Sam Newfield – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 18 Jan 2025 05:58:27 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Nemico (e) immaginario. L’Umano e l’Alieno https://www.carmillaonline.com/2016/08/16/nemico-immaginario-nemico-allo-schermo-lumano-lalieno/ Tue, 16 Aug 2016 21:30:47 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29821 di Gioacchino Toni

crazies-romero-Passando in rassegna la cinematografia di fantascienza americana si può notare come la minaccia, anche quando proviene da mondi lontani o da strane creature, in molti casi è l’uomo ad averla, più o meno direttamente, ispirata o causata. A volte l’essere umano è indicato come motivo del male comparendo come figura di potere malvagia e megalomane, in altre occasioni è per causa umana che qualche strano essere, non di rado mutato geneticamente a causa di esperimenti bellici, semina morte e distruzione. Che si tratti di virus letali, di [...]]]> di Gioacchino Toni

crazies-romero-Passando in rassegna la cinematografia di fantascienza americana si può notare come la minaccia, anche quando proviene da mondi lontani o da strane creature, in molti casi è l’uomo ad averla, più o meno direttamente, ispirata o causata. A volte l’essere umano è indicato come motivo del male comparendo come figura di potere malvagia e megalomane, in altre occasioni è per causa umana che qualche strano essere, non di rado mutato geneticamente a causa di esperimenti bellici, semina morte e distruzione. Che si tratti di virus letali, di catastrofi ambientali, di mutazioni genetiche, a ben guardare, secondo tanta fantascienza, l’uomo pare rappresentare la vera minaccia per l’intero pianeta ed, in alcuni casi, anche per altri mondi. Per certi versi anche la figura dell’alieno finisce per parlare dell’essere umano, visto che su tale figura, frequentemente utilizzata per esorcizzare l’ignoto, vengono spesso proiettare le peggiori caratteristiche dell’umanità.

Nelle pellicole in cui è l’uomo ad essere indicato come responsabile dei disastri non di rado viene messa sotto accusa l’intera specie umana, quasi fosse affetta da una colpa da cui non può liberarsi. Altre volte i film mostrano come le colpe siano sì umane ma riconducibili alla sete di potere ed alla ricerca del profitto ad ogni costo di quanti, per raggiungere i propri scopi, non esitano a distruggere ed uccidere. In questo secondo caso l’accusato, più che l’intera specie umana, è specificatamente l’essere umano che fa dello sfruttamento nei confronti dei suoi simili e dell’intero universo la propria ragione di vita.

Ricorrendo al saggio di Maxime Coulombe, Piccola filosofia dello zombie. O come riflettere attraverso l’orrore (Minesis, 2014), abiamo analizzato [su Carmilla], attraverso la metafora dello zombie, le pulsioni autodistruttive dell’essere umano incapace di sognare un mondo migliore. In un secondo scritto [su Carmilla] abbiamo fatto riferimento al testo di Roberto Giacomelli, Nemici dell’America, nemici dell’umanità. Il “nemico” nel cinema fantascientifico americano (Sovera Edizioni, 2014) a proposito delle modalità con cui il cinema fantascientifico ha dato immagine ai nemici dell’America. Riprendiamo ora il discorso proprio a partire da questo ultimo volume che, nella sua seconda parte, focalizza l’attenzione sulle figure dell’Umano e dell’Alieno proposte della science fiction statunitense. Occorre ribadire quanto sottolineato nel precedente scritto a proposito dell’impossibilità di essere esaustivi nel passare in rassegna un genere che conta una produzione davvero sterminata. Detto ciò, in tale volume, le denunce delle responsabilità dell’essere umano espresse dalla fantascienza cinematografica vengono analizzate a partire da opere che affrontano le minacce atomiche. Questo filone, secondo l’autore, può dirsi iniziare nei primi anni ’50 con lungometraggi come Il risveglio del dinosauro (The Beast from 20,000 Fathoms, Eugène Lourié, 1953) ed Il continente scomparso (Lost Continent, Sam Newfield, 1951). In entrambi i casi il mostro è prodotto dagli esperimenti nucleari umani. Qualche anno dopo Il mostro del pianeta perduto (Day the World Ended, Roger Corman, 1955) mette in scena l’umanità sopravvissuta alla catastrofe atomica, costretta a fare i conti anche con i suoi effetti a lungo termine. È comunque nella seconda metà degli anni ’50 che proliferano film popolati da “mostri atomici”, come ad esempio il giapponese Godzilla (Gojira, Ishiro Honda, 1954) che apre la strada a numerose produzioni nipponiche ed americane ad esso ispirate.

Nel caso di Assalto alla Terra (Them!, Gordon Douglas, 1954) il terrore è seminato da formiche rese giganti dagli esperimenti statunitensi effettuati in attesa di “fare sul serio” ad Hiroshima e Nagasaki ed il film termina lasciando inquietanti interrogativi circa la nuova era aperta dallo scoppio dell’atomica. Tra i monster movie passati in rassegna dal saggio abbiamo: Tarantola (Tarantula, Jack Arnold, 1955), Il mostro dei mari (It Came from Beneath the Sea, Robert Gordon, 1955), La mantide omicida (The Deadly Mantis, Nathan Juran, 1957), L’assalto dei granchi giganti (Attack of the Crab Monsters, Roger Corman, 1957) ed alcune opere del prolifico Bert I. Gordon, come I giganti invadono la terra (The Amazing Colossal Man, Bert I. Gordon, 1957). In questo ultimo film è un colonnello contaminato da una bomba al plutonio a subire la mutazione che lo trasforma in un gigante, come a dire, suggerisce Giacomelli, che è l’uomo il vero mostro da temere. La massima concentrazione di monster movie si raggiunge nel 1957, poi sarà la volta delle invasioni aliene. «Si parte dunque da una paura generata dalle potenzialità espresse o virtualmente esprimibili dall’armamentario nucleare delle due superpotenze e si giunge al timore per le possibilità di un’invasione sovietica» (p. 66).

