Sam Millar – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 18 Apr 2025 22:31:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Storie di provincia senza innocenti https://www.carmillaonline.com/2023/02/13/storie-di-provincia-senza-innocenti/ Mon, 13 Feb 2023 21:00:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=74638 di Gioacchino Toni

Sam Millar, Sul fondo del Black’s Creek, traduzione di Seba Pezzani, Milieu edizioni, Milano, 2022, pp. 268, € 17,90

“La scienza, caro ragazzo, è fatta di errori, errori che però è utile fare perché, poco alla volta, portano alla verità”. Con questa citazione tratta da Viaggio al centro della Terra di Jules Verne si apre il romanzo di Sam Millar, Sul fondo del Black’s Creek (Milieu, 2022). Oltre alle vicende narrate dal romanzo, con tali parole l’autore sembra alludere alla sua vita turbolenta in cui di errori ne avrà sicuramente [...]]]> di Gioacchino Toni

Sam Millar, Sul fondo del Black’s Creek, traduzione di Seba Pezzani, Milieu edizioni, Milano, 2022, pp. 268, € 17,90

“La scienza, caro ragazzo, è fatta di errori, errori che però è utile fare perché, poco alla volta, portano alla verità”. Con questa citazione tratta da Viaggio al centro della Terra di Jules Verne si apre il romanzo di Sam Millar, Sul fondo del Black’s Creek (Milieu, 2022). Oltre alle vicende narrate dal romanzo, con tali parole l’autore sembra alludere alla sua vita turbolenta in cui di errori ne avrà sicuramente commessi parecchi, come del resto capita a tutti coloro che non si accontentano di sopravvivere, magari voltandosi dall’altra parte mandando giù qualsiasi cosa.

Sam Millar è uno scrittore e sceneggiatore di Belfast proveniente da una famiglia working class, con un passato nell’Ira e otto interminabili anni di carcere duro alle spalle. Le sue prime opere letterarie sono ambientate in una Belfast impregnata di ingiustizie sedimentatesi nel tempo come il lerciume tra i mattoni con cui è costruita la città e il lezzo di sudore e birra che impregna i malandati arredi e la moquette dei pub, un lezzo che non riesce a coprire quell’odore di sangue, sofferenza, paura e solitudine che Millar fiuta e descrive come pochi altri.

A far conoscere lo scrittore in Italia è stato On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese (Milieu, 2016) [su Carmilla], memoir in cui ricostruisce una parte importante della sua vita trascorsa prima tra le strade di Belfast e il carcere di Long Kesh, poi negli Stati Uniti, ove la militanza per la causa nord irlandese lascia il posto a una mirabolante rapina restata nella storia nonostante le cose non siano andate come aveva auspicato.

Pochi anni dopo arriva in Italia I cani di Belfast (Milieu, 2019) [su Il Pickwick], opera che sin dalle primissime pagine sbatte violentemente chi legge in una cava di Belfast, sul finire degli anni Settanta, di fronte a una donna brutalmente seviziata che sta per essere assalita da un branco di cani randagi. La Belfast di Millar è descritta in maniera cruda e disturbante, un po’ come la Londra di Derek Raymond nel grandioso ciclo della Factory e la Berlino di Miron Zownir [su Carmilla]. Con I cani di Belfast – che Millar dice di aver scritto traendo ispirazione dall’irlandese Walter Macken e dallo statunitense Cormac McCarthy – i lettori italiani fanno conoscenza dell’investigatore Karl Kane, protagonista di storie destinate ad essere presto tradotte.

Venendo a Sul fondo del Black’s Creek, il racconto si apre con i titoli di un quotidiano che, nell’annunciare la riapertura di una vecchia storia che ha sconvolto la comunità di una piccola cittadina dello stato di New York, fanno sobbalzare, durante la colazione, un uomo che nel leggere di ciò si sente travolto dalle tenebre di un passato che lo vede in qualche modo coinvolto in un omicidio che sembra improvvisamente rifare capolino nella sua vita e in quella dell’intera comunità, anche se, in realtà, questo passato non se ne era mai del tutto andato.

