Socialisme ou barbarie – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 01 Apr 2025 20:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 LUDD ovvero dell’insurrezione permanente https://www.carmillaonline.com/2018/07/26/ludd-ovvero-dellinsurrezione-permanente/ Wed, 25 Jul 2018 22:01:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47303 di Sandro Moiso

La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018, pp. 570, € 25,00

In questi giorni bui, in cui di fronte al riproporsi di un governo reazionario e razzista l’antagonismo sociale non sembra saper far altro che riproporre modelli di azione politica e di organizzazione ripescati pari pari dai vecchi Fronti popolari e dalla peggiore tradizione catto-comunista e stalinista, questo primo volume del progetto destinato a ripercorrere le vicende della critica radicale italiana dalla fine degli anni Sessanta [...]]]> di Sandro Moiso

La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018, pp. 570, € 25,00

In questi giorni bui, in cui di fronte al riproporsi di un governo reazionario e razzista l’antagonismo sociale non sembra saper far altro che riproporre modelli di azione politica e di organizzazione ripescati pari pari dai vecchi Fronti popolari e dalla peggiore tradizione catto-comunista e stalinista, questo primo volume del progetto destinato a ripercorrere le vicende della critica radicale italiana dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta costituisce un’autentica boccata d’aria pura. Un po’ come aprire una finestra di un appartamento situato al centro di una grigia e inquinata metropoli per scoprire, inaspettatamente, che questa si affaccia su un magnifico paesaggio montano di nevi eterne, dirupi scoscesi e boschi verdissimi e selvaggi.

Le edizioni Nautilus che fin dai loro inizi pubblicano e ripubblicano testi di quel pensiero radicale che ha avuto nel Situazionismo una delle sue massime espressioni ma che, prima di tutto, affonda le sue radici nella insorgenza giovanile e proletaria che ha contraddistinto da sempre e, in particolare, fin dal secondo dopoguerra la “naturale” reazione di classe rivoluzionaria sia al capitalismo occidentale che al suo mostruoso alter ego rappresentato dal cosiddetto “socialismo reale”, con questo volume iniziano un’operazione che più che d’archivio pare essere più di riscoperta (per i lettori più giovani) e rivendicazione di un pensiero e di una pratica che dell’insorgenza continua contro ogni forma di potere costituito e ogni formulazione teorica tesa alla conservazione dell’esistente hanno fatto la propria ragione d’essere.

I due volumi che sono annunciati per il prosieguo dell’opera si occuperanno successivamente dei testi, giornali, bollettini e volantini prodotti all’interno del Comontismo, di Puzz, Insurrezione e Azione Rivoluzionaria e si intitoleranno Comontismo 1971-1974 e Insurrezione 1975-1981 e andranno ad affiancarsi ai due testi già precedentemente editi che raccoglievano tutti i numeri della rivista prodotta dall’Internazionale Situazionista1 e tutti i bollettini pubblicati dalla precedente Internazionale lettrista.2

Se, però, l’esperienza dell’Internazionale Situazionista è stata in qualche modo parzialmente digerita dal sistema mediatico e politico attuale, ben diversamente potrà avvenire per una produzione testuale e, lo ripeto ancora una volta, per una pratica militante che fin dagli esordi furono tacciate sia dal PCI che dai gruppuscoli nati alla sua sinistra (in primis l’orrido Movimento Studentesco di Mario Capanna) come provocatorie, irresponsabili e, in alcuni casi, “fasciste”.

Anche se l’opera non intende affatto costituire una celebrazione di pratiche e militanti come Giorgio Cesarano, Riccardo D’Este, Eddie Ginosa, Gianfranco Faina, Mario Perniola e molti altri ancora, senza dimenticare la vicinanza con Danilo Montaldi, poiché come afferma Paolo Ranieri nella sua introduzione:

“E’ ora, infatti, di dire basta alla moltiplicazione incessante e interessata di manifestazioni “in memoria”. Come il Primo Maggio […] ideato per essere l’appuntamento annuale con quel vagheggiato sciopero generale che spostava la presenza potenziale dell’insurrezione possibile insieme con l’assenza di rivoluzione attuale: da quando, con l’iterazione e la corrosione del tempo passato e il sequestro della produzione di memoria da parte delle istituzioni, ci si è scordati di questo, si è definitivamente degradato in una sorta di Pentecoste, rito lagnoso di una neo-religione per schiavi, aspiranti schiavi e liberti, meritevole di essere fuggito come la peste […] E lo stesso si può affermare senza esitazioni per il 25 aprile, il 12 dicembre, il 14 luglio […] ciascuno con le precise specificità che gli valgono un posto in questo martirologio della laica religione della disfatta, celebrata senza posa e senza vergogna dai voltagabbana incartapecoriti dalla nostalgia e dai militanti del conformismo”.3

Come si può ben comprendere fin da queste poche righe, che danno la cifra esatta del discorso anti-retorico e di rottura che la critica radicale italiana ha portato avanti fin dai suoi albori, non vi è possibilità di mediazione, di reciproco seppur parziale coinvolgimento e neppure di pace armata tra una miserabile concezione della politica di “sinistra” che ha fatto della sconfitta e della collaborazione di classe la sua terra d’adozione ed una visione che dell’iniziativa rivoluzionaria ed insurrezionale dal basso, proletaria e giovanile, ha fatto la sua ragione di esistere.

