Ron Cobb – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:38:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La saga di Alien tra orrore cosmico e capitalismo dello spazio profondo https://www.carmillaonline.com/2024/09/25/alien-tra-orrore-cosmico-e-capitalismo-dello-spazio-profondo/ Wed, 25 Sep 2024 20:00:00 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=84441 di Sandro Moiso

Paolo Riberi, Giancarlo Genta, I segreti di Alien. Gnosi, orrore cosmico, scienza e IA nella saga degli Xenomorfi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2024, pp. 246, 20,00 euro

Quando nel 1979 un ancor giovane Ridley Scott, alla sua seconda regia di un lungometraggio, portò sugli schermi Alien probabilmente nessuno, e tanto meno il regista inglese, avrebbe potuto anche solo lontanamente pensare che tale film stesse per dare inizio ad una delle saghe fantascientifiche cinematografiche più durature, complesse e articolate. Una saga ampliatasi ben al di là degli schermi cinematografici per espandersi nei comics, videogiochi, serie televisive e, più in [...]]]> di Sandro Moiso

Paolo Riberi, Giancarlo Genta, I segreti di Alien. Gnosi, orrore cosmico, scienza e IA nella saga degli Xenomorfi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2024, pp. 246, 20,00 euro

Quando nel 1979 un ancor giovane Ridley Scott, alla sua seconda regia di un lungometraggio, portò sugli schermi Alien probabilmente nessuno, e tanto meno il regista inglese, avrebbe potuto anche solo lontanamente pensare che tale film stesse per dare inizio ad una delle saghe fantascientifiche cinematografiche più durature, complesse e articolate. Una saga ampliatasi ben al di là degli schermi cinematografici per espandersi nei comics, videogiochi, serie televisive e, più in generale, nell’immaginario collettivo e nelle paure inconsce di milioni di spettatori di tutte le età.

Anche se l’ultimo prodotto cinematografico ispirato alle vicende degli Xenomorfi e del loro atroce coinvolgimento nelle disavventure di equipaggi spaziali umani del tutto incapaci di far fronte alla loro minaccia, Alien Romulus di Fede Álvarez, nonostante un ottimo inizio e il successo al botteghino si sia rivelato come il più debole di quelli realizzati fino ad ora, vale la pena di ripercorrere le vicende della ideazione e della realizzazione delle storie contenute nella saga e, soprattutto, le riflessioni e invenzioni scientifiche, letterarie, filosofiche, religiose e tecnico-economiche che in esse si annidano.

A guidare il lettore nell’autentico e interessante, oltre che caotico, labirinto formato dall’insieme degli infiniti rivoli di orrore e paura sgorgati da quella fonte iniziale ci pensano Paolo Riberi e Giancarlo Genta con il volume appena uscito per le edizioni Mimesis. Il primo, laureato in Filologia e letterature dell’antichità e in Economia presso l’Università deli Studi di Torino, è giornalista, studioso di storia antica e letteratura delle origini cristiane oltre che membro della Società Italiana di Storia delle Religioni e autore di vari saggi dedicati al mondo dei vangeli apocrifi e alla simbologia del cinema contemporaneo.

Il secondo è professore emerito di Costruzione di macchine presso il Politecnico di Torino, membro dell’Accademia delle Scienze della stessa città e dell’Accademia Internazionale di Astronautica. E’ autore di numerosi testi di formazione, di articoli e di volumi sull’esplorazione spaziale e il programma Search for Extra-Terrestrial Intelligence, oltre che di sei romanzi di fantascienza e di un altro saggio in coppia con Riberi, anch’esso edito da Mimesis, sul ciclo di Dune di Frank Herbert (qui).

Diviso in tre parti riguardanti, nell’ordine, la saga stessa e la sua ideazione e realizzazione, i rapporti della stessa con il mito e la filosofia e, per ultima, quelli con la scienza e l’economia, il testo si rivela come un’autentica bibbia per tutti gli appassionati non soltanto del ciclo degli Xenomorfi, ma della fantascienza in generale. Qui il recensore, però, non potrà che riprenderne e sottolinearne alcuni aspetti, lasciando ai lettori la scoperta dei numerosi altri.