L’improvviso riemergere del passato, dopo due decenni di ricorso all’oblio, non solo svela a chi ebbe un ruolo di primo piano in quei tragici eventi – e ai lettori – il peggio di un’epoca lontana, coincidente con l’adolescenza dei protagonisti, ma palesa anche quanto il periodo intercorso tra quelle vecchie storie e l’attualità sia stato disgustoso e ipocrita.

La vicenda che torna a galla ruota attorno a un gruppetto di ragazzini desiderosi di trovare un colpevole a tutti i costi per la morte di un amico derubricata, nonostante i dubbi, come “semplice” suicidio: il dodicenne si sarebbe insomma inspiegabilmente lasciato annegare nelle acque del lago locale senza un apparente motivo.

Nonostante il generoso tentativo di salvarlo di uno degli amici, il piccolo Joey si è congedato dalla sua breve vita nell’incapacità degli adulti di individuare  qualcuno a cui imputare la colpa di averlo direttamente o indirettamente indotto al gesto estremo. Questi ragazzini, che hanno imparato presto a non fidarsi degli adulti, decidono di vendicare la morte dell’amico castigando chi si dicono convinti – come del resto molti in città – abbia spinto l’amico dodicenne al darsi la morte.

Sono tanti i narratori – si pensi anche solo ad autori del calibro di Joe Lansdale e Stephen King – che hanno raccontato come sotto le placide apparenze delle cittadine statunitensi di provincia spesso si nasconda un inferno di soprusi e violenze. Anche l’apparentemente tranquilla cittadina dello stato di New York di cui narra Millar evidentemente tanto tranquilla pare non essere mai stata.

Miscelando abilmente noir e romanzo di formazione, anche lo scrittore irlandese restituisce ciò che si cela sotto la placida apparenza di una piccola comunità tra le cui pieghe si sono accumulati abusi sessuali e omicidi. Se gli occhi ingenui dei ragazzini spesso sanno cogliere meglio degli adulti il marcio del mondo, a volte, al pari di questi, sanno però farsi feroci fino all’estremo. Tutto al loro sguardo si fa iperbolico, nel bene e nel male, nel cogliere quello che gli adulti non sanno o non vogliono vedere, o nel muoversi spietatamente, proprio come i grandi.

È forse proprio a partire da questi occhi vivaci votati agli eccessi, che non hanno paura di guardare e giudicare, occhi liberi da ipocrisie e convenienze che forse si possono guardare le cose e le persone per quello che sono.

La riapertura del caso, a un paio di decenni di distanza dai fatti, fornirà nuovi indizi utili a indagare anche su altri delitti restati irrisolti. Conviene non aggiungere ulteriori dettagli per non rovinare la lettura che pagina dopo pagina ricompone un mosaico capace di mostrere immagini inattese. Quando si smuovono le acque più torbide il marcio torna a farsi vedere e persino gli errori, di cui si diceva in apertura, possono servire per avvicinarsi un po’ di più alla verità per quanto dolorosa essa sia.

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The General: storia e leggenda della malavita irlandese https://www.carmillaonline.com/2017/05/28/38103/ Sat, 27 May 2017 22:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38103 di Gioacchino Toni

the general coverPaul Williams, The General. Martin Cahill, storia e leggenda della malavita irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 15,90

«Erano le tre e venti del 18 agosto 1994: era appena stato ucciso Martin Cahill, il più famoso gangster d’Irlanda. Meno di sei minuti prima il gangster quarantacinquenne, Tango Uno per i Gardaí, era diventato l’ultima vittima del Provisional Ira, l’Esercito Repubblicano Irlandese» (p. 7).

