spazio-tempo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 24 Apr 2025 16:16:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Mondi paralleli, tempo e rivoluzione in Auguste Blanqui (e nelle opere di Valerio Evangelisti) https://www.carmillaonline.com/2023/11/15/mondi-paralleli-tempo-e-rivoluzione-in-auguste-blanqui-con-uno-sguardo-a-valerio-evangelisti/ Wed, 15 Nov 2023 21:00:47 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79822 di Sandro Moiso

Auguste Blanqui, L’eternità viene dagli astri. Ipotesi astronomica, Traduzione di Raffaele Fragola, con una nota di Ottavio Fatica. Adelphi Edizioni, Milano 2023, Piccola Biblioteca 795, pagine 132, 13 euro .

Louis-Auguste Blanqui (1805-1881) è stato una delle figure principali dei movimenti rivoluzionari socialisti dell’Ottocento. Nato da una famiglia benestante, passò dal repubblicanesimo giovanile (cosa che già gli costò due anni di carcere per della polvere pirica ritrovata durante una perquisizione nella “Société des familles” da lui fondata nei primi anni Trenta del XIX secolo) al socialismo di carattere comunista proprio durante gli anni della prima detenzione. Che [...]]]> di Sandro Moiso

Auguste Blanqui, L’eternità viene dagli astri. Ipotesi astronomica, Traduzione di Raffaele Fragola, con una nota di Ottavio Fatica. Adelphi Edizioni, Milano 2023, Piccola Biblioteca 795, pagine 132, 13 euro .

Louis-Auguste Blanqui (1805-1881) è stato una delle figure principali dei movimenti rivoluzionari socialisti dell’Ottocento. Nato da una famiglia benestante, passò dal repubblicanesimo giovanile (cosa che già gli costò due anni di carcere per della polvere pirica ritrovata durante una perquisizione nella “Société des familles” da lui fondata nei primi anni Trenta del XIX secolo) al socialismo di carattere comunista proprio durante gli anni della prima detenzione. Che non fu l’unica, visto che avrebbe complessivamente trascorso, tra il 1831 e il 1879, trentasei anni e cinque mesi in prigione, motivo per cui ci si riferisce ancora oggi a lui come all'”Enfermé” (il Recluso).

Con l’amnistia del 1836 tornò in attività e fondò la “Société des saisons” con la quale, nel 1839, partecipò all’organizzazione di un’insurrezione che gli costò la condanna a morte, commutata in ergastolo, dal quale fu graziato otto anni dopo. Partecipò ai moti del 1848 e aderì alla “Société républicaine”, ma fu nuovamente arrestato e condannato alla deportazione in Africa, da dove tornò con l’amnistia del 1859 per essere ancora arrestato nel 1861. Dopo essersi sottratto alla legge andando in esilio in Belgio, continuò incessantemente la propria azione di propaganda politica, fondando i periodici «Candide» e «La patrie en danger». Per rientrare poi in Francia nel 1870 dopo la caduta di Napoleone III a seguito della sconfitta francese nella guerra franco-prussiana. Dopo un’ennesima incarcerazione, Blanqui avrebbe pubblicato, nel biennio 1880-81, il giornale «Ni Dieu ni maître» (“Né Dio né padrone”), titolo talmente programmatico da esser diventato un dei motti più conosciuti dell’anarchismo1.

Uomo d’azione più che elaboratore di teorie, egli fu sempre fermamente convinto che il proletariato avrebbe potuto creare da sé una società di liberi e di uguali soltanto mediante un’insurrezione armata guidata da una piccola minoranza ben organizzata e decisa ad imporre la dittatura del proletariato (di cui fu il primo ad elaborare il concetto, in anticipo sugli stessi Marx e Engels)2.

Blanqui con la sua opera e la sua azione fu fonte di ispirazione non solo per generazioni di rivoluzionari, ma anche per scrittori come Valerio Evangelisti, anche se il legame che esiste tra l’opera di Valerio Evangelisti e quella di Auguste Blanqui è molto più profondo di quanto possa suggerire il fatto che il primo abbia intitolato il secondo volume della trilogia del Sol dell’avvenire con una delle frasi più celebri del rivoluzionario francese: Chi ha del ferro ha del pane.