Continua, anzi anticipa, poi ancora Ranieri:

“Non possiamo nascondere a noi stessi che operazioni-memoria come la presente – intese a isolare una vicenda del passato raccogliendone i documenti in un’edizione che, elaborata dai superstiti stessi, aspira a mostrarsi critica, completa, definitiva, TOMBALE – rappresentano uno dei mille espedienti che l’universo delle merci adotta per frenare la propria inarrestabile entropia”.4

Sì, perché è proprio l’universo mercantile, con la rapida diffusione della sua capacità di affascinare e addomesticare l’immaginario proletario e sociale, l’altro obiettivo della critica radicale che, però, non intende semplicemente destrutturarne le basi e i principi ma, molto più semplicemente, distruggerlo insieme ai rapporti sociali e di produzione che lo alimentano. La necessità potrebbe rivelarsi essere proprio quella, già enunciata da De Sade, che l’insurrezione debba costituire la condizione permanente di ogni repubblica.

La sintetica ricostruzione storica della formazione, a Genova, prima del Circolo Rosa Luxemburg e poi di LUDD – Consigli proletari fatta da Leonardo Lippolis permette al lettore-militante di riscoprire le origini di tali formulazioni ed ipotesi non solo a partire dalle occupazioni studentesche delle Facoltà universitarie fin dal 1967, che impressero una spinta decisiva in quella direzione, ma fin dalle insurrezioni operaie e proletarie di Berlino Est nel 1953, dell’Ungheria nel 1956 e nelle rivolte italiane del luglio del 1960 e di Piazza Statuto nel 1962 a Torino.

Insieme alle interpretazioni che sorgevano dalle riletture dell’esperienza rivoluzionaria sulle pagine di “Socialisme ou Barbarie”, nei primi numeri dei “Quaderni Rossi” e successivamente dell’Internazionale Situazionista si evidenziava però sempre il fatto di come l’insorgenza proletaria fosse una costante, dalla Comune di Parigi in poi e allo stesso tempo come le trame “partitiche” finissero sempre con l’ingabbiare e limitare l’espressione del desiderio di rivoluzione e superamento dell’esistente compreso all’interno dell’esperienza dei Consigli.

Anche se proprio la scelta del nome del gruppo di cui sono raccolti principalmente i materiali in questo primo volume, LUDD, rinvia ad esperienze precedenti ed egualmente radicali. E’ proprio sulla tracci dell’interpretazione data dallo storico inglese Edward P. Thompson, nella sua opera più importante,5 del luddismo che si forma la convinzione che la rivolta spontanea del lavoratori delle campagne inglesi contro l’introduzione delle macchine fosse tutt’altro che una forma primitiva, arretrata e tutto sommato conservatrice di lotta di classe. Negando così un’interpretazione “progressista” del capitalismo che nelle sue conseguenze ha finito col trasformare i partiti “socialisti” o “comunisti” che la sostenevano in strumenti di conservazione politica, economica e sociale. Insomma i proletari inglesi dell’epoca delle guerre napoleoniche erano già più avanti di coloro, ad esempio i cartisti, che si sarebbero poi fatti loro portavoce e rappresentanti come tutta la deriva tradunionista, socialdemocratica e infine stalinista che ne sarebbe poi conseguita.

E’ proprio per questo motivo che i fondatori del movimento andarono progressivamente allontanandosi da quella componente operaistica di cui avevano inizialmente condiviso una parte del cammino. E che contribuì ad allontanare alcuni di loro anche da Raniero Panzieri che, proprio a proposito della rivolta di Piazza Statuto, in un primo momento aveva commentato la giovanile rivolta operaia come “quattro meridionali che tirano le pietre”. Questa memoria, contenuta nella ricostruzione di Lippolis, mi fa ha fatto tornare in mente che fu proprio in occasione di quella rivolta, e degli atteggiamenti assunti nei suoi confronti da Pajetta e dal PCI, che due proletari come Sante Notarnicola e Giuseppe Cavallero decisero di stracciare la tessera del Partito. Mentre esponenti dell’operaismo come Antonio Negri e Mario Tronti decidevano in quegli stessi anni di praticare una forma di entrismo nello stesso. Come dire che l’istinto proletario batte la riflessione filosofica 1 a 0.

