stato di polizia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Milano, Vigorelli 1971: “Abbattete lo Zeppelin !” https://www.carmillaonline.com/2021/07/15/milano-vigorelli-1971-abbattete-lo-zeppelin/ Wed, 14 Jul 2021 22:01:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67111 di Walter Catalano

Giovanni Rossi, Led Zeppelin ’71, La notte del Vigorelli, Tsunami Edizioni, pp. 272, 20.00€.

Giunta ormai alla seconda edizione, dopo quella del 2014, l’inchiesta/ricostruzione dell’unico concerto (abortito) dei Led Zeppelin in Italia, non si limita ad essere soltanto un bel libro di giornalismo musicale. Prendendo spunto dai fatti di cronaca l’autore, Giovanni Rossi, compie una panoramica a 360 gradi sull’Italia di quegli anni – con il ’68 già lontano alle spalle e il ’77 ancora remoto a venire – tracciando un rapporto storico, sociologico e politico puntuale di [...]]]> di Walter Catalano

Giovanni Rossi, Led Zeppelin ’71, La notte del Vigorelli, Tsunami Edizioni, pp. 272, 20.00€.

Giunta ormai alla seconda edizione, dopo quella del 2014, l’inchiesta/ricostruzione dell’unico concerto (abortito) dei Led Zeppelin in Italia, non si limita ad essere soltanto un bel libro di giornalismo musicale. Prendendo spunto dai fatti di cronaca l’autore, Giovanni Rossi, compie una panoramica a 360 gradi sull’Italia di quegli anni – con il ’68 già lontano alle spalle e il ’77 ancora remoto a venire – tracciando un rapporto storico, sociologico e politico puntuale di uno dei momenti più difficili ma anche esaltanti attraversati dalle giovani generazioni dell’epoca: il 1971, un anno cruciale in cui necessità popolare di cambiamento e volontà istituzionale di conservazione si scontrano già con violenza ma in modo ancora immaturo e confuso. Conflitti che non deflagrano più solo nelle fabbriche e nelle università, ma anche nei luoghi deputati alla cultura e al tempo libero.

Chi ha vissuto quel periodo lo ricorda con un brivido ambivalente di rimpianto e di sollievo. Sollievo per il tramonto successivo, faticoso ma inderogabile, dei cascami di un ancien régime opprimente e fortunatamente sepolto, rimpianto per le possibilità che allora si squadernavano illusoriamente infinite e, nel tempo, si sono ridotte, sfilacciate, erose, fino a rivelarsi fallaci e disattese.

Nel corso del ’71 i Tupamaros rapiscono l’ambasciatore inglese in Uruguay; in Egitto apre la diga di Assuan; Amin Dada prende il potere in Uganda; le missioni Apollo 14 e 15 preludono sommessamente al crepuscolo dell’era spaziale; le truppe sudvietnamite invadono il Laos; a Città del Messico si consuma la strage del Corpus Domini; Nixon cancella gli accordi di  Bretton Woods ponendo fine alla convertibilità del dollaro in oro; Jim Morrison viene ritrovato morto nella vasca da bagno della sua stanza in un albergo di Parigi, mentre George Harrison vara il Concert for Bangla Desh e John Lennon pubblica Imagine. Intanto in Italia la commissione d’inchiesta su SIFAR e Piano Solo smentisce l’ipotesi di qualsiasi possibile golpe proprio mentre Paese Sera rende noto il tentativo di un altro golpe, quello di Junio Valerio Borghese del 7 dicembre 1970, e il Principe Nero, colpito da mandato di cattura, rifugia in Spagna; il giudice di Treviso emette mandato di cattura verso i neofasciti padovani Freda e Ventura in relazione agli attentati del 1969; Franco Basaglia diventa direttore del manicomio di Trieste e la Corte Costituzionale abroga l’articolo 553 del codice penale che vieta la produzione, il commercio e la pubblicità degli anticoncezionali. Il ventunesimo Festival di Sanremo viene vinto da Nada e Nicola di Bari con Il cuore è uno zingaro, secondi i Ricchi e Poveri e Josè Feliciano con Che sarà, ma saranno significativamente i terzi classificati, Lucio Dalla e l’Equipe 84 con 4 Marzo 1943, a primeggiare nelle vendite: anche il pubblico popolare chiede tematiche e melodie almeno un po’ diverse.

