali il fascismo è ormai diventato l’ispiratore del terzomondismo rivoluzionario dai barbudos cubani alle Pantere Nere, i cui rappresentanti salutano romanamente, anziché col pugno chiuso, il passaggio del feretro: nel finale, per miracolo, dei fiori sbocciano sull’asfalto in Piazzale Loreto.

L’antologia di De Turris è un vero e proprio manifesto programmatico dell’ucronia neofascista declinata in tutte le sue sfaccettature: oltre al recupero di Pier Carpi e Leveghi, include tutta la consorteria destrorsa-tradizionalista legata all’Editore Solfanelli, alla collana Thule, alla rivista Dimensione Cosmica, al Premio Tolkien, con figure come Adolfo Morganti (direttore della casa editrice integralista cattolica Il Cerchio), Tullio Bologna, Marco De Franchi, accanto all’ex comunista Diego Gabutti e a inclassificabili come Piero Prosperi e Riccardo Valla (forse capitati lì solo perché amici personali di De Turris), due autori ancor più fortemente connotati come Errico Passaro e Mario Farneti. Il primo, oltre al racconto antologizzato e al brutto romanzo fantasy Le maschere del potere anche questo accusato di fascismo latente, aveva già pubblicato nel 1996 Gli anni dell’Aquila. Cronache dell’Ur-Fascismo 1922-2422, fortemente apologetico, in cui il “fascismo eterno” persiste persino dopo cinquecento anni di regime (volume ovviamente pubblicato, come del resto anche Fantafascismo!, da un editore di estrema destra, Settimo Sigillo, e conosciuto quasi esclusivamente in quell’ambiente). Il secondo – che si è sempre professato “non fascista” pur se le idee espresse nei suoi testi lo smentiscono ampiamente – ha ottenuto invece un’effimera notorietà con il romanzo Occidente (espansione dell’omonimo racconto incluso in Fantafascismo!) alla base di una trilogia edita dal 2001 al 2006 per Nord, editore estraneo all’area neofascista. Testi estremamente mediocri e nemmeno riusciti tecnicamente in base a quello che si diceva all’inizio (troppo irreali la variazioni storiche proposte) – in sostanza varianti sviluppate dello scenario del racconto di Pier Carpi (che almeno aveva il senso dell’ironia): un’Italia vittoriosa e fascista – dominati da un nostalgismo ingenuo e ridicolo. Per un breve periodo ispirarono perfino una orribile serie a fumetti Gli Albi di Occidente, il tutto per fortuna oggi caduto giustamente nel dimenticatoio.

Al contrario invece le premesse filosofiche antistoricistiche che, rimandando a Tilgher e a Evola, ispirano questa strumentalizzazione dell’ucronia, continuano a perpetuarsi fino all’attualità. Ancora nel 2018 infatti, De Turris cura per Bietti, Fantafascismi. Venti racconti di storia alternativa, raccolta di racconti che partendo programmaticamente da una citazione evoliana (per loro sfortuna non hanno niente di meglio…), immaginano sviluppi alternativi del regime mussoliniano: il gioco appare così ripetitivo e scontato da depotenziare nella noia qualsiasi velleità provocatoria o eversiva e risultare in fondo innocuo. Nella quasi totalità dei testi un personaggio più “simpatico”, secondo le preferenze dell’autore – che sia D’Annunzio, Balbo, Grandi, Ciano o Marinetti – fa le scarpe al duce e cambia il volto del regime, oppure è lo stesso Mussolini che si riscatta, per esempio non firmando i Patti Lateranensi o non alleandosi con Hitler, ecc. in base ai liberi estri dell’ucronista: ad ognuno il suo fascismo su misura… I nomi sono quelli dei soliti “camerati”- come Farneti, Passaro, Bologna, – o degli “apolitici” – come Altomare o Prosperi, – più vari autori nuovi e meno noti.

Se in questi suoi sviluppi senili il fenomeno sembrerebbe ridursi ormai a poco più del vezzo folkloristico e solipsista di una banda di goliardi fuori tempo massimo, un po’ come una gita sociale al cimitero di Predappio con degustazione di lambrusco etichettato col testone del duce, altri tragici fatti recenti potrebbero invece smentire tale rassicurante interpretazione. Il sonno della ragione dell’ucronia volta a fini propagandistici, della contaminazione fra letteratura fantastica ed evolismo o evolomania, in equilibrio precario fra neofascismo nostalgico e tradizionalismo esoterizzante e razzista, può davvero generare mostri: il caso di Gianluca Casseri, frequentatore di Lovecraft e Tolkien, oltre che di Casa Pound, e autore con Enrico Rulli (per altro estraneo alle patologie ideologiche del collega) del romanzo fantastico – non ucronico e non nostalgico ma “esoterico”- La chiave del caos, con prefazione di Gianfranco de Turris – e di un lungo saggio sull’ucronia, dovrebbe costituire un lugubre monito: nessuna alternativa ucronica può riscrivere le vite dei due innocenti senegalesi da lui uccisi a colpi di 44 magnum per le vie di Firenze nel 2011.