Nella prima parte, comprensiva di una ricostruzione in ordine cronologico degli eventi narrati nei primi sei film, sicuramente la parte del leone la fa la ricostruzione dei conflitti, delle rivalità tra sceneggiatori e successivi registi e dei dubbi della casa di produzione cinematografica, la 20th Century Fox, che portarono alla realizzazione del cult movie nel 1979. Una ricostruzione che vede tra i protagonisti Dan O’Bannon, John Carpenter, Walter Hill, Ridley Scott, James Cameron, Sigourney Weaver (destinata a dare volto e corpo ad una delle figure femminili più iconiche della cinematografia degli ultimi quarant’anni), Alejandro Jodorowsky (con il suo fallimentare progetto di un film, basato sul ciclo di Dune di Frank Herbert, della durata prevista di dieci ore) e Ron Shusett al quale, in definitiva, si deve l’idea di coniugare «le sfumature dei racconti di Howard P. Lovecraft con i tabù sessuali più oscuri della storia dell’Occidente», con la creazione «di un mostro alieno che, dopo essere salito a bordo di un’astronave umana, “violenta uno dell’equipaggio, gli salta sulla faccia, gli infila un tubo nel corpo, introduce il suo seme e poi fuoriesce dal suo stomaco”»1.

A costoro vanno aggiunti almeno tre importanti artisti e illustratori: lo statunitense Ron Cobb, destinato a dare forma alle astronavi del ciclo; il francese Jean Giraud alias Moebius, ideatore delle tute spaziali e, soprattutto, lo svizzero Hans Ruedi Giger dai cui disegni e illustrazioni da incubo sarà tratta la forma definitiva, allo stesso tempo oscena e spaventosa, del primo Xenomorfo. Immagine tratta, come tra l’altro molte di quelle che animavano i racconti di H. P. Lovecraft, direttamente dagli incubi dell’autore.

Ma non sono soltanto gli incubi notturni di Giger a far sì che sia possibile un rinvio dell’intera saga all’immaginario lovecraftiano, poiché i principali protagonisti della sua ideazione e realizzazione, da O’Bannon a Shusett fino allo stesso Ridley Scott (che nel complesso sarà responsabile della realizzazione di tre film dei primi sei di quelli appartenenti alla saga ed esclusi quelli della serie “parallela” Alien Vs. Predator), solo per citarne alcuni, saranno tutti “discepoli” e amanti dell’opera del solitario di Providence.

Il cui concetto di “orrore cosmico”, come ben si dimostra nell’apposito capitolo contenuto nella seconda parte del testo è sostanzialmente alla base dell’intero ciclo. Come affermano gli autori, la sua influenza su Alien è innegabile, così come quella del suo Necronomicon, libro maledetto scaturito totalmente dalla fantasia e dagli incubi dello scrittore americano, ma ripreso in seguito come fonte di ispirazione non soltanto per i suoi romanzi e racconti ma anche per un numero infinito di altri appartenenti ad altri autori. Oltre che per i disegni di Giger, da cui sarebbe stata ripresa quasi integralmente la morfologia della creatura figlia dello spazio profondo.

A ben vedere, la stessa immagine del mostro che fuoriesce all’improvviso dal petto della vittima dopo averla dilaniata dall’interno è già presente nei racconti lovecraftiani: in La casa delle streghe, il mostruoso famiglio dai denti aguzzi Brown Jen­kin, con il viso e le mani umanoidi, e il corpo di topo, si comporta esattamente come il chestbuster di Alien, uccidendo il povero protagonista Walter Gilm […] Analogamente – osserva il critico cinematografico Davide Co­motti – “l’abominio che fuoriesce dalle uova (il facehugger) è un essere tentacolare che ricorda da vicino lo Cthulhu lovecraftia­no”, mentre lo Xenomorfo, “che viene definito dal robot [Ash] come un superstite, richiama i Grandi Antichi, mostruosità innominabili anch’esse ricorrenti negli scritti di Lovecraft”2.