Così, dalla fine, inizia il racconto che ha come protagonista Martin Cahill, detto The General, il bandito irlandese che, tra gli anni ’70 [...]]]> di Gioacchino Toni

the general coverPaul Williams, The General. Martin Cahill, storia e leggenda della malavita irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 15,90

«Erano le tre e venti del 18 agosto 1994: era appena stato ucciso Martin Cahill, il più famoso gangster d’Irlanda. Meno di sei minuti prima il gangster quarantacinquenne, Tango Uno per i Gardaí, era diventato l’ultima vittima del Provisional Ira, l’Esercito Repubblicano Irlandese» (p. 7).

Così, dalla fine, inizia il racconto che ha come protagonista Martin Cahill, detto The General, il bandito irlandese che, tra gli anni ’70 ed i ’90, tra una rapina e l’altra, si trovò a dover fuggire, di volta in volta, da polizia (la Garda), militanti dell’Ira e mercenari dell’Ulster. Troppi i piedi pestati per morire nel sonno. Troppa la testardaggine, troppa la tracotanza per sperare di poter davvero continuare a sfuggire a lungo al piombo promessogli da tutte le direzioni.

E così, in un assolato pomeriggio dublinese, tra Oxford Road e Charleston Road, nel quartiere periferico di Ranelagh, un tiratore dell’Ira pose definitivamente fine alla storia, non certo alla leggenda, del Generale, mentre questi si apprestava ad incontrare i suoi soci per pianificare un grosso colpo, l’ennesimo, non prima di aver riconsegnato in negozio la videocassetta di Bornx di Robert De Niro.

È dall’inevitabile epilogo che il giornalista e scrittore Paul Williams inizia il flashback che ripercorre la vita del più noto criminale irlandese con la passione per i piccioni, le moto ed il cibo al curry…

un uomo dalle mille contraddizioni: padre devoto, amico fedele, amante insaziabile, assurdo burlone, ma anche odiato fuorilegge, gangster temibile, mostro sadico, pianificatore meticoloso […] ossessivo, subdolo ed estremamente intelligente; a volte crudele, a volte compassionevole; riservato con una vena di malizia. Un personaggio complesso (p. 11)

Primi anni ’60. Quartiere periferico di Crumlin. In uno dei tanti complessi abitativi popolari di recente edificazione voluti dal governo per “ripulire” il centro cittadino, il piccolo Martin dovette imparare velocemente ad arrangiarsi per contribuire alle entrate della famiglia. Era la fame a dettare l’agenda della sua infanzia e qualcosa di quella fame gli resterà sempre addosso; anche quando i colpi avranno ben altri obiettivi e di certo non era il cibo a mancare, non era così raro vedere Cahill «darsela a gambe con oggetti preziosi del valore di cinquantamila sterline insieme a qualche chilo di bistecche da quattro soldi» (p. 16).

Nella grigia periferia dublinese Martin imparò presto a conoscere il tribunale minorile e la scuola industriale a cui venivano inviati i giovani delinquenti per dare loro una formazione e, se possibile, una raddrizzata. Se questi luoghi difficilmente riuscirono nel primo intento, probabilmente mai ebbero successo nel secondo.

Metà anni ’60. Prima dei botti su al Nord. Il giovane Martin raggiunse Belfast ove la Royal Navy di Sua Maestà Britannica stava arruolando decine e decine di giovani irlandesi squattrinati in cerca di uno stipendio. Ai candidati veniva consegnato un documento su cui indicare il mestiere in cui si sentivano più portati. Martin indicò bugler (trombettista) ma aveva letto male; riteneva di aver indicato burglar (scassinatore). Al colloquio gli venne chiesto di motivare la scelta e la risposta del giovane, evidentemente con qualche problema di lettura (senza scomodare Freud & C.), gli valse l’immediato viaggio di ritorno nella sua Dublino ove poté cimentarsi, al di là degli errori di lettura, nel lavoro per cui era effettivamente più portato.