Infatti, al di là delle simpatie “politiche” blanquiste e per l’azione spontanea degli oppressi spesso presenti nelle riflessioni e negli scritti di Evangelisti, occorre qui ricordare l’autentica venerazione che l’autore bolognese aveva per un’opera meno conosciuta del rivoluzionario francese, scritta mentre quest’ultimo languiva in carcere per essere stato arrestato proprio il giorno prima della proclamazione della Comune, il 17 marzo 1871. A seguito di ciò era stato prima condannato alla deportazione, il 17 febbraio 1872, poi commutata in carcere a vita e per motivi di salute incarcerato a Clairvaux, da cui fu in seguito trasferito al Chateau d’If, da dove poté uscire nel 1879 in seguito ad un provvedimento di amnistia, che non riconobbe però il fatto che Blanqui fosse stato eletto deputato a Bordeaux.

Quest’opera, ora ripubblicata dalle edizioni Adelphi, intitolata L’éternité par les astres e uscita per la prima volta in Francia il 20 febbraio 1872, tre giorni dopo la sua condanna all’ergastolo, va considerata come un autentico livre de chevet per Valerio Evangelisti, tanto da averlo spinto ripetutamente a consigliarlo come utile lettura ad amici, compagni e redattori di «Carmillaonline», la webzine di cultura, letteratura e immaginario di opposizione da lui fondata nel 2003.

Come si è detto poco innanzi, nel 1871 Auguste Blanqui, «l’eterno cospiratore», stava scontando l’ennesima pena detentiva di una vita trascorsa per metà in carcere. In tale occasione, per impedirgli qualsiasi contatto con la Comune che stava infiammando Parigi, lo avevano trasferito nel remoto castello di Taureau, in Bretagna, dove fu sottoposto a una reclusione tra le più dure, in totale isolamento. E tuttavia, pur in condizioni estreme, Blanqui riescì a scrivere e a far arrivare all’esterno, eludendo la censura, il testo di quello che sarebbe stato il suo primo libro, pubblicato l’anno successivo a Parigi. Ci si aspetterebbe, dall’ormai vecchio rivoluzionario, un pamphlet politico. E invece quello che Blanqui aveva meticolosamente composto nella sua cella è un visionario trattato di «astronomia metafisica», uno scritto insieme scientifico, poetico e filosofico, che – ispirandosi all’edificio cosmologico di Laplace – avanzava un’ipotesi vertiginosa:

Ogni astro, qualunque esso sia, esiste dunque in numero infinito nel tempo e nello spazio, non soltanto sotto uno dei suoi aspetti, ma quale si trova in ognuno degli istanti della sua vita, dalla nascita sino alla morte. Tutti gli esseri distribuiti sulla sua superficie, grandi o piccoli, viventi o inanimati, condividono il privilegio di questa perennità.
La terra è uno di questi astri. Ogni essere umano è dunque eterno in ogni secondo della sua esistenza. Ciò che sto scrivendo in questo momento in una cella del Forte di Taureau l’ho scritto e lo scriverò per l’eternità, su di un tavolo, con una penna, degli abiti addosso, in circostanze del tutto analoghe. Questo vale per chiunque.
Tutte queste terre sprofondano, l’una dopo l’altra, nelle fiamme rinnovatrici, per rinascerne e ripiombarvi ancora, monotono fluire d’una clessidra che da sola si capovolge e si svuota eternamente. È un nuovo sempre vecchio, e un vecchio sempre nuovo3.

Queste righe comprese nel Riassunto, posto al termine dell’opera, suggeriscono il contenuto delle riflessioni di Blanqui sul cosmo, gli astri e il destino o il divenire di ogni singolo essere vivente, incluso l’uomo. Il tutto, però, inserito in un contesto in cui l’esistenza di infiniti mondi paralleli supera il mito dell’eterno ritorno, poi ripreso e rafforzato nel pensiero di Nietzsche, per aprirsi alle infinite possibilità che si offrono, seppur in mondi diversi, all’agire umano in direzione del cambiamento dell’esistente.

Il testo affronta il tema attraverso una visione che, però, non è suggerita dalla disperazione legata alla lunga prigionia prevista, inserita nel corso di una vita già segnata da decenni di detenzione, ma dalla speranza o addirittura dalla sicurezza che ciò che è stato sconfitto o non è possibile qui ed ora può risultare vincitore, e quindi essere possibile, in un altro momento, in un altro mondo. Massima espressione quindi della fiducia nel positivo esito della lotta contro lo sfruttamento e il dominio dell’uomo sull’uomo.

