sciopero generale – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Insorgiamo https://www.carmillaonline.com/2021/07/13/insorgiamo/ Tue, 13 Jul 2021 21:00:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67191 di Sandro Moiso

Nemmeno ai tempi delle lotte più dure e determinate degli anni Sessanta e Settanta era comparsa in un comunicato di un comitato o di un collettivo di fabbrica una parola o un’incitazione così forte e battagliera. Ma oggi, dopo che la definizione di insorgenti o insurgentes e insurgent nelle sue varie declinazioni linguistiche e politico-militari è stata utilizzata negli ultimi vent’anni di guerra globale per indicare coloro che, per qualsiasi motivazione (occupazione militare del proprio territorio da parte di una potenza straniera o di un’autorità non riconosciuta, proteste [...]]]> di Sandro Moiso

Nemmeno ai tempi delle lotte più dure e determinate degli anni Sessanta e Settanta era comparsa in un comunicato di un comitato o di un collettivo di fabbrica una parola o un’incitazione così forte e battagliera. Ma oggi, dopo che la definizione di insorgenti o insurgentes e insurgent nelle sue varie declinazioni linguistiche e politico-militari è stata utilizzata negli ultimi vent’anni di guerra globale per indicare coloro che, per qualsiasi motivazione (occupazione militare del proprio territorio da parte di una potenza straniera o di un’autorità non riconosciuta, proteste contro il caro vita o le conseguenze della globalizzazione e della prima epidemia globalizzata usata come strumento repressivo e di ristrutturazione socio-economica), hanno “osato” ed osano resistere e ribellarsi contro un modo di produzione la cui protervia e fame di plusvalore richiede da tempo uno stato di guerra civile permanente contro gli interessi vitali della specie, il verbo “insorgere” viene impugnato da chi di quella protervia e sete di profitto era destinato ad essere soltanto vittima designata.

La parola, un tempo proibita e ancora oggi oltraggiosa se proveniente da chi dovrebbe soltanto subire, chiude il bellissimo ed efficace comunicato del collettivo di fabbrica Gkn di Firenze in cui, in poche ma sintetiche righe, si condensa l’analisi di ciò che sta per succedere a tantissimi lavoratori italiani; lavoratori che, oltretutto, fino ad oggi erano stati abituati a sentirsi o pensarsi come “garantiti”. Una situazione che era fin troppo facile prevedere fin dai primi mesi della pandemia e ancor più con la farsa del “blocco dei licenziamenti”, destinato soltanto nella sua fumosa applicazione a calmare le acque di una probabile ribellione sociale diffusa nei confronti dei provvedimenti e delle conseguenze riconducibili alla “lotta alla pandemia”.

Una situazione ambigua, denunciata qui sulle pagine di Carmilla e poi negli articoli raccolti nel testo collettivo L’epidemia delle emergenze1, destinata a rinviare soltanto una ristrutturazione produttiva, industriale e sociale che si è presentata sin da subito come inevitabile conseguenza della gestione politica-economica della pandemia in cui, più che la cura e la salute dei cittadini, è sempre risultata fondamentale, fin dai giorni della Val Seriana e dei morti della Bergamasca e del Dpcm che finse soltanto di fermare le attività produttive (qui), la salvaguardia degli interessi del capitale e l’incremento dei suoi profitti e della produttività del lavoro.

Oggi, grazie anche alla melina dei sindacato confederali e dei loro rodomonteschi leader alla Landini, quelle facili previsioni si rivelano in tutta la loro drammatica e spietata realtà. Però, come la storia della lotta di classe ci ha insegnato tante volte, in caso di necessità la classe operaia dimostra la sua capacità di cogliere nell’immediato (oltre che sulla propria pelle) il reale sviluppo e le reali prospettive delle contraddizioni insite nel modo di produzione dominante, non accontentandosi di stanche e scontate manifestazioni del sabato pomeriggio a Roma, come quelle promosse dai sindacati contro la fine del blocco dei licenziamenti, e porre il dito nella piaga, proprio là dove fa più male, soprattutto per i cantori della pace e della collaborazione sociale interclassista.

Così, mentre un autobus di tricolori trionfanti della nazionale di calcio percorreva le strade della capitale visitando le residenze di un potere politico che gli era riconoscente soprattutto per il servizio reso promuovendo l’unità nazionale dei poveracci, i compagni operai del Collettivo di fabbrica della Gkn cercavano e promuovevano una ben diversa forma di vicinanza e solidarietà. Dal basso, di classe, contro il mostro del capitalismo per cui il loro licenziamento, come hanno ben colto gli estensori del comunicato, non rappresenta affatto un’eccezione o un caso specifico (qui).

