Scarlett Johansson – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 22 Dec 2024 06:44:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Lucy di Luc Besson https://www.carmillaonline.com/2014/10/19/lucy-luc-besson/ Sat, 18 Oct 2014 22:03:26 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18141 di Mauro Baldrati

LucyLucy, la prima femmina di austrolopiteco della preistoria, è tornata per portare a compimento il ciclo dell’evoluzione. Potrebbe essere questa la scheda dell’ultimo film di Luc Besson, il regista franco-hollywoodiano che si porta dietro l’aura epica di film fortunati e ben riusciti come Nikita, Il Quinto Elemento, Leon. Non ci sarebbe molto da aggiungere, a parte questa considerazione: per quanto tempo un regista può continuare a vivere della rendita di opere passate? In teoria per sempre. Il marketing selvaggio, l’insipienza della critica cinematografica, che non dice, non consiglia, non stronca, ma si limita al riassuntino della storia, permettono, [...]]]> di Mauro Baldrati

LucyLucy, la prima femmina di austrolopiteco della preistoria, è tornata per portare a compimento il ciclo dell’evoluzione.
Potrebbe essere questa la scheda dell’ultimo film di Luc Besson, il regista franco-hollywoodiano che si porta dietro l’aura epica di film fortunati e ben riusciti come Nikita, Il Quinto Elemento, Leon. Non ci sarebbe molto da aggiungere, a parte questa considerazione: per quanto tempo un regista può continuare a vivere della rendita di opere passate? In teoria per sempre. Il marketing selvaggio, l’insipienza della critica cinematografica, che non dice, non consiglia, non stronca, ma si limita al riassuntino della storia, permettono, anzi, impongono, di attingere dal passato, dall’epoca in cui erano ancora presenti le sfide, le ricerche. Un trend che non ha scadenza, visto che, dopo 40-50 anni, si continua a pescare e ripescare dall’estetica degli anni Sessanta, quando si faceva sul serio e il Mercato si adeguava. Un certo vuoto pneumatico di idee, di innovazione, che trovano linfa dalla sperimentazione senza un esito garantito, viene riempito con gli effetti speciali, sempre più evoluti e fine a se stessi.
Così il cinema muore, sostituito da un prodotto interattivo coi videogiochi, i feuilletton, le commedie, le sceneggiature improvvisate e di una imperfezione entropica.

Non che Lucy sia brutto. E’ adeguato ai tempi. Gli effetti speciali, come sempre, sono ottimi, si vede addirittura l’ennesima sequenza di inseguimento in auto con incidenti spettacolari che non annoia. Dalla sua ha la storia semplice, senza fronzoli né svolte pretenziose. Lucy studia a Taiwan, quando viene costretta dal fidanzato a consegnare una valigetta sigillata a un certo Mr Jang. Cade in balìa di una banda di mafiosi coreani abbastanza fumettistici, che le aprono la pancia per inserirle un pacchetto di una potentissima droga che si apprestano a mettere sul mercato. Però un aguzzino tatuato la massacra di botte, il sacchetto si rompe e la droga entra in circolo. Ci sarà una rivoluzione psico-fisica di enormi dimensioni, una vera e propria mutazione che la porterà a sviluppare ultrapoteri che derivano da un uso intensivo delle cellule celebrali. Noi usiamo il 10% del nostro cervello, Lucy sale di intensità fino a raggiungere il 100%, che equivale al fine ultimo dell’evoluzione, che coincide con la creazione primigenia, il principio stesso della materia.

Allietato da inserimenti di riprese naturalistiche di ottima qualità, tuffi nella preistoria che ricordano 2001 Odissea nello spazio, “visioni” di Lucy del mondo affollato di onde e interferenze che evocano Matrix, timidi tentativi di rievocare Nikita, il film scorre verso un finale tecno-lisergico che sarebbe piaciuto a Timoty Leary e ai suoi allievi della rivoluzione chimica. Però che senso di inutilità di fondo, di costruito, di incerto. E poi la Scarlett Johansson. Besson deve essersi reso conto che non è adatta per una seconda Nikita, proprio non ce la fa. Così ad ogni immagine della star, laterali all’overdose compulsiva di primissimi piani, noi vediamo le didascalie: “superbambola con pistola”; “superbambola che cammina”; “superbambola seduta che non fa un tubo”.

E dopo?
Ripensando alla mano esperta del regista, alla cura degli effetti e dei dettagli, e a una certa mediocrità dell’opera, ci deprimiamo leggermente. Ci chiediamo cosa abbiamo perso, e perché. Oppure cosa ci è stato rubato, e come. Ci chiediamo se è anche colpa nostra.
E non sappiamo rispondere.
Chi ha una risposta merita il Premio Nobel.

