Sharon Stone – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 17 Dec 2024 21:00:04 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il Tuono Rotolante di Bob Dylan https://www.carmillaonline.com/2019/06/13/il-tuono-rotolante-di-bob-dylan/ Thu, 13 Jun 2019 21:30:37 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53110 di Mauro Baldrati

Martedì 12 giugno è stato proiettato, all’Arena Puccini di Bologna, in anteprima mondiale Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story By Martin Scorsese. Lunedì 18 sarà possibile rivederlo sullo schermo gigante di Piazza Maggiore. E poi, chissà quando e dove, nelle sale. Inoltre da ieri è su Netflix.

Dunque i dylaniati storici si preparino. Le emozioni non mancano. E sono forti. Ci sono molti materiali inediti, Scorsese ha assemblato, rimontato, restaurato le pellicole in maniera discontinua (era impegnato in altre opere), con un disegno preciso però: [...]]]> di Mauro Baldrati

Martedì 12 giugno è stato proiettato, all’Arena Puccini di Bologna, in anteprima mondiale Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story By Martin Scorsese. Lunedì 18 sarà possibile rivederlo sullo schermo gigante di Piazza Maggiore. E poi, chissà quando e dove, nelle sale. Inoltre da ieri è su Netflix.

Dunque i dylaniati storici si preparino. Le emozioni non mancano. E sono forti. Ci sono molti materiali inediti, Scorsese ha assemblato, rimontato, restaurato le pellicole in maniera discontinua (era impegnato in altre opere), con un disegno preciso però: non realizzare un No Direction Home 2.0, il precedente documentario colto e filologicamente corretto, ma un’opera apparentemente caotica, artisticamente libera e controcorrente, molto dylaniana appunto. Parecchie pellicole sono in 16 mm, copie di lavoro perché gli originali, pare, sono andati perduti, oppure giacciono dimenticati in qualche magazzino. Questo non fa che migliorare “l’effetto presenza”, per la grana, e i colori a tratti slavati a tratti sgargianti.

Sì, i dylaniati siano pronti. Come reagire infatti di fronte al loro cantautore preferito con la faccia dipinta di bianco in stile Kabuki, ma non solo, anche come i musicisti di strada del secolo scorso, compresi “gli italiani”, un cappello bianco carico di fiori e un’energia dirompente, da bluesman giovane e in salute?

Cantautore. E’ Dylan stesso a dirlo, quando Allen Ginsberg, da sempre innamorato follemente di lui, si esibisce sul palco, e vuole essere come lui. Ma non può. Perché è un poeta, un grande poeta che ha raggiunto tutte le vette internazionali, ma non è e non sarà mai un cantautore. E proprio come poeta le sue esibizioni richiedono troppo tempo, per le letture, le riflessioni (poetiche), i mantra. Così Ginsberg, e il suo compagno di vita Peter Orlovsky, diventano gli addetti ai bagagli. Ma non abbandona il tour. Grande ballerino, si aggira per i territori del gruppo-carovana come un padre che tutto sistema, tutto mette a posto. Così lo definisce il regista di gran parte dei filmati, Martin Von Haselberg, contraddetto, in puro stile dylanesco, da Dylan stesso: “Ma no. Allen non era affatto un personaggio paterno.” Se c’è una cosa che non può essere negata di Bob Dylan è che non sia stato un artista accattivante e diplomatico. Come quando un giornalista scrittore, uno dei tanti che seguono o cercano di aggregarsi al tour, gli telefona per un’intervista e gli pone una domanda sul concerto, cosa pensa del fatto che il pubblico gli chiede i classici mentre lui i classici li stravolge. E lui: “Cristo, mi hai beccato di prima mattina, non riesco neanche a pensare.”

Il tour, il Rolling Thunder, è una comune viaggiante che nel 1975 percorre gli States a bordo di un grande camper a tre assi con lui sempre alla guida (proprio come Ken Kesey sul Prankster-bus undici anni prima). Tocca piccole e grandi città, dove si aggregano amici e musicisti, come Patti Smith, che recita continuamente poesie ed espone il ritratto di Rimbaud, o Joni Mitchell, stupenda con la sua voce celestiale in un trio d’eccezione, lei, Bob Dylan e Roger McGuinn. E naturalmente Joan Baez, la sua ex fidanzata, con la quale può cantare “qualsiasi cosa”. In un faccia-faccia lui le dice che “mi sono sposato con la donna che amavo.” E lei: “Mi sono sposata con l’uomo che credevo di amare.” Facce sorridenti. Facce tirate. Facce imbarazzate. E poi Sam Shepard, nel ruolo inventato di cronista del tour (perché bisogna sempre trovare agli ospiti qualcosa da fare). O la giovane, bellissima modella Sharon Stone, che Dylan nota tra il pubblico, e la mette a lavorare nel back-office del tour, tipo servire da bere e da mangiare. Lei, che sogna di diventare una grande attrice, accetta, benché perplessa. Nessuno vuole perdere quell’occasione. Nessuno vuole starne fuori.