Così Ezio Radaelli, impresario e barone dell’industria dell’intrattenimento, fino dal 1962 ideatore e patron del Cantagiro – formula presa a modello dal Giro d’Italia di ciclismo, che consisteva in una carovana canora in giro per l’Italia con i cantanti in competizione, giudicati da giurie popolari scelte tra il pubblico delle varie città – fiuta l’aria di rinnovamento: nel ’71 il Cantagiro diventerà Cantamondo, non avrà classifica e affiancherà ad ogni tappa alle star nostrane anche big della musica internazionale come Aretha Franklin, Miriam Makeba, Nina Simone, King Curtis, Charles Aznavour, Sam & Dave, Donovan e, dulcis in fundo, i Led Zeppelin, per la prima volta in tour in Italia, che chiuderanno la manifestazione canora. Quello che non risulta perfettamente chiaro all’impresario è che alcuni mondi musicali sono ormai sempre più fieramente  incompatibili, che il pubblico di gruppi rock come i Led Zeppelin (lasciamo per ora da parte gli alfieri del Rhythm&Blues o il menestrello folk-psichedelico Donovan) non ne vuole minimamente sapere di una musica leggera e leggerissima, vista, non a torto, come di regime perchè ammannita giornalmente dalla Rai in Tv e in radio: Gianni Morandi e sodali (Lucio Dalla compreso) non hanno la minima speranza di condividere indenni lo stesso palco con la band di Whole Lotta Love. Un’inconciliabilità che porterà alla catastrofe.

Giovanni Rossi, come in un giallo ben costruito, predispone, capitolo per capitolo, scenari e dramatis personae. Una Milano in cui da pochi giorni la signora Licia Pinelli, vedova di Pino, ha denunciato (il 24 giugno 1971, il concerto è fissato per il 5 luglio) il Commissario Calabresi e i suoi accoliti questurini per omicidio volontario, sequestro di persona, violenza privata e abuso di autorità, mettendo in fibrillazione tutta l’estrema sinistra cittadina. San Siro, luogo più indicato per l’evento, è inagibile per lavori di ristrutturazione e si ripiega sul velodromo Vigorelli. Nel frattempo una fiumana di giovani sciama da tutta Italia – chi in auto, chi in treno, chi in autostop – verso il concerto dell’anno. Poche sono state fino ad allora le occasioni di vedere i grandi del rock nel nostro paese: a Roma, i Beatles al Teatro Adriano nel 1965, Jimi Hendrix al Brancaccio nel 1968, i Rolling Stones nel 1967 e nel 1970, in varie città tra cui Roma e Milano. Ma non erano ancora eventi di massa come questo.

I Led Zeppelin sono al culmine della loro fama. Hanno pubblicato tre LP (il gruppo rifiuta di fare 45 giri) che li hanno portati ai vertici delle classifiche: giusto il terzo, meno rock blues e più folk, non ha raccolto consensi unanimi, ma la perfetta sintesi fra la musa elettrica e quella acustica sta per arrivare, a novembre, con il IV (quello di Starway to Heaven per intenderci) di cui il quartetto ha già in serbo ricche anticipazioni live. La stampa italiana, evidenziando la sua incompetenza musicale e la totale estraneità rispetto alla cultura del rock, li etichetta concordemente nei titoli di cronaca come “i successori dei Beatles”.

 Il pubblico che si prepara ad assediare il Vigorelli è fin troppo variegato. Prima i regolarmente paganti: innocue famiglie borghesi spesso in compagnia di bambini e adolescenti, interessate al Cantagiro e del tutto ignare dei Led Zeppelin; pubblico giovanile tranquillo o quasi, ansioso di ascoltare i Led Zeppelin ma insofferente al Cantagiro. Poi i non paganti che tenteranno di forzare gli ingressi: autoriduttori, divisi in quelli politicizzati che rivendicano musica gratis per tutti e semplici portoghesi che vogliono imbucarsi al concerto; militanti di estrema sinistra, non necessariamente autoriduttori ma intenzionati a fare casino sfruttando l’importanza dell’evento per avere una risonanza mediatica sulle loro rivendicazioni politiche; fasci infiltrati, anche loro lì per fare casino e sabotare i “capelloni”.  A chiudere in bellezza oltre 2500 sbirri in tenuta antisommossa. Una polveriera in attesa di scoppiare.

