sovversivi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Sport e dintorni – Curve pericolose https://www.carmillaonline.com/2022/04/15/sport-e-dintorni-curve-pericolose/ Fri, 15 Apr 2022 20:00:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=71365 di Gioacchino Toni

Giuseppe Ranieri, Matthias Moretti, Curve pericolose. Antagonisti, sovversivi, antifa: quando le gradinate minacciano il potere, Il Galeone editore, Roma 2021, pp.

“Fuori la politica dalle curve” è un adagio spacciato come espressione di semplice buon senso che risuona, online come offline, tutte le volte che qualcuno, forse non sapendo cosa altro dire, tenta/spera di spostare un discorso che rischia di infrangere la bolla in cui il giocattolo calcio “dovrebbe” essere mantenuto, come si trattasse di un videogioco destinato ad essere separato dal mondo fuori-schermo. Ma se nemmeno l’universo videoludico è [...]]]> di Gioacchino Toni

Giuseppe Ranieri, Matthias Moretti, Curve pericolose. Antagonisti, sovversivi, antifa: quando le gradinate minacciano il potere, Il Galeone editore, Roma 2021, pp.

“Fuori la politica dalle curve” è un adagio spacciato come espressione di semplice buon senso che risuona, online come offline, tutte le volte che qualcuno, forse non sapendo cosa altro dire, tenta/spera di spostare un discorso che rischia di infrangere la bolla in cui il giocattolo calcio “dovrebbe” essere mantenuto, come si trattasse di un videogioco destinato ad essere separato dal mondo fuori-schermo. Ma se nemmeno l’universo videoludico è davvero una realtà a sé stante rispetto a quella che lo ha progettato, prodotto, immesso sul mercato e che lo utilizza, figurarsi se può esserlo quel carnaio umano che sfoga, nel bene e nel male, le sue passioni e le sue frustrazioni sugli spalti di uno stadio.

Certo, se si intende con il termine “politica” quella sorta di show televisivo propinato quotidianamente a reti unificate – nei confronti del quale persino i dibattiti sul nulla messi in scena, anticipando i tempi, dal Processo del lunedì di Biscardi sembravano più seri –, allora che questa politica resti davvero lontana dalle curve, ma se – scrivono Giuseppe Ranieri e Matthias Moretti nel loro Curve pericolose – si intende per “politica” «la voce collettiva che si alza da una comunità di persone, su un qualsiasi argomento che riguarda quella collettività», allora occorre accettare il fatto che «una curva è senza dubbio una comunità di persone, oltretutto molto coesa per via di un’appartenenza profondamente vissuta e molto semplice da intraprendere», dunque diventa chiaro che «non esiste, e non può esistere, una curva “totalmente apolitica”, per quanto ce ne siano molte che si professano tali».

Non mancano di certo tifoserie che esprimono precisi orientamenti politici e, quando ciò avviene, in linea con una propensione ultras votata ad esasperare tutto, si tratta facilmente di posizionamenti attorno ad immaginari politici estremi. Così come vi sono casi di convivenza di sensibilità politiche anche molto diverse all’interno della stessa curva e, a volte, persino dello stesso gruppo. «C’è poi da considerare il senso del branco, fortissimo nelle dinamiche di stadio e influente anche sugli aspetti “politici”: spesso basta che avanguardie riconosciute all’interno della curva siano nettamente schierate, per fare in modo che la massa le segua nell’intonazione di certi cori e nell’esposizione di certi simboli, cosicché sembra che ci sia una forte consapevolezza politica che pervade tutti; in realtà spesso non è così, ed è una “militanza della domenica” che poi non trova seguito nella vita quotidiana, e questo vale tanto a destra quanto a sinistra».