Ma più che nelle immagini orrorifiche e nelle creature mostruose oppure nelle trame, la vicinanza maggiore tra la saga e Lovecraft sta proprio nella filosofia di fondo che li sostiene, poiché:

L’alieno non è mai soltanto un “predatore dello spazio”, un parassita o un animale feroce, bensì un’entità molto più oscura e incomprensibile, al pari di Cthulhu e del folle Yog-Sothoth. Come direbbe Charles Darwin – parlando dei suoi “Xenomorfi in miniatura” – si tratta di un’entità così assurda da indurci a negare l’esistenza stessa di Dio…3

Così come sembrano confermare le recenti osservazioni del fisico Carlo Rovelli e del teologo Giuseppe Tanzella-Nitti:

Se le costanti della fisica fondamentale fossero diverse, come sarebbe il mondo? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che noi non ci saremmo, perché il mondo che ci ha generato è quello di queste costanti, non di altre. Questo per noi ha un enorme valore. Quindi ci sembra, rispetto a ciò a cui noi diamo valore, che le costanti siano fissate «stranamente» proprio per generare ciò a cui noi diamo valore, cioè noi stessi. L’errore che stiamo commettendo è di non vedere che noi abbiamo ovviamente valore, siamo ovviamente «speciali», ma lo siamo rispetto a noi stessi. Se l’universo fosse diverso, sarebbe quello che sarebbe […]. Nulla, della stretta dipendenza di ciò che esiste dalle costanti, può legittimamente essere interpretato come prodotto da un disegno intelligente. Se la struttura e l’evoluzione dell’universo rispondono all’intenzione di un Dio Creatore, ciò non può essere dedotto dalle osservazioni e dalle misure proprie del metodo scientifico4.

In un universo in cui «la vita stessa è una temporanea anomalia frutto del caso, che dal Nulla nasce, e al Nulla ritorna. Non c’è più spazio per alcuna legge, sia essa di natura morale, giuridica o fisico-scientifica»5. Dove predominano la morte, il caos e la distruzione, esattamente come in quello dell’ateo e visionario Lovecraft al cui centro balla Yog-Sothoth, dio nudo e idiota, in una cacofonia di flauti e tamburi. Di cui lo pseudo-biblium Necronomicon, traducibile come Libro delle leggi dei morti, costituisce l’anti-Bibbia per eccellenza. Un universo casuale in cui il mondo non è stato affatto creato per l’uomo e in cui il cosmo caotico che lo circonda lo tollera a malapena, poiché i Grandi Antichi oppure i loro corrispondenti Ingegneri, compresi nella saga, hanno probabilmente creato la vita e l’uomo stesso per errore oppure come semplice e atroce esperimento oppure, ancora, per dare ospitalità nei loro corpi al seme degli Xenomorfi affinché questi ultimi possano riprodursi su scala più ampia e diffusa. Attraverso la filosofia e l’opera dell’autore statunitense avviene così

lo svelamento di una verità profonda e incontrovertibile (“la più terribile concezione del cervello umano”), ovvero la consapevolezza di essere del tutto soli di fronte alla sconfinata vastità dell’universo. Alla base di queste teorie c’è il radicale ateismo dell’autore: vivendo pur sempre nei primi anni del Novecento, ossia un tempo fortemente influenzato dal pensiero di Arthur Schopenhauer e di Friedrich Nietzsche, Lovecraft rifiuta alla radice l’ottimistica visione del mondo giudaico-cristiana, sostenendo di “non essere mai riuscito a placarsi con le dolci illusioni della religione”. Il suo categorico rifiuto lo induce a ripudiare non soltanto l’idea di un benevolo Dio Padre, ma – coerentemente – anche la concezione umanista che deriva dalla Bibbia, e che nel corso degli ultimi due millenni ha plasmato la storia dell’Occidente: per Lovecraft, il cosmo è un abisso oscuro e misterioso, che non ha al proprio centro né la Terra, né tantomeno l’uomo, e che non risponde a quelle “immutabili leggi della natura” a cui l’homo sapiens, con i suoi studi scientifici, ha preteso di attribuire una valenza universale e assoluta6.