Il tema dei mondi e degli universi paralleli, oltre ad essere discusso come uno dei paradossi o delle possibili conferme della fisica più avanzata, ha certamente costituito un tema ricorrente della Fantascienza, dai fumetti di Brick Bradford ai romanzi e racconti di Murray Leinster, Jack Williamson, Philip K. Dick, Poul Anderson, Michael Moorcock e molti altri ancora.

Romanzi e racconti che immaginano possibilità diverse per l’evoluzione dell’uomo e della sua storia, di cui The Man in The High Castle di Dick (1962)4, che immagina un mondo in cui la seconda guerra mondiale è stata vinta dal Giappone e dalla Germania e gli Stati Uniti sono stati occupati e colonizzati per gran parte del loro territorio, costituisce ancora uno dei più validi esempi.

Mondi paralleli che assumono spesso il volto dell’ucronia e della distopia o anti-utopia come capita, soltanto per citarne ancora uno, nel mondo dominato dai vampiri, in cui Dracula ha sposato la regina Vittoria, del ciclo di romanzi e racconti di Kim Newman5. Ma in cui occorre intraveder la possibilità che, come aveva affermato Albert Einstein, in occasione della morte di un suo caro amico, “ciò che non è qui ora e adesso non è detto che non sia invece presente in un altro angolo dell’Universo”. Ovvero nel tempo e nello spazio o, se si preferisce, nello spazio-tempo intuito dallo steso ideatore della teoria della relatività.

Lasciamo per un momento da parte i sistemi stellari originali per occuparci più particolarmente della terra. La ricollegheremo fra poco a uno di essi, al nostro sistema solare, del quale fa parte e dal quale dipende il suo destino. Si capisce che nella nostra tesi l’uomo, così come gli animali e le cose, non ha uno specifico diritto all’infinito. Di per sé, egli non è che un essere effimero. È il globo di cui è figlio che lo rende partecipe della sua patente d’infinità nel tempo e nello spazio. Ognuno dei nostri sosia è figlio d’una terra sosia essa stessa della terra attuale. Noi facciamo parte del calco. La terra-sosia riproduce esattamente tutto ciò che si trova sulla nostra, e di conseguenza ogni individuo, con la sua famiglia, la sua casa, quando ne ha una, e tutti gli avvenimenti della sua vita. È un duplicato del nostro globo, contenente e contenuto. Non vi manca nulla6.

Ciò che anima lo scritto di Blanqui è, innazitutto, un materialismo inflessibile, in cui l’uomo, come tutti gli esseri viventi che lo circondano, deriva le sue caratteristiche da un ambiente dato e definito dalla materia e dalle sue infinite combinazioni che lo costituiscono, in tutte le loro possibili differenze e variazioni. Rilessione che gli fa aggiungere:

Supponiamo tuttavia alcune differenze che ne limitino l’accostamento a una semplice analogia. Si conteranno miliardi di terre di questo tipo prima di incontrare una somiglianza completa. Tutti questi globi avranno, come noi, terreni che digradano a terrazza, una flora, una fauna, dei mari, un’atmosfera, degli uomini. Ma la durata dei periodi geologici, la ripartizione delle acque, dei continenti, delle isole, delle razze animali e umane offriranno innumerevoli varietà. Andiamo avanti.
Una terra nasce, infine, con la nostra umanità, che dispiega le sue razze, le sue migrazioni, le sue lotte, i suoi imperi, le sue catastrofi. Tutte queste peripezie cambieranno i suoi destini, la getteranno su strade che non sono quelle del nostro globo. In ogni minuto in ogni secondo, migliaia di diverse direzioni si offrono a quel genere umano, che ne sceglie una e abbandona per sempre tutte le altre. Quanti scarti a destra o a sinistra modificano gli individui, modificano la storia! Ma non è ancora lì il nostro passato. Mettiamo da parte queste copie confuse. Non per questo non faranno la loro strada e non saranno dei mondi.
Ma alla fine ci arriviamo. Ecco un esemplare completo, cose e persone. Non un sasso, non un albero, non un ruscello, non un animale, non un uomo, non un incidente che non abbia trovato il suo posto e il suo momento nel duplicato. Si tratta d’una vera e propria terra-sosia… per lo meno fino a oggi. Perché domani gli avvenimenti e gli uomini proseguiranno il loro cammino. D’ora innanzi per noi è l’ignoto. Il futuro della nostra terra, così come il suo passato, cambierà strada milioni di volte. Il passato è un fatto compiuto; è il nostro passato. Il futuro si concluderà solo alla morte del globo. Da qui fino allora, ogni istante porterà la sua biforcazione, la strada che si prenderà e quella che si sarebbe potuta prendere. Qualunque sia, quella che dovrà completare l’esistenza propria del pianeta fino al suo ultimo giorno è già stata percorsa miliardi di volte. Non sarà che una copia impressa in anticipo dai secoli7.