Si potrebbe pensare che se esiste un fantafascismo possa esistere qualcosa di analogo sul versante opposto dello schieramento politico, un “fantacomunismo” o qualcosa del genere. Non è così, per un semplice motivo. Il popolo della sinistra, a maggior ragione quello radicale, ma anche i più moderati, non si è mai definito “antimoderno”, non ha rinnegato i principi dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese, del pensiero critico marxiano, degli esiti militari della Seconda Guerra mondiale: marxianamente non si è limitato a interpretare il mondo ma ha cercato di cambiarlo e ha creduto che funzione primaria della letteratura fosse anche contribuire a questa lotta e non solo a creare oasi immaginali ideali, impermeabili all’attrito delle forze storiche e sociali. La sinistra è critica anche nei confronti della sua stessa parte, non condanna a priori i mutamenti della società, insomma coesiste con uno zeitgeist non vincolato a idee preconcette, a incapacitanti prospettive mitiche e pseudo-misticheggianti come invece è la destra, soprattutto quella radicale. Pertanto gli autori che condividono idee progressiste preferiscono all’ucronia la distopia: scrivono mostrandosi critici verso le storture della società, di cui estrapolano le tendenze negative proiettandole nell’immaginario, e non per inventarsi la visione idilliaca di una allostoria a loro uso e consumo.

Riguardo alla valenza politica della science fiction una semplice constatazione: nata sulle tracce del positivismo, dell’utopia e come estensione della narrativa di viaggio, imbevuta del senso del meraviglioso che avrebbe portato il futuro, dopo la Seconda Guerra Mondiale si è trasformata in una letteratura che criticava la guerra, il militarismo, il colonialismo, l’uso della scienza a scopi militari, i totalitarismi, lo strapotere economico dei poteri forti, il ruolo essenziale e devastante della pubblicità, eccetera, attingendo adesso ai paradigmi dell’antiutopia. Come giudicare una forma di narrativa che affronta problemi come la sovrappopolazione, l’inquinamento, l’ecologia, la funzione dell’individuo nella società, la crisi economica, il ruolo del “diverso” (gli alieni della fantascienza, o i mutanti, sono paragonabili agli immigrati della vita reale), il valore della vita, l’uguaglianza tra le persone e così via? A questo proposito sarebbe bene leggere o rileggere il saggio Fantascienza e comunismo (La Salamandra, 1979) del succitato Diego Gabutti.

Dunque un’ucronia di sinistra, è un evento piuttosto sporadico e non sempre molto significativo: fa eccezione pur nella sua bizzarria anacronica più che ucronica – e ci teniamo a citarlo per il nostro profondo amore e ammirazione verso l’autore – solo Aprire il fuoco, di Luciano Bianciardi (1922-1971), romanzo altamente sottovalutato da critica e pubblico e scritto dallo sfortunato autore nel 1969, il momento più tragico del gravissimo problema di depressione e alcolismo che lo avrebbe precocemente condotto alla tomba due anni dopo; la descrizione di una Milano in cui le 5 Giornate sono avvenute nel 1959 in un Lombardo-Veneto ancora in mano austriaca e in cui sulle barricate rivoluzionarie si affiancano Carlo Cattaneo, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Esiste invece una solida produzione di opere di fantascienza dichiaratamente – cioè aldilà delle tematiche appena ricordate – progressista. Troppe per poterle citare tutte, ma va fatto almeno il nome di un autore, Vittorio Catani, che sostiene esplicitamente che la sua produzione si può in larga parte inquadrare in una sorta di “fantamarxismo” (non pre­tende infatti — scrive l’autore — il mar­xismo di essere una scienza?), visto con occhio critico ma senza abbandonare l’ideologia di fondo. Proprio Catani è curatore di un’antologia in tema – Il futuro nel sangue:19 fantapologhi sul potere, pubblicato nel 2003 come numero speciale della rivista Carmilla, allora ancora cartacea – mentre nello stesso ambito ricordiamo – se ci è concesso autocitarci – almeno le due raccolte Ambigue utopie: 19 racconti di fantaresistenza e Sinistre presenze: 17 racconti horror impegnati, la prima rigidamente di fantascienza e con qualche racconto ucronico, la seconda più orientata sul versante fantastico-orrorifico ma con lo stesso impianto.