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Divine Divane Visioni (Cinema di papà 07/08) – 62 https://www.carmillaonline.com/2014/09/18/divine-divane-visioni-cinema-papa-0607-62/ Thu, 18 Sep 2014 20:44:26 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17191 di Dziga Cacace

Ma come diavolo ci difendiamo? A parolacce?

ddv6201661 – Sesso, sangue e ricatto in Hostel di un sadico, USA 2005 Sono di passaggio da casa dei miei, a Genova, e la pigra scanalata serale – noi genitori non più adusi neanche all’accensione del televisore – ci cattura subito. Ogni film sembra una evasione liberatoria, anche la più clamorosa vaccata. Incappiamo in questo Hostel e intuiamo subito che da questa golosa porcatina sarà difficile staccarsi, come capita con quei fantastici snack malati, pieni di sale, zuccheri e colesterolo che se apri il pacchetto, dici «solo una» e poi [...]]]> di Dziga Cacace

Ma come diavolo ci difendiamo? A parolacce?

ddv6201661 – Sesso, sangue e ricatto in Hostel di un sadico, USA 2005
Sono di passaggio da casa dei miei, a Genova, e la pigra scanalata serale – noi genitori non più adusi neanche all’accensione del televisore – ci cattura subito. Ogni film sembra una evasione liberatoria, anche la più clamorosa vaccata. Incappiamo in questo Hostel e intuiamo subito che da questa golosa porcatina sarà difficile staccarsi, come capita con quei fantastici snack malati, pieni di sale, zuccheri e colesterolo che se apri il pacchetto, dici «solo una» e poi te lo devi finire. La prima parte del film, preparatoria, è irritante nella sua linearità, con degli imbecilli studenti americani in Interrail e che hanno praticamente la patata tatuata in fronte. Beh, anch’io ero partito per il classico viaggio post liceo pieno di aspettative verso leggendarie valchirie pronte a sbranarsi il bel pezzo di manzo che ero. Invece era finita che m’ero messo con Barbara. Perlomeno fino a stasera, visto che durante la visione del film borbotta più volte. I protagonisti, comunque, beati loro, si fanno una drogata tappa copulativa ad Amsterdam e son tentati dal colpo grosso: sono attirati a Bratislava per trombare ancor più, alla grandissima. E trombano, con gran sollazzo di regia (Eli Roth) e spettatore lubrico: ci manca che Barbara mi asciughi la bavetta alla bocca. Però per troppa foga e amor di figa i due rimangono invischiati in un gioco mortale: il film allora prende quota e c’è una certa astuta cattiveria visiva e narrativa che non lesina pelle, sia nuda che lacerata e sanguinolenta. Il film si pretende sia ambientata in Slovacchia, ma siamo nella Repubblica Ceca e la fauna locale che appartiene alla categoria “macrognocche da infarto”, viene esibita abbondantemente senza nascondere la natura maschile e maschilistica di questo esercizio sadico, rivolto a un pubblico preciso. Son moralista? Macché! Mi piacciono pure le donne nude – pensa te – ma mi dà fastidio il ricatto quando è così scoperto, senza nessuna astuzia se non l’esibizione (in cui casco a piedi giunti, è chiaro. E capisco anche il protagonista: il chiavatone che si fa vale una mutilazione permanente). Comunque: ritorno in me e faccio il prof dalla voce nasale: il problema generale di Hostel è essere un film che fa dell’esposizione oscena la sua ragione. Un po’ come quella stronzata di Saw, horror efferato, cinematograficamente furbetto e di cui mai vedrò i seguiti, neanche sotto tortura, quella tortura. (Diretta Sky; 6/10/07)

