romanzo noir – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 L’ora delle lupe https://www.carmillaonline.com/2024/08/05/lora-delle-lupe/ Sun, 04 Aug 2024 22:01:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=83454 di Walter Catalano

Boileau-Narcejac, Le lupe, trad. Lorenza Di Lella e Francesca Scala, Adelphi, pp. 180, euro 18,00 stampa.

Boileau-Narcejac, cioè l’indissolubile coppia letteraria formata da Pierre Boileau (1906-1989) e Pierre Ayraud, in arte Thomas Narcejac (1908-1998), sono stati, insieme ma in modo diverso da Georges Simenon, i fondatori di quel genere tipicamente francofono che, ai tempi quando iniziarono a praticarlo, veniva catalogato semplicemente come roman policier, ma che proprio grazie alle caratteristiche da questi autori più marcatamente introdotte, venne ribattezzato – all’inizio solo dai critici cinematografici per classificare certi film americani – noir, e che, ancora più tardi, avrebbe finito [...]]]> di Walter Catalano

Boileau-Narcejac, Le lupe, trad. Lorenza Di Lella e Francesca Scala, Adelphi, pp. 180, euro 18,00 stampa.

Boileau-Narcejac, cioè l’indissolubile coppia letteraria formata da Pierre Boileau (1906-1989) e Pierre Ayraud, in arte Thomas Narcejac (1908-1998), sono stati, insieme ma in modo diverso da Georges Simenon, i fondatori di quel genere tipicamente francofono che, ai tempi quando iniziarono a praticarlo, veniva catalogato semplicemente come roman policier, ma che proprio grazie alle caratteristiche da questi autori più marcatamente introdotte, venne ribattezzato – all’inizio solo dai critici cinematografici per classificare certi film americani – noir, e che, ancora più tardi, avrebbe finito per assumere in Francia il neologismo di polar: policier+noir.

Le caratteristiche sono in realtà molto diverse da quelle del poliziesco classico e per lo più anche da quelle del poliziesco hard-boiled all’americana: determinante è soprattutto l’atmosfera claustrofobica, oppressiva e oscura, il clima di insicurezza, disorientamento e angoscia; poi la tortuosa e conflittuale costruzione delle psicologie dei personaggi, con la presenza di figure – ormai secolarizzate e non più soprannaturali ma comunque derivate dal roman noir in senso classico, cioè dal gotico – come il revenant o il Doppelgänger, (questo aspetto, tipico di Boileau-Narcejac, esclude di solito le componenti naturalistiche di Simenon); soprattutto la trama non prevede un detective ma è vista dalla parte degli assassini o da quella delle vittime (nel secondo caso in Boileau-Narcejac manca quasi del tutto quell’elemento simpatetico caratteristico, ad esempio, della suspense psicologica di Cornell Woolrich, l’autore americano forse a loro più vicino).

I due scrittori iniziano a pubblicare separatamente, scimmiottando i thriller americani e spesso firmando sotto pseudonimo anglosassone. Nel 1947 Boileau legge un saggio di Narcejac, L’esthétique du roman policier, che lo colpisce molto: cominciano a intrattenere rapporti epistolari e si incontrano personalmente quando uno dei due riceverà per un proprio romanzo il Prix du Roman d’Aventures. Tre anni dopo iniziano a scrivere in coppia: in genere Boileau fornisce la trama e Narcejac sviluppa l’atmosfera e le caratterizzazioni. Il primo romanzo uscito nel 1951, L’ombre et la proie, e firmato Alain Bouccarèje (anagramma di Boileau-Narcejac), passa sotto silenzio, ma già il secondo del 1952, Celle qui n’était plus, è un grande successo che assicura loro la gloria cinematografica: il grande regista Henri-Georges Clouzot lo porterà sugli schermi nel 1955 con pochissime varianti, l’inversione di sesso fra assassino e vittima (con le implicazioni velatamente saffiche che ne derivano) e un titolo ripreso da Barbey d’Aurevilly, Les Diaboliques, oltre a un cast d’eccezione: Simone Signoret, Véra Clouzot, Paul Meurisse e Charles Vanel. Un colpo ancora più grosso sarà fatto nel 1958 quando addirittura varcheranno le soglie di Hollywood avendo attirato l’attenzione di Alfred Hitchcock, che realizzerà uno dei suoi maggiori classici, Vertigo con Kim Novak e James Stewart, ispirandosi al quarto romanzo del duo uscito nel 1954, D’entre les morts.