Si esibiscono preferibilmente in piccoli club, tra le proteste del tour-operator, che per coprire i costi dei compensi, degli alberghi, del catering ecc. avrebbe bisogno di spazi con almeno 20.000 persone, mentre i locali possono ospitarne 3.000. Ma le proteste sono inutili. Dylan vuole contenitori ridotti gremiti di spettatori, gente “calda”, affettuosa. Vuole qualcosa di “popolare”, in risposta allo sfarzoso tour precedente, seguito al fortunato album-capolavoro Blod on the Tracks. E anche politico. Si esibisce in una riserva indiana, e nel carcere dove è rinchiuso il pugile nero Hurricane, al quale dedicherà una canzone che contribuirà a farlo uscire dal carcere, smontando l’accusa di omicidio.

La comune è un’entità festosa, post hippy, circense, frequentata anche da personaggi improbabili, che da sempre costituiscono un motivo di ansia per Dylan, perché si sente assediato, minacciato. Il fatto è che tutti vogliono stargli vicino, parlargli, attirare la sua attenzione. Tutti vogliono bere un sorso alla fonte del suo successo. Lui è presente, allegro, ma anche riservato, diciamo pure distaccato. Come un semidio. Perché se nella storia dell’arte è esistito qualcuno che si è avvicinato allo status di un semidio greco, quello è stato Bob Dylan.

E questo, i dylaniati storici, lo sanno bene.

(N.B: Dylaniato è il titolo di un album di Tito Schipa Jr, composto da pezzi di Dylan. Ma io ho udito per la prima volta “dylaniati” dal mio vecchio amico scomparso, Valter Binaghi, un dylaniato di classe A; così per me questo concetto, che va oltre il dylaniano o dylanologo, l’ha inventato lui.)

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Un weekend del 1993 – 5/5 https://www.carmillaonline.com/2014/08/28/weekend-1993-55/ Thu, 28 Aug 2014 21:00:52 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15670 di Filippo Casaccia

[Qui le altre puntate, la 1, la 2, la 3 e la 4]

Dio c’è

weekend5La coppia anonima si rivela subito pericolosissima. Lui è un trentenne, che parla con voce soporifera. Alla povera amica che gli sta a fianco racconta del portafogli rubato sabato sera dal cruscotto della macchina. Deve rifare i documenti ed è molto scocciato. Conclude che saranno stati tossicodipendenti. Vorrei interloquire: “Magari negri”. Comunque non si può andare avanti, continua, perché è tutto tassato e non vale più la pena di lavorare. [...]]]> di Filippo Casaccia

[Qui le altre puntate, la 1, la 2, la 3 e la 4]