ddv6202662 e 663 – L’ha scritto Balzac E.R. (Anno 3 e 4) di Michael Crichton e Aa.Vv., USA 1996/97
Vi è mai successo? Avete voglia di un bel filmone fluviale, una di quelle faccende che rimani nel buio della sala, o tramortito sul divano, e pensi: questi personaggi sono vivi. Io li conosco, gli voglio bene, devo sapere cosa gli accadrà domani. Perché per quella porzione di tempo che ti ha preso il film tu sei entrato nella loro vita, nei loro problemi, hai condiviso la loro felicità o i drammi, i dubbi, i successi e le sconfitte. Ecco: penso a La maman et la putain… Leaud dove sarà ora? Starà ancora parlando e parlando, indeciso su cosa fare della sua vita? Beh, avevo voglia di una cosa così e mai mi sarei aspettato di trovarla in un serial televisivo. Perché la tivù di solito banalizza, attutisce, tranquillizza, consola, distrae, addormenta. E invece ecco che quel E.R. che ho schifato per tanti anni mi dimostra che può avvenire anche il contrario. Intendiamoci, ero esaltato anche dalle prime due serie ma con queste terza e quarta stagione si ascende ad ancora più alte sfere celesti. Si tratta di un capolavoro. È la Commedia Umana del ventesimo secolo, il documento visivo più completo per capire cosa siano gli Stati Uniti, degli anni Novanta e di oggi: lavoro, Aids, razzismo, rapporti uomo donna, omosessualità, disgregazione della famiglia, assistenza sanitaria, classismo, ricerca medica, mutuo, povertà, droga, delinquenza, armi, consumi, le gang, gli homeless, il Capitale, la vita e la morte… c’è tutto, con uno sguardo democratico, mai estremista, talvolta cerchiobottista ma mai falso o moralista (è lo show, credo, più visto di tutti i tempi: queste serie viaggiavano su una media di 30 milioni di spettatori. No, dico: 30 milioni. Intesi?). Ottimo il cast, il montaggio, le musiche, il ritmo, la regia, la psicologia dei personaggi, la verosimiglianza quotidiana e anche esistenziale. Tutto. Perfetto. Quando lo vedeva solo Barbara mi stava sul cazzo (E.R., non lei), poi, visto in originale l’episodio pilota della prima serie, sono rimasto completamente schiavo. È l’optimum televisivo: l’Heimat che gli americani non sanno di aver prodotto. E so già che un giorno dovrà arrivare a conclusione. E dove finiranno tutti loro, eh? E io? Argh. (Dvd; ottobre e novembre 2007)

ddv6203665 – Il finto The Prestige di Christopher Nolan, USA 2006
A Genova, per un blitzkrieg weekend, con pupattola al seguito. Dopo cerimonie voodoo, scongiuri e pratiche animistiche per addormentarla, ci concediamo un film e papà ci precede, un po’ aggressivo, come a dire di non cominciare a rompere: “Ho un dvd ottimo, con responsi critici da favola”. Ahia, qui finisce a schifio. Lo produce dalla borsa e io faccio la faccia un po’ così, da vera merda. Siccome si irrita subito perché distruggergli i film che mi propone è il mio sport preferito, lo ammansisco dicendogli che anche l’amico Pif lo ha trovato splendido, per intreccio e sorprese. Lo vediamo e, invece, sarò io un genio, ma mi erano chiari tutti gli inghippi con abbondanti mezz’ore di anticipo. E siccome io NON sono un genio vuol dire che il film è una vaccata. E per la cronaca mio padre non ha invece capito una mazza e s’è pure addormentato. Messo in scena benissimo, The Prestige è però freddo e lunghetto e sembra il compitino di un primo della classe che vuole sempre stupirti, sennonché a Nolan il prestigio non viene per nulla, secondo me. Con Memento il regista ci riusciva prima di diventare noioso, qui no. Il cast gronda dollari e oltre ai divetti Hugh Jackman e Christian Bale ci sono anche il classico Michael Caine, l’elegante David Bowie e la fatalona Scarlett Johansson, che com’è fotografata qui sembra una caricatura: è alta un metro e un barattolo, la forma del viso ricorda quello di un divieto di sosta con labbra carnosissime e ha tette che la precedono di un quarto d’ora buono. No, non è sessismo mio, è sessismo loro, credetemi. Vabbeh, film che passa ma che delude anche. L’unica cosa che mi ha divertito è stato Bowie nella parte dello squinternato e geniale Tesla. Basta. Comunque Pif ha messo su un suo programma su MTV, Il testimone, ed è bellissimo, questo sì. Semplice nella forma, ricchissimo nella sostanza: un distillato di intelligenza del mio piccolo amico, uno che farà carriera, son sicuro. (Dvd; 7/12/07)

ddv6204666 – Una porcata, Homecoming di Joe Dante, USA 2005
Papà ci riprova e mi dice, mani avanti: “Oh, Joe Dante! Ci siamo capiti? Dante!”. Beh, ne ho letto qui e là e in effetti molti critici erano in erezione marmorea per ‘sto filmetto. L’idea di partenza è folgorante (i cadaveri dei soldati USA morti in Iraq riemergono da sottoterra perché vogliono votare contro Bush) ma lo svolgimento è paratelevisivo a voler essere generosi, con attori che non se li imbarcherebbero neanche i Legnanesi in una replica parrocchiale. Mamma mia che brutto, una schifezza umiliante. Siccome Dante è pur sempre Dante, gli perdonano qualunque cosa, ma già La seconda guerra civile americana era una stupidaggine che si sgonfiava dopo aver semplicemente letto il riassunto sui quotidiani. E anche stavolta c’è solo un’intuizione e non un adeguato sviluppo nonché una forma degna di tal nome. E poi mi hanno un po’ rotto il cazzo gli americani liberali che della guerra in Iraq si ricordano sempre le vittime statunitensi e mai i centomila civili iracheni stecchiti (a volare bassi con le stime). Più gli altri (soldati, ribelli, pure terroristi) che son uomini anche loro. Se per loro un filmetto così è buono per pulirsi la coscienza, io aggiungo che mi ci pulirei qualcos’altro. E dài, eh. (Dvd; 8/12/07)