Rossi ben descrive l’escalation degli eventi. Apre Gianni Morandi accolto da gran parte del pubblico con fischi e lanci di ortaggi: tenta con ammirevole coraggio una svolta, a modo suo, verso l’engagement, cantando la versione italiana di Here’s To You di Joan Baez, ma una lattina lo coglie dritto in faccia ed è costretto a ritirarsi praticamente in lacrime (il contraccolpo sarà duro: abbandonerà le scene per più di cinque anni, andando a studiare contrabbasso al conservatorio…). Stessa sorte per i Vianella (Wilma Goich ed Edoardo Vianello: non sono più i tempi dei Watussi…). Lucio Dalla e Milva, meno impavidi, si rifiutano di uscire e, alla romana, “se danno”. Lo stesso Radaelli interviene e saggiamente manda fuori i New Trolls. Il gruppo progressive genovese, per quanto molto lontano dai Led Zeppelin, viene accolto con rispetto: è pur sempre una band rock, non canta canzonette, possiede solide capacità strumentali ed ha appena varato un best seller come Concerto Grosso per i New Trolls, innesto rock-barocco, un po’ pretenzioso ma bello, su musiche di Luis Enriquez Bacalov, che viene eseguito quasi per intero nell’attenzione generale del pubblico e degli stessi componenti dei Led Zeppelin che hanno ormai raggiunto il retropalco perché chiamati a cominciare il loro numero un’ora prima del previsto. La buona accoglienza riservata ai New Trolls dimostra come l’avversione degli spettatori sia indirizzata unicamente verso i cantanti “leggeri”, melodici e antiquati che usurpano le scene italiane da troppo tempo.

Nel frattempo gli autoriduttori stanno premendo sugli ingressi e le camionette della polizia che presidiano tutta la zona cominciano a concentrarsi nei punti di accesso. I primi candelotti già piovono nelle strade circostanti, dove si stanno raccogliendo gruppi di manifestanti intenzionati a farsi sentire ma non a forzare le porte del Vigorelli: per il momento i fumi che invadono il velodromo sono solo quelli, ancora contenuti, provenienti dall’esterno.

Arriva finalmente l’ora dei Led Zeppelin che – mentre la situazione rapidamente degenera e scariche sempre più nutrite di candelotti lacrimogeni vengono sparati dalle “forze dell’ordine” a parabola anche oltre le aperture dei tetti, direttamente dentro il velodromo e addirittura sul palco – avranno la professionalità di reggere per ben 50 minuti: la scaletta comprende Immigrant Song in medley con Mr. You’re a Better Man Than I degli Yardbirds, il gruppo precedente di Jimmy Page, Heartbraker, Since I’ve Been Lovin’ You, l’allora ancora inedita Black Dog, Dazed and Confused, Whole Lotta Love. Robert Plant invita più volte alla calma, e scherza col pubblico invitandolo a soffiare tutti insieme per allontanare il gas che sta progressivamente invadendo la scena: presto però i colpi di tosse gli impediranno di cantare mentre con gli occhi accecati e lacrimanti i ragazzi del dirigibile vedranno il pubblico, passato dall’entusiasmo al terrore, invadere di corsa il palcoscenico e venir loro addosso. Hanno chiuso tutte le uscite e l’unica via di fuga passa per il palco e per i camerini. Soccorsa dal promoter e dai roadies la band si rifugia in uno sgabuzzino mentre la marea umana infuria calpestando e distruggendo strumenti e impianto sonoro. Non stupisce che l’esperienza, a posteriori, li abbia determinati ad un’unica, drastica conclusione: “Mai più in Italia”.