“La Lega operai-studenti, che rivendicava l’eredità dei Consigli operai, insisteva invece sulla necessità di trovare nuovi canali di insubordinazione, non necessariamente legati alla fabbrica, rigettando l’impostazione gerarchica e centralizzatrice leninista. La Lega operai-studenti negava ogni valore alla lotta rivendicativa di natura economica a scapito di una critica radicale del lavoro salariato, bollato come inumano e assurdo […] «La critica rivoluzionaria – recita il significativo passaggio di un manifesto del gruppo – deve interessarsi di tutti gli aspetti della vita. Denunciare la disintegrazione delle comunità, la disumanizzazione dei rapporti umani, il contenuto e i metodi dell’educazione capitalistica, la mostruosità delle città moderne» (I 14 punti della Lega degli operai e degli studenti)”.6

I documenti riportati in più di trecento pagine sono innumerevoli ed interessanti: dai testi prodotti dalla Lega degli operai e degli studenti che si andò formando nella cerchia di militanti del Circolo Rosa Luxemburg a quelli prodotti dal Comitato d’azione di Lettere fino ai tre bollettini prodotti da LUDD e all’Appello al proletariato infantile contro l’infantilismo borghese passando per il testo di critica ai gruppuscoli scritto da Jean Barrot: Sull’ideologia ultrasinsitra.

Non costituiscono però tutto il materiale raccolto nel sito Nel Vento, nato a partire da un progetto contenuto nel preambolo a Psicopatologia del non vissuto quotidiano di Piero Coppo nel settembre del 2006. In cui si affermava:

“Dalla metà degli anni ’60 si è sviluppato in Italia un movimento che, sotto diversi nomi e sfumature differenti, ha condotto una battaglia teorico-pratica per l’affermazione di una rivoluzione che, nella propria concezione, non poteva che avere come base la critica della vita quotidiana. Precursori dei tempi, questi gruppi inquadrarono la questione della rivoluzione in termini anti-ideologici fuori e contro il militantismo caratteristico di quegli anni e del decennio successivo.
Le donne e gli uomini che si unirono in questi gruppi sono stati i primi e gli unici a porre come criterio, per cogliere il senso di un vissuto rivoluzionario diversi concetti che oggi sembrano evidenti […] Il Progetto Critica Radicale è di raccogliere e pubblicare i materiali prodotti dai gruppi e dagli individui che si sono riconosciuti in quelle idee”.

Idee, non dimentichiamolo mai, che non si espressero in spazi angusti o in eburnee ed intellettualistiche torri, ma sempre direttamente sul fronte del cambiamento esistenziale e politico, giorno per giorno nelle lotte e in una pratica che vedeva nel PRESENTE e non in un lontano passato oppure in un altro ancor più lontano futuro la possibilità di realizzare il cambiamento sociale necessario alla piena realizzazione dell’essere umano. Sia come singolo individuo, sia come specie.

Indispensabili, a parere di chi scrive, ancora oggi, nonostante alcune iperboli linguistiche ed alcune ammaccature dovute al trascorrere del tempo, per una discussione ed una pratica sociale e politica che non voglia rimanere chiusa all’interno della rappresentazione spettacolare dei valori borghesi travestiti da antagonismo e delle merci ideologiche che ne derivano.


  1. Internazionale Situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino 1994  

  2. Potlatch. Bollettino dell’Internazionale lettrista 1954-57, Nautilus, Torino 1999  

  3. Paolo Ranieri, CRITICA RADICALE. GLI ANNI DI LUDD 1967-1970. Introduzione in La critica radicale in Italia, pag. 7  

  4. P. Ranieri, op.cit. pag. 5  

  5. Edward P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, il Saggiatore, Milano 1969  

  6. Leonardo Lippolis, L’occupazione definitiva del nostro tempo, in La critica radicale in Italia, pag. 35  

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Il sentimento della rivoluzione https://www.carmillaonline.com/2018/04/12/sentimento-della-rivoluzione/ Wed, 11 Apr 2018 22:01:42 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=44747 di Sandro Moiso

Giorgio Cesarano, I GIORNI DEL DISSENSO. LA NOTTE DELLE BARRICATE. Diari del Sessantotto, a cura di Neil Novello e con uno scritto di Gianfranco Marelli, Castelvecchi, 2018, pp.218, € 17,50

Giorgio Cesarano (1928-1975) rimane una delle figure centrali, ma anche una delle più rimosse, dell’attività politico-culturale italiana del secondo dopoguerra. Poeta, autore teatrale e televisivo, traduttore e, soprattutto a partire proprio dal 1968, critico del capitalismo e militante dell’ala più radicale espressa dal movimento di contestazione dell’ordine di vita esistente venutosi a costituire in Italia proprio tra il’68 e il ’77.

Contemporaneo e amico di Giovanni Raboni [...]]]> di Sandro Moiso

Giorgio Cesarano, I GIORNI DEL DISSENSO. LA NOTTE DELLE BARRICATE. Diari del Sessantotto, a cura di Neil Novello e con uno scritto di Gianfranco Marelli, Castelvecchi, 2018, pp.218, € 17,50

Giorgio Cesarano (1928-1975) rimane una delle figure centrali, ma anche una delle più rimosse, dell’attività politico-culturale italiana del secondo dopoguerra. Poeta, autore teatrale e televisivo, traduttore e, soprattutto a partire proprio dal 1968, critico del capitalismo e militante dell’ala più radicale espressa dal movimento di contestazione dell’ordine di vita esistente venutosi a costituire in Italia proprio tra il’68 e il ’77.