ddv6205667 – L’inaspettato Munich di Steven Spielberg, USA 2005
Non pago, dopo due cocenti delusioni, papà insiste ancora con le sue proposte cinematografiche e stavolta fa centro nella maniera più inusitata. Vedo il dvd di Spielberg e comincio a lamentarmi. Perché diverse cose sue recenti mi hanno irritato e certa poetica infantile non mi piglia più, non so. Che poi sa mettere in scena – e chi dice di no – però, boh. “Ma lo guardiamo, papà, dài, non offenderti”, e… ammazza che film! Va come un treno, è sottilmente ambiguo, per nulla compiacente, ricco e pure appassionante, limpidissimo e zeppo di fughe di “genere”. Insomma: il capolavoro che non ti aspetti, snobbato dal grande pubblico al botteghino e rifiutato sdegnosamente dagli israeliani (il che fa capire molte cose). Voglio dire: quale azione terroristica è risultata mai più odiosa dei fatti di Monaco, dell’uccisione di quegli atleti israeliani nel luogo dove dovrebbe vigere la tregua olimpica? Quanto può aver allontanato dalla comprensione della causa palestinese quell’atto? Eppure Steven (ebreo, sempre attentissimo alla memoria del suo popolo) riesce a metterci anche il punto di vista *loro* e si sforza di capirlo e costringe lo spettatore a mettersi in discussione come il protagonista, chiedendosi il senso della vendetta, del sangue che non lava altro sangue, ma ne farà versare ancora. E dove siano la ragione e il torto. Oh: mai amato troppo Spielberg, ma un film così mi fa perdonare tante cose. Per me – in un ambito mainstream e con cotanta paternità – perfetto. (Dvd; 9/12/07)

ddv6206669 – Ancora un capolavoro: Grizzly Man di Werner Herzog, USA 2005
Film incredibile, scomodo, folle e irritante come sa essere la vita. E la morte. Lo sguardo glaciale di Werner, senza giudizi, sull’esistenza irregolare di Timothy Treadwell, un ambientalista sui generis che ha deciso di votarsi all’impossibile convivenza con dei grizzly, cari e buoni finché non han fame. La storia è perlopiù narrata attraverso i filmini che Treadwell ha realizzato (un centinaio di ore di materiale, accuratamente selezionato e montato), accompagnati dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto (l’ex fidanzata, la sorella, un medico, una guardia forestale), tipi che non paiono meno strani dell’oggetto dell’investigazione filmica. Ma Herzog, come sempre, sembra chiederci: qual è la normalità? E possiamo piegare la natura ai nostri desideri? Le immagini documentarie di Treadwell sono curiose e danno un sapore particolare e agghiacciante al racconto, anche se ci vengono negate le sequenze finali della sua vita, che viviamo solo attraverso lo sguardo allucinato della sorella che invece le vede. Scelta etica che diventa anche cinematograficamente potentissima. Gran film, tanto per cambiare, tra l’altro musicato da quel genio che è Richard Thompson, uno dei miei musicisti preferiti (definizione preferita: “suona come se Chuck Berry fosse uno scozzese cresciuto in Libano”; in Italia quanti saremo ad avere tutti, ma dico proprio tutti, i suoi dischi?). (Dvd; 14/12/07)

ddv6207672 – Droga tagliata un po’ male: 24 – Stagione quattro di Aa.Vv., USA 2005
Siccome sono rimbambito ho visto la quarta serie prima della terza. Amen, più mistero ancora. In realtà non si gioca tanto sui tradimenti, perché è una serie un po’ fascistona e schematica, con buoni e cattivi schierati, morale busheggiante e arabi amorali, pronti ad ammazzare i figli. Stavolta non c’è teoria del complotto, ma pura e semplice azione. Jack Bauer agisce trasgredendo ordini e protocolli, risolvendo quello che i burocrati culi di piombo affrontano con leggerezza, incompetenza e lentezza. E intanto fa secchi un centinaio di arabi (o simili, anche se sono iraniani per gli yankee è la stessa cosa) traspiranti e puzzoni, anche quando plurilaureati. Per salvare la faccia ci sono anche arabi buoni che denunciano le attività dei fratelli cattivi. Unica (involontaria?) contraddizione: il discorso del cattivone di turno, tale Marwan, alla nazione americana, che riassume in due frasi la rabbia di chi odia la politica USA. Lo fa in maniera così precisa e ficcante che dubito che chi l’abbia scritta non ne intravedesse la verità. Rispetto alle prime due serie è tutto un po’ raffazzonato: più di un personaggio è dimenticato durante la narrazione (puf! Scomparsi!), molte volte gli impicci nascono da leggerezze francamente incoerenti (mancanza di uomini, tecnologia o abilità) e lo schema narrativo (indizio, ricerca del personaggio, interrogatorio, tortura, successo) è ripetuto troppe volte. Grande adrenalina, poco fosforo. Me ne farò una ragione. (Dvd; dicembre 2007 e gennaio 2008)