«Se sfondano qua, sfondano da tutte le parti. Perché siamo una grossa azienda e siamo organizzati. Immaginatevi aziende piccole e meno organizzate». Il general intellect prodotto dalla riflessione collettiva e dall’esperienza “sul campo” coglie immediatamente le caratteristiche dello scontro che sta per aprirsi. A tutto campo e non soltanto con le multinazionali straniere che, al massimo, possono funzionare da apripista come era già successo una settimana prima con il licenziamento dei 152 operai della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto in Brianza, anche qui per mezzo di una e-mail, ma con tutto il ciarpame capitalista del governo di unità nazionale e del suo Ministro del Lavoro che, nutrito a base di salviniane bistecche d’orso e scadenti film western, non ha saputo dire altro che: «Vogliamo il West, non il Far West». Concentrando in sette parole tutta la filosofia socio-economica e politica leghista.

Hanno ragione i compagni del Collettivo a citare Stellantis e non soltanto perché l’attività produttiva della Gkn è direttamente collegata a quella del gigante dell’auto.
I dirigenti della multinazionale inglese proprietaria della Gkn hanno chiaramente esplicitato che i profitti in Italia sono troppo bassi ergo che i salari dei lavoratori italiani, per ora, sono ancora troppo alti per rendere competitiva e profittevole l’attività produttiva della fabbrica fiorentina, mentre la ditta situata nella provincia di Monza, produttrice di cerchioni per camion della Volvo e della Iveco oltre che per le moto Harley Davidson, pur italianissima e associata a Confindustria, non ha avuto nemmeno bisogno di fare ciò. Si licenzia come e quando si vuole e basta!

Stellantis N.V. (in olandese: naamloze vennootschap, società per azioni) è un’impresa multinazionale di diritto olandese produttrice di autoveicoli. Nata dalla fusione tra i gruppi PSA e Fiat Chrysler Automobiles, la società ha sede legale ad Amsterdam, sede operativa a Lijnden e controlla quattordici marchi automobilistici: Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall. Il gruppo ha siti produttivi, di proprietà o in joint venture, in ventinove Paesi situati tra Europa, America, Africa e Asia.

Il gruppo, secondo The Wall Street Journal, è il terzo produttore di auto al mondo per vendite, secondo gli ultimi dati del 2019; secondo dati di vendita più aggiornati il gruppo è il sesto nella classifica mondiale dei produttori di autoveicoli: ciò a causa della crisi di vendite in Europa per via della pandemia di COVID-19 e del relativo sviluppo delle vendite in Cina dove il gruppo è più debole della concorrenza. Le capacità produttive di Stellantis sono diverse a seconda del gruppo di provenienza infatti, gli stabilimenti di FCA funzionano in media al 55% della capacità in Europa e quelli di PSA al 68% mentre in Nord America, gli stabilimenti di FCA funzionano in media al 75%, secondo quanto affermato da un analista di una società di ricerche in ambito automobilistico (LMC Automotive Ltd).

Il consiglio di amministrazione di Stellantis è composto da undici membri: cinque nominati da FCA e dal suo azionista di riferimento Exor, cinque dagli azionisti di riferimento di PSA e infine dall’amministratore delegato del nuovo gruppo, Carlos Tavares, già precedentemente presidente e direttore generale di PSA. I poteri esecutivi sono congiunti tra John Elkann (presidente, già presidente esecutivo di FCA e della holding della famiglia Agnelli, Exor) e Carlos Tavares (amministratore delegato). I principali azionisti del gruppo, alla data di conclusione della fusione sono:
Exor – 14,4%
Famiglia Peugeot – 7,2% (con opzione per salire fino all’8,5%)[69]
Stato francese (attraverso la banca pubblica d’investimento “Bpifrance”) – 6,2%
DoExor N.V.ngfeng Motor Corporation – 5,6%
Tiger Global – 2,4%
UBS Securities – 1,6%
The Vanguard Group – 0,96% 2.

Se il lettore dovesse sentirsi stremato e, perché no, anche un po’ annoiato dai dati qui riportati, dovrebbe comunque tener conto che gli stessi, ripresi direttamente da quelli forniti dalla società, ci rivelano e confermano come la stessa ex-italianissima FIAT si sia tramutata, prima con Marchionne e poi con la fusione con PSA (Peugeot) in una multinazionale che di italiano mantiene soltanto gli stabilimenti con la capacità di funzionamento più bassa (55%), in un contesto di competizione fortissima per il controllo del mercato mondiale dell’auto. Se a questo aggiungiamo che le due ditte che hanno aperto le danze dei licenziamenti lavoravano entrambe per il gruppo o sue consociate (come Iveco), non occorre essere dei meteorologi per capire come soffierà il vento per i dipendenti della maggiore impresa del settore metalmeccanico e automotive ancora dislocata in Italia.