Tanto per Lovecraft quanto per Alien l’approdo finale non può che consistere nel cosiddetto nichilismo: se Dio non esiste – e non esiste neppure un ordine razionale dell’universo – allora nulla ha davvero senso, e l’unica certezza diventa il Nulla supremo, oppure come avrebbe affermato il colonnello Walter Kurtz in un altro celebre film, null’altro che «l’orrore, l’orrore!»7.

L’unico appunto che si potrebbe fare a questa parte del testo, certamente una delle più interessanti, è dovuto al fatto che gli autori si sono un po’ troppo basati sulle considerazioni derivate dalle opere sulla vita e l’opera di Lovecraft del controverso Sebastiano Fusco, più che su quella monumentale e più autorevole di S. T. Joshi8.

Il riferimento precedente al film di Coppola ispirato a Cuore di tenebra di Joseph Conrad non è casuale, poiché fin dal primo film di Ridley Scott altri elementi conradiani sono comparsi nella saga di Alien. Ad esempio il nome dell’astronave su cui iniziano le avventure di Ellen Ripley è Nostromo, mentre quello della scialuppa di salvataggio sulla quale si salverà la stessa figura femminile interpretata da Sigourney Weaver è Narcissus, nomi presi entrambi a prestito da romanzi brevi dell’anglo-polacco Conrad.

Ed è proprio a partire dalla Nostromo che inizia nella saga quella riflessione sull’espansione capitalistica nello spazio che occupa un capitolo nella terza e ultima parte del libro di Riberi e Genta. Una riflessione che fin dalle prime immagini porta il conflitto salariale e di classe nello spazio profondo e che vedrà nella Weyland-Yutani Corporation la massima espressione dell’avidità e indifferenza del capitale nei confronti dei suoi dipendenti e dell’intera specie umana.

Ecco allora che tutto quanto si è detto e citato prima a riguardo dell’inesistenza di un “piano regolatore” delle vicende umane e del cosmo trova la sua perfetta adesione alle finalità anonime e distruttive riconducibili agli interessi dell’accumulazione capitalistica. Costi quel che costi, anche in termini di devastazione delle esistenze dei singoli oppure di interi pianeti. Un’ipotesi che sembra essere non del tutto approfondita dai due autori che preferiscono lasciare, forse, un filo di speranza a chi legge ma che già oggi, nelle “imprese” spaziali private di Elon Musk e nelle su promesse di conquista di Marte, iniziano a dare i primi segni del bisogno di espansione infinita del capitale e del suo sogno di eternità. Ben rappresentato dagli obiettivi iniziali del fondatore della stessa corporation Weyland -Yutani.

Una disponibilità a divorare vite, ricchezze accumulate socialmente e digerite privatamente, pianeti interi che ben si accompagna all’immagine degli Xenomorfi e degli incoscienti Ingegneri o Space Jokey che perseguono piani non del tutto chiari nemmeno a loro. In cui la creazione si accompagna alla distruzione, lasciando spesso soltanto un mondo di rovine e di guerre senza fine e senza scopo. Una visione apocalittica, e qui ancora il riferimento all’Apocalisse di Coppola, per cui l’intera saga costituisce una delle critiche più radicali del modo di produzione capitalistico, la cui massima espressione sembra essere, oggi sulla Terra e domani nello spazio profondo, la guerra.

Tema indagato soprattutto nell’espansione della saga nei comics e per questo motivo non troppo sottolineato all’interno della ricerca pubblicata da Mimesis. Rimane comunque ancora il profumo di un altro autore di fantascienza, il vecchio Jules Verne, che già nel sul Dalla Terra alla Luna, nel 1865, illustrava il grande interesse finanziario contenuto nel battage pubblicitario destinato a raccogliere i fondi per il lancio del proiettile/navicella verso la Luna.