Dio c’è

weekend5La coppia anonima si rivela subito pericolosissima. Lui è un trentenne, che parla con voce soporifera. Alla povera amica che gli sta a fianco racconta del portafogli rubato sabato sera dal cruscotto della macchina. Deve rifare i documenti ed è molto scocciato. Conclude che saranno stati tossicodipendenti. Vorrei interloquire: “Magari negri”. Comunque non si può andare avanti, continua, perché è tutto tassato e non vale più la pena di lavorare. Non esprime motivazioni politiche: è il vero fascista inconscio, che non ha opinioni se non quelle che richiedono meno sforzi mentali e presuppongono il miglior ritorno personale. Poi, questo curioso tuttologo, attacca a parlare della calvizie ed è sicuro che alimentazione, inquinamento e soprattutto stress siano letali per il capello. A questo punto temo di tornare a Genova completamente pelato.
Continua parlando pianissimo, senza variazioni tonali: scommetto che chi lo conosce lo definisce il classico ‘pezzo di pane’. Al curaro, però. L’amica chiude gli occhi e prova a dormire, lui va avanti imperterrito e racconta del suo cane che “dà tanto affetto gratuito, mica come gli esseri umani” e io mi immagino la povera bestia che deve ascoltare il vaniloquio di questo imbecille. Poi si spegne. Per dieci secondi e riparte: è un Ariete e in famiglia son tutti segni di fuoco. Ah beh. Poi arriva il melodramma. Il padre ‘buonanima’, farebbe gli anni a breve se fosse ancora vivo, “e sarebbero pochi”. Silenzio. Poi, finalmente, scopro cosa ha fatto a Milano: un’audizione per Sanremo — tutto torna — ma dice d’aver cantato male perché gli sta venendo un’afta in bocca e che una volta ne ha avuta una che gli ha impedito di parlare per alcuni giorni. Gliene auguro una immediata e letale. Per fortuna i due scendono a Voghera.
Rimaniamo io e la dolce lettrice; sembra Julia Roberts, appena sfigurata dalla quotidianità. È silenziosa e a questo punto leggo anch’io. Finché arriva la tragica smentita: Pavia non è l’unico collettore di studenti cazzoni. Anche Genova fa la sua parte. Infatti la sconosciuta attacca a parlare con un ragazzo seduto in un altro scompartimento, suo compagno di studi, che ora sfumazza nel corridoio. La quiete è interrotta e lo stupendo libro delle critiche cinematografiche di Pasolini diventa illeggibile. Ma è una fortuna: il tizio aderisce perfettamente allo stereotipo del ‘Teatrante Pieno di Sé’ e parla con voce stentorea come se fosse sul palcoscenico. Berretto da marinaio, basetta lunga e orecchino, studia teatro a Genova ed è il sacco di merda più immenso che abbia mai incontrato dal vivo.
Poco vale il fatto che provenga dalla Val d’Ossola: studia a Genova ed è un frutto impazzito del mio ateneo. Introduce ogni discorso con una serie di roboanti IO: io qui, io là, io su, io giù… io non posso impegnarmi sentimentalmente (“Lo studio del teatro assorbe la mia concentrazione”), io sono cresciuto in un ambiente cattolico e devo appagare il mio lato pagano, io sogno consessi sibaritici, io combatto gli abbonati alla stagione teatrale, io bevo tanta birra: “Una volta, all’Oktoberfest, ne ho bevuto sette litri!”. Ma brutto babbeo, il mio amico Pitta ne ha bevuto undici e se ti piglia ti scaraventa a terra con un rutto!
Poi, con posa vissuta, indica fuori dal finestrino. C’è la statale che costeggia la ferrovia. “Vedi? Vedi, là? Sui cavalcavia, quelle scritte?”. La ragazza annuisce senza capire cosa ci sia di così importante. “Dio c’è!”. Quando mi rassegno al fatto che l’incommensurabile coglione stia per cominciare una pippa religiosa, peraltro contraddittoria con quanto sin qui declamato, si chiarisce il mistero. “Dio c’è! Vuol dire che è arrivata la droga! Ma non fare quella faccia, amore: anch’io credevo che fossero degli integralisti cattolici, però poi…”. E spiega che lui sa questa cosa perché ha un giro di amici con cui, nel rispetto del corpo e in accordo con la mente, ci scappa il pippotto ricreativo… oh: mica è un vizio, eh? Poi come se la cocaina annunciata dai graffiti ‘Dio c’è’ avesse esaurito il suo potere euforico, il patetico guitto arriva all’apice del delirio e inizia a sdilinquirsi sulla natura dell’amore, anzi dell’Amore, perché da come pronuncia la parola, beh, c’è chiaramente la maiuscola. “Per me, dopo tutto, c’è l’Amore Assoluto”. Ma come, tu, così maudit, ti cali le braghe davanti all’Amore? E giù tutte le più solenni castronerie a mascherare che sei un infantile stronzo, pieno di sé, presuntuoso e ignorante, che vorresti solo trombarti la poveretta e — parola mia — ho più possibilità io, in questo stesso preciso momento, di ingravidare Sharon Stone. Ma levati dai piedi.
Macché: inizia a raccontare dei suoi training da attore, della volta che ha sentito l’Energia (maiuscolo, è chiaro) fluire nel suo corpo. E la volta che gli si è acuita la vista o quell’altra in cui non ha parlato per due giorni… fino all’incredibile “erano quattro anni che non piangevo e tale era il senso di comunità…”. Ma questa è la ‘Testa di Cazzo Assoluta’! Se fosse la ‘Testa di Cazzo Corrente’ non ricoprirebbe alcun valore antropologico, ma, così, mi rendo conto di avere davanti un esemplare unico. Mentre la sventurata non riesce più a tenere gli occhi aperti e le oscilla la testa, arriviamo finalmente a Genova. Lascio lo scompartimento e un po’ mi dispiace, perché certe occasioni sono uniche.
Arrivo in fondo al vagone, pronto a scendere. Mi giro e vedo per l’ultima volta la poveretta tormentata dal teatrante; mi lancia un’occhiata quasi a scusarsi, poi uno strepito e vedo il dionisiaco testone di cazzo che, stretto nella sua giacchetta blu da marinaio, s’è fatto tutto rosso in faccia e sbraita. Tornato nel suo scompartimento a prendersi la divisa da Corto Maltese dei poveri, ha scoperto che gli hanno rubato il portafogli. Altro che la poesia, il teatro e l’assalto al pubblico borghese: la voce impostata e roboante si dispera per cinquantamila misere lire! Finalmente un po’ di sano e sperimentale teatro-verità!
È stato un weekend intenso, fiducioso nel futuro e sconcertante sul presente, ma alla fine vedendo il poveretto che si sbraccia da far pietà, degno di un attore del cinema muto, penso che in questo Italia incerta io finalmente una certezza ce l’ho: Dio c’è, ma sul serio.

(5 – FINE)

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