Questo ci preannunciano i compagni del Collettivo e questo ci preannuncia il vacuo cianciare governativo sui licenziamenti e il Far West. Questo ci preannuncia, infine, il clima da guerra civile che il capitale è andato instaurando in tutto il mondo con la globalizzazione e la successiva gestione della pandemia globalizzata3.
Cui la risposta non può essere altra che quella proposta dagli operai della Gkn: lo sciopero generale, la realizzazione di una pagina di solidarietà alla vertenza (che potrebbe, ad avviso di chi scrive, trasformarsi in un luogo non soltanto virtuale di incontro e autorganizzazione per tutti i lavoratori che saranno toccati dalle inevitabili crisi aziendali future e dai licenziamenti in blocco), il rifiuto dei discorsi sugli indennizzi e sugli ammortizzatori sociali (che nascondono soltanto la passiva accettazione delle scelte delle aziende, multinazionali o meno che siano) e la scelta dell’insorgenza anticapitalista. Di massa, spontanea e allargata a tutti i settori e i lavoratori toccati da una crisi la cui gestione è destinata a trasformare in profondità il volto del tessuto economico e sociale italiano ed internazionale.


  1. Jack Orlando, Sandro Moiso (a cura di), L’epidemia delle emergenze, Il Galeone editore, Roma 2020  

  2. Per ulteriori informazioni si veda qui  

  3. Si veda in proposito anche: Sandro Moiso (a cura di), Guerra civile globale. Fratture sociali del terzo millennio, Il Galeone editore, Roma 2021  

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Le città verranno distrutte all’alba https://www.carmillaonline.com/2020/03/22/le-citta-verranno-distrutte-allalba/ Sun, 22 Mar 2020 18:14:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=58875 di Sandro Moiso

Il silenzio del Governo, dopo la rapida comunicazione di sabato sera del presidente del consiglio, era più che sospetto. L’elenco infinito e incerto di attività di vario genere (passate nel frattempo da 88 a 100 e poi ancora a 80) che avrebbero dovuto mantenere le proprie funzioni produttive e distributive senza chiudere, altrettanto. Ma la notizia che il decreto sarà attivo soltanto a partire da mercoledì 25 marzo, quindi senza entrare in vigore del tutto da lunedì 23, perché Confindustria continua a sostenere che non si possono chiudere tutte [...]]]> di Sandro Moiso

Il silenzio del Governo, dopo la rapida comunicazione di sabato sera del presidente del consiglio, era più che sospetto. L’elenco infinito e incerto di attività di vario genere (passate nel frattempo da 88 a 100 e poi ancora a 80) che avrebbero dovuto mantenere le proprie funzioni produttive e distributive senza chiudere, altrettanto. Ma la notizia che il decreto sarà attivo soltanto a partire da mercoledì 25 marzo, quindi senza entrare in vigore del tutto da lunedì 23, perché Confindustria continua a sostenere che non si possono chiudere tutte le attività e che occorre ancora limarlo meglio, lascia comunque senza fiato. Anche chi come me è abituato, da decenni, a cogliere nella sete e nell’avidità di profitto e sfruttamento del capitalismo il limite ultimo per la sopravvivenza della specie. Eppure, eppure…

Non c’è limite al peggio poiché, come si afferma in un articolo uscito poche ore fa su Repubblica nella sezione Economia e finanza (qui), non solo il decreto è stato rinviato nella sua attuazione di almeno tre giorni, ma gli imprenditori chiedono comunque che le attività restino ancora aperte poiché: “Molti container arriveranno domani nelle fabbriche italiane per scaricare merci e i fornitori esteri già minacciano penali, se il blocco entrasse in vigore subito” e “le imprese sono a corto di liquidità, chiudere senza criteri ben calibrati può voler dire non riaprire più”.

Non solo, gli aderenti alla Confapi (associazione delle piccole e medie industrie), per bocca del presidente Maurizio Casasco, chiedono di detassare le piccole aziende in difficoltà, ma anche che siano le aziende stesse a poter certificare, con procedure semplificate, la necessità dell’apertura degli stabilimenti e una “disposizione di carattere generale che consenta la prosecuzione di attività non espressamente incluse nella lista e che siano però funzionali alla continuità di quelle ritenute essenziali” (qui).
Nella stessa lettera indirizzata al governo si chiede infine di garantire i “tempi tecnici necessari dall’entrata in vigore del provvedimento a concludere le lavorazioni in corso, ricevere materiali e ordinativi già in viaggio, consegnare quanto già prodotto e destinato ai clienti”.

Diciamolo subito il grido di dolore degli imprenditori non è nient’altro che un crimine contro l’umanità e come tale va denunciato. Sul Titanic che affonda i sabotatori di Confindustria aprono ulteriori falle nelle scialuppe di salvataggio per garantire che l’ordine produttivo trionfi. Con il rinvio del Dpcm spostandolo al 25 marzo e con la forza militare dell’isolamento totale dei centri abitati.

Andranno processati tutti, governo vile e imprenditori avidi e sprezzanti, per un crimine contro l’umanità che mostra il vero volto della società libera, vivace e ricca in cui siamo in attesa soltanto di morire. Le aree industriali d’Italia si stanno trasformando in autentici lager che, esattamente come quelli a cielo aperto in Palestina, non hanno nulla da invidiare o rimproverare a quelli nazisti.