Per pura fortuna comunque non ci scappa il morto. Un carabiniere perde un occhio per una sassata, decine di feriti e contusi su entrambi i fronti, quasi un centinaio di fermi e di arresti. Decine di milioni di danni agli edifici del Vigorelli. Anche Radaelli dovrà rimborsare i Led Zeppelin – il cui ingaggio già gli è costato un occhio della testa – svuotando paurosamente il suo nutrito portafoglio e il Cantagiro stesso subisce un colpo mortale: sopravviverà ancora in sordina fino al 1974 per scomparire del tutto, almeno nella forma classica. Si è davvero consumata un’epoca.

Ovviamente la stampa si dividerà nei giorni successivi in due netti fronti avversi. I “moderati”, Corriere della sera, Il Giorno, La Notte, L’Avvenire, La Stampa, Domenica del Corriere, sosterranno la linea della provocazione deliberata ad opera di gruppuscoli eversivi intenzionati, con il pretesto dell’evento musicale, a scatenare la guerriglia urbana attaccando le forze di polizia che non hanno potuto evitare di reagire. I giornali di sinistra, Lotta Continua, Il Manifesto, L’Unità, accuseranno invece la polizia di aver volutamente scatenato un attacco rivolto contro pacifici manifestanti fuori dal Vigorelli e contro il pubblico inerme all’interno. Come sempre la verità sta probabilmente nel mezzo: la manifestazione non fu davvero così pacifica perché qualche razzo antigrandine e qualche molotov venne lanciata contro i celerini anche dalle barricate dei difensori. Più attendibile forse la stampa musicale estera o quella italiana non schierata apertamente su una precisa linea politica, come Ciao 2001, che raccogliendo anche la testimonianza diretta degli stessi Led Zeppelin, imputava la colpa del tralignare nel caos di una situazione all’inizio ancora gestibile, alla polizia che per contenere poche decine di autoriduttori si era lanciata in una serie esagerata di brutali cariche e in un lancio inutile e spropositato di candelotti lacrimogeni: “Erano quei tipi in uniforme che non avevano capito un cazzo di quel che stava accadendo ! Quindicimila persone che cercano disperate una via d’uscita per via dei gas lacrimogeni e quegli sbirri non lo capiscono!” dirà Robert Plant.

L’incombere degli anni di piombo a venire già si profila in queste asimmetrie fra azione e reazione, un copione già scritto che, ben più amaramente, un’intera generazione avrebbe presto  interpretato in un ruolo o nell’altro: i fatti del Vigorelli, come ben evidenzia il libro, ne sono infausta metafora e prefigurazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Riflessioni pandemiche https://www.carmillaonline.com/2020/12/01/riflessioni-pandemiche/ Tue, 01 Dec 2020 22:55:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63671 di Nico Maccentelli

Trovo le polemiche interne alla sinistra di classe sul lockdown del tutto fuorvianti. Le accuse reciproche di negazionismo da una parte e dall’altra di sudditanza ai dettami imposti dal regime in materia di salute pubblica non colgono la questione essenziale che è un passaggio epocale, direi antropologico e non solo economico di crisi del capitalismo.

Un passaggio nel quale la democrazia borghese, ma più profondamente le relazioni sociali, sta subendo un mutamento non certo temporaneo e in cui si evidenzia l’incapacità del capitalismo (ma direi anche la volontà delle classi dirigenti) [...]]]> di Nico Maccentelli

Trovo le polemiche interne alla sinistra di classe sul lockdown del tutto fuorvianti. Le accuse reciproche di negazionismo da una parte e dall’altra di sudditanza ai dettami imposti dal regime in materia di salute pubblica non colgono la questione essenziale che è un passaggio epocale, direi antropologico e non solo economico di crisi del capitalismo.

Un passaggio nel quale la democrazia borghese, ma più profondamente le relazioni sociali, sta subendo un mutamento non certo temporaneo e in cui si evidenzia l’incapacità del capitalismo (ma direi anche la volontà delle classi dirigenti) di affrontare la pandemia e la crisi del capitale che si accresce in questo frangente. Un sistema che cade definitivamente nella barbarie darwiniana del più forte che sopprime i più deboli, che fa la guerra, che si impone con una violenza organizzata di cui la democrazia è ormai solo un vuoto involucro.
Che siamo al crepuscolo di questo modo di produzione e di consumo lo dicono tanti segnali e di certo non occorreva la pandemia per confermarlo. Ma noi comunisti siamo sempre stati della cassandre inascoltate…
Vediamo allora di mettere alcuni punti fermi, in modo sintetico.