Alien-1Al mostro generato da un uso scriteriato della scienza si inizia a preferire una più generalizzata azione negativa dell’uomo sulla natura che, non di rado, pare ribellarsi contro colui che l’ha a lungo violentata. L’essere umano si trova improvvisamente in balia di una natura che, inspiegabilmente, lo attacca, come accade, ad esempio, in Frogs (id., George McCowan, 1972), Long Weekend (id., Colin Eggleston, 1978) e Fase IV – Distruzione Terra (Phase IV, Saul Bass, 1973). Tra i film che si concentrano sulle recenti ansie ecologiche, il volume si sofferma su E venne il giorno (The Happening, M. Night Shyamalan, 2008). In questo caso è direttamente l’uomo ad essere carnefice di se stesso: senza alcun motivo spiegabile le persone si bloccano, divengono apatiche e pongono fine alla propria esistenza. Sul versante della denuncia ecologista viene analizzato il film Isolation – La fattoria del terrore (Isolation, Bill O’Brien, 2005) ove vengono fatti riferimenti alla BSE che, nel mondo reale, ha colpito interi allevamenti di bovini. Anche in questo caso è l’uomo ad aver prodotto il disastro. Epidemie causate dall’essere umano si trovano anche in Dead Meat (id., Conor McMahon, 2005) e The Mad (id., John kalangis, 2007). Nel caso di Mimic (id., Guillermo Del toro, 1997), invece, evidenzia Giacomelli, è la stessa scienza al nobile servizio dell’uomo, nel suo tentativo di debellare malattie, che sfugge di mano e determina la catastrofe. Nel volume non mancano di essere analizzate opere in cui l’uomo risveglia creature preistoriche, come accade in Jurassik Park (id., Steven Spielberg, 1992) ed in diversi altri film.

Uno dei filoni più interessanti riguarda il timore del contagio. Virus ed armi batteriologiche sono presenti in diverse opere cinematografiche, a partire da quello che nel volume è considerato l’antesignano del genere: Satan Bug (The Satan Bug, John Sturges, 1964). In questo film sono ravvisabili alcuni elementi ricorrenti in tanta produzione focalizzata sul contagio: «la paura paranoica per un killer invisibile e […] la mancanza di fiducia verso il governo» (p. 82). Nel caso specifico il nemico «vuole distruggere al fine di evitare la distruzione, punire chi è intenzionato a muovere guerra in un atto di denuncia estrema» (p. 83).
Il contagio torna anche ne L’esercito delle 12 scimmie (12 Monkeys, Terry Gilliam, 1995) ed in Virus letale (Outbreak, William Petersen, 1995). In questo ultimo caso ad essere messi sotto accusa sono gli stessi governanti che, pur avendo a disposizione un antidoto per risolvere le cose, preferiscono nasconderne l’esistenza e conservare il virus e l’antidoto in vista di un loro impiego bellico. La città verrà distrutta all’alba (The Crazies, George A. Romero, 1973), può invece essere indicato come vertice del cinema virologico di denuncia. «Romero attacca la politica, il governo e l’esercito con l’anarchico entusiasmo che ha spesso contraddistinto il suo cinema ed esplicitando il suo disappunto e la sua sfiducia verso chi tiene le redini del Paese» (p. 85). In film come questo le colpe non vengono attribuite genericamente “all’essere umano” od alla malvagità di un qualche megalomane o folle, ma, piuttosto, vengono addebitate in maniera specifica all’establishment. L’opera di Romero ispira numerose pellicole, oltre ad un remake del 2010 ad opera di Brek Eisner.

Giacomelli dedica spazio anche al ruolo svolto dal romanzo I Am Legend (1954) di Richard Matheson nell’ispirare alcuni espliciti adattamenti cinematografici ed una lunga serie di opere. Nel romanzo, realizzato in clima da Guerra Fredda, viene narrato di come il contesto post-atomico abbia talmente trasformato il pianeta che è l’essere umano stesso, nel suo essere divenuto minoritario in mondo popolato da vampiri, ad essere “il diverso”. La prospettiva si è pertanto ribaltata: sono i vampiri a temere l’essere umano ed a comportarsi nei suoi confronti di conseguenza, cioè esattamente come si comporta solitamente l’uomo di fronte ai diversi da sé. Nel saggio vengono segnalati come adattamenti cinematografici del romanzo, con differenziati livelli di aderenza ad esso, i film L’ultimo uomo della terra (The Last Man on the Earth, Sidney Salkow, 1964), 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man, Boris Segal, 1971) ed Io sono leggenda (I Am Legend, Francis Lawrence, 2007).

Negli ultimi decenni la tematica virologica è stata al centro di un rinnovato interesse e tra i tanti titoli ad essa ispirati il volume indica I figli degli uomini (Children of Men, Alfonso Cuaròn, 2006), Carriers – Contagio letale (Carriers, David e Alex Pastor, 2009) e Blindness – Cecità (Blindness, Fernando Meirelles, 2008). Ne I figli degli uomini, film di produzione anglo-americana, tratto da un romanzo di P.D. James, l’infertilità dilagante tra l’umanità sta condannando l’essere umano alla scomparsa. «Il mondo sembra distrutto dalle guerre e dall’intolleranza, azioni violente di morte e segregazione si abbattono sulle comunità di extracomunitari clandestini, deportati […] in zone flagellate dalle rivolte e immerse nelle macerie di una civiltà che ormai rimane un ricordo […] Il futuro dell’umanità è affidato a un’extracomunitaria ed è garantito da un uomo disilluso e un ex hippie» (p. 93). Da tale pellicola emerge una visione decisamente anti-sistemica che punta il dito verso un sistema politico e sociale non poi così dissimile dal nostro. Restando su pellicole recenti, il libro si sofferma su Contagion (id., Steven Soderbergh, 2011), film in cui l’epidemia ha origine in un allevamento suino; non a caso il film esce pochi anni dopo il dilagare, nel 2009, fuori dallo schermo, della cosiddetta “febbre suina”. In questo lungometraggio le ragioni che determinano il virus restano sconosciute mentre l’interesse della pellicola si concentra da una parte sui tentativi dei potenti di accaparrarsi i vaccini e, dall’altra, su chi, accusando il carattere classista dell’accesso ai farmaci, propone le sue dubbie cure omeopatiche come alternativa all’industria farmaceutica.