Contemporaneo e amico di Giovanni Raboni e Franco Fortini, oltre che di altri importanti esponenti del rinnovamento poetico e culturale italiano dei primi anni sessanta, si sarebbe poi allontanato progressivamente da quello stesso ambiente intellettuale per vivere pienamente l’esperienza e il sentimento, come lo avrebbe definito egli stesso, della Rivoluzione.

L’opera appena ripubblicata da Castelvecchi, con la cura attenta e preziosa di Neil Novello, aveva costituito nel 1968 una delle prime testimonianze dirette di un movimento che, in quella primavera e a Milano, stava muovendo i primi passi. Pubblicata da Mondadori nel luglio di quello stesso anno aveva di fatto costituito l’ampliamento di un testo, “Vengo anch’io” direttamente ispirato all’omonima canzone di Enzo Jannacci, pubblicato da Anna Banti sulla rivista “Paragone”.
All’epoca, però, il testo apparve “censurato” dalla casa editrice e mondato della seconda parte che, già all’epoca, l’autore avrebbe voluto pubblicata insieme alla prima (e pubblicata poi nell’autunno di quell’anno su “Nuovi argomenti” con il titolo “La notte del Corriere”), finalmente ripresa in questa nuova edizione che, inoltre, ripristina anche il testo originale del primo diario.

Mentre la prima parte (I giorni del dissenso) è dedicata dall’autore “ai ragazzi dei radiomegafoni”, la seconda (La notte delle barricate) è dedicata “ai ragazzi delle bottiglie”, segnando così una sorta di cambio di passo sia nella narrazione dei fatti che, nella riflessione di Cesarano, sugli eventi che in quella primavera avrebbero contribuito turbinosamente a modificare il panorama politico, sociale e culturale italiano e internazionale.

I tempi sono diversi, ma vicinissimi: è la cronaca dei giorni compresi tra il 25 marzo e il 9 maggio quella contenuta nel “primo diario”, mentre il secondo copre un periodo molto più ristretto rinchiuso tra l’8 e l’11 giugno. Insomma dalle prime manifestazioni studentesche della primavera alla notte dell’assedio al Corriere della sera, con relativi scontri con la polizia, come risposta all’attentato, avvenuto in Germania, contro il leader degli studenti tedeschi Rudy Dutschke.

Così la prima parte riguarda principalmente le riflessioni di un uomo maturo, già quarantenne all’epoca, nei confronti di un movimento ancora imberbe, con forti elementi di novità ma anche di debolezza nell’analisi dell’esistente. Riflessione che vede l’autore pencolare, inizialmente, tra l’accettazione di quella novità rappresentata dagli studenti in piazza e la non comprensione di un discorso immediatamente radicale che sembra voler far piazza pulita delle affermazioni e convinzioni accumulate in anni di militanza nel movimento operaio. Prima nel PCI e come cronista dell’Unità (da cui fu espulso per la sua adesione adolescenziale alla X Mas) e in seguito nelle esperienze di Classe Operaia e della collaborazione con riviste come Aut Aut, Nuovi argomenti e Quaderni piacentini.

Non a caso il testo era preceduto, già nell’edizione originale, da un’affermazione di Mario Savio, leader delle proteste studentesche americane a Berkeley. Un’affermazione tratta da un discorso tenuto ancora per il movimento per la libertà di parola negli anni delle prime lotte per i diritti civili negli Stati Uniti:

“C’è un’ora in cui le operazioni della macchina divengono così odiose, provocano tanto disgusto, che non si può più stare al gioco, che non si può più stare al gioco nemmeno tacitamente. E’ allora che bisogna mettere i nostri corpi sugli ingranaggi e sulle ruote, sulle leve e su tutto l’apparato della macchina per farla fermare. E’ allora che si deve far capire a chi la fa funzionare, a chi ne è il padrone, che se pure noi non siamo liberi impediremo ad ogni costo che la macchina funzioni”

Sì, perché in seguito a quelle riflessioni Cesarano avrebbe deciso di mettersi in gioco come corpo, oltre che come intelletto. Le parole che fungono da incipit per i giorni del dissenso sono, infatti, le seguenti:

“Sono qui, con le ossa rotte (in pratica per modo di dire, anche se alla base c’è il fatto che sono stato bastonato), la schiena e le gambe che mi fanno male, non so più se per le botte o perché non sono più allenato a muovermi violentemente, a correre e a stare tanto tempo in piedi”.1