In Italia questi Fruttero&Lucentini francesi, erano stati invece pubblicati senza alcun criterio e sempre in piccole collane riservate alla letteratura “gialla”, finchè, come da anni sta facendo con Simenon, Adelphi non ha cominciato a occuparsi – con la cura e il rispetto dovute ad autori importanti – anche di loro: la riproposta di testi già editi in nuova traduzione è iniziata nel 2014 con I diabolici e proseguita nel 2016 con La donna che visse due volte (il titolo italiano di Vertigo, il film di Hitchcock), e sempre nel 2016 con Le incantatrici (Les Magiciennes, 1957), altro romanzo sull’ossessione del doppio, poi nel 2023 I volti dell’ombra (Les Visages de l’ombre, 1953), il terzo romanzo, uno dei più spietati e inquietanti, sull’ambiguo rapporto tra realtà e percezione quando non si possa più disporre del principale dei sensi, la vista.

È ora la volta invece di un testo completamente inedito in Italia, il quinto romanzo scritto dal duo, Le lupe (Les Louves, 1955), che presenta tutte le abituali caratteristiche destabilizzanti tipiche della loro narrativa: la confusione delle identità, l’instabilità psicologica, i ribaltamenti di ruolo, l’ambivalenza morale, l’indeterminazione problematica fra vittima e carnefice, l’atmosfera cupa e opprimente, la tensione erotica soffusa e sottilmente perversa.

La vicenda, ambientata a Lione nel 1941, nello scenario fosco della Francia occupata in cui i rastrellamenti nazisti e le azioni armate della Resistenza, il coprifuoco, il razionamento, restano però sullo sfondo, mostra in tutto il suo squallore provinciale un angusto mondo di borghesi concentrati unicamente sui propri egoistici interessi e del tutto indifferenti a quanto sta accadendo loro intorno. Due fuggiaschi da un lager che interna gli ex-combattenti francesi dopo la resa – uno di loro vivrà e l’altro morirà, ma il vivo prenderà il posto del morto – un’enigmatica madrina di guerra, l’ancor più enigmatica sorellastra di lei, pretesa medium e veggente, la vera sorella del morto che inspiegabilmente non riconosce lo scambio di persona col vivo. Questi sono gli unici personaggi. Poi l’atmosfera: la forzata convivenza comune in una vecchia casa silenziosa, polverosa e decadente in cui tutti spiano tutti, e ognuno ha un secondo fine nascosto agli altri, un’altra faccia oscura e segreta. L’interessata ma incostante seduzione dell’impostore sulle ospiti, la feroce rivalità amorosa tra le due sorellastre – una apparentemente frigida, l’altra apparentemente sensuale – che si disputano le attenzioni (e le effusioni) del maschio – e a cui en passant non si sottrae neppure la presunta sorella maggiore di lui, ritrovata o forse definitivamente perduta – inscenano un teatro della crudeltà che mi ha, per molti aspetti, ricordato, per quanto storia e contesto siano molto diversi e lontanissimi, quel capolavoro che è stato il film di Don Siegel The Beguiled (da noi La notte brava del soldato Jonathan) con Clint Eastwood (mi riferisco al film originale del 1971 non al men che mediocre remake di Sofia Coppola del 2017): tregenda che ha per epicentro la castrazione e lo spolpamento, in senso non proprio metaforico, di un maschio sostanzialmente disarmato da parte di un gruppo di donne.

Ma in Le lupe nessuno è davvero disarmato e tutti tramano contro tutti gli altri, tutti ingannano e mentono, tradiscono e simulano: un indiscriminato jeu de massacre, del tutto privo di passione e ridotto a grigio meccanismo mosso solo da avidità, venalità e ipocrisia, procurerà, colpo dopo colpo, l’estinzione di tutto il branco di contendenti, precipitandoli, uno dopo l’altro, alla comune perdizione.