ddv6208674 – Il tristanzuolo Kontroll di tale Antal Nimrod, Ungheria 2004
Un film autoriale ungherese che trovo poco risolto: quando si bordeggia la commedia si ride a denti così stretti che ti fai male. Nelle parti drammatiche o poetiche è invece tutto sfuggente o un po’ banalotto. Bellissima fotografia sotterranea (il film è ambientato nella metropolitana di Budapest), okay, qualche attore dalla faccia interessante, una certa tenerezza, ma non cerchiamo scuse: Kontroll risulta – stringi stringi – una magiara rottura di coglioni come poche. (Dvd; 26/1/08)

ddv6209681 – Lo storico Barbarella di Roger Vadim, Francia/Italia 1968
Siccome l’hanno visto in milioni, siccome di Jane Fonda manca poco che si veda anche una gastroscopia, siccome i costumi li ha disegnati Paco Rabanne, siccome la psichedelia fantascientifica arrivava alle masse (virata pop e vagamente cartoonish), siccome c’era la liberazione sessuale, siccome tutte queste cose, Barbarella è un film che va visto. Lo faccio e mi ritengo autorizzato a definirlo una cagata dove salvo solo il grandissimo Ugo Tognazzi, perché il timbro della sua voce è splendido e perché – perlomeno sulla scena – si bomba la Fonda. Mi direte: ma questo film aveva un senso allora, non oggi, e l’erotismo e bla bla. Okay, ma io l’ho visto adesso, c’è già YouPorn e son nervoso, per cui fatevene una ragione. (Dvd; 29/2/08)

ddv6210682 – Scappo in Madagascar, di Eric Darnell e Tom McGrath, USA 2005
Un filmetto piacevole che ci mette mezz’ora ad ingranare e poi cresce bene. Il tratto un po’ spigoloso non mi piace granché ma molte scene (per presenza di masse – la tribù di lemuri imbecilli –, o architetture – Grand Central Station) non sono niente male. Il gioco citazionistico è spinto al massimo per dare motivo d’interesse agli adulti a seguire una vicenda abbastanza esile e perfetta per i pupattoli. Talvolta funziona (La febbre del sabato sera) altre è pura menzione (Momenti di gloria). Ma Madagascar si fa vedere, coinvolgendoti con la stupidità assoluta dell’orgiastico Re Julien o della pattuglia di stolidi ed efficaci pinguini che vogliono tornare in Antartide. Tra miraggi carnivori, comicità demenziale e anche un’insospettabile scorrettezza politica, viene fuori un film per bambini e adulti rimbambiti. Per cui ottimo per me. Ricordo diverse critiche perché sostanzialmente gli animali, ritornati al loro habitat naturale, ripensano nostalgicamente alla cattività urbana: come sempre l’ironia è un vento gelido che sfiora i polemisti da quotidiano. (Diretta Tv, Italia1; 4/3/08)

ddv6211683 – L’incredibile Zardoz di John Boorman, Gran Bretagna 1973
Solamente gli anni Settanta potevano partorire una cosa così: un film magnificamente astruso nei dialoghi e nel racconto della società futura e contemporaneamente sempliciotto nello svolgimento narrativo (e comunque complicato da rivelazioni che arrivano poco a poco). Costumi tra l’inventivo e il risibile, scenografie di plexiglass coloratissime e una generale atmosfera psichedelica e drogata, esaltata da una fotografia splendente; Sean Connery irsutissimo e seminudo, con uno slippino in pelle molto sadomaso a infagottare il pacco, l’adorata Charlotte Rampling sempre splendida. Fu un insuccesso clamoroso e la cosa non mi stupisce. Però gli vuoi bene, perché un film costa miliardi e c’è un matto, Boorman, che li ha messi di tasca propria per concedersi questa follia che oggi ha un immenso valore nel raccontarci come si poteva far cinema allora. E cosa passa talvolta nella testa degli uomini. (Dvd; 8/3/08)