Se, come detto, l’adagio “fuori la politica dalle curve” non ha molto senso, qualche riflessione merita anche lo slogan “fuori i fascisti dalle curve”: non solo, come affermano gli autori del libro, occorrerebbe chiarirsi circa chi dovrebbe farsi carico dell’incombenza, ma, si può aggiungere che, sotto alla pur apprezzabile intenzione, pare aleggiare, nuovamente, l’idea dello sport come luogo al riparo dal resto della società. Cacciare dalle curve i fascisti è di certo lodevole ma rischia di tradursi in un relegare il problema là fuori, lontanto dal sacro agone sportivo-campanilistico, nella società, tra le brutture quotidiane dei suoi quartieri.

Curve pericolose racconta storie di “aggregazioni da stadio” che hanno saputo interpretare i sentimenti e le pulsioni di rottura propri di comunità urbane, quando non addirittura nazionali, che in alcuni momenti e in determinate circostanze hanno voluto e saputo opporsi al potere. Le tifoserie a cui viene fatto riferimento nel volume non sono state selezionate in base ad una semplicistica “conta” dei vessilli con l’effige del Che o delle stelle rosse riprodotte sugli striscioni, quanto piuttosto per l’essere state nei fatti “curve pericolose” per l’ordine costituito, per il protagonismo dispiegato al fine di migliorare la propria situazione di esistenza insieme a quella della comunità di appartenenza.

Per scendere nel concreto, gli esempi delle rivolte in Turchia contro il regime di Erdogan, guidate nelle piazze dagli ultras delle varie squadre uniti nella causa comune, così come l’azione di varie tifoserie nordafricane nell’epoca alle cosiddette “primavere arabe” e in quella successiva, rappresentano esempi interessantissimi di sfida aperta al potere costituito, pur non potendosi inserire comodamente nei nostri schemi ideologici […] Ci saranno quindi, senza dubbio, le storie inserite in modo più chiaro nella tradizione politica della sinistra rivoluzionaria, ma anche qui, spaziando in giro per il mondo, vediamo che le sfaccettature sono tantissime, perché nei diversi angoli della terra e nelle diverse epoche cambiano i rivoluzionari così come cambiano i nemici da combattere. Ci saranno vicende che affondano le radici nella storia lontana, nella fondazione stessa dei club e nelle lotte contro le potenze coloniali, per affermare la propria indipendenza, come nel caso del Celtic Glasgow, baluardo irlandese, cattolico e proletario nel cuore del Regno Unito, che per forza di cose non poteva che avere una storia di totale antagonismo; o come nel caso dei Paesi Baschi e della Catalogna e delle loro espressioni sportive all’interno di una lotta irriducibile per l’indipendenza e l’autodeterminazione politica; o ancora, come quella dell’Omonia Nicosia, baluardo internazionalista in un paese in cui il cancro del nazionalismo su base etnica ha portato grandi tragedie. D’altro canto ci saranno storie di contrapposizioni nate al contrario in epoche del tutto recenti, come accade in paesi come Israele e Stati Uniti, che spesso consideriamo (a ragione) avamposti del peggiore oscurantismo imperialista, ma dove allo stesso tempo fioriscono anche gli antagonismi, e negli ultimi anni fioriscono anche e soprattutto sulle gradinate. Attraverseremo, come detto, le piazze bollenti della Turchia e del Nordafrica, ma anche le altrettanto roventi città dell’America Latina che si rivoltano contro i governi della destra neoliberista e nostalgica delle dittature fasciste del Novecento. Perché in quelle città c’è anche un inestimabile ed enorme patrimonio di lotte e movimenti sociali, e quindi, manco a dirlo, ne sono piene anche le curve. Non mancheremo poi di soffermarci, grazie anche a preziosi contributi di cari amici, su piazze europee coerentemente presenti nelle lotte anticapitaliste degli ultimi decenni, come quelle greche e quella del Sankt Pauli, o come quelle delle torride e tragiche giornate di Genova 2001, così strettamente connesse ai movimenti politici e sociali che si battono senza sosta contro lo stato di cose presente.