1. Ho scritto poc’anzi dell’incapacità del capitalismo di far fronte a questa ecatombe e aggiungo la sola volontà demenziale e direi suicida di riproporre la legge del più forte al netto di tutta la demagogia spicciola tra balconi, bandierine e Mattarella.
Laddove occorrerebbe una spinta rivoluzionaria della politica nel non farsi tirare la giacchetta da chicchessia e nel non guadare in faccia a nessuno, la classe politica sceglie ancora una volta l’egemonia delle oligarchie economiche. Ne emerge una linea di condotta demenziale, fatta di lockdown fittizi, a metà, a part time verticale, a targhe alterne. Il dato di fatto è che mentre le forze del grande capitale, rappresentate da Confindustria stanno bene e hanno ponti d’oro, mentre i mezzi di trasporto si riempono di pendolari, intere categorie sociali a partire dai ceti medi vengono lasciate al loro destino, prede del futuro shopping di frugali e mafiosi. Il PD divorzia definitivamente dalla togliattiana conquista strategica dei ceti medi per adagiarsi ai desiderata delle euroburocrazie e quindi della peggiore finanza e delle multinazionali. Esempio concreto: Bonaccini nel suo decreto dell’E-R arancione corre a salvare la Coop e la GDO e manda a remengo le piccole aziende agricole ammazzando i mercatini (poi ripristinati a Bologna, ma la tendenza è questa). Nel caos demenziale le scelte immediate sono sempre a favore della speculazione e delle company più potenti.
Merola, sindaco di Bologna, fa inaugurare l’ennesima cattedrale nel deserto: il People Mover che ora tra l’altro non serve a nulla visto che nessuno parte e arriva dall’Aeroporto Marconi, ma il gesto è emblema dell’alleanza suggellata tra privati investitori e un pubblico al loro servizio.
Questi sono gli automatismi di una classe politica che non ha capito nulla e che non farà nulla se non cercare di tappare le falle in modo inadeguato e temporaneo, come i cosiddetti ristori, che servono (insieme al lockdown parziale) per non sborsare quanto realmente DOVUTO da uno Stato che ha distrutto in questi decenni la sanità pubblica, che non ha uno straccio di protocollo anti-pandemia aggiornato e che in questi sei mesi non ha neppure cercato di rimediare all’irrimediabile, dato che una medicina di territorio, il personale medico non si ripristina in quattro e quattr’otto.
Il risultato di questa politica d’emergenza è un aumento dei profitti per i grandi gruppi industriali e commerciali in una vera e propria amazonizzazione dell’economia, mentre le piccole aziende chiudono o entrano in agonia. È il trionfo degli Amazon, delle grandi catene della distribuzione take away e di prodotti di entertainment da piattaforme come Netflix e Amazon (sempre lei) Prime, per un’economia di consumo da casa, supportata da forza-lavoro sottopagata e spremuta fino all’osso e al bisogno. Queste sono le cittadelle del profitto che il governo difende insieme alla categoria dei confindustriali che hanno premuto in modo criminale per restare aperti, mentre tutta l’economia di prossimità, il turismo, la ristorazione, l’artigianato vanno in malora addetti inclusi. Finita la cassa integrazione ci sarà da piangere, mentre gli addetti del sommerso sono già alla canna del gas.