ddv6212684 – La mitologica visione di Medea di Pier Paolo Pasolini, Italia/Francia/Repubblica Federale Tedesca 1969
Assente Barbara per le vacanze pasquali, procedo a uno spietato repulisti della videoteca, valutando per ogni cassetta qualità della registrazione, futura obsolescenza, reperibilità con altre fonti. Sarà una banalità, ma ormai su Youtube trovi veramente di tutto, è la nastroteca virtuale galattica dove c’è ogni cosa. Per il resto, il proibito, connessione veloce e peer to peer e – mulo o torrente – trovi il resto. E se proprio non lo trovi vai su Amazon e non rompere più le palle, dài. Eliminando le vhs ho sacrificato decine di film e spezzoni di Springsteen, Negrita, Gialappa, Fuori orario, amenità varie e Blob… anche se qualcosa mi sono rivisto, non ho saputo resistere. Come Fede che mette le bandierine durante le regionali del 1995, i funerali di Falcone, l’arresto di Giovanni Brusca, di nuovo Fede in orgasmo durante l’attacco all’Iraq del 1991, Achille Occhetto che piange alla Bolognina, Giuliano Ferrara tracimante in ogni dove, il sonoro ceffone di Roberto D’Agostino a Vittorio Sgarbi, Enrica Bonaccorti che becca un concorrente telefonico che risponde (esattamente: “Eternit”) prima della domanda del cruciverbone, Antonella Clerici che dichiara che pensa sempre al cazzo… Poi, messo via Miracolo a Milano (regalato, non buttato, ma l’ho visto almeno 5 volte), ho pensato che voglio più bene a Vittorio De Sica (il primo De Sica) che a Rossellini (specialmente l’ultimo). E che Herzog è immenso, specie quando la sua vita finisce nei film in cui ne racconta altre (e le vhs di Werner le ho tenute tutte). E che come certo cinema sperimentale degli anni Venti e Trenta, così libero, inventivo e geniale non c’è stato più niente. Poi ho rivisto il corto The Waiting Room di Jos Stelling, piccolo capolavoro erotico, e a spizzichi e bocconi Sign ‘O’ the Times esagerato film concerto con Prince al top: tutto feeling e ritmo, che grande chitarrista! Ma qualcosa l’ho assunto anche integralmente, tanto da elaborare un giudizio più meditato: è il caso di questa Medea di Pasolini. E il giudizio è: epico stracciamento di palle. E poi – scusate – hai sempre la sensazione che le masse rurali, che PPP metteva davanti alla cinepresa, non capissero una mazza di quello che dovevano fare. Attori presi dalla strada, dell’Anatolia però. Vedi gente che a comando fa qualche movimento, con sguardi persi verso la cinepresa, e poi si ferma come ad aspettare un cenno d’assenso. Una sensazione straniante, se vogliamo salvare la regia; un effetto tra il comico e il tragico se dobbiamo dire la verità. Perché Pasolini era un genio, è chiaro. E se decidiamo che l’ingenuità registica e narrativa siano un valore, va bene, era anche un bravo regista (che io, personalmente, ho sempre amato). Però francamente preferisco che l’inquadratura sia un po’ più curata, magari non traballante; così come il montaggio. E gli attori, pure. Se no vedersi una cosa come Medea diventa un continuo giustificarsi col tuo angelo custode cinematografico che ti ricorda che dovrebbe essere un capolavoro. La scelta delle location è formidabile (specialmente la Piazza dei miracoli di Pisa), i colori e i costumi sono molto evocativi. La vicenda – se conosci il Mito – è abbastanza leggibile; altrimenti è un florilegio di dialoghi al contempo declamatori ma anche doverosamente esplicativi – se no non si capirebbe veramente una minchia – seguiti da ellissi siderali e silenzi agghiaccianti che menano gran strage di spettatori. Ritmo, manco a parlarne. Maria Callas appare in un’intervista prima del film e non è quel che si dice una strafiga, ma è simpatica, molto intelligente e soprattutto affascinante: sprigiona energia ed erotismo. Poi la vedi nel film ed è veramente mostruosa, truccata come un reperto archeologico, boh. Medea l’ho visto con impegno meritevole di miglior ricompensa dopo aver già rinunciato a Parigi ci appartiene di Jacques Rivette: al quindicesimo del primo tempo ho avuto il sospetto che mi stesse crescendo un terzo coglione e ho deciso che poteva bastare: dialoghi ammorbanti, montaggio sgradevole, attori con facce da culo, vicenda che non mi intriga e densa di nomi che dimentico appena sento. Sarà colpa mia, ma non ho più l’età. (Vhs da RaiDue; 16/3/08)