Altro filone particolarmente denso di opere è quello delle macchine ribelli all’uomo. Quando nei film di fantascienza si affrontano le macchine, non è difficile finire per parlare di robot e quando ciò accade è quasi d’obbligo riferirsi alle “Tre leggi della robotica” di Isaac Asimov. Nel film Io, Robot (I, Robot, Alex Proyas, 2004) la vicenda narrata prende inizio proprio dall’infrazione della Prima delle tre leggi, visto che un robot ha ucciso un essere umano. Il film focalizza la vicenda attorno al tema della tecnologia nemica dell’uomo aprendo a riflessioni circa la possibilità che la macchina possa trasgredire all’essere umano. Tale questione la si ritrova in numerosissime pellicole, come, ad esempio, Eagle Eye (id., D.J. Caruso, 2008), film in cui un computer progettato per garantire la sicurezza nazionale, eseguendo alla lettera il compito, finisce col prendere di mira i vertici stessi degli Stati Uniti perché su di loro cadono le responsabilità della messa in pericolo del Paese. Non a caso il film esce sul finire del secondo mandato presidenziale di George W. Bush. Celebre precedente di computer che smette di obbedire agli ordini umani lo abbiamo in 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968), film, derivato dal racconto La sentinella (1948) di Arthur C. Clarke, che ispirerà numerose produzioni cinematografiche

giacomelli_nemici_americaMacchine sfuggite all’uomo si trovano anche in Pianeta Rosso (Red Planet, Antony Hoffman, 2000) e Wargames – Giochi di guerra (Wargames, John Badham, 1983) ma è su Blade Runner (id., Ridley Scott, 1982), e relative appendici, ed Il mondo dei replicanti (The Surrogates, Jonathan Mostow, 2009) che il saggio concentra la sua attenzione: dal replicante oppresso che chiede conto al suo creatore/oppressore, all’uomo apatico che vive per procura attraverso suoi sostituti. «Blade Runner e Il mondo dei replicanti rappresentano l’alfa e l’omega di un ideale continuum temporale dedicato ai robot antropomorfi: macchine ostili nel primo caso, utili completamenti dell’uomo nel secondo, che però ne diventano possessori piuttosto che posseduti» (p. 105).
Altre pellicole analizzate dal saggio riguardano la lunga serie inaugurata da Terminator (The Terminator, James Cameron, 1984): «L’intelligenza artificiale che sta alla base di Terminator può essere considerata come la concretizzazione del sogno di tutte le macchine ribelli della fantascienza cinematografica, l’omega della storia dell’uomo sulla Terra che ha portato a compimento i piani diversamente elaborati dai cervelli elettronici di Wargames, Io, Robot e Eagle Eye. Ma a differenza di questi Skynet […] uccide perché vuole farlo, è l’incarnazione del male, la condanna dell’umanità in quanto tale e non per i suoi errori. O meglio, l’errore dell’uomo è programmare una macchina per scopi bellici, dotando così il suo futuro nemico di tutte le armi necessarie a distruggerlo» (pp. 108-109). Tra i film che mettono in scena mondi popolati da robot, non poteva che essere affrontata dallo studioso anche la serie, che conta ormai diverse pellicole, iniziata con RoboCop (id., Paul Verhoeven, 1987).

I robot possono anche essere costruiti per il divertimento degli esserei umani ed, a tal proposito, l’autore inizia inevitabilmente da Il mondo dei robot (Westworld, Michael Crichton, 1973), ove in un parco giochi popolato da robot a cui gli uomini si divertono a dare la caccia, per qualche oscuro guasto, viene a darsi un capovolgimento dei ruoli e l’uomo da cacciatore si trova ad essere preda. In La fabbrica delle mogli (The Stepford Wives, Bryan Forbes, 1975), tratto dal romanzo di Ira Levin del 1972, invece, i robot assoggettati all’essere umano rappresentano il riscatto del maschio nei confronti delle rivendicazioni femministe: a Stepford gli uomini sostituiscono le proprie mogli con robot servizievoli che ne riproducono le fattezze fisiche e non si può non notare come l’acconciatura di queste donne-robot richiami gli anni ’50, un’epoca in cui le donne ancora “sapevano stare al loro posto”. Al film si ispireranno alcune produzioni cinematografiche ed una serie televisiva. Anche i giocattoli sviluppati a partire da tecnologie militari possono sfuggire di mano; è il caso di Evolver (id., Mark Rosman, 1995) e Small Soldiers (id., Joe Dante, 1998).

Tante pellicole fantascientifiche denunciano l’asservimento dell’essere umano alla tecnologia che, creata per essere sfruttata, tende a trasformarsi in sfruttatrice del suo creatore. Nel caso di Matrix (The Matrix, Andy e Larry Wachowski, 2003) e Matrix Revolutions (id., 2003), secondo Giacomelli, si giunge alla summa «del tema delle macchine ribelli, un mondo immaginario in cui l’uomo non solo è schiavo delle macchine, ma rappresenta la loro fonte di nutrimento […] Ma la cosa più inquietante dell’universo creato dai Wachowski è l’illusione: tutti gli uomini, mentre alimentano le macchine con le loro energie, si trovano in uno stato di sospensione mentale e credono di vivere nella normalità quotidiana di un XX secolo ormai passato. La Matrice crea una gigantesca illusione collettiva, un mondo reale per la mente umana ma in verità del tutto artificiale che tiene a bada l’essere umano mentre funge da pasto per le macchine» (p. 116). E tale mondo in cui l’uomo è sfruttato ed è inconsapevole di esserlo, suggerisce lo studioso, è stato prodotto dall’essere umano. Come a dire: l’uomo si guardi da se stesso anziché andare a cercare nemici di comodo.

La figura dell’alieno, si diceva in apertura, è frequentemente utilizzata al fine di proiettare su di essa le caratteristiche meno nobili dell’umanità. Alieno è chi è diverso rispetto all’ambiente od al contesto sociale in cui si viene a trovare. Nella figura dell’alieno abbiamo, in definitiva, “lo straniero” che, anche quando riesce (più o meno volontariamente) ad “integrarsi”, difficilmente può scalare gerarchie sociali: «lo straniero per il sentire comune è principalmente l’alieno ostile, colui che arriva senza aver ricevuto il permesso e mette in atto un’opera di colonizzazione diretta all’annullamento della cultura originaria, alla schiavizzazione mentale e fisica degli autoctoni» (p. 118). Insomma, l’extra-terrestre e l’extra-comunitario, nella percezione comune, hanno diversi punti di contatto.

Nel cinema di fantascienza l’alieno ha frequentemente rappresentato il nemico del momento; spesso giunge sulla terra furtivamente per poi dare il via ad un vero e proprio processo di contaminazione e/o di sostituzione avendo come finalità la conquista. L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, Don Siegel, 1956) rappresenta un modello ripreso da diversi film, tra questi Terrore dallo spazio profondo (Invasion of the Body Snatchers, Philip Kaufman, 1978) ed Ultracorpi – L’invasione continua (Body Snatchers, Abel Ferrara, 1993). Come i film citati, anche Il terrore della sesta luna (The Puppet Masters, Stuart Orme, 1994), derivato dall’omonimo romanzo del 1951 di Robert A. Heinlein, mostra un’umanità asservita alla minaccia aliena, tematica che torna anche in The Faculty (id., Robert Rodriguez, 1998) in cui è molto evidente la questione dello straniero emarginato che riesce a socializzare soltanto con altri tipi di figure aliene ed in questa situazione «il nemico è tale perché si sente inadatto al luogo che lo ospita» (p. 124). Occorre sottolineare come il film sviluppi anche una riflessone sui pericoli dell’omologazione.