Ma mettere in gioco il corpo significherà per Cesarano ben più che partecipare alle manifestazioni e agli scontri di piazza. Vorrà dire riflettere sui corpi come veri protagonisti dell’esistenza umana e sulla necessità di una loro liberazione immediata dalle catene del modo di produzione capitalistico e dal suo naturale corollario costituito dal consumo forzato di merci come unico scopo della vita.
E’ un rifiuto totale del mondo che lo/ci circonda, delle sue leggi, della sua economia, della assurda legge della miseria contro la quale sola può levarsi la rabbia degli oppressi. Immediata e rivoluzionaria già sul momento e nelle pagine centrali del testo, solo il poeta potrà esprimere ciò con la sufficiente potenza visionaria:

“…perché il potere gettò la maschera gli oppressi dettero di muso in sciabole fucili e gas il mondo si spaccò visibilmente in due non crederò mai abbastanza in quello che si vede la fame reale o metaforica può restar fame mille anni covar fame e figliare fame ma la collera la rabbia è un virus di fuoco che può in ogni momento non si deve dimenticare che può in ogni momento rovesciare l’asse del mondo”.

Nella Notte delle Barricate la narrazione si fa più corale e l’esperienza collettiva, anche sulle pagine, mentre, allo stesso tempo, la rottura con la tradizione politica del passato diventa evidente nei fatti.
Non solo perché gli atti, non troppo dissimili da quelli di qualsiasi altra rivolta, acquistano nuovi significati, ma anche perché la rottura con i partiti, o meglio ancora con il Partito con la P maiuscola, il PCI, diventa ineludibile come dimostra, fattivamente e simbolicamente, l’episodio del militante del partito comunista che cerca di cacciare i giovani che hanno trovato rifugio in una delle sue sedi per ripararsi dalle cariche della polizia chiamandoli Provocatori!

Si disvelava così che tutti i giochi del movimento operaio istituzionalizzato altro non erano che strumenti per il mantenimento di un ordine basato sulla produzione e sul consumo di massa, ai cui occhi qualsiasi forma di indisciplina e rifiuto delle regole non poteva e non può apparire che come una provocazione, un complotto, un atto terroristico.

Inizia proprio a partire da questi diari il “salto nel vuoto” del poeta. Un salto che lo porterà ad avvicinarsi agli ambienti e alle formulazioni più radicali della critica di quegli anni.
Come specifica Gianfranco Marelli, nella sua concisa postfazione:

“Sicuramente la frequentazione sul finire degli anni ’60 degli ambienti anarchici milanesi e del milieu situazionista francese, oltre agli studi su Rosa Luxemburg, il consiliarismo e «Socialisme ou barbarie» […] segnarono l’orizzonte teorico di Cesarano e lo condussero a praticare una visione politica radicale rispetto a quanto ribolliva all’interno dei “politicissimi amici” con i quali sul piano intellettuale condivideva l’impegno a svecchiare da sinistra PCI e sindacato. In particolare la partecipazione alla Federazione Anarchica Giovanile Italiana con il gruppo milanese La Comune assieme a Eddie Ginosa, un giovane e stimato compagno con il quale si creò un solido legame intellettuale interrotto bruscamente con il suicidio del giovane nell’ottobre del ’71 – il primo di una lunga serie di suicidi che scosse profondamente Cesarano – gli consentì di tracciare una parabola che lo condusse a riconoscersi in un progetto comunitario intriso di venature marxiste, libertarie, situazioniste.
Munito di questi strumenti teorici, cercò la loro attuazione dapprima nelle nascenti organizzazioni spontanee del Movimento milanese come il CUB Pirelli, divenuto nel 1967 il luogo dell’organizzazione autonoma delle lotte operaie e studentesche, per poi essere fra i protagonisti dell’occupazione del palazzo della Triennale e dell’hotel Commercio, due delle più importanti lotte che contraddistinsero l’anima più radicale del ‘68/’69 meneghino, slegata dalle camarille del Movimento Studentesco di Mario Capanna e dei gruppi politici quali Avanguardia Operaia intenti a monopolizzare ideologicamente la contestazione, fino a partecipare alla fondazione di Ludd, un gruppo informale la cui tendenza era l’estremizzazione delle lotte del proletariato spingendolo ad attuare lotte non sindacali, “anti-economiche”, e forme organizzative consiliari e “unitarie” (né partito, né sindacato) per l’immediata realizzazione del comunismo senza passare attraverso una transizione socialista e senza costruzione di un modello o di un progetto positivo da posporre al “tutto e subito” che allora pareva il realizzarsi della rivoluzione nei soggetti protagonisti del Sessantotto”.2

Non solo, attraverso la frequentazione di Jacques Camatte, di cui diverrà collaboratore e amico, Cesarano si farà riscopritore e teorico di quella comunità umana (Gemeinwesen) già presente nell’opera del giovane Marx e poi utilitaristicamente abbandonata dai suoi successivi epigoni, interessati più a far rientrare il movimento operaio e l’azione di classe all’interno delle logiche della politica e della produzione più che alla liberazione dell’umana specie dalle catene dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sull’ambiente e dell’uomo sulla donna.