ddv6213685 – A bocca aperta davanti agli Appunti per un’Orestiade africana di Pier Paolo Pasolini, Italia 1970
L’idea è: cerchiamo nella giovane Africa libera gli attori e le location per girare il mito di Oreste. Accompagnati dalla voce del Poeta, il film gira quando PPP si dimentica di associare Oreste e company alle immagini e racconta ciò che vede. Quando invece spiega il delirante progetto a degli studenti africani a Roma ci sono momenti spiazzanti, da supercazzola. Del resto rispondere a Pasolini che chiede se sia meglio ambientare l’Orestiade nell’Africa di allora (1970) o della prima decolonizzazione (1960), sembra uno scherzo crudele, oltre tutto fatto a gente che parla l’italiano stentatamente. L’impressione fortissima è che con questa specie di documentario il Pierpa si sia pagato il viaggio in Africa (col nasale Alberto Moravia al seguito, sai che spasso), oppure abbia messo una pezza a un progetto finito (ma anche pensato) male ed astruso. La musica originale è di quell’altro mio idolo che è Gato Barbieri, che però a un certo punto è vittima di un pentimento della regia in corso d’opera. Non bastassero le difficoltà precedenti, Pier Paolo si chiede: e se la tragedia fosse cantata? Giuro. Così, su atonale e ululante musica free, due cantanti neri devono anche impersonare Agamennone che scazza con Clitemnestra, raggiungendo vette degne del prof. Biscroma di Bracardi. Questo filmettino da oltre 60 minuti l’ho visto perché buttare via un nastro registrato 12 anni fa senza neanche dargli una possibilità mi sembrava brutto. Diciamo che è stato un omaggio alla mia passata passione cinefila. Che, grazie a dio, è passata. (Vhs da RaiTre; 17/3/08)

ddv6214686 – La burla Echelon controllo totale di un cialtrone, Francia 2002
Il documentario che dovrebbe raccontarci come siamo controllati in ogni nostra mossa comunicativa: cellulari, Internet, Sms, etc. Solo che è tutto narrato (da tale David Korn-Brzoza) in modo fiacco senza neanche la cialtronaggine croccante di un Voyager televisivo, per dire (e non basta usare il widescreen per fare cinema: serve un’intenzione). La fatidica rivelazione del complotto mondiale contro la nostra privacy è gestita coi piedi, buttata lì, quasi non fosse importante. L’ho mollato dopo dieci minuti di improperi: non si fa così, se no poi diventa tutto teoria del complotto e le denunce vengono attribuite ai soliti paranoici, eh. (Vhs da Tele+; 17/3/08)

(Continua – 62)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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Vermeer e la fabbrica dei miti https://www.carmillaonline.com/2013/10/16/vermeer-la-fabbrica-dei-miti/ Tue, 15 Oct 2013 22:33:47 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=9799 di Mauro Baldrati

Vermeer_originalSappiamo che Swann, uno degli eroi – benché assai poco eroico – della Recherche, sta preparando da molto tempo un saggio sul pittore Vermeer. Ma è un progetto che non porta, né porterà, a termine. Perché Swann è pigro, indolente, incapace di passare all’atto, come molti dilettanti. E’ raffinato, colto, ma alle domande irritate della fidanzata (e futura moglie) Odette, di spiegarle cosa c’è di veramente bello in Vermeer, non sa, o non vuole rispondere. Più probabile la seconda ipotesi, conforme alla proverbiale indolenza del nostro, e alla sua forma di modestia fondamentalista, che in realtà è la [...]]]> di Mauro Baldrati

Vermeer_originalSappiamo che Swann, uno degli eroi – benché assai poco eroico – della Recherche, sta preparando da molto tempo un saggio sul pittore Vermeer. Ma è un progetto che non porta, né porterà, a termine. Perché Swann è pigro, indolente, incapace di passare all’atto, come molti dilettanti. E’ raffinato, colto, ma alle domande irritate della fidanzata (e futura moglie) Odette, di spiegarle cosa c’è di veramente bello in Vermeer, non sa, o non vuole rispondere. Più probabile la seconda ipotesi, conforme alla proverbiale indolenza del nostro, e alla sua forma di modestia fondamentalista, che in realtà è la vera classe di chi non si profonde in spiegazioni o esibizioni della propria erudizione.

Dunque cosa c’è di veramente bello nel pittore olandese secentesco? La luce straordinaria dei fiamminghi? Il loro delicato iperrealismo? La trasparenza celestiale dei colori? Chissà se le migliaia di spettatori che, in febbraio, entreranno nel museo privato bolognese Palazzo Fava, in una grande mostra su Vermeer che, dopo molti anni, fa uscire Bologna dal suo provincialismo e dall’autoesclusione dalle mostre internazionali (grazie a una banca), se lo chiederanno.