 

 

 

 

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I mondi di Miyazaki https://www.carmillaonline.com/2016/02/22/i-mondi-di-miyazaki/ Mon, 22 Feb 2016 22:30:05 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28483 di Gioacchino Toni

cover miyazakiMatteo Boscarol (a cura di), I mondi di Miyazaki. Percorsi filosofici negli universi dell’artista, Mimesis, Milano – Udine, 2016, 122 pagine, € 12,00

Il saggio, curato da Matteo Boscarol, passa in rassegna la produzione del grande animatore, mangaka e regista Miyazaki Hayao. Non mancano pubblicazioni in lingua italiana sull’opera di Miyazaki ma l’intenzione del saggio appena dato alle stampe è quella di affrontare le opere del giapponese da un punto di vista filosofico e/o religioso al fine di individuare e creare connessioni e scoprire linee di pensiero non ancora, [...]]]> di Gioacchino Toni

cover miyazakiMatteo Boscarol (a cura di), I mondi di Miyazaki. Percorsi filosofici negli universi dell’artista, Mimesis, Milano – Udine, 2016, 122 pagine, € 12,00

Il saggio, curato da Matteo Boscarol, passa in rassegna la produzione del grande animatore, mangaka e regista Miyazaki Hayao. Non mancano pubblicazioni in lingua italiana sull’opera di Miyazaki ma l’intenzione del saggio appena dato alle stampe è quella di affrontare le opere del giapponese da un punto di vista filosofico e/o religioso al fine di individuare e creare connessioni e scoprire linee di pensiero non ancora, o non del tutto, esplorate dagli studi in lingua italiana. Il volume, che raccoglie scritti di Alberto Brodesco, Marcello Ghilardi, Andrea Fontana, Marco Casolino, Luigi Abiusi, Roberto Terrosi e Massimo Soumaré, affronta questioni che vanno dall’ucronia al pacifismo in Miyazaki, dalle presenze divine alle questioni filosofiche presenti nei suoi lavori come mangaka, da riflessioni sulla tecnica al rapporto tra natura e scienza.

Lo scritto di Alberto Brodesco (“La melanconia dell’ingegnere. Il sogno tecnoscientifico di Si alza il vento”) analizza l’ultimo lungometraggio del regista giapponese, ispirato a due diverse opere: il racconto autobiografico dell’ingegnere Horikoshi Jirō, progettista del celebre aereo Zero impiegato nel corso della Seconda guerra mondiale, ed il romanzo Kaze Tachinu (The Wind Has Risen, 1938) di Hori Tatsuo, che narra le vicissitudini di una donna malata di tubercolosi.
Brodesco evidenzia l’importanza della comparsa in sogno al protagonista dell’ingegnere aeronautico italiano Giovanni Battista Caproni; comparsa che evidenzia una delle questioni centrali del film, ossia se i desideri meritino di essere conseguiti a prescindere dagli effetti che essi potranno generare sul resto del mondo. In questo caso la domanda che attraversa l’opera riguarda la legittimità dei sogni aeronautici “puri”, estetici, in rapporto ad una realtà che finirà per sfruttarli a fini bellici. Lo studioso evidenzia anche come il sogno che accomuna il protagonista giapponese e la figura di Caproni coincida con il sogno delle rispettive nazioni che, percependosi arretrate, vedono nell’innovazione tecnologica uno strumento di riscatto collettivo.
Le figure dei due scienziati messe in scena di Miyazaki rimandano a quel tipo di scienziato che lo studioso Roslynn D. Haynes definisce “lo stupido virtuoso”, ossia quell’uomo di scienza che vive fuori dalla realtà senza avere coscienza delle implicazioni sociali del suo operare scientifico, ed i due ingegneri possono essere ricondotti a tale categoria proprio «perché si interrogano sì sull’utilizzo dei loro aeroplani, sulle conseguenze dei loro progetti, ma risolvono la questione rifugiandosi nell’ambito dell’estetica: l’importante è fornire al mondo degli oggetti che lo rendano più bello» (p. 18).