Sono le scelte fatte dagli uomini, almeno sulla Terra che li riguarda, a determinare il loro destino. Definitiva affermazione dello spirito che animava Blanqui. Anche a costo di passare attraverso infinite sconfitte, carcerazioni e battaglie sanguinose.

Gli avvenimenti non creano da soli varianti umane. Quale uomo non si trova talvolta di fronte a due strade? Quella da cui egli si allontana gli procurerebbe una vita molto diversa, pur lasciandogli la medesima individualità. L’una conduce alla miseria, alla vergogna, alla schiavitù. L’altra portava alla gloria, alla libertà.
[…] Che si prenda una determinata strada a caso o per scelta, indifferentemente, non si sfugge alla fatalità. Ma la fatalità non trova appoggio nell’infinito, il quale ignora l’alternativa e ha posto per tutto. Esiste una terra dove un uomo segue la strada disdegnata dal suo sosia in un’altra. La sua esistenza si sdoppia, un globo per ciascuna, poi si biforca una seconda, una terza volta, migliaia di volte. Egli possiede così dei sosia completi e innumerevoli varianti di sosia, che moltiplicano e rappresentano sempre la sua persona, ma prendono solo dei frammenti del suo destino. Tutto ciò che si sarebbe potuto essere quaggiù lo si è in qualche altro luogo. Oltre alla propria intera esistenza, dalla nascita alla morte, che si vive su una moltitudine di terre, se ne vivono, su altre, diecimila edizioni differenti8.

L’enfermé, come lo aveva definito Gustave Geffroy, il primo autore di una biografia di Blanqui (L’enfermé, pubblicata in Francia nel 1897), aveva saputo, quindi, sollevarsi ben oltre le strette mura di una cella, ben oltre le condanne e le vicissitudini che lo avevano accompagnato per decenni, per librarsi, comunque libero di pensare e di immaginare, al di sopra dei limiti sociali, economici, fisici che sembravano limitare l’agire umano da tempi immemori. E tutto ciò non poteva certo dispiacere ad un autore come Valerio Evangelisti, non soltanto dal punto di vista scientifico e fantascientifico, ma anche filosofico e politico.

L’avventura o la ribellione, oppure la Rivoluzione e il cambiamento radicale sono resi possibili dai viaggi tra i mondi e le infinite possibilità sparse nell’Infinito e nel Tempo, sempre sorprendenti, ma sempre ferreamente definite da quei cento elementi fisico-chimici che, nel gioco ricombinatorio del Cosmo e della Natura, nell’opera di Blanqui rendevano possibile sia la varietà che l’uniformità degli universi o mondi paralleli.

Ecco allora che il “pensare cosmico” di Blanqui incrocia perfettamente la battaglia di Evangelisti per strappare l’immaginario alla sua colonizzazione da parte del capitale, per rifondarne un altro. Ovunque sia possibile. Una battaglia in cui spazio e tempo giocano un ruolo fondamentale, finendo spesso col coincidere come nello spazio-tempo della fisica successiva ad Einstein.

Tempo su cui oggi si gioca, nel tentativo di cancellare ogni memoria delle possibilità di cambiamento radicale che si son presentate agli uomini e alle loro strutture sociali nel corso della storia pregressa, soprattutto una partita fondamentale rappresentata dalla celebre affermazione sulla fine della storia di Francis Fukuyama. Affermazione arrogante e apodittica che nel negare la Storia finiva col negare non solo l’importanza e la presenza del passato per la comprensione dei problemi della società (e la loro possibile risoluzione sulla base di diverse prospettive e aspettative), ma anche il futuro. Riducendo tutto ad un eterno presente, immodificabile e in cui sono destinati a vigere perpetuandosi i valori della società liberale eretta dal dominio del capitale.

Ed ecco allora il perché della scelta di Valerio Evangelisti, proprio all’interno del ciclo di Eymerich, di non cogliere mai, nella tripartizione temporale di ogni romanzo, il momento attuale, il presente.
Nei romanzi gli avvenimenti si svolgono nel Medio Evo dell’inquisitore catalano, in un futuro sempre lontano, se non lontanissimo, e in un presente sempre rappresentato, però, per mezzo di uno scarto temporale che fa sì che l’azione non coincida con il tempo del lettore. Una sorta di presente parallelo e sfuggente, non inquadrabile in un ordine temporale e sociale definito una volta per tutte.