Per la verità la mostra non è monografica. Ci saranno altre tele di maestri fiamminghi, Rembrandt, Hals, Ter Borch, Claesz, Van Goyen, Van Honthorst, Hobbema, Van Ruisdael, Steen, ma chi tira è lui, Vermeer. Il suo capolavoro La ragazza con l’orecchino di perla avrà un salone interamente a disposizione, con altissimi soffitti a cassettoni e affreschi di Carracci. Su una parete di questa grande sala sarà posizionato, in una teca climatizzata, da solo, il piccolo quadro di cm 39 X 40.

vermeer_scarlettA dire il vero questo non era il titolo originale del quadro. E’ stato cambiato. Vermeer lo chiamò Ragazza col turbante. Ma è un dettaglio trascurabile. Ora Vermeer è diventato un personaggio pop, e deve sottostare alle regole poco democratiche del marketing selvaggio. Un libro di successo, che ha rinominato il quadro, di Tracy Chevalier (ottimo peraltro, intrigante, ben scritto e piacevole), e un film interpretato dalla superstar hollywoodiana Scarlett Johansson, hanno generato una concatenazione di macchine produttive di immaginario, pubblicità, gossip, che è diventata macchina del tempo, ha fatto un salto di alcuni secoli, ha prelevato Vermeer e l’ha catapultato nel sistema dell’entertainment e della fabbrica dei miti.

Non che il pittore fosse poco conosciuto, o sottostimato. E’ uno dei grandi maestri dell’età dell’oro dei fiamminghi. Ma era lo stesso prima? Cosa pensava di lui Odette, ragazza ordinaria, ignorante, bugiarda, la musa incomprensibile del raffinatissimo Swann? Dietro la sua esasperata domanda: cosa c’è di veramente bello in Vermeer si nasconde la battuta: insomma smettila di rompere con ‘sto Vermeer! E la sua maestra di vita, la petulante, ricchissima, feroce Madame Verdurin, avrebbe apprezzato il pittore solo se adeguato alla sua visione egoistica della moda, della tendenza, e mai, mai, se oggetto di culto per intellettuali d’élite.

Così, accanto agli spettatori che riusciranno a prenotare un biglietto per la mostra, ci saranno Odette e Madame Verdurin, a porsi con loro la domanda. Forse Madame Verdurin non se la porrà, essendo incapace di provare sentimenti che non siano l’astio, il disprezzo per i chic, la crudeltà verso i deboli, ma si limiterà a cercare di stabilire se il pittore, e la mostra, siano conformi al suo modello di artista non-noioso. Odette e gli altri, invece, forse proveranno quel senso di doloroso straniamento che sempre interviene quando, ebbri di mitopoiesi mediatica, ci troviamo di fronte all’oggetto reale che l’ha generata. Proprio come il Narratore delle Recherche che, dopo giorni e notti e mesi di sogni sul salotto mitizzato dei Guermantes, una volta entrato, si stupisce di non provare nulla di speciale né di elevato, ed è incredulo quando è costretto a constatare che si tratta di persone normali, che parlano in maniera normale.

Ovviamente il quadro non è normale. In quello sguardo Vermeer ci ha messo la vita, il sentimento. Nelle labbra socchiuse della ragazza ci sono promesse, sensualità e persino innocenza. C’è la grazia.

Ma cosa c’è di veramente bello?
Gli spettatori spinti, costretti alla visione dalla fabbrica dei miti, forse riusciranno a sdoppiare la domanda e a chiedersi cosa c’è di veramente bello nella monumentale impalcatura di stelle mediatiche, red carpet, flash di fotografi, articoli entusiasti e tutti uguali, filmati celebrativi, primissimi piani ad alta definizione di volti glamour de-contestualizzati, aggettivi roboanti e omologati, gadget e bel mondo. E la domanda potrebbe diventare: perché non riesco a consumare fino in fondo il veramente bello? Perché questo distacco, questa insoddisfazione? Sono io o è il quadro, così piccoletto in confronto all’enfasi di cui è avvolto?

Non sarà invece che la macchina di fabbricazione del mito mi costringe a nutrirmi del suo prodotto, e mi impedisce di godere dell’unica vera bellezza, quella dell’arte, che ci invia i suoi segni reali, addirittura modesti, mentre siamo travolti dai segni mendaci della mondanità?

Ma è dura. Dubitiamo che Odette de Crécy, la cui pigrizia mentale è seconda solo a quella del suo futuro marito, abbia il tempo, e la pazienza, di porsi una simile domanda.

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