LE VENT SE LEVE un film de Hayao Miyazaki au cinéma le 22 Janvier 2014All’uscita del film il regista è stato accusato di dare scarsa importanza all’utilizzo militare dell’aereo, rifugiandosi quasi esclusivamente in una lettura estetica della tecnologia, inoltre, a Miyazaki è stato rimproverato di non fare riferimento al ricorso agli operai cinesi e coreani schiavizzati nella costruzione dell’aereo e di insistere sulle tragedie subite dal Giappone piuttosto che su quelle da esso provocate. Altra critica mossagli riguarda le figure femminili che, mentre in opere precedenti apparivano dotate di una certa indipendenza e di protagonismo, in questo ultimo lavoro sembrano rivestire ruoli esclusivamente sacrificali. A fronte di tutte queste obiezioni Brodesco invita ad analizzare meglio il film ed a passare in rassegna la produzione precedente di Miyazaki, ove viene esplicitato il suo anti-militarismo.
Miyazaki oscilla più volte nel corso degli anni tra un’impostazione tecnofila, volta ad elogiare la modernità ed il progresso, ed un ambientalismo che, invece, presenta un conto salato allo sviluppo sconsiderato che si è dato nel corso del tempo. Venendo invece all’ultima opera, lo studioso sottolinea come questa non si limiti a narrare la biografia di un progettista di aerei militari, ma racconti anche le vicende di una malattia e l’aver voluto intrecciare due storie così diverse si deve, secondo l’analisi proposta, al fatto che «la storia di tubercolosi serve a Miyazaki per ricondurre la biografia dell’ingegner Horikoshi all’interno della cornice timica tracciata dal concetto di melancolia» (p. 21). Quest’ultima non ha a che fare soltanto con la coppia alle prese con la malattia ma anche con il racconto del percorso professionale del progettista dello Zero; «Lo studio che guida il suo progetto di macchina volante lo lascia esposto a questo vento serotino. Il carattere della melancolia non ha infatti a che fare solo con la sfera patemica ed estetica del romanticismo, ma anche con la ricerca di perfezione. […] L’utilizzo del tema della melancolia non vuole quindi solo o semplicemente portarci a ragionare sul topos della solitudine del genio isolato (artistico o scientifico cambia poco), ovvero sui tratti della personalità creatrice, ma ci aiuta a interpretare, nel quadro del rapporto tra “macchina” e “modernità”, anche la relazione tra Horikoshi e il suo tempo, tra coscienza individuale e Zeitgeist, tra tecnoscienza e ideologia» (pp. 21-22). Tutto ciò, secondo Brodesco, risulta in linea con le riflessioni sviluppate dallo studioso Pierangelo Schiera (Specchi della politica. Disciplina, melancolia, socialità nell’Occidente moderno, 1999): «È il dilemma della scienza moderna che s’incarna nella moderna melancolia, impregnando di sé interamente l’attitudine al progetto, vera e propria “ideologia” della modernità» (p. 22).
Nel saggio viene, inoltre, individuata ne La montagna incantata di Thomas Mann un’altra fonte di ispirazione per il film; in entrambi i casi si ritrova il sanatorio e l’ambientazione tra le due guerre, il nome del dissidente tedesco Castorp coincide con quello del protagonista del romanzo ed, inoltre, anche nell’opera di Mann si ritrova la figura di un mentore italiano, l’umanista Lodovico Settembrini, che non manca di citare con ammirazione Prometeo, «prototipo di umanista, uomo coraggioso, martire della religione della scoperta» (p. 24).

Anche nell’intervento di Marcello Ghilardi (“Tempo, tecnica, esistenza nell’ultimo Miyazaki”) si parte dall’ultima opera del regista sottolineando come la dimensione del sogno abbia un ruolo centrale nel film; il protagonista però non sogna per fuggire dalla realtà ma per integrarla realizzando qualcosa in grado di incidere su di essa. La figura di Caproni che compare in sogno a Jirō svolge la funzione del Maestro che indica la strada al giovane allievo, è la figura dell’Altro, «il correlato oggettivo di un percorso interiore che è un cammino verso di sé proprio perché è anche un cammino verso l’Altro, attraverso l’Altro; il sé più intimo si dà sempre nella relazione con l’alterità e nella pluralità degli incontri» (p. 28). Buona parte della produzione del giapponese è attraversata dalla contraddittorietà della tecnica, dai rapporti tra i suoi esiti positivi e quelli negativi, tra emancipazione umana e distruzione planetaria.
Jirō sfrutta un difetto fisico che non gli consente di volare (la miopia) nell’occasione che gli consente di trovare una nuova strada. «La parabola esistenziale e la vocazione di Jirō coincidono con il tentativo di custodire il proprio desiderio, espresso nei sogni, e di proteggerlo dal tumulto delle epoche, dai disastri della guerra, dagli accadimenti storici che travolgono le singole vite. È proprio in questo tentativo estremo, che sembra votato allo scacco, che Jirō trova un valido alleato nella figura quasi leggendaria di Caproni, immagine del Sé con cui Jirō riesce a entrare in contatto e con cui dialoga per poter accedere a se stesso» (pp. 28-29).
Altra questione chiave che compare nel film riguarda il rapporto tra infanzia ed età adulta; ponendosi a livello delle nuvole anche l’adulto riesce a ritrovare la semplicità e la profondità dello sguardo infantile coniugata però alla consapevolezza della maturità.