Mentre, per ora, gli unici a poter vantare la richiesta di una relazione davanti al Parlamento e alle camere riunite rimangono, purtroppo, soltanto i partiti della Destra, i sindacati confederali, colti di sorpresa dalle ultime giravolte di Conte non possono fare altro che minacciare un tardivo sciopero generale (qui). Il Pd, naturalmente, per bocca del ministro agli affari regionali Boccia, sottolinea il senso di responsabilità dimostrato dagli industriali e con Dario Franceschini ringrazia Conte, affermando di vedere, nell’ora più drammatica della storia della Repubblica: “un’abnegazione totale, unica e assoluta da parte di tutti, da Conte ai ministri che lavorano con competenza, tutti con grande generosità”.

Sorge a questo punto il dubbio che nei suoi silenzi, nei suoi prolungati rinvii e nelle decisioni autoritarie prese nel suo ufficio, contornato soltanto dai rappresentanti degli imprenditori e della finanza, l’uomo di pezza Conte sia niente di più e niente di meno di quel grigio e freddo burocrate esecutore di ordini descritto da Hannah Arendt nel suo fondamentale testo intitolato La banalità del male.

Ma non temete, pagheranno caro, pagheranno tutto.

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#LottoMarzo come e perché partecipare allo sciopero delle donne https://www.carmillaonline.com/2017/03/03/lottomarzo-come-e-perche-aderire-allo-sciopero-delle-donne/ Fri, 03 Mar 2017 08:42:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36865 Sciopero donne 8 Marzo 2017Di Cassandra Velicogna

E se le donne non lavorassero più? Cosa succederebbe? L’otto Marzo si terrà uno sciopero internazionale delle donne. I sindacati italiani hanno recentemente dato la copertura per i settori pubblico e privato, ma la mobilitazione non è dedicata solo alle lavoratrici classicamente intese. L’idea di uno sciopero delle donne è partita dalle compagne argentine, impegnate a combattere l’incremento della violenza sulle ragazze nel loro Paese e da subito ha convinto le donne polacche, già mobilitate per il diritto all’aborto e quelle di mezzo mondo. In Italia non [...]]]> Sciopero donne 8 Marzo 2017Di Cassandra Velicogna

E se le donne non lavorassero più? Cosa succederebbe?
L’otto Marzo si terrà uno sciopero internazionale delle donne. I sindacati italiani hanno recentemente dato la copertura per i settori pubblico e privato, ma la mobilitazione non è dedicata solo alle lavoratrici classicamente intese. L’idea di uno sciopero delle donne è partita dalle compagne argentine, impegnate a combattere l’incremento della violenza sulle ragazze nel loro Paese e da subito ha convinto le donne polacche, già mobilitate per il diritto all’aborto e quelle di mezzo mondo. In Italia non siamo da meno, forti di un riaccendersi del movimento femminista che già era dilagato per le strade di Roma il 26 novembre scorso.
Le ragioni della protesta italiana non sono difficili da intuire. Basta aprire un quotidiano, qualche sito ben fatto o ascoltare un radiogiornale per conoscere i fatti di cronaca. Ne cito alcuni: il femminicidio, uno dei temi caldi dello sciopero a livello globale, è ancora un fenomeno più che preoccupante, in Italia. La blanda legge sugli orfani approvata due giorni fa non deve far abbassare la guardia, in un Paese che ha visto morire una donna per mano dell’ex partner o del partner ogni tre giorni nel 2016. Anche nel caso in cui le vittime avessero denunciato atteggiamenti  violenti in precedenza…
Non a caso il coordinamento si chiama “Non una di meno”.
Il diritto all’aborto è messo costantemente in discussione dalla carenza di medici non obiettori nelle strutture sanitarie pubbliche, come approfondiva Alexik su Carmilla qualche giorno fa (Dioxinity day 3).
Si pensi inoltre a quanto sia discriminatorio il mercato del lavoro e quanto le donne siano ancora ricattabili in questo ambito. Mobbing subito dalle neomamme, disparità dei salari e precarizzazione del lavoro femminile sono fatti all’ordine del giorno. Recentemente giunto agli onori delle cronache il tragico caso di Paola Clemente, la lavoratrice dell’agricoltura pugliese che nel 2015 ha perso la vita per un salario di due euro l’ora. Senza parlare del baratro di ingiustizia in cui sono immerse le donne migranti e va dall’assenza di tutele assicurative delle badanti fino allo stupro sistematico (vedi la situazione del comparto dell’agricoltura in serra nel ragusano).
Come ciliegina sulla torta, le campagne decise a tavolino e probabilmente anche in una scatola a chiusura stagna in tema maternità del ministro Lorenzin (anche di questo se n’è già parlato su Carmilla vedi  Dioxinity Day). Siamo in un Paese in cui è facile mettere alla pubblica gogna la vittima di un sopruso come Tiziana Cantone, meno facile far condannare  lo stupratore di una bambina di 7 anni… Vedi il caso di Torino in cui un pedofilo stupratore l’ha fatta franca grazie alla prescrizione, mentre i No Tav sono processati in quattro e quattr’otto…
Si potrebbe continuare, anche per molto, ma ci sembrano già ragioni sufficienti per promuovere la mobilitazione dell’otto Marzo prossimo. Abbiamo però voluto approfondire le modalità e le tematiche di quello che in rete compare come #LottoMarzo con una delle organizzatrici bolognesi dell’evento ovvero Elisa Coco.
Dopo l’intervista, che contiene informazioni pratiche su COME  aderire allo sciopero troverete la piattaforma “8 punti per l’8 Marzo” e il link alla mappa dei punti di concentramento locali.