Gli Hollyfield Buildings a Rathmines erano un complesso di appartamenti semi-abbandonati. Per gli inquilini delle case popolari che non riuscivano nemmeno a pagare l’affitto, o erano accusati di essere dei piantagrane, quello era l’ultimo stadio prima di rimanere davvero senza tetto. Le condizioni erano spaventose. […] Eppure, per Martin Cahill, quella era casa, il suo regno. Non avrebbe voluto stare in nessun altro posto […] “Quello che (le autorità) non si sarebbero mai aspettate era che ci piacesse quel posto. Ci conoscevamo tutti” ricordava con affetto Cahill dopo che il complesso venne raso al suolo […] Gli abitanti di Hollyfield erano legati tra loro da un senso di lealtà e da un totale disprezzo per l’autorità, ingredienti che modellarono la complessa personalità di Martin Cahill. Era felice in quello strano mondo sotterraneo e non sentiva alcun desiderio di conformarsi ai costumi della società che si trovava al di fuori delle mura che circondavano il suo regno. Si trovava spesso a consigliare alla sua gente di non dimenticarsi mai da dove veniva e di essere orgogliosa delle proprie radici (pp. 23-24)

È in questi bassifondi di Dublino che Cahill riuscì a scalare velocemente posizioni all’interno del milieu criminale irlandese arrivando ad incarnare «la figura dell’ultimo antieroe, quello che soddisfaceva la morbosa e ambivalente attrazione della gente per la malavita. Più di ogni altra icona criminale, Cahill aveva un profondo fascino sull’immaginario nazionale» (p. 12).

martin cahill 09Primi anni ’70. Insieme al caos esploso in Irlanda del Nord mutò profondamente anche il panorama malavitoso irlandese che, almeno fino ad allora, non aveva creato grossi grattacapi alla polizia. L’onda d’urto generata dai fatti del Nord e dall’esplosione di un nuovo tipo di criminalità, trovò le forze dell’ordine totalmente impreparate e di ciò il Generale seppe trarre vantaggio. «A differenza di molti criminali che per quanto possibile tendono a evitare il conflitto con le autorità, Martin Cahill promosse la sua personale rivolta contro lo Stato. Condusse un’implacabile guerra di arguzia contro i Gardaí, che odiava ferocemente, un sentimento ricambiato dagli uomini e dalle donne in uniforme blu» (p. 13).

Metà anni ’70. Le fumose sale da biliardo diventarono il quartier generale della malavita dublinese e le auto parcheggiate davanti ad esse testimoniavano i colpi andati a segno. Martin vi parcheggiava la sua amata Harley.

Primi anni ’80. Il decennio si aprì con un botto capace di far saltare in aria non solo l’automobile con a bordo un funzionario del Ministero della Giustizia che aveva creato grattacapi a parecchia gente, ma anche di far balzare alle stelle la popolarità del Generale che da lì a poco avrebbe messo a segno una rapina entrata nella storia del crimine irlandese.

Obiettivo: la gioielleria O’Connor a Dublino. Bottino: oro, gemme e gioielli per un valore di oltre due milioni di sterline. Sarebbe stata la rapina più grande e più temeraria dall’istituzione dello Stato irlandese. Inoltre avrebbe fatto da catalizzatore e avrebbe portato Dublino sull’orlo di una guerra aperta tra la criminalità organizzata, l’Ira e la Garda (pp. 58-59)

Anche l’Ira aveva pianificato il colpo salvo poi abbandonare i piani perché ritenuto impossibile. Che un eccentrico sbruffone fosse riuscito in ciò che appariva impossibile all’Esercito Repubblicano Irlandese gli sarebbe costato caro.

Metà anni ’80. L’eroina aveva invaso i quartieri di Dublino e con essi aveva riscritto gerarchie e cancellato consuetudini e regole del gioco nel milieu malavitoso.

Nel maggio del 1986 il signore del crimine fece una passeggiata nella magnifica magione del signorotto e rubò undici dei dipinti di maggior valore della collezione Beit. Fu la seconda più grande rapina d’arte del mondo. La scomparsa dei dipinti Beit segnò l’inizio di un’affascinante e complessa storia di intrighi internazionali che coinvolsero le forze di polizia e le organizzazioni criminali di vari paesi (p. 93).