Un presente parallelo o anticipatorio che nega la solidità di quello “reale”, ancora determinato dal Capitale e dalle sue leggi e magari anche da un passato sanguinario e sanguinoso di sconfitte e illusioni, ma che non conferma affatto la stabilità e l’eternità dello stesso. Un presente fuggevole, quello reale, e insignificante rispetto a cui contano molto di più l’esperienza del passato, con i suoi crimini e le sue sconfitte, e le possibilità che si aprono ad ogni bivio per ogni uomo, donna o società in rivolta. Ci sarà sempre un nuovo inizio e una nuova partita da giocare, fino alla fine del globo su cui viviamo e da cui non possiamo separarci. Ed è proprio in questa prospettiva di superamento del miserabile presente che l’opera di Valerio Evangelisti e la visionarietà di Auguste Blanqui hanno finito col coincidere perfettamente.

E proprio quest’ultimo elemento può costituire un ulteriore motivo di interesse, nei confronti del trattato di “astronomia dell’immaginario politicato” appena ripubblicato da Adelphi, per i lettori delle opere dello scrittore bolognese scomparso da poco più di un anno.


  1. Per una più ampia ricostruzione della vita di Auguste Blanqui si rinvia a M. Dommaget, Blanqui, Erre emme edizioni, Roma 1990.  

  2. Per un primo sguardo antologico alle opere di Louis-Auguste Blanqui, si rinvia invece a L.A. Blanqui, Socialismo e azione rivoluzionaria, a cura di G.M. Bravo, Editori Riuniti, Roma 1969.  

  3. A. Blanqui, L’eternità viene dagli astri, Adelphi Edizioni, Milano 2023, Piccola Biblioteca 795, pp. 98-99.  

  4. P. K. Dick, La svastica sul sole, Science Fiction Book Club, Piacenza 1965.  

  5. K. Newman, Anno Dracula (1992), prima traduzione italiana Fanucci, Roma 1997; K. Newman, The Bloody Red Baron (1995), prima traduzione italiana come Il barone sanguinario, Fanucci, Roma 1998 e K. Newman, Dracula Cha Cha Cha (1998), prima traduzione italiana Urania n. 1538, Arnoldo Mondadori Editore, Milano settembre 2008.  

  6. A. Blanqui, op. cit., p. 74.  

  7. Ivi, pp. 75-76.  

  8. Ibidem, p. 77.  

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Marx e la narrazione storica tra necessità e contingenza https://www.carmillaonline.com/2023/03/13/marx-e-la-narrazione-storica-tra-necessita-e-contingenza/ Mon, 13 Mar 2023 05:00:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76352 di Fabio Ciabatti

George Garcia-Quesada, Karl Marx, Historian of Social Times and Spaces, Haymarket Books, Chicago 2022, pp. 190, € 27,42.

Brancaccio, Giammetti e Lucarelli nel loro recente testo La guerra capitalista “si sforzano di indicare nel movimento costante del Capitale verso la sua centralizzazione il motore di ogni guerra imperialista”. Così sintetizza Sandro Moiso su Carmilla nella sua recensione (qui) che si chiude con alcune domande suscitate dalla lettura del libro: “quanto l’imperialismo occidentale e statunitense riuscirà ancora a centralizzare a proprio vantaggio il capitale mondiale? E, soprattutto, avrà [...]]]> di Fabio Ciabatti

George Garcia-Quesada, Karl Marx, Historian of Social Times and Spaces, Haymarket Books, Chicago 2022, pp. 190, € 27,42.