kaze-tachinu-2Anche in questo intervento viene sottolineato come il rapporto con la tecnica sia contraddittorio nel film; si alterna la consapevolezza che quelle realizzate saranno macchine di morte ma al tempo stesso viene ribadito che la filosofia che muove gli inventori intende gli aerei come sogni e non come macchine da guerra e mezzi di profitto commerciale; il progettista intende dare forma ai sogni così come chi disegna conferisce corpo all’immaginazione. Verrebbe allora da domandarsi, continua lo studioso, se la «visione interiore di Jirō coincide con la vocazione di chi ha dedicato la vita ad animare figure disegnate, intessendole di suoni e parole. In quella voce risuona anche un’urgenza, una necessità interiore da cui dipende tutto il senso dell’esistere, di ciò che in esso reclama attenzione» (p. 31).
È interessate constatare, continua Ghilardi, che tanto Jirō quanto la giovane Nahoko sono tratteggiati da Miyazaki al fine di esprimere «la dedizione sincera a un ideale, la purezza dell’intenzione. Quando tutto sembra crollare e non si trova nulla a cui appoggiarsi, nessuna stampella a cui aggrapparsi, è la capacità di mantenere intatta la propria purezza interiore a custodire una radura luminosa da cui ripartire, un fondo di energia e di sicurezza da cui attingere nuova linfa» (p. 32). Il saggio indugia anche sulle trasformazioni produttive, politiche e sociali che attraversano il Giappone nel corso del Novecento in parte determinate dall’influenza esercitata dalla cultura occidentale soprattutto scientifica e tecnologia. «L’illusione che al progresso tecnico corrisponda un cammino razionale in grado di far aderire tutti gli esseri umani a una capacità di coesistenza nella società inibisce spesso la lucidità essenziale per comprendere la necessità di un’educazione in senso lato politica, per fare i conti con l’ambiguità della tecnica stessa, con i movimenti e le sterzate che imprime alla Storia» (pp. 33-34).
«Può essere che al Giappone in cui vivono, sognano, desiderano Jirō e Nahoko mancasse in quegli anni un pensiero in grado di pensare la tecnica e di pensare la Storia […] La risposta indiretta di Jirō e Nahoko al militarismo e allo scientismo tecnocratico degli anni Trenta passa attraverso l’adesione matura al proprio progetto esistenziale. Si traduce nel tentativo di proteggere anche nel mezzo della frenesia pre-bellica alcune forme di vita, di abnegazione e di impegno sincero, con valori diversi da quelli nazionalistici per cui vivere – senza per questo rinunciare a farsi interpreti della realtà di quell’epoca, senza cioè ritrarsi in una sorta di cieco isolamento» (p. 34). Il difficile e contraddittorio tentativo di far convivere progresso e tradizione, umano e tecnologico, lo si ritrova in diverse opere di animazione nipponiche a partire dalla seconda metà del ‘900.
Nella cultura giapponese è stata sviluppata una sensibilità particolare indirizzata all’effimero, all’apparire e sparire di tutte le cose. Secondo Ghilardi, Jirō e Nahoko testimoniano il desiderio di vivere il presente pur senza identificarsi pienamente con esso. Non intendono resistere al tempo in cui vivono ma resistere nel tempo, imparando nella quotidianità a esistere nel presente, ad accogliere ciò che viene, a essere in comunione con ciò che accade.

In apertura del suo intervento, Andrea Fontana (“Il pacifismo utopico di Miyazaki”) tratteggia brevemente la storia recente del Giappone evidenziando come, a partire dal suo aprirsi al mondo esterno di metà Ottocento, si sia determinata una compattezza interna votata al nazionalismo ed a un’ideologia della sottomissione. Le tragedie di Hiroshima e Nagasaki sono restate impresse fisicamente e psicologicamente nella coscienza collettiva del Giappone, tanto da modificarne profondamente l’immaginario ed il pacifismo che si sviluppa a livello diffuso nel dopoguerra, culminante nei movimenti del ’68, si radica fortemente nell’immaginario collettivo nipponico divenendo un elemento portante delle produzioni di carattere poetico ed artistico.
In epoca recente il Giappone è venuto meno ai dettami pacifisti scritti sulla carta costituzionale ed il paese si è trovato a supportare gli interventi in Afghanistan ed Iraq, soprattutto, sottolinea l’autore, per far fronte all’ascesa economica e politica della Cina ed in risposta alle minacce provenienti dalla Corea del Nord e dalla Russia.
In Conan il ragazzo del futuro (Mirai shōnen Konan, 1978, 26 episodi), serie ispirata a The Incredible Tide (1970) di Alexader Key, emergono i nuclei tematici che saranno poi ricorrenti nelle opere del regista: l’ambientalismo, l’antimilitarismo, il volo, l’amore portatore di serenità… La serie riflette sulle tragedie della Seconda guerra mondiale e ciò che viene raccontato in forma fantascientifica è il dopoguerra del Giappone in cui Conan e Lana si trovano a dover ricostruire il mondo.
Nell’ultimo lungometraggio realizzato dal giapponese si incrociano elementi onirici, ove tutto risulta possibile, con elementi di realtà, di una realtà che è anche dolore e tristezza. Il sogno consente al protagonista di superare i limiti ma questo sogno, nella realtà, finisce per essere strumentalizzato per fini militari. «Da Conan il ragazzo del futuro a Si alza il vento le convinzioni di Miyazaki sono rimaste le stesse: la pace deve necessariamente trionfare su tutto, poiché da essa dipende l’equilibrio del mondo. Ma da un’opera all’altra sono mutate le prospettive, l’amarezza e un pizzico di nostalgia hanno preso il sopravvento, divenendo così parti integranti di una visione che da utopica si è fatta leggermente più incrinata nella sua sublime ingenuità» (pp. 46-47). Proprio in un momento storico in cui il Giappone sta abbandonando quel pacifismo maturato dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, sostiene Fontana, occorre valorizzare l’impostazione pacifista di Miyazaki che con le sue opere immaginifiche è riuscito a trasmettere la visione del mondo di chi è stato testimone diretto degli orrori della guerra e non si è sottratto ad un’azione contestataria nei confronti di una società sempre meno propensa a far tesoro della storia e sempre più votata alla distruzione del pianeta. Tutto ciò viene dato a vedere, nei film, attraverso gli occhi innocenti dei bambini, attraverso il potere metaforico del linguaggio poetico che ribadisce la necessità di offrire ai bambini la possibilità di sognare e di essere ingenui.