Ciao Elisa, grazie per aver accettato la nostra proposta di intervista.

Mi fai una panoramica sintetica delle premesse dello sciopero delle donne? Mi riferisco in particolare al 26 novembre 2016 e alla due giorni di Bologna, che si è tenuta  il 4 e 5 Febbraio scorso.

Lo sciopero globale delle donne, nella sua articolazione italiana, nasce da due processi che si sono intersecati: da un lato la mobilitazione internazionale femminista che, come un’onda, sta attraversando interi continenti, dall’Europa all’America, dall’altro lo specifico percorso italiano che, dopo quasi 10 anni, riconnette su una dimensione nazionale il lavoro che migliaia di attiviste femministe hanno continuato caparbiamente a portare avanti nei propri contesti territoriali, con un processo  inaudito di messa in rete, allargamento e coinvolgimento. E proprio dal percorso internazionale, dall’energia che ci ha trasmesso, credo che prenda linfa lo slancio di passione politica che il movimento contro la violenza maschile sulle donne e contro tutte le forme di violenza di genere sta vivendo nel nostro paese. Il 26 novembre le strade di Roma sono state attraversate da una delle più grandi mobilitazioni di piazza degli ultimi anni: 200.000 donne, con qualche migliaio di uomini, incazzate e coloratissime, totalmente autorganizzate da ogni città e ogni provincia del paese, hanno dato vita a una bellissima proliferazione di pratiche creative di piazza e comunicative. E il giorno successivo in oltre mille ci siamo riunite per iniziare una avventura ambiziosa: scrivere insieme un piano femminista antiviolenza. Per farlo ci siamo divise in 8 tavoli di lavoro, che hanno prodotto una prima traccia di elaborazione del piano femminista con l’individuazione delle priorità e linee politiche per ogni tavolo, confluite nella piattaforma “8 punti per l’8 marzo” [lo potete leggere dopo l’intervista]. Da qui ripartiremo il 9 marzo per proseguire il lavoro, con l’obiettivo di arrivare alla stesura definitiva del piano entro giugno, in modo da iniziare una stagione di conflitto con il governo prima dell’approvazione della nuova legge sulla violenza, in calendario prima dell’estate.

Questo nasce come uno sciopero politico: come si sciopera in pratica #LottoMarzo?

Lo Sciopero dell’8 marzo è una scommessa: è uno sciopero politico che però vuole configurarsi pienamente e concretamente come sciopero reale. Tutte noi ci stiamo impegnando, con assemblee nei luoghi di lavoro e negli spazi pubblici, volantinaggi, collaborazioni con i sindacati che hanno accolto il nostro appello a indire lo sciopero, per far sì che le donne si astengano concretamente dal lavoro produttivo, cioè aderiscano allo sciopero e non si presentino al lavoro nella giornata dell’8 marzo, in nessuna fascia oraria.  Inoltre chiediamo  di astenersi anche dal lavoro riproduttivo, dalle mansioni di cura, e da tutte le forme di lavoro socialmente attribuite alle donne: fare la spesa, pulire la casa, accudire i figli, prendersi cura di malati ed anziani. Quel giorno ogni donna che sarà in sciopero potrà scegliere il suo modo di rendere visibile la  propria astensione dal lavoro riproduttivo, appendendo la matrioska di Non Una di Meno alla propria finestra, spegnendo tutti gli elettrodomestici, facendo circolare in rete un video autoprodotto per spiegare #ScioperoPerché, ma soprattutto  scendendo fisicamente in piazza, perché i nostri corpi possano davvero occupare lo spazio pubblico, insieme.

Lo sciopero ha copertura sindacale? E chi non può scioperare dal lavoro, ma aderire a suo modo, cosa può fare?