2. Non si può sottovalutare il fatto, e con la scusa del coronavirus, che siamo entrati in uno STATO DI POLIZIA. Mentre il lockdown è un vero tarocco quasi del tutto inutile, quello che è utile per la guerra sociale delle classi dominanti su quelle variamente subalterne è la sospensione dello stato di diritto, la nuova emergenza che si aggiunge a quelle precedenti in una governance che da decenni procede per leggi eccezionali, dispositivi repressivi. Già con i decreti Minniti, e ancor prima con quelli Lupi venivano sanzionate e attaccate le varie forme di lotta e di resistenza sociale allo sfruttamento di forza-lavoro precaria, di gestione autoritaria delle eccedenze produttive, di predazione del territorio con speculazioni edilizie, gestione privatistica dei beni comuni, grandi opere come la TAV, di attacco alle forme di autogestione degli spazi sociali e abitativi. Ma oggi il salto di qualità è evidente e la ragione di salute pubblica dei dpcm che aggrediscono diritti costituzionali che sarebbero intangibili è una vera e propria cazzata. Oltre all’uso di mezzi tecnologici avanzati come i droni, dietro l’irruzione in casa della signora che è scesa nell’androne per prendere la pizza, il pestaggio del sedicenne privo di documenti, la multa ai nullatenenti che fanno la fila alla mensa e i poveri, c’è una precisa volontà politica di esercitare con brutalità il potere, il libero arbitrio degli sgherri in divisa, i soli depositari delle libertà stuprate. C’è l’indefessa esercitazione alla controguerriglia preventiva.
Non si può sottovalutare un elemento portante della controrivoluzione solo perché negazionisti e fasci lo usano per la loro propaganda demagogica, che ha ben altri scopi da quelli della resistenza sociale a questa nuova forma di fascismo di Stato.
È evidente che se il potere classista è in banana e risponde come il cane di Pavlov con riflessi condizionati a difesa degli interessi per lui prioritari: quelli della borghesia imperialista, un altro riflesso condizionato a difesa delle cittadelle immateriali del dominio capitalista è la repressione organizzata, con leggi che danno anni di galera a chi soltanto manifesta, vedi le compagne NoTav come Nicoletta e Dana e le centinaia di compagni colpiti nella più classica maniera fascista con il confino, le sanzioni, la galera. Di questo i politici di regime sono consapevoli: sanno che grande sarà il disordine sotto il cielo e si preparano sia tecnicamente, qualificando alla repressione le forze di polizia, sia mettendo dei paletti verso la popolazione, facendo capire con il terrore e la minaccia che non si faranno deroghe o prigionieri: il ruolino di marcia che parte da Bruxelles e arriva nei quartieri delle città non si discute.

3. E veniamo al cuore della diatriba interna. Ma cosa credevate, che la rivoluzione fosse un “pranzo di gala”? Patetici sono i negazionisti, che da destra frignano per le libertà lese. Generalmente appartenenti a classi medie abituate a fare quello che gli pare, sono del tutto indisponibili a fare il benché minimo sacrificio per la propria comunità, tipico atteggiamento individualista piccolo borghese: dagli qualche quattrino come si deve e vedrai come le proteste spariranno come neve al sole. E anche per questo il nostro cane di Pavlov è un autentico demente.
Prendiamo la Cina e come ha risolto molto velocemente la questione Covid. O Cuba, o il Vietnam. Intanto sono sistemi economico-sociali che socialisti o meno (e sulla Cina avrei molte cose da ridire, ma da maoista non da fregnone liberal-democratico), hanno:
· pianificato il contrasto al virus partendo dal punto di vista della comunità
· fatto leva sul senso collettivo della popolazione che ha accettato (così fa un popolo rivoluzionario o dalla forte identità sociale) una momentanea sospensione della vita sociale per superare una vera emergenza e non restare nel fango putrido e letale di un sempiterno e opportunistico emergenzialismo.
Questi due fattori hanno fatto la differenza. Con chi vuole mettere in discussione la configurazione fascista dell’attuale regime “pandemico” sono in totale assonanza riguardo la critica allo stato di polizia e alla necessità di essere consapevoli che stiamo entrando inermi in una guerra di classe dall’alto. Ma non concedo le mene anarcoidi di chi pensa di risolvere la questione con un antagonismo “puro” e purista, che non tenga in considerazione i rischi sociali della pandemia. Andranno trovate le forme di resistenza politica di volta in volta, ma come comunisti, di fronte alle lavoratrici e ai lavoratori, ai cittadini abbiamo precise responsabilità e dobbiamo rivendicare reddito, lavoro sicuro, sanità pubblica, trasporti sicuri, blocco degli affitti e delle bollette, diritto all’istruzione. Ciò significa anche manifestare e violare i paletti imposti dal regime borghese imperialista, significa costruire resistenza popolare in modi legali e illegali di accesso ai beni prodotti dai piccoli produttori. Ma rendiamoci conto che se per ipotesi oggi irrealizzabile fossimo al governo noi, faremmo esattamente come i cinesi. Del resto, non è forse lo stesso concetto della dittatura del proletariato? Cos’è questa forma di democrazia di classe, consiliare, se non un fase di gestione straordinaria e rivoluzionaria di una situazione eccezionale? Nel primo caso lo scopo è schiacciare le vestigia e i rimasugli del potere borghese. Nel secondo è di fare leva sul consiliarismo, sull’autodeterminazione e il senso collettivo popolare, che è anche sacrificio, per superare una pandemia.