Brancaccio, Giammetti e Lucarelli nel loro recente testo La guerra capitalista si sforzano di indicare nel movimento costante del Capitale verso la sua centralizzazione il motore di ogni guerra imperialista”. Così sintetizza Sandro Moiso su Carmilla nella sua recensione (qui) che si chiude con alcune domande suscitate dalla lettura del libro: “quanto l’imperialismo occidentale e statunitense riuscirà ancora a centralizzare a proprio vantaggio il capitale mondiale? E, soprattutto, avrà davvero ancora la forza militare per farlo, come ai tempi delle cannoniere e delle operazioni di polizia internazionale?” Per rispondere a questioni di tale portata l’analisi econometrica portata avanti dai tre autori è senza dubbio necessaria. Ma si può anche affermare che sia sufficiente? L’economista Roberto Romano, in un’altra recensione, dà una risposta negativa. Pur apprezzando l’analisi dei tre autori citati sulla centralizzazione, Romano sostiene la superiorità della concreta analisi storica quando si devono spiegare dinamiche complesse che non sono riconducibili ad una mera analisi economico-quantitativa, ma devono tenere conto di livelli differenti come la politica, la politica economica, la geopolitica e la geografia economica (qui). Menziono questa discussione senza voler entrare nel merito, ma solo per richiamare l’attenzione sul fatto che alcuni nodi teorici, da sempre al centro della riflessione storica di ispirazione marxiana (e non solo), non rappresentano meri arzigogoli intellettuali. Essi, infatti, riemergono con forza quando si cerca di comprendere questioni di estrema attualità e drammaticità come quelle legate alla guerra in corso. In estrema sintesi, che rapporto c’è tra la necessità strutturale e la contingenza storica, tra le strutture sociali e l’agency, tra la macrostoria e la microstoria?

Questi nodi teorici sono affrontati in modo originale da George Garcia-Quesada nel suo libro Karl Marx, Historian of Social Times and Spaces. Poiché abbiamo iniziato con la guerra dei nostri giorni, rimaniamo sul tema bellico riferendo quanto dice l’autore a proposito dell’analisi marxiana della guerra civile americana combattuta tra il 1861 e il 1865. In questo contesto il rivoluzionario tedesco non si limita a chiamare in causa le leggi di sviluppo del modo di produzione capitalistico che si esplicherebbero attraverso un processo di modernizzazione capitalistica, portata avanti dal Nord, a detrimento dell’arretrata produzione schiavistica degli stati sudisti. Anche perché quest’ultima, secondo Marx, ha natura pienamente capitalistica. Piuttosto vengono messe in evidenza due differenti configurazioni spazio-temporali dello sviluppo capitalistico, interdipendenti ma in competizione. Negli Stati Confederati, infatti, la coltivazione per l’esportazione di cotone, tabacco, zucchero ecc. per essere remunerativa necessitava dell’utilizzo e della riproduzione su larga scala del lavoro schiavile, e di una continua espansione delle terre fertili coltivate. Data la contiguità spaziale delle due aree, il conflitto tra il Nord e il Sud era solo questione di tempo.
Dunque la spiegazione storica chiama in causa come elementi determinanti la topografia e la decrescente fertilità del suolo oltre che condizioni di natura strettamente politica e militare per definire lo scontro tra due differenti formazioni sociali. La dimensione spazio-temporale chiamata in causa si configura con riferimento alla forma-stato, ma la spiegazione ha come ultimo referente il mercato mondiale, data l’impossibilità per l’industria britannica, potenza egemone a livello globale, di sostituire nel breve periodo la produzione del cotone, bloccata dalle vicende belliche, proveniente dagli stati confederati. In sintesi la spiegazione della guerra civile si basa su una combinazione di formazioni sociali che, sebbene generalmente orientate all’accumulazione del modo di produzione capitalistico, non possono essere ridotte ad un unico meccanismo esplicativo.