Alcuni sindacati di base (Usi, Slai Cobas per il sindacato di Classe, Cobas, Confederazione dei Comitati di Base, Usb, Sial Cobas, Usi-Ait, Usb, Sgb) hanno proclamato per l’8 marzo lo sciopero generale di 24 ore. Flc-Cgil, la federazione dei lavoratori della conoscenza della Cgil, ha convocato lo sciopero per 8 ore. Questo garantisce la copertura sindacale per tutte e tutti, indipendentemente dall’iscrizione a qualunque sindacato. Chi ha forme di lavoro non tutelate o in nero può comunque cercare dei modi  di sottrazione dal lavoro, o di visibilizzazione della propria adesione, e, oltre alle iniziative che copriranno il consueto orario lavorativo, in tutte le città in maniera coordinata ci siamo date appuntamento alle 18 organizzando dei cortei notturni, proprio per favorire la partecipazione di tutte. E’ importante essere in piazza, per questo chiediamo a tutte le donne di “forzare” anche la propria consueta organizzazione familiare: chiediamo, e un po’ anche imponiamo, agli uomini che fanno parte delle nostre reti di cura di supportarci accollandosi per quel giorno tutte le mansioni riproduttive. È anche questa una forma di sciopero dal genere, visto che, nella divisione sessuale del lavoro, la cura è storicamente appannaggio femminile. L’8 marzo le donne, ma anche lesbiche, trans, gay e persone di genere fluido, possono scioperare anche sabotando tutte quelle forme con cui i nostri generi vengono continuamente messi a valore: rifiutarsi di riprodurre, ad esempio, l’accondiscendenza, l’accoglienza e la seduzione come “doti femminili”, o mettendo in discussione i dispositivi aziendali di diversity management.

La manifestazione delle donne quest’anno sarà “glocale”, passami il termine cacofonico. Nel senso che se non erro l’idea per una mobilitazione per la festa della donna è partita dall’Argentina e si è diffusa in tutto il mondo, ma ognun* potrà farlo sotto casa, nella propria piazza. A chi vorresti che arrivassero gli slogan gridati qui, in Italia?

Il termine in effetti è cacofonico ma efficace: l’iniziativa è stata lanciata dalle femministe argentine e di tutto il centro e sud america insieme alle compagne polacche e irlandesi: si sta davvero lavorando alla costruzione di una rete internazionale, con scambi quotidiani attraverso i social network ma anche incontri fisici. Però la sua realizzazione, almeno in Italia, è localissima, perché tantissime città si stanno autorganizzando, in modo che tutte le donne e le persone che aderiranno allo sciopero possano partecipare alle iniziative organizzate nella città più vicina. Qui in Italia i nostri slogan devono arrivare a tantissime e tantissimi, quindi abbiamo proprio l’ambizione di essere in tante e di gridare parecchio forte! Il nostro progetto è decisamente rivoluzionario: vogliamo parlare di come la violenza innerva tutto il sistema sociale in cui viviamo, tutti gli aspetti delle nostre vite, e quindi parleremo prima di tutto alle altre donne,  alle lavoratrici e alle tantissime precarie il cui lavoro è invisibile o diffuso, alle persone trans, lesbiche e gay che subiscono forme spesso molto efferate di violenza di genere. Partiamo dall’autorganizzazione, e dall’allargamento della mobilitazione, per poter poi parlare, e confliggere, con tutti i soggetti che quel potere, sessista, misogino, patriarcale, lo esercitano, lo mantengono e lo riproducono.

Cosa sta cambiando? Da dove nasce la marea? I numeri e la determinazione della due giorni cosa ci dice della forza di questo movimento?

Non credo che questa marea nasca dal nulla, i movimenti femministi hanno sempre avuto andamenti carsici, ma anche nei momenti di “bassa marea”, chiamiamola così, il lavoro prosegue, anche se a minore intensità. Quello che mi sembra nuovo, in questo processo, è la ripoliticizzazione di parti importanti del femminismo, che in questi decenni hanno presidiato la questione della violenza attraverso la relazione con le donne che quella violenza l’hanno vissuta nelle loro storie concrete e singolari. I centri antiviolenza hanno subito e subiscono con sempre più forza una pressione verso l’istituzionalizzazione, che, come abbiamo visto con i consultori, neutralizza esperienze nate come pratiche di femminismo trasformandole in servizi standardizzati. Questo significa perdere il contatto con l’esperienza delle donne che hanno subito violenza, forzarne l’autodeterminazione entro percorsi standard, come quello della denuncia, in  un paese in cui tra l’altro spesso di denuncia si muore. I centri si sono ribellati e sono scesi in piazza, dando nuova linfa anche alla riappropriazione politica dei consultori. L’altro grande elemento di novità credo che sia la caparbietà del lavoro di rete e il tentativo di coniugare radicalità e allargamento delle istanze. È tutta una scommessa, ma noi ci stiamo veramente impegnando per vincerla.

Pensi che si riusciranno ad evitare le trappole di provocatori e detrattori? Non faccio esempi, ma sui giornali e sui siti di movimento si cerca di proporre una propria visione, fare dei discrimini e domande capziose. Per esempio come rimanderesti al mittente la questione degli “uomini che volessero scioperare lottomarzo”?