A partire da quegli anni, bruciando velocemente le tappe di ogni discorso culturale che non fosse anche critica radicale dell’esistente, Cesarano produrrà alcuni dei suoi testi più significativi,3 collaborerà con le riviste Puzz e Provocazione lasciando ancora alle sue spalle, dopo la drammatica morte, una grande quantità di scritti che hanno iniziato ad essere raccolti nelle opere complete edite a cura del Centro di iniziativa Luca Rossi di Milano.4

Attraverso quegli anni e il personale travagliatissimo percorso politico, oltre che tra le pagine dei diari, ci guidano in maniera articolata e profonda sia Neil Novello5 che Gianfranco Marelli, entrambi esperti conoscitori dell’incandescente materia trattata.

Costituita, come si è già detto, da un’esistenza che ha attraversato il Novecento nella convinzione assoluta che «L’uomo non è mai stato ancora». Da una critica della modernità che, a differenza di quella radicale ma conservativa portata avanti da Pasolini, ha cercato di indicare una comunità umana del futuro da opporre alla mortifera globalità capitalistica. Da opere provocatoriamente memorabili in grado di far sognare la fine della preistoria come presente, accendere la speranza nella rivoluzione biologica, varare le ontologie del desiderio e della passione per annientare il senso morto dell’esistenza. Tutto per giungere ad un altro modello di vivere umano.

Ciò potrebbe costituire l’unica vera eredità trasmessaci dai movimenti desideranti e combattivi di un decennio di cui Cesarano fu, per gran parte, testimone e interprete e proprio per questo motivo al curatore Neil Novello e a Gianfranco Marelli, oltre che all’editore, devono andare i ringraziamenti del recensore e dei lettori per quella che è destinata a rimanere fin da ora una delle migliori celebrazioni dei cinquant’anni dal ’68.


  1. pag. 41  

  2. Gianfranco Marelli, Istantanea del Séssantotto [Per una rinascita ontologica del Movimento], op. cit. pp. 213-214  

  3. Giorgio Cesarano- Gianni Collu, Apocalissa e rivoluzione, Dedalo 1973; G. Cesarano, Manuale di sopravvivenza, prima edizione Dedalo 1974 ora Bollati Boringhieri 2000 (con una prefazione e una cronologia della vita e delle opere a cura di Gianfranco Marelli)  

  4. Delle quali è per ora disponibile soltanto il terzo volume: Critica dell’utopia capitale  

  5. Autore, tra l’altro, dell’unica ricerca dedicata interamente all’opera del poeta-militante: Neil Novello, Giorgio Cesarano. L’oracolo senza enigma, Castelvecchi 2017  

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L’autonomia di classe…innanzitutto! https://www.carmillaonline.com/2016/05/16/lautonomia-classe-innanzitutto/ Mon, 16 May 2016 20:24:31 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30537 di Sandro Moiso

MontaldiSaggioCopertina Danilo Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia. 1919 – 1970, Edito per conto del Centro d’Iniziativa Luca Rossi (Milano) dalla Cooperativa Colibrì, 2016, pp. 480, € 29,00

A quarant’anni di distanza dalla sua prima pubblicazione1 torna disponibile, per l’opera meritoria del Centro d’Iniziativa Luca Rossi di Milano, un testo imprescindibile per la comprensione dell’evoluzione del movimento operaio italiano e del suo, o almeno presunto tale, partito più rappresentativo. Attenzione però, il [...]]]> di Sandro Moiso

MontaldiSaggioCopertina Danilo Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia. 1919 – 1970, Edito per conto del Centro d’Iniziativa Luca Rossi (Milano) dalla Cooperativa Colibrì, 2016, pp. 480, € 29,00

A quarant’anni di distanza dalla sua prima pubblicazione1 torna disponibile, per l’opera meritoria del Centro d’Iniziativa Luca Rossi di Milano, un testo imprescindibile per la comprensione dell’evoluzione del movimento operaio italiano e del suo, o almeno presunto tale, partito più rappresentativo. Attenzione però, il lettore non si troverà davanti ad un testo di “Storia” del Partito Comunista Italiano, ma piuttosto ad un’opera militante tesa ad aiutare l’opposizione di classe ad uscire, soprattutto all’epoca della sua redazione, dall’impasse troppo spesso rappresentata dalla separazione tra una sinistra istituzionale, ormai interamente rivolta ad un’attività di tipo parlamentare ed amministrativo, e una sinistra extra-parlamentare, presunta rivoluzionaria, che della prima non faceva altro che ricalcare i passi.

Il testo di Montaldi quindi si distanziava per impostazione sia dalla monumentale e canonica Storia dello stesso partito che a partire dal 1967 e fino al 1975 la casa editrice Einaudi era andata pubblicando per opera di Paolo Spriano, sia dalla più “eretica”, ma pur sempre tradizionale per impianto, storia pubblicata in un primo tempo, subito dopo la crisi ungherese e l’avvio del processo di “destalinizzazione”, nel 1957 da Giorgio Galli (poi rivista e ampliata nel 19762 ).