Nelle righe precedenti abbiamo fatto riferimento a due differenti concetti, modo di produzione e formazione sociale, che ora andranno chiariti facendo riferimento ai differenti livelli di astrazione in cui si articola l’analisi marxiana. La fondazione del materialismo storico, secondo Garcia-Quesada, si basa su affermazioni di carattere metastorico che costituiscono la teoria dei modi di produzione (al plurale) avendo a che fare con le condizioni generali di produzione e riproduzione di tutte le società a partire dal ricambio organico tre essere umano e natura. A un livello inferiore di astrazione abbiamo la teoria di un singolo modo di produzione che, basandosi su astrazioni storicamente determinate, si articola in tendenze o meccanismi operanti in virtù di relazioni necessarie/interne. Scendendo ancora nella scala dell’astrazione abbiamo la spiegazione di una formazione sociale in cui si sintetizzano le tendenze del livello precedente con le specifiche le condizioni in cui operano. A livello massimo di concretezza storica abbiamo, infine, le congiunture.
Sul piano ontologico il modo di produzione è astratto ma reale, mentre la formazione sociale è più concreta e con più determinazioni da spiegare. A livello epistemologico il modo di produzione è un sistema chiuso e i suoi risultati sono necessari, mentre la formazione sociale è un sistema aperto e presenta un certo livello di contingenza. In altri termini lo studio del modo di produzione capitalistico è necessario ma insufficiente per l’analisi di una formazione sociale in cui prevale perché si deve tener conto delle diverse modalità attraverso cui il capitalismo si espande entrando in relazione con altri meccanismi di tipo economico, politico, ideologico ecc.
Il concetto di modo di produzione, dunque, non esaurisce la teoria della storia di Marx ma ne costituisce il necessario punto di partenza. Questo concetto, però, rimane centrale nella teoria marxiana in quanto uno specifico processo di produzione rappresenta la condizione di possibilità per tutta l’attività degli esseri umani dal momento che questi devono organizzarsi socialmente per soddisfare i propri bisogni e sopravvivere. Esso, dunque, è il grimaldello teorico per la totalizzazione, vale a dire per articolare e integrare le differenti prassi umane in un processo storico unitario sebbene mai concluso. In questo senso il concetto di modo di produzione rappresenta la discontinuità di base nella storia, organizzando ciascuna delle diverse forme di sociali sulla base dei loro principi peculiari a partire dalle interazioni tra le prassi umane e le loro condizioni materiali. Ma a questo punto sorge una domanda. Come intendere questa discontinuità dal momento che per Marx esiste una storia unica per quanto costituita da tempi non omogenei? L’unitarietà del processo storico si può riscontrare al livello più astratto dell’analisi, perché esistono condizioni comuni, metastoriche per la riproduzione di ogni società. Ma la ritroviamo anche analizzando il capitalismo perché si tratta del primo modo di produzione che, per il suo intrinseco dinamismo, è portato a espandersi a livello globale.

Insomma, con il capitalismo abbiamo per la prima volta una storia mondiale tendenzialmente unificata. Secondo Garcia-Quesada, Marx, solo in un primo momento, concettualizza questa tendenza nei termini di una teoria stadiale dello sviluppo storico:  l’espansione capitalistica, in qualità di stadio più avanzato, impone una singola totalizzazione spazio-temporale sulla molteplicità spazio-temporali delle coeve società caratterizzate da modi di produzione meno produttivi. In breve, lo stadio più avanzato è destinato a sostituire in toto quelli più arretrati in un processo che può essere concepito come un predeterminato schema di evoluzione. A partire dai Grundrisse, però, Marx articola una concezione diversa: il modo di produzione più produttivo non elimina necessariamente gli altri, ma crea diverse formazioni sociali sotto un meccanismo dominante, l’accumulazione capitalistica, che subordina e, nel caso, rifunzionalizza le forme sociali pregresse. Da ciò deriva, da una parte, la possibilità di delineare una concezione multilineare della storia, dall’altra, la capacità di rendere visibili diversi tipi di oppressione e sfruttamento. Questa concezione si è articolata e consolidata attraverso l’approccio teorico e politico di Marx ai paesi non europei. Un approccio che ha tra i suoi esiti più rilevanti l’ipotesi di una via russa al socialismo senza un passaggio preliminare attraverso un compiuto sviluppo capitalistico.
Ripetiamolo in altro modo: la dinamica capitalistica tende verso una totalizzazione dello spazio mondiale, ma quest’ultimo assume caratteristiche contraddittorie perché contraddistinto da uno sviluppo diseguale e combinato. Lo spazio-tempo capitalistico sussume ma non annulla la molteplicità delle configurazioni spazio-temporali presenti sul globo. Qui il tempo e lo spazio, come si può intuire dal titolo del libro di Garcia-Quesada, devono essere intesi come forme sociali storicamente mutevoli, vale a dire prodotti della prassi umana che organizzano i differenti processi sociali e che, nella loro inscindibile ma variabile relazione, definiscono le coordinate di ciascuna configurazione storica. Nonostante l’inseparabilità di queste due dimensioni, Marx utilizza modelli prevalentemente spaziali per descrivere le società precapitalistiche, con particolare riferimento al rapporto tra città e campagna. La dimensione temporale non scompare ma è messa in secondo piano perché questi tipi di società sono caratterizzati dalla longue-durée. La forte stabilità è una loro caratteristica essenziale. Il capitalismo è invece concettualizzato da Marx prevalentemente in termini temporali, caratterizzato come è dall’annichilimento dello spazio da parte del tempo. La separazione dello spazio dal tempo è però il portato dello stesso sviluppo capitalistico. È possibile pensare un processo sociale in termini esclusivamente temporali a patto di presupporre implicitamente uno spazio con caratteristiche costanti. Uno spazio, cioè, astratto, globale e mercificato in cui prevale la dimensione urbana. 