miyazaki_piuttosto che...L’intervento di Marco Casolino (“Scienza, tecnologia e natura in Miyazaki”) inizia dall’analisi della serie televisiva Conan il ragazzo del futuro (Mirai shōnen Konan, 1978), ove gli scienziati vengono presentati come individui ingenui che, pur tentando di porre rimedio ai disastri compiuti precedentemente, non si accorgono dei soprusi su cui si regge la loro società fortemente gerarchica e divisa in caste. Come in altre opere di Miyazaki, il lungometraggio si interroga circa la possibilità o meno di concepire una ricerca pura senza interrogarsi sulle sue conseguenze reali.
La visione pessimista che emerge in diverse opere di Miyazaki, non riguarda tanto la tecnologia, quanto piuttosto l’incapacità dell’essere umano di gestire quei mutamenti sociali e culturali portati dal progresso.
Anche nello scritto di Casolino torna la riflessione sull’aeronautica così cara al regista nipponico. Nel film Porco Rosso (Kurenai no buta, 1992), ambientato in Italia nel 1929, il protagonista, segnato dalla tragica esperienza della Prima guerra mondiale, non intende rendersi complice del fascismo e lo dichiara esplicitamente: “Meglio maiale che fascista”. Tale affermazione, scrive lo studioso, «riassume non solo la posizione politica del Porco (e di Miyazaki), ma soprattutto ne ribadisce l’allontanamento dal mondo umano» (p. 62). Lo scritto si sofferma sulle diverse risposte che nel film Si alza il vento i progettisti Giovanni Caproni (1886–1957), Hugo Junkers (1859-1935) e Horikoshi Jirō (1903-1982), danno al dilemma se e come ci sia la possibilità di opporsi all’uso bellico degli amati aerei progettati.
Secondo lo studioso, nei film di Miyazaki, non è la tecnologia in sé a corrompere l’essere umano, ma questa contribuisce a mettere in luce la natura peggiore dell’uomo. Analogamente, in altre opere, come Il castello errante di Howl (Hauru no ugoku shiro, 2004), la magia può provocare un pericoloso allontanamento dal mondo umano; da questo punto di vista tecnologia ed arti magiche hanno il medesimo ruolo.

Luigi Abiusi (“Geografie e gradi dell’ucronia-Miyazaki”) contestualizza la natura postmoderna delle opere di Miyazaki facendo riferimento a quel radicamento della televisione negli anni ’70 caratterizzata da un «proliferare simultaneo di mondi e personaggi che, da una serie all’altra […] si ripetevano, tra fauve e favola, sotto forma di varianti, si contraddicevano, sublimavano nella totale falsità del testo d’animazione, variopinto, stereotipato iperuranio di sagome volanti» (p. 71).
Abiusi, mantenendo sullo sfondo il confronto con le tesi proposte da Fredric Jameson, soprattutto nel suo celebre (Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, 1989), propone una riflessione su quella che definisce «offerta tardo capitalista di visioni» (p. 71) tipica di quel momento storico e, dopo essersi soffermato su alcune produzioni di animazione realizzate a cavallo tra anni ’70 ed ’80, focalizza il suo studio sulle ucronie presenti nelle opere di Miyazaki, .