Non è difficile leggere in questo oscuro apologo, una metafora dei vizi della borghesia francese, inerte, opportunista, disposta ad accondiscendere per il proprio tornaconto a qualsiasi compromesso, tradendo occupanti e patrioti, destreggiandosi strumentalmente tra Resistenza e Collaborazione. Questa lettura troppo esplicita tentò di dare, in modo assai meno fine e riuscito di quello del romanzo, il regista Luis Saslavsky nel film omonimo che ne trasse nel 1957 (da noi arrivato come I demoniaci, sull’onda del successo di Clouzot) con Jeanne Moreau e François Périer, un film decisamente minore e dimenticabile (e che infatti venne quasi da subito dimenticato) per un romanzo invece assolutamente indimenticabile del quale dobbiamo oggi ringraziare l’esperienza e il buon occhio di Adelphi.

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I crimini dell’amore: il Noir incompreso https://www.carmillaonline.com/2019/08/10/i-crimini-dellamore-il-noir-incompreso/ Fri, 09 Aug 2019 22:01:16 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53976 di Walter Catalano

“Essere stranieri in ogni luogo è l’unico modo per vedere davvero”.

(Derek Raymond )

“La vita è un secchio di merda con il manico di filo spinato”.

(Jim Thompson)

 

Con la Guida alla letteratura Noir, pubblicato da Odoya nell’ottobre del 2018, ho cercato a fianco di Pasquale Pede, Leopoldo Santovincenzo, Giuseppe Panella e Luca Ortino, di individuare le sfuggenti specificità del Noir. Termine oggi più che mai abusato e che, dopo essere stato per decenni – e quasi sempre erroneamente – confuso, accavallato e sovrapposto a quello [...]]]> di Walter Catalano

“Essere stranieri in ogni luogo è l’unico modo per vedere davvero”.

(Derek Raymond )

“La vita è un secchio di merda con il manico di filo spinato”.

(Jim Thompson)

 

Con la Guida alla letteratura Noir, pubblicato da Odoya nell’ottobre del 2018, ho cercato a fianco di Pasquale Pede, Leopoldo Santovincenzo, Giuseppe Panella e Luca Ortino, di individuare le sfuggenti specificità del Noir. Termine oggi più che mai abusato e che, dopo essere stato per decenni – e quasi sempre erroneamente – confuso, accavallato e sovrapposto a quello di giallo, poliziesco, mystery, (questi sì tutti sinonimi), ora tende addirittura, almeno nel nostro paese, a sostiturlo lessicalmente. Per motivi puramente merceologici, s’intende: il nome si è creato un’aura, una mitologia (soprattutto in ambito cinematografico, ma la questione è analoga), e pertanto i media tendono a usarlo come un’etichetta, un logo efficace, in sostituzione di altri ritenuti più obsoleti e meno carismatici, come appunto giallo, poliziesco, ecc.

In realtà è quanto mai necessario mantenere la differenza perché, prima di tutto, il giallo, il poliziesco, il mystery è un genere, proprio come la fantascienza, l’horror, il western; il Noir invece risulta così sfuggente e indefinibile (o, come ho già scritto nel libro, definibile solo apofaticamente: dicendo cioè quello che non è, nell’impossibilità di dire cos’è) proprio perché non è un genere ma uno stile, un mood, un’atmosfera, un’estetica o antiestetica, che può attraversare tutti i generi: potremmo usarla efficacemente come categoria stilistica in modo analogo ad altri lemmi che definiscono fenomeni artistici complessi, come classicismo, manierismo, barocco, romanticismo, espressionismo, surrealismo, ecc.