Con La cosa (The Thing, John Carpenter, 1982), film derivato da un racconto di John W. Campbell Jr. del 1948, l’alieno si smaterializza grazie al suo essere in grado di assumere le sembianze degli esseri con cui entra in contatto. «La “cosa” è il simbolo assoluto della paranoia e del conflitto uomo-uomo; assumendo le sembianze degli uomini che popolano la stazione di ricerca, l’alieno diffonde un senso di inaffidabilità su ogni essere vivente che si trova nei paraggi […] L’alieno di Carpenter rappresenta la negazione dell’umanità intesa sia come forma corporea che incarnazione di sentimenti ed emotività. La “cosa” è il mostro che si annida in ogni persona […] è la disgregazione dei rapporti umani» (p 131). Già nei primi anni ’50 il racconto di Campbell è alla base della pellicola La cosa da un altro mondo (The Thing from Another World, Christian Nyby, 1951) mentre, dopo la versione di Carpenter del 1982, viene realizzato il prequel dal medesimo titolo: La cosa (The Thing, Matthijs van Heijningen, 2011). In quest’ultima pellicola l’alieno palesa la sua pericolosità in quanto straniero e, non a caso, con tale smania di evidenziare i propositi minacciosi insiti proprio nel suo essere straniero, il film non può che terminare con l’esaltazione della potenza americana.

Signs (id., M. Night Shyamalan, 2002) ed Altered – Terrore nello spazio profondo (Altered, Eduardo Sanchez, 2006), sono citati dal volume come esempi di invasioni aliene alla conquista della Terra in cui l’ignoto impaurisce e da meta da conquistare diviene minaccia da cui fuggire. «L’umano e l’alieno in Altered si compensano, due facce della stessa medaglia arrugginita in cui l’offesa è l’unica forma di comunicazione possibile tra le due razze» (p. 137). L’obiettivo dell’extraterrestre non è la distruzione dell’essere umano ma la sua resa in schiavitù.

Essi vivono (They Live, John Carpenter, 1988), liberamente ispirato ad un racconto di Ray Nelson, viene considerato da Giacomelli il manifesto della critica all’America degli anni ’80. «Carpenter è fortemente critico verso una società votata all’apparenza e plagiata dai mezzi di comunicazione. Lo stile di vita occidentale è indotto dalle alte sfere della società, dal mondo del consumo, che riesce a controllare i comportamenti delle masse installando gusti e mode […] Chi non può permettersi di seguire le mode è un emarginato, ma allo stesso tempo può conquistare la facoltà di scoprire la verità […] Alieni che fanno del business il personale raggio distruttore di coscienze e che sono minacciati da un semplice operaio […] che nel sacrificio finale riesce a rivelare al mondo intero la vera natura degli impostori, risvegliando le coscienze» (p. 138). La modificazione della realtà e la manipolazione dell’identità rappresentano il filo conduttore di Dark City (id., Alex Proyas, 1998) che mette in scena alieni che si mescolano alla popolazione riscrivendone le storie ed il futuro. Sia nel film di Carpenter che in quello di Proyas non manca chi decide di porre fine al proprio stato di schiavitù.

L’invasione dei mostri verdi (The Day of the Triffids, Steve Sekely, 1963) ed Evolution (id., Ivan Reitman, 2001), vengono presentati dal saggio come esempi di film – il secondo con tono decisamente grottesco – in cui l’eliminazione dell’umanità, presentata come parassita che distrugge la natura, può dare alla Terra una vita migliore. Qualche pagina del volume è inevitabilmente dedicata anche alla serie che si origina dal film Blob – Fluido mortale (The Blob, Irvin S. Yeaworth Jr., 1958), con inevitabile sequel, Beware the Blob! (id., Larry Hagman 1972), ed un remake, Il fluido che uccide (The Blob, Chuck Russell, 1988), in cui viene suggerita la possibilità di un uso bellico dell’organismo extraterrestre.

HRG_252Alien (id., Ridley Scott, 1979) è «uno dei film che ha rivoluzionato la concezione di alieno al cinema trasformando l’essere antropomorfo con intenzioni di conquista in un mostro ferino che uccide come un animale selvatico messo alle strette» (p. 143). Il film del 1979 origina diverse pellicole, tra queste si possono contare, ad oggi, almeno tre sequel ed un prequel del primo lungometraggio. Nella serie inaugurata da Predator (id., John McTierman, 1987), entra in scena una specie aliena che ama cacciare prede in tutto l’universo, uomo compreso. «Il predator presenta un vero e proprio codice comportamentale che lo allontana sostanzialmente dal prototipo dell’alien: non più animale feroce e distruttivo che uccide per istinto, ma un essere senziente che seguire regole ben precise, ha dei sentimenti e un codice guerriero. Da una parte la furia distruttiva e irrazionale, dall’altra la spinta motivazionale e l’intelligenza» (p. 145). Il cinema non ha resistito a mettere a confronto le due specie in Alien vs. Predator (id., Paul W. S. Anderson, 2004) ed inevitabile sequel.

Nel volume sono messe a confronto due pellicole di metà anni ’90 in cui gli extraterrestri vengono presentanti particolarmente spietati e distruttivi: Independence Day (id., Roland Emmerich, 1996), un’apologia della Nazione e dell’americano qualunque in cui gli alieni si mostrano brutali macchine da guerra, e Mars Attacks! (id., Tim Burton, 1996), ove gli invasori appaiono compiaciuti dei disastri che commettono. «Se il film di Burton condivide con quello di Emmerich una razza di alieni tra i più cattivi mai apparsi sul grande schermo, al contrario porta in scena un’umanità gretta e meschina che merita la fine a cui sta andando incontro» (p. 151).

Giacomelli individua tra il 2010 ed il 2013 un periodo assai fertile per la messa in scena sul grande schermo di bellicosi invasori alieni. Se film come Skyline (id., Strause Bros, 2010) e World Invasion (Battle: Los Angeles, Jonathan Liebesman, 2010) non mancano di richiamare i nemici mediorientali, vi sono anche produzioni in cui prevale l’autoironia e la parodia, come Battleship (id., Peter Berg, 2012), od opere ove si danno alleanze tra ex-nemici ora uniti contro il nemico comune, come avviene in Pacific Rim (id., Guillermo Del Toro, 2013), film che, mescolando generi ed immaginari dei due paesi, mostra USA e Giappone fronteggiare, uniti, giganteschi mostri, oppure L’ora nera (The Dark Hour, Chris Gorak, 2011), ove l’alleanza è tra americani e russi.