Nell’affrontare in questo volume il fenomeno ultras, rifacendosi alle categorie dei banditi, dei ribelli e dei rivoluzionari proposte da Eric Hobsbawm, secondo gli autori la categroria a cui possono essere associati gli ultras è quella dei banditi, in particolare gli aiduchi, che lo storico inglese «indicava come la forma più alta di banditismo primitivo: un uomo libero che non si considera da meno dei signori, che vive nell’anonimato ai margini della società dotandosi di strutture sociali, combatte contro gli oppressori, ma non è legato ad approvazioni morali che siano differenti dalla propria, in una dimensione prepolitica e potenzialmente in perenne rivolta».

Ranieri e Moretti individuano in questo

un ritratto chiaro di chi si ritrova idealizzato suo malgrado, proprio come gli ultras quando si sono ritrovati a scendere in piazza dando anima all’adagio “ci togliete dagli stadi, ci ritroverete nelle strade”, ma spesso senza quell’intenzionalità che gli è stata affibbiata a posteriori per romanticizzarne i tratti. Molto più prosaicamente, la gentrificazione del calcio e la normalizzazione delle curve a un certo punto sono diventate tasselli fondamentali della ristrutturazione sociale che impone il nuovo corso neoliberista, e coloro che avrebbero dovuto tradurre in pratica questo nuovo paradigma facendolo rispettare alla “plebe” sarebbero stati i medesimi attori di sempre: i presidenti oligarchi a raccogliere i frutti più maturi e le forze dell’ordine a fare rispettare il nuovo ordine. Proprio la commistione tra la capacità – propria degli ultras – di fronteggiare queste ultime senza paura e l’allergia a ogni forma di autorità e alle gerarchie sociale imposte dall’esterno sono i motivi per cui è nato questo libro, in cui si è cercato di rintracciare analogie e differenze tra i vari casi [evidenziando] come certi gruppi, a prescindere dal reale attivismo propriamente politico, costituiscano quasi una subcultura nazionale capace di coagulare generazioni di ribelli, reietti e sognatori che spesso la prima volta che sono scesi in piazza non avevano altra bandiera per cui battersi se non quella della propria squadra del cuore.

Soprattutto di questi tempi è difficile non pensare a quanto alcuni settori dell’universo ultras abbiano, nei fatti, finito per fare da manovalanza al potere in diverse sue sfaccettature, dalla criminalità organizzata ai gruppi militari. Di certo le curve rappresentano una palestra di violenza e autoritarismo che hanno trovato sbocchi persino nel più infame e sanguinario nazionalismo in mimetica – basti pensare ai conflitti nei Balcani e in Ucraina –, il volume di Ranieri e Moretti ha il merito di ricordare e raccontare come le curve siano però anche spazi d’intervento e di vita per antagonisti, sovversivi e antifascisti ostili al potere in tutte le sue forme.

]]>
PCSP – Piccola Controstoria Popolare di Alberto Prunetti https://www.carmillaonline.com/2016/01/26/pcsp-piccola-controstoria-popolare-di-alberto-prunetti/ Mon, 25 Jan 2016 23:01:00 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28287 Alegre-cover-pcsp-600pxdi Simone Scaffidi

Alberto Prunetti, PCSP – Piccola Controstoria Popolare, Alegre Edizioni, 2015, pp. 127, € 13.00

Lo immagino intorno al fuoco Alberto Prunetti, con le gambe incrociate. In un pugno un bicchiere di vino e nell’altro una storia, a condividere cenere e calore con i personaggi dei suoi libri. L’ultimo, PCSP-Piccola Controstoria Popolare, è un ibrido narrativo di rara umanità, nel quale parole troppo spesso violentate come “eretico”, “sovversivo” e “compagno” vengono sanate con significati profondi, degni della loro etimologia: “scegliere da che parte stare”, “porre sopra ciò [...]]]> Alegre-cover-pcsp-600pxdi Simone Scaffidi