Purtroppo l’opera di Montaldi, che aveva avuto una lunghissima e tormentata gestazione, veniva già all’epoca pubblicata postuma, poiché l’autore, nato nel 1929 a Cremona, era drammaticamente scomparso un anno prima nelle acque del fiume Roia, presso il confine italo-francese. Da questo fatto derivava, forse, una struttura del testo divisa in 82 capitoli privi di titoli che aiutassero il lettore ad individuare velocemente gli argomenti e gli eventi trattati nelle sua pagine. L’edizione attuale, però, ha supplito a questa “carenza” con un ricchissimo indice analitico. Cui, sempre nella stessa vanno aggiunti un importante carteggio tra l’autore e vari corrispondenti proprio sul lavoro fatto in preparazione del testo ed una più che ampia ed esaustiva bibliografia oltre che un sostanziale ampliamento dell’apparato di note già presente nella prima edizione.

L’opera veniva così a chiudere, forzatamente, il percorso di un intellettuale militante che dopo essere entrato nel PCI nel 1944 lo aveva abbandonato appena due anni dopo, sull’onda dell’espulsione dalla sezione cremonese del partito di quella componente internazionalista, legata ancora a Amadeo Bordiga, che avrebbe voluto spronare il proletariato a portare a compimento, armi alla mano, il processo “rivoluzionario” iniziatosi con la Resistenza.

Questa esperienza in giovane età aveva contribuito a spingere l’autore verso una ricerca militante e politica che nel volgere di pochi anni lo avrebbero portato a produrre una discreta mole di articoli e saggi destinati a segnare in maniera esemplare il rinnovamento del discorso sull’interpretazione da dare dei comportamenti e dell’azione politica e sindacale determinata dall’autonomia di classe e sull’inchiesta operaia (che egli contribuì a rinnovare sensibilmente dal punto di vista metodologico).3

Una metodologia che da un lato lo avrebbe avvicinato a Gianni Bosio nel campo della storia orale, mentre dall’altro lo avrebbe portato a dare vita a quella che sarebbe poi stata successivamente meglio definita da Romano Alquati come “conricerca”. Sergio Bologna avrebbe poi affermato, nella primavera del 1975, nel necrologio scritto in occasione della morte di Montaldi sulla rivista Primo Maggio che: “non c’è vigliaccata peggiore che dargli del sociologo, di attribuirgli uno sforzo di identificazione o di traduzione delle sue «storie dirette»”.

Montaldi non voleva essere inquadrato in una parrocchia politica. Forse non voleva nemmeno essere considerato un intellettuale. Usava gli spazi disponibili (libri, giornali, riviste, dibattiti) per portare avanti e affinare la sua ricerca e la sua visione dell’azione di classe, proprio come pensava che il proletariato avrebbe saputo fare, in piena autonomia, senza il bisogno di qualcuno che lo guidasse o che ne raccontasse la storia dall’esterno. L’autonoma azione politica doveva infatti preludere anche ad una autonoma ricostruzione della propria storia, non mediata da altri interessi che non fossero quelli della liberazione dalla servitù salariale e capitalistica.

Tali presupposti e tale metodo sono presenti, per forza di cose, anche nel “Saggio”, dove nelle parti più indirizzate alla critica ideologica delle posizioni assunte dal Partito attraverso lo stalinismo e il togliattismo l’autore si basa principalmente su documenti e testi della tradizione e della storiografia comunista “di vertice”, mentre in quelle destinate all’esplorazione delle possibilità insite nell’utilizzo, o nel ribaltamento, proletario dello strumento “partito” utilizza principalmente testimonianze dirette o materiali prodotti dalla “base” e dai suoi movimenti spontanei.

L’obiettivo del saggio di Montaldi sembra dovere e volere coincidere con quello della ripresa delle lotte che dal 1968 in avanti avevano rivitalizzato la classe operaia e il proletariato nel suo insieme. E l’autore lo sintetizza proprio nelle pagine finali del testo: “Una classe operaia che ha vissuto in modo dialettico il rapporto con il partito della burocrazia, saprà certamente condizionarlo e liberarsi dalla sua ipoteca fallimentare. La profonda secessione che si è verificata dal ’68 in avanti racchiude entro di sé il rifiuto di un passato che è stato anche di alienazione […] Un vasto processo di ricomposizione organizzativa del corpo rivoluzionario tende a rompere il vincolo nel quale, dal 1945, in Europa, il proletariato può vivere, dibattere, crescere, invecchiare, ringiovanire senza però poter mai uscire dalla condizione nella quale si trova ristretto. La condizione perché venga infranto tale giro vizioso […] è di spezzare l’accordo che lega i partiti tradizionali del movimento operaio alle forze della guerra e dell’imperialismo. Nella fabbrica e nella società certe premesse sono già state poste […] Il lungo lavoro della Direzione del PCI non è mai riuscito a stringere in uno schema di comodo la lotta di classe. Non si è tratto unicamente, come nel vecchio PSI, di una crescente influenza del sistema sul partito; con il PCI si è trattato, dal 1944, di un patto nazionale in rapporto con gli altri patti, tra gli Stati maggiori e i blocchi mondiali, a togliere indipendenza e autonomi a al proletariato” (pag. 346)