Nel suo intervento, Roberto Terrosi (“Il dio della foresta – una lettura di Mononoke hime”), analizza il ruolo del buddismo nella cultura giapponese soffermandosi in particolare sul rapporto tra monaci buddisti e potere che, secondo lo studioso, avrebbe portato il buddismo ad essere visto in Giappone «come una religione del sistema in contrapposizione allo scintoismo, che è visto come religione popolare, anche se tra la fine dell’Ottocento e la fine della Seconda guerra mondiale le parti sono state temporaneamente invertite. Questo fa sì che si possano trovare valutazioni molto difformi tra i giapponesi sul ruolo del buddismo e dello shintō, a seconda anche del periodo storico a cui si fa riferimento» (pp. 86-87). Terrosi sottolinea come recentemente vi sia stata una certa «rivalutazione dello shintō, percepito come religione spontanea della natura, contro le perversioni della civiltà incarnate qui in Giappone dal moralismo ipocrita del buddismo compromesso con il potere. Il buddismo era infatti la religione dei nobili e dei ricchi, di quelli che avevano studiato, anche perché ha un corpus teorico complicatissimo che esige l’accesso allo studio» (p. 87). Tutto ciò, secondo lo studioso, aiuta a comprendere l’immagine negativa che ha il monaco buddista nell’opera Principessa Mononoke (Mononoke-hime, 1997) di Miyazaki.
Il saggio, dopo essersi soffermato sulle diverse etnie che hanno dato vita al Giappone, ed aver passando in rassegna il loro rapporto con la natura ed alcune loro divinità, analizza diversi aspetti del film di Miyazaki alla luce di tali tradizioni. Il cervo è considerato in Giappone uno spirito messaggero e nell’opera di Miyazaki compare presentato come dio della foresta, cioè di un ecosistema in equilibrio che rischia, se ferito in profondità, di essere definitivamente compromesso a causa della perdita di quell’equilibrio su cui si basa. Terrosi invita a cogliere come, sul finire del film, l’autore mostri un’evidente contrapposizione: «Da una parte ci fa vedere un’umanità incattivita verso la natura che si rifugia nella tecnica per colmare le sue paure senza accorgersi della distruzione che porta. Dall’altra mostra, quando il bonzo con astuzia riesce ad attentare alla vita del Diocervo, il dio nella sua natura finalmente estrinseca di dio-foresta. Infatti l’anima della foresta che era concentrata e custodita nel corpo del cervo divino ora si libra e si manifesta come creatura a se stante prima di perdersi e svanire del tutto […] Ma fortunatamente questo avvio verso il disfacimento dello spirito della foresta e della sua riduzione a materia inerte viene avventurosamente fermato dal nostro eroe in combutta con la principessa Mononoke. Riusciremo anche noi a salvare il mondo dalla perdita della sua anima?» (pp. 92-93). La grande abilità di Miyazaki, secondo lo studioso, è quella di essere riuscito, attraverso il film, «a realizzare non solo una storia soggettivamente espressiva ma un “mito” universale per l’età della crisi ecologica» (p. 93).

Massimo Soumaré (“Il Principe Cane: elementi della filosofia e della poetica di Miyazaki Hayao in una fiaba tibetana”) affronta la poetica di Miyazaki a partire da Shuna no tabi (1983), manga che, secondo lo studioso, può essere visto come pietra fondante ove sono già presenti elementi da cui attingeranno diverse opere cinematografiche del maestro giapponese. Tale manga, che letteralmente può essere tradotto con “Il viaggio di Shuna”, è tratto da una fiaba popolare tibetana e narra le vicissitudini di un principe di un regno povero costretto ad assumere le fattezze di un cane come punizione per avere sottratto alcuni chicchi di grano al re drago. Come spesso accadrà nelle successive produzioni cinematografiche del giapponese, si tratta della storia di un eroe benefattore leggendario sullo sfondo del rapporto uomo-natura. Soumaré sottolinea come tale storia sia in linea «con le pulsioni animistiche e la credenza tipica dello shintoismo che in ogni essere vivente e oggetto dimorino degli spiriti» (p. 98). Le opere cinematografiche che maggiormente si avvicinano al manga Shuna no tabi, sono Nausicaä nella valle del vento (Kaze no tani no Naushika, 1984) e Principessa Mononoke (Mononoke-hime, 1997). Dall’analisi delle opere emerge come in entrambi i lungometraggi si palesi «una preferenza non per il racconto scritto, ma per quella tradizione orale che a lungo è stata l’elemento portante della trasmissione del sapere e che è molto più emozionale della semplice scrittura, perché le storie sono narrate con la partecipazione delle sensazioni del parlante» (pp. 102-103). Inoltre, secondo Soumaré, è possibile riscontrare analogie con H.P. Lovecraft e la sua mitologia pervasa da divinità aliene in grado di far perdere il senno agli uomini.
I protagonisti messi in scena da Miyazaki sono spesso adolescenti che si trovano ad attraversare il momento di passaggio verso l’età adulta; «Sono quasi la descrizione di un rito d’iniziazione per divenire esseri umani indipendenti, e Miyazaki non addolcisce per nulla questo processo. Si tratta di un momento lacerante sia fisicamente che spiritualmente per i protagonisti, ma necessario. Un momento con cui ogni uomo e donna ha dovuto confrontarsi nel corso della sua vita, indipendentemente dal risultato ottenuto. In ciò è definita quella differenza con altre storie di mangaka e registi d’animazione dove tutto spesso è più attenuato» (p. 104).
Miyazaki ha spesso criticato l’invadenza nella cultura giapponese di immaginari che mescolano ragazzine con personaggi dal carattere bambinesco che sembrano create appositamente per sostenere il desiderio dell’economia nipponica di mettere a profitto un certo tipo di subcultura fomentando l’acquisto di merci. Mentre nel paese proliferano tematiche, scenari ed immaginari utili al consumismo più sfrenato, tematiche come la solitudine e lo sfruttamento dell’essere umano faticano a trovare spazio nei manga contemporanei che, in molti casi, sembrano del tutto in linea con la deriva reazionaria della politica nazionale.