Sbagliò di poco i conti lo scrittore di allora rispetto al tempo impiegato nel 1969 dalla Apollo 11 per portare gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla superficie lunare e centrò invece perfettamente l’obbiettivo dell’operazione. Cosa che gli sforzi di Musk oggi confermano, in attesa che una Weyland-Yutani di domani riporti sul pianeta qualche strano essere più adatto a fare la guerra e a dominare il cosmo di quanto lo sia la specie umana. Forse ancora “troppo umana” e dunque sostanzialmente inutile per le finalità ultime del capitale.


  1. P. Riberi, G. Genta, I segreti di Alien. Gnosi, orrore cosmico, scienza e IA nella saga degli Xenomorfi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2024, p.16.  

  2. P. Riberi, G. Genta, op. cit., pp. 90-91.  

  3. Ibidem, p. 97.  

  4. Carlo Rovelli, Giuseppe Tanzella-Nitti, Universo, un disegno poco intelligente: la scienza non può dimostrare l’esistenza di Dio, Corriere della sera qui  

  5. P. Riberi, G. Genta, op.cit., p.105.  

  6. Ibid., pp. 104-105.  

  7. Interpretato da Marlon Brando nel film, di Francis Ford Coppola, Apocalypse Now nel 1979.  

  8. S. T. Joshi, Io sono Providence: la vita e i tempi di H.P. Lovecraft, 3 voll, Providence press  

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Estetiche inquiete. A volte (ri)emergono dal sottosuolo. Esperienze figurative underground dagli anni ’50 ad oggi https://www.carmillaonline.com/2022/09/09/estetiche-inquiete-a-volte-riemergono-dal-sottosuolo-esperienze-figurative-underground-dagli-anni-50-ad-oggi/ Fri, 09 Sep 2022 20:00:41 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73447 di Gioacchino Toni

Quello ricostruito da Marco Teatro, La guerra dei segni. Un’altra storia dell’arte (Agenzia X, 2021), è un prezioso universo di segni di conflittualità nei confronti della cultura dominante. Segni che non mancano di riaffiorare, anche a distanza di tempo, nelle nuove esperienze underground o nell’universo culturale mainstream contemporaneo ove i cambi di casacca dei protgonisti si fanno repentini e forse mai definitivi, e in cui le strutture del sistema arte e di costruzione dell’immaginario collettivo si sono aggiornate ed affinate con un affanno che lascia inevitabilmente aperti interstizi e bug [...]]]> di Gioacchino Toni

Quello ricostruito da Marco Teatro, La guerra dei segni. Un’altra storia dell’arte (Agenzia X, 2021), è un prezioso universo di segni di conflittualità nei confronti della cultura dominante. Segni che non mancano di riaffiorare, anche a distanza di tempo, nelle nuove esperienze underground o nell’universo culturale mainstream contemporaneo ove i cambi di casacca dei protgonisti si fanno repentini e forse mai definitivi, e in cui le strutture del sistema arte e di costruzione dell’immaginario collettivo si sono aggiornate ed affinate con un affanno che lascia inevitabilmente aperti interstizi e bug che ne possono compromettere il funzionamento.

Sull’onda delle celebri Vite vasariane, anche La guerra dei segni traccia il suo racconto dell’arte, in questo caso esclusivamente figurativa e realtivamente al solo suo underground side, a partire dalle vite dei singoli protagonisti. Se il volume cinquecentesco attorno alle biografie degli artisti sviluppava un’analisi delle modalità espressive succedutesi nell’arco di circa due secoli e mezzo, il libro di Teatro ricorre alle vite dei protagonisti tanto per verificarne ed esplicitarne l’appartenenza all’universo underground, quanto per individuarne i reciproci collegamenti nel tempo e nello spazio.

Ad essere ricostruito è l’ondivago percorso che nel corso del tempo e delle specifiche storie individuali ha visto questi protagonisti dell’universo underground oscillare tra il sistema dell’arte ufficiale e il rifiuto od il disinteresse di farne parte e tra le lusinghe, i respingimenti e le benevolenze ritardate del sistema stesso nei loro confronti.