Gli uomini possono scioperare l’8 marzo, ma sia chiaro che chi lo fa ci aspettiamo lo faccia in due modi.  Prima di tutto partendo da sé e scioperando dal sistema di potere patriarcale che attribuisce un privilegio agli uomini cisgender, ossia tutti quegli a cui è stato attribuito un sesso maschile alla nascita e che si riconoscono in quel sesso. Questo significa che Non Una di Meno non è l’occasione per avere facili patentini di antisessismo: uno dei nostri tavoli ha affrontato proprio la questione del sessimo nei movimenti, e siamo risolute nel non fare sconti a nessuno, a maggior ragione negli spazi dove condividiamo la nostra pratica politica con gli uomini. Dagli uomini che vogliono lavorare all’interno di questo movimento ci aspettiamo una messa in discussione reale, a partire dalle proprie pratiche, nella politica così come nelle relazioni. E sicuramente non solo l’8 marzo. In secondo luogo, se il potere e la decisionalità politica, a tutti i livelli, è degli uomini, scioperare dal proprio genere significa anche fare un passo indietro, e sostenere l’autonomia transfemminista, senza nessun tentativo di sovradeterminazione:  il protagonismo quel giorno sarà delle donne e delle persone lgbtq che stanno lavorando a questo percorso da mesi, da anni, e la centralità sarà data alle pratiche che noi, tutte insieme, stiamo costruendo.

Ti faccio una domanda un po’ spinosa e me ne scuso: che differenza c’è col movimento degli anni passati chiamato “Se non ora, quando”?

Premetto che questa è una mia opinione personale, che non vuole in alcun modo offendere le donne che hanno creduto e investito nel progetto Se non ora quando, perché tra loro molte erano sicuramente in buona fede. Detto questo, io penso che la differenza ci sia e sia abissale: “Se non ora quando” era un movimento “dall’alto”, studiato a tavolino per mobilitare l’opinione pubblica in chiave antiberlusconiana, con un taglio politico spesso moralistico, bigotto e borghese. Molte di noi al tempo contestammo la divisione tra donne per bene e donne per male che quella esperienza poneva tra i propri presupposti politici. Non una di meno è un movimento dal basso, nato e alimentato dal lavoro collettivo di migliaia di donne, di centinaia di associazioni, collettivi, gruppi, forse più caotico perché appunto autorganizzato, ma, a mio parere, molto più vitale, appassionante e trasformativo. E sicuramente molto più radicale, perché non si pone a difesa della “dignità delle donne” ma chiede una trasformazione radicale della società dal punto di vista dei rapporti di genere.

Ecco il testo uscito dalla due giorni di Bologna, per approfondire quel che si è detto nei tavoli di lavoro in preparazione allo sciopero delle donne:

“8 punti per l’8 marzo. È questa la piattaforma politica formulata dalle 2000 persone riunite in assemblea nazionale a Bologna il 4 e 5 febbraio, che hanno proseguito il lavoro sul piano femminista antiviolenza e stanno organizzando lo sciopero delle donne dell’8 marzo che coinvolge diversi paesi nel mondo. I punti esprimono il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia. L’8 marzo quindi incrociamo le braccia interrompendo ogni attività produttiva e riproduttiva: la violenza maschile contro le donne non si combatte con l’inasprimento delle pene ‒ come l’ergastolo per gli autori dei femminicidi in discussione alla Camera ‒ ma con una trasformazione radicale della società. Scendiamo in strada ancora una volta in tutte le città con cortei, assemblee nello spazio pubblico, manifestazioni creative. Scioperiamo per affermare la nostra forza. Ribadiamo ancora una volta la richiesta a tutti i sindacati di convocare per quella giornata uno sciopero generale di 24 Ore, Non un’ora meno, e chiediamo alle realtà confederali ed in particolare alla Cgil di rispondere pubblicamente sulla convocazione dello sciopero generale.

Scioperiamo perché

La risposta alla violenza è l’autonomia delle donne

Scioperiamo contro la trasformazione dei centri antiviolenza in servizi assistenziali. I centri sono e devono rimanere spazi laici ed autonomi di donne, luoghi femministi che attivano processi di trasformazione culturale per modificare le dinamiche strutturali da cui nascono la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. Rifiutiamo il cosiddetto Codice Rosa nella sua applicazione istituzionale e ogni intervento di tipo repressivo ed emergenziale. Pretendiamo che nell’elaborazione di ogni iniziativa di contrasto alla violenza vengano coinvolti attivamente i centri antiviolenza.