porco-rosso-Non resta che segnalare come, in chiusura del volume, si trovi una breve, ma interessante, analisi di alcuni cortometraggi di Miyazaki prodotti dallo Studio Ghibli: Il ragno d’acqua Monmon (Mizugumo Monmon, 2006), Il giorno in cui allevai una stella (Hoshi wo katta hi, 2006) ed In cerca di casa (Yadō sagashi, 2006). Terminata la lettura di I mondi di Miyazaki, non resta che riguardarsi l’intera produzione del grande animatore, mangaka e regista giapponese e, se fosse possibile, meglio farlo al cinema, di fronte ad un grande schermo.

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Controriforma scolastica https://www.carmillaonline.com/2008/09/14/controriforma-scolastica/ Sun, 14 Sep 2008 02:55:43 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=2780 di Alessandra Daniele

Squola.jpgDopo il voto in condotta, gli esami di riparazione e il grembiule, il Magister per la Pubblica Istruzione ha annunciato il ripristino di altri fondamentali strumenti didattici ingiustamente rimossi dallo smidollato pedagogismo lassista degli ultimi anni.

La mordacchia Per impedire che gli studenti lo adoperino in classe non basta sequestrargli il cellulare, bisogna andare alla radice del problema comunicativo: sequestrargli la lingua, inserendola in una funzionale tagliola di metallo agganciata dietro la testa. Resterebbero così libere le dita per gli sms, ma il ministero ha pensato anche a questo.

I ceppi Robusti cerchi di metallo provvederanno a incatenare [...]]]> di Alessandra Daniele

Squola.jpgDopo il voto in condotta, gli esami di riparazione e il grembiule, il Magister per la Pubblica Istruzione ha annunciato il ripristino di altri fondamentali strumenti didattici ingiustamente rimossi dallo smidollato pedagogismo lassista degli ultimi anni.

La mordacchia
Per impedire che gli studenti lo adoperino in classe non basta sequestrargli il cellulare, bisogna andare alla radice del problema comunicativo: sequestrargli la lingua, inserendola in una funzionale tagliola di metallo agganciata dietro la testa. Resterebbero così libere le dita per gli sms, ma il ministero ha pensato anche a questo.

I ceppi
Robusti cerchi di metallo provvederanno a incatenare lo studente piedi e mani, bloccandogli le dita nella posizione dello scrivano diligente. Naturalmente tutti saranno educati a scrivere con la destra (e per la Destra) perché la sinistra è la mano del diavolo.

La cintura di castità
Per combattere la terribile piaga del sesso fra compagni di scuola, tutte le studentesse dovranno indossarla sotto il grembiule di ordinanza. Le chiavi saranno tenute in custodia dal preside. Le chiavette delle fibule di castità per gli studenti maschi — anelli chiodati all’interno — saranno invece custodite dall’insegnante di religione nominato dal Vaticano.

La gogna
Per combattere la terribile piaga del bullismo, che vede gli studenti più arroganti e maneschi pestare, umiliare, e deridere i più deboli e i diversi, gli studenti più deboli e diversi saranno pestati, umiliati e derisi direttamente dagli insegnanti in un’apposita gogna d’istituto, in modo da mantenere il principio d’autorità, chiarendo la scala gerarchica. Gli insegnanti più deboli e diversi saranno poi a loro volta pestati, umiliati e derisi dal preside, e così via.

Le tenaglie
Quando durante l’interrogazione di uno studente impreparato, timido, o tardo, l’insegnante si troverà a dirgli “Bisogna proprio tirarti fuori le parole con le tenaglie!” avrà modo di trasformare la metafora in un gesto concreto.

Il latino
Lo studio del latino sarà ripristinato in tutte le scuole a partire dalla prima elementare. Dalla prima media in poi tutte le lezioni si svolgeranno in latino. Anche quelle d’inglese. L’insegnante le terrà dando le spalle alla classe, rivolto verso il crocifisso a grandezza naturale posto dietro la sua cattedra a tre piani. Lo studio delle fiction agiografiche Rai-set doppiate in latino sostituirà quello di materie inutili come la Storia.

Naturalmente una scuola così ben organizzata e disciplinata non avrà più bisogno di molto personale docente. La Controriforma prevede infatti l’istituzione del maestro unico: un solo maestro per ogni istituto scolastico, scelto in accordo col Vaticano.
Tutti gli altri insegnanti possono da oggi ritenersi in esubero.

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