Abbiamo fin qui visto l’importanza delle configurazioni spazio-tempo a livello teorico ed epistemologico. Ma c’è un altro aspetto che emerge leggendo Karl Marx, Historian of Social Times and Spaces. La rilevanza di queste configurazioni da un punto di vista narrativo. Nel raccontare la storia della Comune, per esempio, Marx, ricorre a uno slittamento nella scala della periodizzazione che permette una sorta di happy ending. Se ci si fermasse al breve periodo, alla congiuntura, la narrazione diventerebbe semplicemente tragica in considerazione del massacro dei comunardi. Ma su una scala temporale (e spaziale) più ampia possiamo prevedere la vittoria del proletariato. Questo slittamento ha una spiegazione politica, perché serve a motivare la prosecuzione della lotta. Al tempo stesso non si tratta di una scelta arbitraria dal momento che è possibile giustificarla sulla base della teoria marxiana la quale consente di affermare che i meccanismi generativi della lotta di classe non finiscono di operare nonostante la sanguinosa sconfitta della Comune.
La storiografia ha dunque degli aspetti narrativi che la accomunano alla fiction. Tuttavia, sottolinea Garcia-Quesada, questo terreno comune non dissolve la differenza tra i due generi e la loro specifica relazione con la realtà. Detto altrimenti, formulare un cronotopo – termine ispirato all’opera di Michail Bachtin che sta per configurazione spazio-temporale – significa per Marx articolare attraverso una narrazione il livello cognitivo, quello politico e quello estetico, anche se è il primo a prevalere perché la funzione principale in una storiografia realista è quella di dar conto dei meccanismi all’opera nel processo storico. Rimane il fatto che i cronotopi marxiani comportano sempre uno schieramento politico perché sono strutturati sulla base del conflitto descrivendo relazioni sociali diseguali con l’accumulazione del capitale come ultimo background di tutti i processi. Il resoconto marxiano della “cosiddetta accumulazione originaria”, per utilizzare un altro esempio tratto dal libro recensito, è una spiegazione narrativa che può essere formulata solo rendendo visibile il punto di vista degli espropriati, una spiegazione critica che approccia la totalità sociale dal suo lato nascosto e che implica una presa di posizione nella battaglia per la memoria.
Marx, a proposito del Capitale, parla della necessità di tenere distinti il metodo della ricerca da quello della esposizione (Darstellung) dei suoi risultati, consapevole del rischio di fare apparire l’esposizione stessa, anche in considerazione della sua articolazione dialettica, come una costruzione a priori. Ma con ciò, sostiene Garcia-Quesada, il filosofo tedesco si riferisce alla teoria del modo di produzione e dunque al livello dei sistemi chiusi. La narrazione rende invece conto della contingenza che inerisce ai sistemi aperti, cioè alle formazioni sociali e alle congiunture. La narrazione necessariamente completa l’esposizione, marxianamente intesa, al fine di spiegare la storia effettiva, collegando la microstoria con la macrostoria e, in questo modo, l’agency con le strutture e i meccanismi oggettivi che, a vari livelli, operano nelle diverse configurazioni spazio-temporali. Questi meccanismi, a loro volta, contribuiscono a definire la modalità narrativa più adatta alle società contemporanee. Se il capitalismo è il modo di produzione totalizzante per eccellenza, per descriverlo sarà necessario utilizzare un racconto a sua volta totalizzante ma, al tempo stesso, data la varietà delle forme sociali in cui esso domina, capace di fare affidamento su diverse sottotrame intrecciate in una narrazione multilineare.

Concludiamo con un’ultima considerazione. Secondo Garcia-Quesada, la dimensione episodica, che può essere catturata solo attraverso la narrazione, è quella che introduce la discontinuità nello spazio-tempo definito dalla narrazione stessa, indicando le possibili trasformazioni della dimensione strutturale e, in questo modo, un momento riconfigurativo che appare nella storia. Una considerazione di cui varrà la pena tener conto anche quando affrontiamo le questioni inerenti alla guerra in corso. Attraverso le attuali vicende belliche, infatti, si manifesta una tendenza verso il baratro che apparirebbe assolutamente ineluttabile qualora ci limitassimo a svelare il dispiegarsi delle leggi generali dell’accumulazione capitalistica.

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