4. Concludo con un’altra questione che è stata rilevata dai compagni critici verso chi ha posto l’accento sulla pericolosità del covid e che è più che giusta: le ricadute sociali, ma soprattutto psicologiche, sessuali, generazionali che questo mutamento antropologico della società intera, questa repressione che rende Wilhelm Reich un vero e proprio profeta del fascismo di massa.
Le ricadute sul benessere della collettività degli individui sono già evidenti e le misure emergenzialiste che sembra non avranno fine e che segnano un passaggio epocale antropologico, sono come napalm sui villaggi. La cura è peggiore della malattia, quando viene considerata solo quella malattia.
Già da adesso è evidente come il fatto stesso che per le istituzioni esista solo il covid (a scusa dell’inadeguatezza nel curare il resto delle patologie), sta causando la morte per infarto, tumore, embolia e quant’altro un gran numero di malati che potevano benissimo guarire o protrarre nel tempo la sopravvivenza. Ma lo stesso concetto è anche nei bambini che non possono socializzare e giocare, negli adolescenti che non avranno il normale iter di socialità e sessualità, le persone in generale che si trovano inibite nei gesti quotidiani, nei rapporti umani, nell’esercizio fisico, nell’oggettivazione psicologica del sé.
A questo si aggiunge uno dei fattori più devastanti di questo mutamento antropologico: il dominio del lavoro su ogni altro tipo di attività umana secondo la logica: produci, consuma e crepa. Questo è terreno fondamentale della resistenza anticapitalistica e allo sfruttamento dell’individuo umano che fa leva anche sul tempo libero, sul benessere sessuale, sulle relazioni tra persone, sul senso della collettività che si basi sulla festa e sul godimento. Se non si affronta questo nodo e seriamente ce ne faremo ben poco dei diritti sindacali. È un elemento sociale, e politico al tempo stesso, portato in dote dalle lotte degli anni ’70, quando ci si batteva per il rifiuto del lavoro in quanto sfruttamento salariato da parte del capitale e portatore di logiche mitolavoristiche funzionali al ciclo di produzione del capitale per il profitto.
L’attacco al “popolo degli spritz” può essere letto anche come una sorta di rivalsa dei politici anziani verso i giovani che nonostante “l’amore ai tempi del colera” cercano di fare appunto i giovani (cosa che per altro dovrebbero fare anche gli anziani). Ma soprattutto passa il concetto: vai pure a lavorare pigiato su un bus e in un posto di lavoro la cui sicurezza non la controlleremo mai e poi mai (per evitare le rimostranze di Bonomi), ma guai se eserciti la tua socialità, se cerchi di godere: ora questo non è importante e per il profitto è sempre aspetto secondario, normato solo dall’esigenza che abbiamo di farti essere consumatore.

Dunque, ho come la netta impressione che i vari filoni del pensiero critico siano giunti a un bivio in cui si incontrano: la liberazione anticapitalista e la liberazione dei corpi, l’autodeterminazione consiliare della democrazia dal basso e la liberazione delle pulsioni sessuali, la socialità liberata nella festa e il tempo per noi, la distruzione del potere borghese ormai in corsa verso la barbarie e il senso collettivo che nella dialettica attività e rilassamento scandisce il tempo della guerra sociale e delle misure di salute pubblica con la festa e il godimento della liberazione dai nemici sociali e biologici.
Sono i molteplici terreni di un medesimo campo di resistenza da cui occorre ripartire per una riflessione collettiva e per l’individuazione di una strategia di liberazione sociale.

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