Quello proposto da Teatro è un percorso reticolare in cui individualità o piccoli gruppi si sviluppano a macchia di leopardo salvo poi intrecciarsi con altre esperienze originatesi altrove per contaminazione o in maniera relativamente autonoma.

Il volume si apre nei garage californiani degli anni Cinquanta, tra decoratori e customizzatori di automobili e motociclette come Von Dutch (Kenneth Robert Howard) e Ed “Big Daddy” Roth che influenzano con le loro estetiche ambiti che vanno ben al di là di quelli motoristici, in un epoca segnata dalla guerra fredda che non manca di investire l’ambito artistico in quanto ingranaggio importante della macchina di costruzione dell’immaginario.

Uno snodo importante è rappresentato dalla scena controculturale e dall’universo psichedelico californiani da cui derivano grafiche innovative. Ad essere presi in esame sono illustratori come Wes Wilson, Stanley George Miller (Stanley Mouse), Alton Kelly, Rick Griffin, Victor Moscoso, Lee Conklin e Jim Franklin. Dal medesimo panorama culturale si sviluppa un’editoria underground, prende il via l’autoproduzione delle prime fanzine che contribuiscono a far circolare grafiche e fumetti di autori come Basil Wolverton, Robert Crumb, Gilbert Shelton, Ron Cobb, Spain Rodriguez, Trina Robbins, Steve Clay Wilson, Greg Irons, Robert Armstrong, Rory Hayes e Richard Corben.

Per quanto riguarda l’underground europeo il volume si sofferma su autori quali Hans Rudolf Giger, Martin Sharp e Alan Aldridge. Lo svizzero Giger, padre dei biomeccanoidi, ha prestato il suo estroso immaginario alla saga cinematografica Alien, oltre che ad aver contribuito, con un suo celebre inserto, a far mettere all’indice negli USA e in UK l’album Frankenchrist (1985) dei Dead Kenedys. Sharp è invece l’illustratore di origine australiana, poi trasferitosi a Londra, artefice dell’avventura inglese di «OZ» e di importanti collaborazioni con il mondo musicale dell’epoca, così come farà Aldridge.

In ambito italiano le origini dell’underground vengono fatte risalire nel volume verso la metà degli agli anni Sessanta attorno a «Mondo Beat», con i lavori di Matteo Guarnaccia, fondatore nel 1970 della rivista psichedelica «Insekten Skete» e del grafico Max Capa (Nino Armando Ceretti), autore nel corso degli anni Settanta di riviste come «Puzz», «Provocazione», «Apocalisse» e «Flashback».

Un rapido cenno è dedicato all’esperienza underground in Unione Sovietica portata avanti da autori come Aleksandr Melamind e Vitalij Komar alle prese con un controllo repressivo difficilmente eludibile.

Il libro passa poi ad indagare una serie di esperienze tra Stati Uniti ed Europa. Primo tra tutti il disegnatore Vanughn Bodé, che non manca di schierare i suoi ramarri contro l’intervento militare statunitense in Vietnam per poi evolvere la sua produzione verso una contaminazione tra fumetto underground e writing. Dunque è la volta di Eric Orr, realizzatore di grafiche per la scena hip hop da cui deriva negli anni Ottanta una fortunata serie di fumetti.

Una sezione importante è poi dedicata alla grafica e all’estetica punk con relativi manifesti, locandine, cover di dischi e punkzine. Tra gli autori trattati nel volume vi sono Jamie Reid, autore delle celebri cover dell’album Never Mind the Bollocks (1977) e del singolo God Save the Queen (1977) dei Sex Pistols, Raymond Pettibon, adottato dall’universo punk tanto da essere impiegato nelle cover dei dischi Six Pack (1981) e Police Story (1981) dei Black Flak, Winston Smith, creatore del logo dei Dead Kennedys e della copertina del loro album In God We Trust (1981), oltre che di Insomniac (1995) dei Green Days. Non poteva mancare uno spazio dedicato a Gee Vaucher a cui si devono le grafiche dei radicali e coerenti Crass. Con John Holmstrom e i fratelli Hernandez si giunge poi all’incontro del fumetto con il punk.