In alcune pellicole gli alieni si mostrano del tutto pacifici nei confronti dell’essere umano. A tal proposito il saggio cita Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind, Steven Spielberg, 1977), E.T. – L’extraterrestre (E.T.: The Extra-Terrestrail, Steven Spielberg, 1982) e Cocoon – L’energia dell’universo (Cocoon, Ron Howard, 1985), con relativo sequel. Alieni amici dell’uomo si trovano anche in opere meno recenti, come ad esempio Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still, Robert Wise, 1951), film che denuncia l’assurdità della guerra proprio nel periodo in cui si è da poco concluso il Secondo conflitto mondiale e nell’aria si percepisce la possibilità di un conflitto tra le superpotenze.

Anche la questione dell’integrazione aliena è affrontata dal cinema fantascientifico. Riguardo a ciò Giacomelli indica, ad esempio, Men in Black (id., Barry Sonnenfeld, 1997), con relativi sequel, film che, attraverso un registro da commedia d’azione, mostra «l’alieno impegnato a integrarsi nella società che lo ospita […] Ci sono gli immigrati regolari, lavoratori retti e responsabili, integrati con gli uomini fin da tempo e magari con la possibilità di far carriera. Poi ci sono i criminali, clandestini dediti a traffici illegali, rapine e piani terroristici. Il mondo extraterrestre è costruito sul riflesso di quello terrestre» (pp. 166-167). In tale opera l’alieno ha sembianze umane perché il governo preferisce nascondere agli umani la presenza extraterrestre. In Alien Nation (id., Graham Baker, 1988), altra pellicola che si concentra sulle questioni della tolleranza e del razzismo, si assiste “all’invasione” di profughi alieni in fuga da un regime dittatoriale e, seppure in maggioranza si tratti di “alieni perbene”, non mancano “malintenzionati”. In District 9 (id., Neill Blomkamp, 2009) è di scena l’insofferenza tra umani ed alieni e, anche in questo caso, la narrazione si focalizza sull’intolleranza e la xenofobia. Il film simpatizza per gli alieni che, respinti dai terrestri, sono costretti a prendere atto della mancanza di volontà di integrazione da parte degli esserei umani ed a lasciare la Terra. In Starman (id., John Carpenter, 1984) l’alieno in fuga si sostituisce all’essere umano ma non perché mosso da velleità di conquista, anzi, si rivela la parte migliore di un’umanità gretta e meschina del tutto disinteressata ad approfittare dell’occasione di confrontarsi con “lo straniero”, l’alieno, appunto.

L’umanità messa in scena da molti film di genere fantascientifico si manifesta davvero come una brutta specie ma, al suo interno, megalomani, potenti e sfruttatori appaiono decisamente peggiori degli altri. Visto che alieni ed umani finiscono per essere gli uni la proiezione degli altri, sarebbe il caso di individuare attentamente i  nemici, dentro e fuori dallo schermo.

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Nemico (e) immaginario. Il nemico allo schermo: nemici dell’America, nemici dell’umanità https://www.carmillaonline.com/2016/08/09/nemico-immaginario-nemico-allo-schermo-nemici-dellamerica-nemici-dellumanita/ Tue, 09 Aug 2016 21:30:28 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29805 di Gioacchino Toni

cloverfield_021Dopo aver analizzato, attraverso la metafora dello zombie, le pulsioni autodistruttive dell’essere umano contemporaneo incapace di sognare un mondo migliore [su Carmilla], indagare più in generale la figura del nemico portata sugli schermi dal cinema di fantascienza americano contribuisce a ricostruire l’immaginario diffuso statunitense a proposito di ciò che, di volta in volta, viene percepita come minaccia da cui difendersi e da eliminare. Se da un lato la figura del nemico veicolata dal cinema fantascientifico viene costruita sulla percezione diffusa di ciò che è ritenuto [...]]]> di Gioacchino Toni

cloverfield_021Dopo aver analizzato, attraverso la metafora dello zombie, le pulsioni autodistruttive dell’essere umano contemporaneo incapace di sognare un mondo migliore [su Carmilla], indagare più in generale la figura del nemico portata sugli schermi dal cinema di fantascienza americano contribuisce a ricostruire l’immaginario diffuso statunitense a proposito di ciò che, di volta in volta, viene percepita come minaccia da cui difendersi e da eliminare. Se da un lato la figura del nemico veicolata dal cinema fantascientifico viene costruita sulla percezione diffusa di ciò che è ritenuto essere il nemico in un determinato momento storico, dall’altro tale rappresentazione contribuisce a rafforzare alcuni aspetti stereotipati dell’immaginario del periodo. Se spesso si tratta di confermare e rafforzare convincimenti in linea con l’establishment, in altri casi il cinema non manca di svolgere una funzione critica anche radicale.

Sono diversi i nemici individuati ed affrontati nel corso del tempo dall’America e, direttamente od indirettamente, dal suo cinema fantascientifico. Per sommi capi, a partire dal Secondo conflitto mondiale, si possono elencare: il Giappone con il suo attacco improvviso a Pearl Harbor; la Germania nazista con le sue mire espansionistiche; l’Unione Sovietica ed in generale la diffusione del comunismo; il Medioriente forte delle sue risorse petrolifere desiderate e considerate immeritate dall’Occidente. Vista la potenza di fuoco di cui il cinema a stelle e strisce dispone, la figura del nemico da esso messa in scena coincide con il nemico dell’intera umanità. Nonostante, in un modo o nell’altro, i nemici dell’America tendano ad essere presentati come i nemici dell’umanità, non mancano pellicole di science fiction in cui il nemico è lo stesso establishment statunitense con i suoi eterni vizi imperialisti e guerrafondai.

Al fine di approfondire tali questioni, risulta utile far riferimento al libro di Roberto Giacomelli, Nemici dell’America, nemici dell’umanità. Il “nemico” nel cinema fantascientifico americano (Sovera Edizioni, 2014). Il volume attraversa la storia del cinema di fantascienza americano alla ricerca delle modalità con cui viene presentata la figura del nemico. Certo, non ci si può attendere un’analisi esaustiva di un genere che ha prodotto centinaia di pellicole, soprattutto se si vogliono esaminare anche le opere di minor qualità. La scelta dei film operata da Giacomelli è inevitabilmente parziale ma si tratta di una buona base di partenza su cui riflettere e, volendo, l’analisi proposta dallo studioso può essere integrata da opere non citate e/o se ne possono togliere alcune che appaiono ai limiti del genere o, ancora, nulla vieta di riassemblare i film trattati secondo logiche differenti.