La banda del Generale era di gran lunga la più attiva del paese; rubavano a ritmi sostenuti in una situazione di apparente impunità, mettendo a segno a volte anche tre o più grandi rapine ogni settimana. I marchi di fabbrica della gang erano: terrore, minacce e sequestri di persona. Nelle lunghe notti buie d’inverno, il periodo dell’anno preferito di Cahill, i lavori tipici erano i legami, in cui i ricchi abitanti di grandi dimore sparse in tutto il paese venivano legati mentre la banda se la batteva con contanti e valori. I suoi vecchi avversari della Garda le avevano provate tutte per catturare Cahill ma non ci erano mai riusciti. Era impossibile ottenere informazioni dall’interno della banda, perché il livello di fedeltà tra gli uomini del Generale era altissimo (una cosa insolita per i gruppi criminali) e la possibilità di infiltrare un informatore era praticamente inesistente. Inoltre Cahill era un personaggio talmente imprevedibile e misterioso che i metodi tradizionali si rivelavano inutili (pp. 114-115).

Impossibile in queste poche righe ricostruire le mille avventure di Martin Cahill puntualmente riportate dal libro di Paul Williams. Forse però un paio di episodi bastano a dare un’idea del personaggio.

Una mattina, mentre si recava in tribunale a un’udienza per la custodia cautelare, Cahill rapinò la filiale esattamente alle dieci e cinquanta. Un complice lo aspettava per prendere i soldi e Cahill si presentò al suo appuntamento di fronte alla corte otto minuti più tardi, con un alibi di ferro (pp. 40-41).

The General percepiva il sussidio di disoccupazione da quando aveva lasciato il suo primo ed ultimo lavoro, nel 1969. Ogni settimana, a colpo sicuro, si recava all’ufficio di collocamento di Werburgh Street e firmava per il suo sussidio di disoccupazione per mantenere la moglie Frances e i loro cinque figli; faceva la coda allo sportello 10 e aspettava il suo turno. L’impiegato dall’altra parte dello sportello blindato formulava la sua domanda obbligatoria di rito: ha conseguito qualche impiego durante la settimana passata? Lui avrebbe firmato il modulo in cui dichiarava che non aveva conseguito nessun lavoro, avrebbe ricevuto un cedolino e con quello si sarebbe recato a un altro sportello a riscuotere i soldi. Gli impiegati che hanno avuto a che fare con lui ricordano che era cortese, simpatico e, a differenza di alcuni altri firmatari, di poche parole. Ogni volta che arrivava in Werburgh Street, Cahill indossava un casco da moto o un passamontagna o teneva una mano sul volto. Era risaputo che la polizia portava i testimoni all’ufficio di collocamento per una prima identificazione informale dei delinquenti. Ma Cahill mostrava il suo volto solo allo sportello. Una volta, a metà degli anni Settanta, si era presentato due volte nella stessa settimana, con il casco: la prima volta per incassare il sussidio di disoccupazione e al seconda per rubare centomila sterline in contanti (pp. 176-177).

Primi anni ’90. Come promessogli da tanti, il piombo arrivò anche per lui. La mano era quella dell’Ira ma poteva benissimo essere una mano diversa a freddarlo.

Come anticipato, troppi erano stati i piedi pestati per consentire al Generale di morire nel sonno. Troppa era stata la testardaggine e troppa la tracotanza per sperare di poter ancora a lungo evitare il piombo promessogli da tutte le direzioni.


Milieu edizioni ha dato alle stampe una particolare Trilogia Irish composta da: On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese di Sam Millar – di cui ci siamo occupati su Carmilla -, The General. Martin Chaill, storia e leggenda della malavita iralandese del giornalista irlandese Paul Williams e Bomber Renegade. Un soldato di sua maestà al servizio dell’Ira (libro + cd) scritto da Michael “Dixie” Dickson, Federico De Ambrosis e Niccolò Garufi. Daremo presto conto anche di questo terzo libro che racconta la storia di un ex militare di sua maestà di ritorno dalla guerra nelle Falkland che scopre la causa repubblicana irlandese sugli spalti del Celtic Park.

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