Questo è il primo e più importante elemento da prendere in considerazione (lo approfondiremo in seguito) ma ce n’è almeno un altro ugualmente valido anche per coloro che, con visione più limitata, considerano – non sempre del tutto a torto, bisogna riconoscerlo – il Noir come sottogenere del mistery, per la precisione propaggine americana del giallo d’indagine britannico, nata alla metà degli anni ’20 sui Pulp e definita Hard-Boiled School, “scuola dei duri”, la cui trimurti fondativa è rappresentata da Dashiell Hammett, Raymond Chandler e – con caratteristiche ben diverse – James Mallahan Cain. Qui i meccanismi abusati dell’indagine, il gioco di indizi e di logiche deduttive (non sempre inferenzialmente impeccabili), gli improbabili detective dandy, cari alla tradizione di Poe, Conan Doyle, Agatha Christie, S.S. Van Dine, e ai loro seguaci, vengono sostituiti da una rappresentazione del crimine crudamente realistica e spesso crudele – sul piano tematico come su quello linguistico – interessata alla psicologia dei personaggi e agli scenari sociali, più ancora che all’inchiesta e alla risoluzione del delitto che si riduce spesso ad un pretesto per raccontare altro. L’attenzione per l’aspetto politico e filosofico (Hammett), etico ed esistenziale (Chandler), nichilistico e antinomista (Cain), prevalgono sull’indagine: non si può più parlare di mystery, perché non è il mistero l’elemento determinante. La dialettica vittima/colpevole, delitto/castigo che caratterizza il giallo classico, viene di solito sovvertita o complicata nell’Hard-Boiled e proprio questa sovversione e questa complicazione sostanziano la trama: l’ordine sconvolto non viene mai ristabilito perché l’unica eziologia che l’indagine porta alla luce è la constatazione dell’onnipervasività del crimine: il delitto non è infatti l’infrazione ma la regola stessa della società – giungla d’asfalto come viene spesso darwinisticamente definita – e il detective non deve far altro che adattarsi alle circostanze e volgerle a suo favore con tutti i mezzi.

E’ evidente che il percorso ha gradi e toni diversi a secondo dell’autore coinvolto, che il Philip Marlowe di Chandler è meno lontano dal giallo di quanto lo sia il Continental OP o il Sam Spade di Hammett, per non parlare delle coppie diaboliche di Cain le cui crook stories, non polizieschi, sono sempre raccontate dalla parte di chi il delitto lo compie: dei tre fondatori dell’Hard-Boiled, secondo questa prospettiva “deontologica”, l’unico davvero Noir è Cain, la violenza e il cinismo dei personaggi di Hammett sta a metà strada, mentre il rigore del cavaliere senza macchia né paura, angelo caduto in un mondo di carogne di Chandler è il più periferico. La necessità che il castigo riscatti il delitto è per Chandler, come per gli autori di mystery, ancora determinante; l’unica ma non certo secondaria differenza, è che in Chandler la punizione del colpevole non segue necessariamente le ordinarie vie legali, dal momento che sbirri e giustizia ufficiale sono quasi sempre complici e colluse con il crimine. In Hammett la posizione è più sfumata e più determinata da criteri soggettivi: “se ti ammazzano il collega si presume tu debba fare qualcosa” – dirà lo Spade del The Maltese Falcon. Cain ribalta la posizione: se il crimine non paga è solo perché il meccanismo ordito dal villain di turno in qualche modo si inceppa per le oscure configurazioni di un destino perennemente insensato e ostile.

Abbiamo quindi già identificato almeno due caratteristiche – ancora da approfondire – proprie del Noir: una stilistica (il Noir non è un genere ma una Weltanschauung) ed una tematica (il Noir ignora o sovverte la struttura del mystery). Possiamo aggiungerne altre due derivate da queste: una filosofica (il Noir ha una visione esistenziale negativa: è angoscioso, pessimistico, amaro) e una politica (il Noir è critico e sovversivo riguardo alla società, al potere e all’autorità: ribalta le istanze conservatrici e rassicuranti/consolatorie del mystery). E’ evidente quindi che il termine non possa categoricamente essere applicato non solo a tutti gli autori del giallo classico, britannico o meno, ma neanche ai fortunati commissari del canone poliziesco, dal Maigret di Simenon (totalmente altro discorso invece per i romanzi “duri”, senza protagonista seriale, dello scrittore belga), al Nestor Burma di Malet (che invece esordisce proprio con una “Trilogia nera”, questa sì assolutamente pertinente), al Pepe Carvalho di Montalbàn, al Montalbano di Camilleri (l’unico personaggio seriale autenticamente Noir in Italia, almeno secondo i parametri che stiamo cercando di tracciare, resta il Duca Lamberti di Giorgio Scerbanenco), ecc. Sono invece legittimamente ascrivibili al Noir opere mainstream che niente hanno a che vedere con il giallo o con il thriller, come ad esempio To Have and Have Not di Hemingway, Sanctuary di Faulkner, The day of the Locust di West, The Violent Bear It Away di Flannery O’Connor o perfino certi classici dell’esistenzialismo come L’Étranger di Camus o La Nausée di Sartre.