La prima tappa del viaggio di Giacomelli all’interno della cinematografia fantascientifica statunitense parte dagli anni ’40, quando gli schermi risultano popolati da figure di mad doctor, in linea con i timori esercitati dal progresso scientifico applicato all’ambito bellico che richia di finire nelle mani di folli megalomani. Il cinema di fantascienza, sostiene l’autore, non è riuscito a trarre grande ispirazione dal nemico giapponese, nonostante il suo rappresentare un antagonista infido che attacca di sorpresa ed alle spalle. Piuttosto, il riferimento al Giappone, nell’abito fantascientifico, si è concentrato sul tragico epilogo del conflitto bellico rappresentato della bomba atomica americana, con i suoi nefasti effetti che, oltre al massacro immediato, si proiettano sull’ambiente e sulle generazioni a venire. Il filone dei monster movie degli anni ’50 si sviluppa proprio a partire dai disastri provocati dagli esperimenti nucleari, tanto che nello stesso Giappone vengono prodotti diversi film ruotanti attorno alla figura del mostro derivato dalle mutazioni innescate dalla catastrofe atomica di Hiroshima e Nagasaki e dagli esperimenti nucleari nel Pacifico. A tal proposito non si può che citare il nipponico Godzilla (Gojira, Ishiro Honda, 1954).

Negli anni ’40 il cinema americano preferisce concentrarsi sul nemico nazista seppure, si argomenta nel saggio, in maniera indiretta. Secondo l’autore, «è possibile riscontrare un’influenza tra la fanta-scienza del Terzo Reich e la fantascienza cinematografica» (p. 26). Non è pertanto difficile cogliere il parallelismo tra la figura dello scienziato pazzo, incline ad utilizzare gli sviluppi scientifici per folli progetti personali, ed i gerarchi e medici nazisti, quando non lo stesso Führer, con i loro progetti eugenetici.

Dr_Cyclope_and_HimmlerNel saggio vengono portati tre esempi su tutti di opere degli anni ’40 in cui compaiono figure di mad doctor. Il primo, Mostro Pazzo (The Mad Monster, Sam Newfield, 1942), narra la storia di uno scienziato che, al fine di rafforzare le truppe americane nella loro guerra contro il Terzo Reich, finisce col progettare un’armata di soldati licantropi. Il film pare voler mettere in guardia gli Stati Uniti dai rischi che si corrono nell’accentrare troppo potere nelle mani di un singolo che può rivelarsi un pazzo. Il secondo film, Il Dottor Cyclops (Dr. Cyclops, Ernest B. Schoedsack – Merian C. Cooper, 1940), è un’opera in cui uno studioso, non a caso di origine nord europea e palesemente somigliante ad Heinrich Himmler, decide di miniaturizzare coloro che intralciano i suoi esperimenti, suggerendo così allo spettatore l’idea del malvagio che costruisce un regno di terrore in cui gli altri esseri umani vengono sovrastati, miniaturizzati, appunto. Nel terzo caso, La donna e il mostro (The Lady and the Monster, George Sherman, 1944), si racconta di uno scienziato che riesce a mantenere in vita il cervello degli esseri umani anche dopo la morte e di come tale esperimento finisca con lo sfuggirgli di mano visto che il cervello mantenuto in vita risulta in grado di controllare la volontà altrui. In queste tre pellicole il nemico è da ricercarsi nelle mire megalomani di qualche scienziato pazzo ma non si manca di denunciare la responsabilità di chi consente che ciò accada: la Nazione deve impedire che un singolo sia messo in condizione di determinare la rovina del Paese se non dell’umanità intera.

Terminatala la Seconda guerra mondiale si entra presto nella Guerra Fredda ed il nemico cambia dentro e fuori lo schermo. Il Blocco sovietico sostituisce il Terzo Reich ed al regime hitleriano succede il pericolo comunista. Il filone cinematografico fantascientifico non può che trarre feconda ispirazione dalla corsa allo spazio che vede l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti contendersi il cielo e, soprattutto, attraverso esso, il primato in ambito scientifico, tecnologico e militare. In un simile clima che mette a contatto l’essere umano con lo spazio, la science fiction, attraverso centinaia di romanzi e film, non può che far riferimento ad invasioni aliene e conflitti stellari. «Il nemico assume sembianze polimorfiche, si insinua nella mente, prende il controllo delle sue vittime, è invisibile, subdolo e letale. È alieno e spesso marziano, rosso come il pianeta da cui proviene e come il paese in cui vivono i russi, comunista. Il nemico può nascondersi ovunque, assumere le sembianze dell’americano modello, arrivare perfino ai vertici politici. E così la concretizzazione della paranoia dilagante è presto in atto» (p. 33).

Soprattutto a partire dai primi anni ’50, con il diffondersi del maccartismo, non solo il vero nemico dell’America è il comunista ma questo può essere chiunque. Dunque, sostiene Giacomelli, «dagli anni ’50 agli anni ’70 […] il nemico aveva una valenza ben specifica ma allo stesso tempo non possedeva una fisionomia autentica. Chiunque poteva essere il nemico e il cinema di fantascienza lo intuì ammantando gli alieni invasori che popolavano i cinema degli anni ’50 di chiare connotazioni metaforiche che richiamavano le paure dell’epoca» (pp. 33-34).
Gli alieni, proprio come i comunisti, mirano a colonizzare il pianeta mimetizzandosi con i comuni esseri umani. Il film simbolo di tale filone di alieni alla conquista della terra è indicato dal saggio in L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers, Don Siegel, 1956). In realtà il regista e lo sceneggiatore affermano di non aver mai pensato a metafore politiche che vedessero le forze aliene identificabili con i comunisti ma resta il fatto che il film, contestualizzato all’interno della Guerra Fredda, non può che esser letto dal pubblico americano degli anni ’50 in tal modo.
Nel film A prova di errore (Fail-Safe, Sidney Lumet, 1964), rifatto per la tv nel 2000 da Stephen Frears, tratto dall’omonimo romanzo di Eugene Burdick ed Harvey Wheeler, si fa riferimento a come il malfunzionamento tecnologico determini la catastrofe nucleare. Chiaramente, suggerisce Giacomelli, il film riesce a risultare coinvolgente anche grazie al clima che si è venuto a creare con la Crisi dei missili di Cuba del 1962. Anche nel celebre lungometraggio Il dottor Stranamore (Dr. Strangelove: How I Learned to Stop Worrying and love the Bomb, Stanley Kubrick, 1964) si fa riferimento all’avvio della catastrofe nucleare. In questo caso la causa non è imputabile ad un errore tecnologico ma alla follia militare supportata da un consigliere ex scienziato nazista che sogna la ripopolazione del pianeta, dopo il disastro, ad opera di una razza superiore. Attraverso il registro della commedia grottesca, il film di Kubrick, tratto dal romanzo del 1958 Allarme Rosso (Red Alert) di Peter Geroge, mostra che «il nemico è come una serpe che l’America ha covato in seno per diverso tempo» (p. 37). E questa serpe è parte integrante dell’establishment.