Alberto Prunetti, PCSP – Piccola Controstoria Popolare, Alegre Edizioni, 2015, pp. 127, € 13.00

Lo immagino intorno al fuoco Alberto Prunetti, con le gambe incrociate. In un pugno un bicchiere di vino e nell’altro una storia, a condividere cenere e calore con i personaggi dei suoi libri. L’ultimo, PCSP-Piccola Controstoria Popolare, è un ibrido narrativo di rara umanità, nel quale parole troppo spesso violentate come “eretico”, “sovversivo” e “compagno” vengono sanate con significati profondi, degni della loro etimologia: “scegliere da che parte stare”, “porre sopra ciò che stava sotto”, “condividere il pane”.

Siamo in Maremma, la terra dell’autore, sul finire dell’Ottocento. Tra le volte della chiesa di San Sebastiano le preghiere degli eretici risuonano salmodiate. Le seguono a ritmo le «discipline», flagelli che arpionano e lacerano le schiene dei fedeli, cercando tra le carni la consistenza dell’espiazione. Un giorno del 1887 la congrega decide di uscire allo scoperto, di sfondare i battenti della chiesa, e far scorrere il fiume sacro di sangue per le strade di Roccatederighi. Le mazze roteano nell’aria e socializzano la violenza, flagellanti e passanti si confondono. È la sovversione di un ordine previsto, il ribaltamento di un dogma millenario: “sacro” e “profano” si strozzano in un sol grido.

Inizia così la piccola controstoria maremmana del Prunetti. Il Novecento è alle porte e di lì a breve “resurrezione”, “apocalisse” e “passione” si tingeranno di rosso e di nero, trasformandosi in “socialismo”, “anarchia” e “rivoluzione”. Ma il passaggio tra i due secoli è solo in apparenza un giro di boa, ha invece l’aspetto di una cicatrice viva che si espande sulla pelle della Storia senza badare troppo ai numeri. Lo sanno bene i poeti popolari, quelli che in ottava cantano le gesta dei ribelli di sempre, legando coi versi le storie degli eretici ottocenteschi e dei sovversivi del XX secolo.

Ora li riconosciamo al chiaror della fiamma. Accanto alle spalle larghe del Prunetti, si spiegano quelle scarnificate dei flagellanti di Roccatederighi. Sono contadine, minatori, operaie, gente che sa da che parte stare. Non hanno volto ma schiene che parlano. Non hanno labbra ma voci che cantano. E quelle voci si alzano dalla boscaglia portate a braccio dai poeti maremmani. Rime dimenticate di ombre senza tempo, che  aiutano a disegnare sul muro dei vincitori i contorni dei ribelli e dei padroni. E ci sobillano ad abbatterlo quel muro, tanto che il tempo intorno al fuoco perde di consistenza, e anche il Prunetti – novello Eternauta di Oesterheld – sembra dissolversi. E infatti si alza, si congeda con un cenno del capo e va a far legna. Qualcuno questo fuoco deve continuare ad alimentarlo.

internazionalistipisaniFronde di erbacce infestanti complicano il cammino dell’autore, in un putrido pantano all’ombra di una quercia s’imbatte in un mosaico di carte delatorie, missive di spie dell’Ovra e schede del Casellario Politico Centrale. Tagliole di carta con bocche di cera lacca e denti di francobollo, che il Prunetti osserva e analizza meticolosamente. Sa che i rami secchi bruciano meglio, che l’infamia del potere può convertirsi in calore, anche quando è inaridita dalla burocrazia e dalla serialità dei funzionari. Tornato al focolare srotola un racconto che dà corpo alle carte, e con un gesto sicuro lancia il fascio delatorio nel fuoco ormai flebile. L’inaspettata fiammata sorprende i volti dei flagellanti e dei poeti, assorti nella narrazione. Il fuoco riprende vigore e dai caratteri bidimensionali di una poliziesca macchina da scrivere affiorano personaggi multiformi.