Discorso analogo per il cinema dove in teoria dovrebbe essere più facile districarsi esistendo un canone codificato molto più preciso e rigoroso che la maggior parte dei critici situa fra il 1941 con The Maltese Falcon di John Huston e il 1958 con Touch of Evil di Orson Welles. Il termine Noir in realtà nasce proprio in quegli anni presso la critica francese per definire un gruppo di film statunitensi aventi caratteristiche molto riconoscibili: storie, prevalentemente ma non necessariamente criminali (più che poliziesche), che attingono alla lingua dell’Hard-Boiled; attori e attrici ricorrenti (Bogart, Mitchum, Welles, Lancaster, Lorre, Robinson, Garfield, Ava Gardner, Barbara Stanwyck, Lana Turner, Rita Hayworth, Gene Tierney, ecc.); uno stile visuale compatto che appare come il proseguimento dell’espressionismo cinematografico tedesco della Repubblica di Weimar trapiantato oltreoceano per la diaspora di registi, operatori, scrittori ed attori ebrei o antinazisti fuggiti dalla Mitteleuropa dopo l’avvento del Terzo Reich (Billy Wilder, Robert Siodmak, Fritz Lang, Edgar G. Ulmer, Rudolph Maté, Karl Freund, Peter Lorre, Marlene Dietrich, ecc.). Un’estetica che impregna e cambia profondamente l’industria hollywoodiana specie nel campo delle medie e piccole produzioni. Esiste comunque anche una parallela via francese ugualmente importante che prende le mosse dal cinema del Fronte popolare degli anni ’30, dal Jean Renoir de La Chienne o de La Bête humaine o dal Marcel Carnè de Le quai des brumes, con i suoi attori eponimi, Michel Simon e Jean Gabin, ma si plasma soprattutto al tocco crudele e sadiano di Henri-Georges Clouzot con film come Le Corbeau, Quai des Orfèvres, Le Salaire de la peur, Les Diaboliques, fino al melodramma nero La verité, grande exploit di Brigitte Bardot del 1960. Poi seguiranno i capolavori di Jean Pierre Melville, le escursioni metalinguistiche della nouvelle vague (À bout de souffle o Alphaville di Godard, Tirez sur le pianiste di Truffaut, Ascenseur Pour L’Echafaud di Malle, ecc.) e la crepuscolare cristallizzazione polar (neologismo francese che fonde i termini policier e noir) di José Giovanni. Non si può più però parlare di Noir classico a questo punto, e si dovrà introdurre la nozione di neoNoir o di postNoir per tutti i film posteriori alla seconda metà degli anni ’50, che non corrispondono ormai più pienamente al canone di cui abbiamo detto: questo avviene già molto presto con piccoli film innovativi e sovvertitori come Murder by Contract di Irving Lerner (1958), Kiss Me Deadly di Robert Aldrich (1955) o i primi due lungometraggi di Stanley Kubrick Killer’s Kiss (1955) e The Killing (1956).