giacomelli_nemici_americaA proposito di film statunitensi che, rifacendosi alla corsa allo spazio delle due superpotenze, si concentrano sulla possibilità di invasioni aliene o sui pericoli provenienti da quello spazio che l’uomo intende conquistare, Giacomelli si sofferma su Uomini sulla Luna (Destination Moon, George Pal, 1950) e RXM – Destinazione Luna (Rocketship XM, Kurt Neumann, 1950). Nel primo film viene mostrata la frenesia delle superpotenze intente a giocare d’anticipo sulla rivale e come la scelta di affrettare i tempi da parte americana, determini una serie di problemi risolti soltanto grazie ad un patriottico happy end. Nel secondo lungometraggio alcuni astronauti americani, finiti per errore su Marte, hanno modo di vedere gli esiti di una guerra atomica che ha sconvolto gli abitanti del lontano pianeta e, sul finale del film, l’umanità viene esplicitamente messa in guardia circa gli esiti nefasti di un conflitto nucleare. Anche Conto alla rovescia (Countdown, Robert Altman, 1967) mostra come la fretta di anticipare gli avversari porti gli americani a mettere piede sulla luna il più presto possibile. A metà anni ’70 la competizione tra USA ed URSS nella corsa allo spazio termina con una missione in cui i due paesi collaborano. Anticipando i tempi La cortina di bambù – Il mistero di Saturno (The Bamboo Saucer, Frank Telford, 1968) narra di una collaborazione spaziale tra russi ed americani contro la Cina. Non sfugge come il comune nemico cinese proiettato nello spazio dagli schermi cinematografici coincida con l’epoca della Rivoluzione culturale di Mao.

Affinché termini la Guerra Fredda nella realtà occorre attendere la finire degli anni ’80, nel frattempo, ricorda Giacomelli, la fantascienza americana produce film che non mancano di palesare nuove e vecchie paure. Ad esempio, Capricorn One (id., Peter Hyams, 1978) è un film che narra di un finto sbarco americano su Marte traendo linfa dal diffondersi negli anni ’70 di teorie cospirazioniste che manifestano dubbi anche a proposito dell’autenticità dello sbarco sulla luna di Apollo 11. Dopotutto non è passato molto tempo dallo svelamento delle menzogne relative al Watergate ed alla guerra del Vietnam. Il nemico tende, dunque, ad essere identificato nel Governo stesso e nelle agenzie che cospirano alle spalle dei cittadini. Il saggio cita anche The Day After – Il giorno dopo (The Day After, Nicholas Meyer, 1983) come esempio di film che continua a narrare del confronto militare-nucleare tra le due superpotenze. Invece, in Essi Vivono (They Live, John Carpenter, 1988) la pura deriva dalla possibilità di controllare la volontà altrui ed in questo caso la minaccia, suggerisce l’autore, anziché comunista appare essere borghese e capitalista.

Chiusa la parentesi della Guerra Fredda, il nuovo nemico, dentro e fuori dagli schermi, diventa il mondo mediorientale: un antagonista che palesa una cultura, una religione ed usanze difficilmente conciliabili con l’Occidente. Ovviamente la contrapposizione dell’America con il nemico mediorientale inizia ben da prima dell’abbattimento delle Twin Towers, comunque la Prima Guerra del Golfo si ha ad inizio anni ’90 ed un decennio dopo è la volta della Seconda e, «come accaduto nei precedenti conflitti che hanno delineato la fisionomia del nemico statunitense, è l’intero Occidente ad entrare in prima persona nella questione. Il terrorista diventa l’incubo post 2000 per eccellenza […] Bin Laden è il moderno ba-bau, immortale raffigurazione del terrore capace di spazzare via i simboli del potere occidentale, ossessione di una nazione» (p. 43). Il nemico è il mediorientale, non importa di quale nazionalità, egli rappresenta una minaccia senza volto, un nemico pronto ad immolarsi senza preavviso, un po’ come i vecchi kamikaze giapponesi.

In RoboCop (id., José Padilha, 2014), reboot realizzato dal regista brasiliano del film degli anni ’80 di Paul Verhoeven, «l’intento di attualizzazione della vicenda che da un immaginario futuristico di fine anni ’80 avrebbe dovuto legarsi a quello post 2000, tende a identificare immediatamente il mediorientale come minaccia per gli Stati Uniti, da combattere e soprattutto da prevenire. […] Il film di Padilha si muove poi su altri terreni che interessano, oltre al conflitto politico interno, anche le questioni di carattere etico sull’utilizzo della tecnologia applicata alla medicina, ma [l’incipit] già riesce ad inquadrare efficacemente la preoccupazione tutta americana verso un estraneo imprevedibile e l’azione diretta per sabotarlo e prevenire la minaccia che in passato ha colpito il cuore degli Stati Uniti» (pp. 44-45).

Cloverfield (id., Matt Reeves, 2008), film che riprende le modalità del mockumentary, è indicato dallo studioso come apologo sulle paure americane post 11 settembre: «Cloverfiled è proprio il manifesto più esplicito di un malessere comune tra i cittadini di New York (e on solo), che sotto all’aspetto del film di genere nasconde il più efficace e spaventoso specchio della tragedia avvenuta e sempre pronta a ripetersi» (pp. 46-47). Nel film il mostro che semina distruzione nelle strade di New York è ripreso dal “cineocchio” di un ragazzo qualsiasi che si ritrova casualmente a documentare gli avvenimenti. «Una sorta di temerarietà da testimone (audio)visivo che nell’epoca di You Tube e dei videofonini si inocula nel più impensabile individuo, spinto dalla voglia di documentare, di poter dire ad amici ed estranei “io c’ero” […] nel post 11 settembre Cloverfield utilizza a suo vantaggio la paura per gli attentati terroristici e ne ricrea il caratteristico clima di terrore trasfigurandolo in una nuova creatura che si va ad aggiungere al nutrito bestiario di mostri di fantascienza che da oltre mezzo secolo spaventa e diverte il pubblico» (p. 47)