Nella interpretazione dell’autore in quella funzione contro-rivoluzionario Togliattismo e stalinismo avevano cercato di stringere, non sempre riuscendoci, in un abbraccio mortale la classe, cercando di impedirle qualsiasi autonomia di azione, tanto da far dire a Nicola Gallerano, nella nota introduttiva alla prima edizione, riportata anche nell’attuale, che il memoriale di Yalta, autentico testamento politico di Togliatti, “appare a Montaldi come il punto di arrivo e il suggello di tutta la storia politica del dirigente italiano, esempio di coerenza stalinista «strategica» proprio nel momento in cui è costretto a negarne più decisamente il corollario «tattico» (la dipendenza dall’URSS). Si comprende allora il senso del lavoro sul PC italiano e sulla figura di Togliatti, il dirigente che ne ha segnato di più profondamente il ruolo politico. «Stalinismo cosciente», «nazionale e statale» è quello di Togliatti; e la «continuità», la «staticità», anche, di Togliatti […] consiste nel suo discorrere da «statista», di «Paesi e nazioni, non di classi»” (pag.405)

Ecco allora rivelarsi tutta l’importanza della ricostruzione militante della politica comunista in Italia dal 1919 al 1970, validissima ancora oggi per comprendere come l’attuale Partito della Nazione finisca col coronare, e non tradire, lo spirito di un partito che dalla “svolta di Salerno” in poi non ha perseguito altro che il disarmo dell’autonomia di classe e la difesa degli interessi del capitale nazionale e sovranazionale. La cui la traiettoria, che avrebbe poi portato fino a Renzi e al suo PD, era già tutta compresa in quel giudizio e in quella prospettiva.

Un testo che se rivelava agli occhi dei lettori dell’epoca della sua prima uscita, tra cui mi annovero volentieri, la lotta all’ultimo sangue che si era svolta tra classe e stalinismo nell’URSS, anche con episodi di durissima resistenza operaia allo stakanovismo, e fuori dai suoi confini (dalla Spagna del ’36 all’Ungheria del ’56 e oltre), oggi si rivela ancora enormemente utile per una riflessione non solo sul divenire del rapporto tra classe e partito, ma anche sull’inutilità e la pericolosità di strutture politico-organizzative che tendano a rinchiudere le contraddizioni di classe in un ambito puramente parlamentare ed amministrativo.

Riflessione che accompagnò e costituì, quasi sempre, la base dell’irrequietezza politica e di tutto il lavoro di ricerca di Danilo Montaldi, dalla sua esperienza con gli internazionalisti della Sinistra Comunista, ancora ben radicata all’epoca della sua gioventù nel cremonese e nella Bassa Padana, agli incontri con i rappresentati degli Zengakuren giapponesi e da Socialisme ou barbarie fino ai prodromi dell’Autonomia operaia. Uno studioso militante tutto da riscoprire a partire, magari, proprio da questo fondamentale testo.

montaldi-feltrinelli N.B.
Per approfondire ulteriormente il discorso sulla figura di Montaldi (ritratto nella fotografia pubblicata qui a lato, è il primo da sinistra, con Giangiacomo Feltrinelli durante un dibattito a Cremona) si consigliano ancora i seguenti testi:

Danilo Montaldi e la cultura di sinistra del secondo dopoguerra, a cura di Luigi Parente, La Città del Sole, 1988, Napoli

Enzo Campelli, Note sulla sociologia di Danilo Montaldi. Alle origini di una proposta metodologica (in La Critica Sociologica n. 49, 1979)

Stefano Merli, L’altra storia. Bosio, Montaldi e le origini della nuova sinistra, Feltrinelli (1977)


  1. Edizioni Quaderni Piacentini, Piacenza 1976 (allora stampata in circa quattrocento copie)  

  2. Giorgio Galli, Storia del PCI, Bompiani 1976  

  3. Si vedano: Franco Alasia-Danilo Montaldi ( a cura di), Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati, Feltrinelli prima edizione 1960, seconda accresciuta 1975; D.Montaldi, Autobiografie della leggera, Einaudi 1961; D.Montaldi, Militanti politici di base, Einaudi 1971; D.Montaldi, Korsch e i comunisti italiani. Contro un facile spirito di assimilazione, Savelli1975; D.Montaldi, Esperienza operaia o spontaneità, in Ombre Rosse n° 13, Savelli 1976; D.Montaldi, Bisogna sognare. Scritti 1952 – 1975, Edito per conto dell’Associazione culturale Centro d’iniziativa Luca Rossi – Milano – dalla Cooperativa Colibrì, 1994  

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