Sono i Marchettini Domenico – brigante, facchino e bracciante –; i Curzio Iacometti – seminarista, anarchico e renitente alla leva; i Chiarone Mori – latitante, maestro e oste che le cantò ai fascisti –; gli Antonio Gamberi – poeta in ottava e nemico dei Carabinieri –; i Robusto Biancani – calzolaio comunista; i Giuseppe Maggiori – reduce della Banda del Prete e disertore –; e i Temistocle Coli – anarchico settantaduenne che bastonò un brigadiere e il giorno dopo, interrogato dai militari, dichiarò: «Sarà quello che mi dite, perché io avevo un po’ bevuto e non ricordo nulla». Gente che ha un nome ma non un volto. Disertori, ribelli, emigranti forzati dalla repressione del fascismo. Di alcuni di loro si perderà traccia, altri avranno per tutta la vita gli occhi dell’Ovra puntati addosso. Altri ancora saranno vittime dell’autoritarismo che credevano di combattere. Emblematico il caso dell’antifascista Biancani che, rifugiatosi in Russia, appoggerà Trotsky nello scontro con Stalin e verrà così espulso dal partito, ma poi si pentirà e ne sarà riammesso. Anni più tardi sarà ammazzato dalla polizia segreta di Stalin con la beffarda accusa di collaborazionismo e spionaggio fascista. Qui il Prunetti si supera con una critica letteraria dello stalinismo inversamente proporzionale, per leggerezza, al dogma sovietico. Stalin, un nome e un volto, non è ammesso intorno al fuoco. I suoi baffi puzzano di “poteri buoni”. Si aggiungono invece alla congrega di flagellanti e poeti, i “compagni dimenticati” e troppo spesso traditi.

Tra di loro, l’oste anarchico Chiarone Mori, non ha dimenticato di portare il vino. Una damigiana da 54 litri, che ha una storia eccezionale da raccontare. E l’autore, quella storia figlia di tante voci, la trasforma in uno dei pezzi migliori della sua opera, e la offre da bere in gotti ai suoi lettori e alle sue lettrici. Andate ad assaggiarla a pagina 84, ne rimarrete inebriati. Come lo rimangono i convenuti tingendo i pugni e le nocche nel rosso che straborda dai calici e nel nero della cenere.

In mezzo ai suoi personaggi, il Prunetti si affina nell’arte di ibridare la realtà senza prendersi troppo sul serio. Lascia ad altri l’integrità morale e il compito di snocciolare verità di cartongesso, e libera la forza creativa del meticciato letterario, di chi nel dubbio e nella commistione ricerca la resistenza quotidiana.

alberto-e-aimoE poi? E poi mica è finita qua, perché la festa continua, «perché la noia è controrivoluzionaria», perché i “compagni dimenticati” hanno ancora molto da raccontare e da poetare. Nella seconda parte dell’opera Prunetti riprende il tema della religiosità popolare maremmana, spesso violenta e intransigente; adotta una «sguardo animale sulla Grande Guerra» raccontandoci dei cavalli maremmani, che insieme ai fratelli sardi, non poterono disertare e furono carne scelta per il macello del gran conflitto. E ancora ci narra dell’aggressione a Giacomo Matteotti al palio di Siena, dei minatori di Niccioleta e di quelli di Ribolla. Del compagno Attila e della memoria degli antifascisti di Tatti.

Ci racconta la Maremma il Prunetti, ma con lo sguardo internazionalista di chi va «pel mondo», proprio come i suoi personaggi. Quel mondo che rotola sulla fascia sinistra della Storia. Raccontarlo è il gesto quotidiano che scandisce il battito della sovversione (“porre sopra ciò che stava sotto”), dà il senso dell’eresia (“scegliere da che parte stare”) e restituisce dignità e umanità ai compagni, “coloro con cui compartire il pane” e seguire la lotta.

]]>