Se la paura per il gesto terroristico, per l’azione improvvisa del nemico, accomuna diverse produzioni di science fiction catastrofica contemporanea, nel saggio si ricorda come non siano mancati cenni ad attentati terroristici nemmeno nel cinema di fantascienza del passato, come, ad esempio, avviene nel film La guerra dei mondi (War of the Worlds, Steven Spielberg, 2005), attualizzazione di inizio millennio del romanzo di H.G. Wells del 1898. L’invasione aliena ai danni dell’umanità narrata dal romanzo ben si presta ad attualizzazioni: «il marziano è il diverso con intenti ostili, colui che proviene dall’altra parte del confine e invade il nostro territorio con potenza distruttiva. Ogni epoca ha la sua guerra e ogni guerra ha, secondo il punto di vista, un nemico ostile e guerrafondaio» (p. 47). Giacomelli ricorda come il romanzo di Wells abbia dato «profetica forma al nemico giapponese nel celebre sceneggiato radio curato da Orson Welles nel 1938 ed è stato adattato con efficacia nel 1953 nella riduzione cinematografica di Byron Haskin… Nel film di Haskin il nemico venuto da Marte poteva essere letto come la metafora del nemico comunista […] e infatti si inseriva nel momento clou della Guerra Fredda» (pp. 47-48). Se nel film di Haskin dei primi anni ’50, in fin dei conti, sembra essere la fede cristiana a «veicolare l’abbattimento delle navette spaziali aliene», nel film di Spilberg del 2005 sembra , piuttosto, essere la fede nella famiglia a determinare la sconfitta aliena.

Invasion_body_Snatchers_1956Anche il già citato L’invasione degli ultracorpi (1956), tratto dal romanzo di Jack Finney, viene indicato dal libro come opera-simbolo della “paranoia da Guerra Fredda”. Il romanzo di Finney è fonte d’ispirazione anche per Terrore dallo spazio profondo (Invasion of the Body Snatchers, Philip Kaufman, 1978) che, secondo Giacomelli, rappresenta la versione più pessimistica tra le opere cinematografiche ispirate all’opera narrativa. Nei primi anni ’90 i pericolosi baccelli alieni tornano nel film Ultracorpi – L’invasione continua (Body Snatchers, Abel Ferrara, 1993) ed, in questo caso, non è difficile scorgere l’eco della Guerra del Golfo. Nel film di Ferrara l’invasione nemica prende avvio proprio in una base militare americana, il male si propaga a partire da quel mondo militare che dovrebbe difendere il Paese dagli attacchi nemici. I militari «sono i primi a cadere sotto il fuoco omologante dei parassiti vegetali di provenienza extraterrestre, che trovano nel mondo militare un ambiente molto fertile ai loro intenti di massificazione. La mente militare, infatti, detta la disciplina e la disgregazione dell’ego di fronte ai dettami di chi è gerarchicamente superiore, un’ideologia che svuota le coscienze così come gli invasori alieni fanno con le vittime umane, creando così un parallelismo che sembra minare in special modo i sistemi di difesa dell’uomo, rendendolo inerte di fronte all’attacco nemico» (p. 49). Tutto ciò ci induce a prendere atto che, in realtà, il nemico siamo noi.

Nella serie televisiva Invasion (ideata da Shaun Cassidy, 2005-2006), all’interno di uno scenario di provincia semi-rurale scosso dai grandi uragani che hanno sconvolto gli Stati Uniti, si torna a trattare la clonazione e l’assenza di emozioni delle copie che sostituiscono gli esseri umani. In questo caso viene narrata una società in cui non ci si può più fidare di nessuno e in cui non ci si riconosce più nemmeno all’interno della famiglia. Nel film Invasion (The Invasion, Oliver Hirschbiegel, 2007), ennesima produzione cinematografica che si rifà al romanzo di Finney, si torna ad ambientazioni metropolitane che, secondo Giacomelli, evidenziano un parallelismo tra il loro presentarsi lugubri e l’assenza di emotività che contraddistingue i replicanti alieni. In questo caso «sono gli stessi corpi umani a trasformarsi in armi per il nemico, come se l’uomo fosse già predisposto al cambiamento, all’invasione. […] Il male è già sedimentato nell’essere umano, ha bisogno solo di una spinta esterna che possa farlo emergere e Invasion ci lascia il dubbio che il cambiamento in atto non sia proprio un male, ma semplicemente una ulteriore fase del processo evolutivo e adattativo dell’essere umano» (p. 51).

battle-los-angelesIn alcuni film gli extraterrestri-invasori rimandano esplicitamente al nemico mediorientale ed a tal proposito il saggio si sofferma su Skyline (id., Colin Strause, Greg Strause, 2010), che sin dal titolo rinvia all’attacco al WTC, e World Invasion (Battle: Los Angeles, Jonathan Liebesman, 2011), ove i marines si trovano a combattere strada per strada «contro una minaccia aliena che mira all’estinzione dell’umanità, anzi dell’americanità, vista l’enfasi patriottica che la vicenda tende a sollevare soprattutto con l’esaltazione della figura del soldato a stelle e strisce» (p. 51). In Dead Air (id., Corbin Bernsen, 2009) il virus letale che deve distruggere l’America è propagato da un gruppo di terroristi esplicitamente mediorientali. In questo caso, suggerisce il saggio, il film, nel far ricorso a tutti gli stereotipi relativi al terrorista arabo, scadendo nel becero razzismo, ha almeno il merito di esplicitare la xenofobia dilagante dell’America di Bush Jr. Il film riprende la tematica del contagio ed in questo caso si tratta di un virus diffuso nell’aria dai terroristi mediorientali che provoca comportamenti aggressivi ed antropofagi. Nonostante il piano criminale non si attui totalmente, il Paese, una volta che si è messo in moto il contagio, pare ormai destinato a dover continuare a fare i conti con rabbiosi, distruttivi e dinamici morti viventi. «Per l’opinione pubblica le azioni terroristiche provenienti dal Medio Oriente sono la paura reale di inizio secolo, aggressori che distruggono le certezze e la quotidianità di ogni individuo, di ogni onesto lavoratore colpito a morte nelle sua stessa abitazione o sul luogo di lavoro […] Si tratta di nemici degli Stati Uniti e, di riflesso, dell’intero Occidente» (pp. 53-54).

Giacomelli, dopo aver passato in rassegna le modalità con cui il cinema fantascientifico ha dato immagine ai nemici dell’America, si concentra sulle figure dell’Umano e dell’Alieno così come vengono presentate dalla science fiction statunitense. Entrambe le figure vengono analizzate come figure di nemico: l’essere umano come minaccia per se stesso e per il pianeta, come artefice del male, causa e conseguenza dei disastri e l’Alieno come figura su cui proiettare, quasi sempre, le caratteristiche peggiori dell’umanità stessa. Nel nostro prossimo scritto ci soffermeremo su tali aspetti analizzati dall’autore nella seconda parte del saggio.

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