Il volume si occupa anche dell’arrivo (ritardato) in Italia delle grafiche e dei fumetti underground statunitensi. Ed a proposito del panorama italiano viene riservato spazio a una serie di autori – Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Filippo Scòzzari, Massimo Mattioli ed Andrea Pazienza – che si intrecciano, a vario titolo, con la vita di riviste come «Combinazioni», «Cannibale», «Re Nudo», «Il Male» e «Frigidare».

Dunque è la volta dell’ambito sudamericano di fumettisti e illustratori, come Héctor Germán Oesterheld, Alberto Breccia e José Muñoz e di autori americani o europei che non disdegnano di operare ricorrendo al détournement di matrice situazionista o, ancora, personalità come Joe Coleman, Keith Haring, Carlos Rodriguez (Mare 139), Jean-Michel Basquiat, A-One (Anthony Clark) e Professor Bad Trip.

Un poderoso capitolo è riservato all’Arte di strada, dal writing alla scoperta dei graffiti da parte del mercato artistico. Per la scena americana vengono approfonditi Cornbread, Phase 2, Super Kool 223, T-KID, Chaz Bojorquez e Twist (Barry McGee), mentre per quella europea si approfondiscono le produzioni di Ateier Populaire, Don Leicht, John Fekner, Futura 2000, Blek le Rat, Speedy Graphito, Miss Tic, Jef Aérosol, LOKISS, Mode 2, Les Nuklé-Art, Banlieu-BanlieuThierry Noir, oltre a quelle proposte dalla scene di Amsterdam e del muro berlinese. Per quanto riguarda il contesto italiano vengono indagati gli ambiti della stencil art, dei serigraffiti, dell’Open Art Studio con Atomo, Swarz, Shah, e, ancora, Giacomo Spazio, Francesco Garbelli, Pao, DeeMO, CK8 e Pea Brain.

Un capitolo è dedicato all’arte di fine millennio con l’underground che conquista le gallerie (e viceversa), esempi di giornalismo illustrato, individualità artistiche e festival organizzati come HIU (dal 1993) nell’ambito dei Centri sociali milanesi e Crack! del Forte Prenestino romano.

Il volume si chiude con una sezione dedicata alla Street Art a partire dalle sue origini, passando per la scena di Bristol, dunque a quella internazionale fino all’Urban art con il nuovo muralismo e la propensione al gigantismo. In questi casi la rassegna avviene a “vernice ancora fresca”, nel pieno di un dibattito ancora acceso. [Su Carmilla:  1  2  3  4]

In conclusione, la grandezza e la forza dell’underground pare oscillare tra due miti estremi: da un lato il suo ostinato perpetuarsi tale in contrapposizione o in sottrazione al mainstream e dall’altro il volersi mantenere alternativa ad esso soltanto a tempo determinato mirando ad anticipare ed incidere sul mainstream e con esso su un ambito sociale e culturale più allargato.

Sospeso tra la volontà di essere un mezzo e quella di essere un fine, di certo l’universo underground, con tutte le sue contraddizioni, nasce da una oggettiva necessità espressiva, una necessità che ha attraversato il secondo Novecento ed è giunta fino ai nostri giorni che ha trovato nel do it yourself – ben da prima che il punk lo esprimesse con consapevolezza – la sua parola d’ordine che ovviamente non risolve, non potendo farlo, le contraddizioni di un sistema da cui non sembra possibile emanciparsi per sottrazione.

È forse nel dare a necessità immediate un soddisfacimento altrettanto immediato che va individuata la portata politica eversiva dell’underground e La guerra dei segni, nel suo tratteggiare un’altra storia dell’arte – non a caso a partire dalle vite dei suoi protagonisti – ne offre una panoramica preziosa.


Estetiche inquiete serie completa su Carmilla

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