Senza effettività dei diritti non c’è giustizia né libertà per le donne

Scioperiamo perché vogliamo la piena applicazione della Convenzione di Istanbul contro ogni forma di violenza maschile contro le donne, da quella psicologica a quella perpetrata sul web e sui social media fino alle molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Pretendiamo che le donne abbiano rapidamente accesso alla giustizia, con misure di protezione immediata per tutte, con e senza figli, cittadine o straniere presenti in Italia. Vogliamo l’affidamento esclusivo alla madre quando il padre usa violenza. Vogliamo operatori ed operatrici del diritto formati perché le donne non siano rivittimizzate.

Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi

Scioperiamo perché vogliamo l’aborto libero, sicuro e gratuito e l’abolizione dell’obiezione di coscienza. Scioperiamo contro la violenza ostetrica, per il pieno accesso alla Ru486, con ricorso a 63 giorni e in day hospital. Scioperiamo contro lo stigma dell’aborto e rifiutiamo le sanzioni per le donne che abortiscono fuori dalle procedure previste per legge a causa dell’alto tasso di obiezione: perché ognun* possa esercitare la sua capacità di autodeterminarsi. Vogliamo superare il binarismo di genere, più autoformazione su contraccezione e malattie sessualmente trasmissibili, consultori aperti a esigenze e desideri di donne e soggettività LGBTQI, indipendentemente da condizioni materiali-fisiche, età e passaporto.

Se le nostre vite non valgono, scioperiamo!

Scioperiamo per rivendicare un reddito di autodeterminazione, per uscire da relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà, perché non accettiamo che ogni momento della nostra vita sia messo al lavoro; un salario minimo europeo, perché non siamo più disposte ad accettare salari da fame, né che un’altra donna, spesso migrante, sia messa al lavoro nelle case e nella cura in cambio di sotto-salari e assenza di tutele; un welfare per tutte e tutti organizzato a partire dai bisogni delle donne, che ci liberi dall’obbligo di lavorare sempre di più e più intensamente per riprodurre le nostre vite.

Vogliamo essere libere di muoverci e di restare. Contro ogni frontiera: permesso, asilo, diritti, cittadinanza e ius soli

Scioperiamo contro la violenza delle frontiere, dei Centri di detenzione, delle deportazioni che ostacolano la libertà delle migranti, contro il razzismo istituzionale che sostiene la divisione sessuale del lavoro. Sosteniamo le lotte delle migranti e di tutte le soggettività lgbtqi contro la gestione e il sistema securitario dell’accoglienza! Vogliamo un permesso di soggiorno incondizionato, svincolato da lavoro, studio e famiglia, l’asilo per tutte le migranti che hanno subito violenza, la cittadinanza per chiunque nasce o cresce in questo paese e per tutte le migranti e i migranti che ci vivono e lavorano da anni.

Vogliamo distruggere la cultura della violenza attraverso la formazione

Scioperiamo affinché l’educazione alle differenze sia praticata dall’asilo nido all’università, per rendere la scuola pubblica un nodo cruciale per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne e tutte le forme di violenza di genere. Non ci interessa una generica promozione delle pari opportunità, ma coltivare un sapere critico verso le relazioni di potere fra i generi e verso i modelli stereotipati di femminilità e maschilità. Scioperiamo contro il sistema educativo della “Buona Scuola” (legge 107) che distrugge la possibilità che la scuola sia un laboratorio di cittadinanza capace di educare persone libere, felici e autodeterminate.

Vogliamo fare spazio ai femminismi

Scioperiamo perché la violenza ed il sessismo sono elementi strutturali della società che non risparmiano neanche i nostri spazi e collettività. Scioperiamo per costruire spazi politici e fisici transfemministi e antisessisti nei territori, in cui praticare resistenza e autogestione, spazi liberi dalle gerarchie di potere, dalla divisione sessuata del lavoro, dalle molestie. Costruiamo una cultura del consenso, in cui la gestione degli episodi di sessismo non sia responsabilità solo di alcune ma di tutt*, sperimentiamo modalità transfemministe di socialità, cura e relazione. Scioperiamo perché il femminismo non sia più un tema specifico, ma diventi una lettura complessiva dell’esistente.

Rifiutiamo i linguaggi sessisti e misogini

Scioperiamo contro l’immaginario mediatico misogino, sessista, razzista, che discrimina lesbiche, gay e trans. Rovesciamo la rappresentazione delle donne che subiscono violenza come vittime compiacenti e passive e la rappresentazione dei nostri corpi come oggetti. Agiamo con ogni media e in ogni media per comunicare le nostre parole, i nostri volti, i nostri corpi ribelli, non stereotipati e ricchi di inauditi desideri.

Se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo. #NonUnaDiMeno #LottoMarzo

MAPPA delle mobilitazioni: segui il link qui sotto.

https://nonunadimeno.wordpress.com/portfolio/appuntamenti-8marzo/

Ultima nota estetica. Trovo sia meraviglioso il simbolo dello sciopero, quelle matrioske che evocano l’idea di una “reductio ad infinitum”: esprimono perfettamente il concetto di solidarietà tra donne.

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