La questione in campo cinematografico è stata analizzata recentemente con grande competenza e completezza in libri come L’età del noir: Ombre, incubi e delitti nel cinema americano, 1940-60 di Renato Venturelli, probabilmente la più completa disamina sul cinema Noir americano classico mai svolta da un autore italiano; lo precedevano di molti anni un paio di volumi di autore americano: i datati Sogni e vicoli ciechi di Shadoian e Giungle americane: il cinema del crimine di Clarens. Ma esistono però anche esempi negativi di testi abborracciati con superficialità e dilettantismo che invece di chiarire le idee sull’argomento, risultano non solo inutili ma dannosi, gettando il lettore nella totale confusione. Un volume che non vale nemmeno la pena di nominare, per esempio, uscito proprio in concomitanza con la nostra guida al Noir letterario, e che cito solo come modello, pessimo, di una mancanza totale di metodo e di congruenza, si riduce ad un elenco onnicomprensivo di titoli dove il canone classico Noir e molti legittimi neoNoir si mescolano e ingarbugliano con film che con essi niente hanno a che vedere per stile visuale, tematiche e sensibilità filosofica. Il corrivo catalogo in questione, per esempio, inserisce a tutti gli effetti la quasi totalità della filmografia di Alfred Hitchcock, cineasta che sì, può aver praticato frequentemente poliziesco o thriller ma non è certo mai stato Noir (se non forse, molto tangenzialmente, nella prima parte di Psycho); cita addirittura in copertina L’occhio che uccide (Peeping Tom) di Michael Powell che è un horror psicologico metacinematografico e sicuramente non un Noir; include senza distinzioni e in toto il Gangster Movie, sottogenere che può forse essere un parente stretto ma che ha modi e strutture del tutto diverse dal Noir (il Gangster Movie è sempre dominato da un movimento centrifugo, il Noir sempre centripeto, solo per dirne una…); dimentica l’esistenza di Clouzot e quando nomina Il corvo, non intende il capolavoro, assolutamente Noir, del grande regista francese, ma il film omonimo di Alex Proyas, che è un gotico sovrannaturale e non ha proprio niente a che fare col Noir; così come ugualmente horror è The Hitcher di Robert Harmon, film con caratteristiche stilistiche e strutturali del tutto diverse, cui ugualmente viene attribuita l’etichetta arbitraria di Noir, e così via. Non mi dilungo oltre, ma spero di aver reso l’idea di quanto sia facile perdere la strada in questo labirintico territorio, se non si impugna strettamente il filo di Arianna di una solida visione metodologica.

Riprendendo dunque il nostro percorso letterario, in mancanza di un repertorio ben definito come quello cinematografico del Film Noir di cui si è detto, dobbiamo per necessità essere elastici ed attenerci ad un’inclusività meno rigorosa. Il termine Noir in letteratura diventa una definizione sfumata come quella di Decadentismo: se decadenti, in senso proprio, sono gli alfieri dell’estetismo fin de siècle, il Des Esseintes di Huysmans, il Dorian Gray di Wilde, l’Andrea Sperelli di D’Annunzio, non meno decadenti sono i “superuomini” del D’Annunzio novecentesco o gli eroi futuristi di Marinetti, né gli “inetti” di Svevo, di Gozzano, di Pirandello, per arrivare, magari troppo avanti, fino a Pavese. Come esiste un Decadentismo “breve” e uno “lungo”, così esiste un Noir “breve” e uno “lungo”. Il primo comprende l’Hard-Boiled e la narrativa Pulp degli anni ’30 e ’40; i paperback statunitensi degli anni ‘50 che eludevano la censura maccarthista e sovvertivano il perbenismo etico e politico di quegli anni con testi crudeli e scandalosi come Black Wings Has My Angel di Elliott Chase, Cape Fear o The End of the Night di John D. MacDonald, e la serie di capolavori che Jim Thompson sforna a raffica fra il 1952 e il 1959 (da The Killer Inside Me a Getaway); il feuilleton francese riletto dai surrealisti; la Trilogia nera di Malet scritta alla fine degli anni ’40 (La vie est dégueulasse, Le soleil n’est pas pour nous, Sueur aux tripes); gran parte dei romanzi di Cornell Woolrich o di Boileau-Narcejac o tutti quelli che André Héléna produce a ritmo febbrile dal 1949 (esordisce con Les flics ont toujours raison). Il secondo potrebbe includere ampie porzioni della letteratura esistenzialista da Sartre a Camus, a Boris Vian; vari esempi di cosiddetto Southern Gothic, da Faulkner a Flannery O’Connor ad Harper Lee; il neo-polar militante di J.P. Manchette, J.C. Izzo, o D. Daeninckx, nato sulle pagine della storica Série noire fondata nel 1945 per Gallimard da Marcel Duhamel; opere inclassificabili di personaggi bizzarri come Charles Willeford (Pick-up, Cockfighter o The Burnt Orange Heresy su tutte…) Chester Himes o George Higgins; quelle degli autori britannici “duri”, corrispettivo letterario della pittura di Francis Bacon, come il Derek Raymond del ciclo della Factory o il David Peace del Red Riding Quartet; il nostro Scerbanenco e probabilmente alcuni dei giallisti italiani più caustici (penso soprattutto a De Cataldo, Carlotto, in qualche caso Lucarelli…certo il nostro autore più autenticamente Noir – con romanzi come Travestito da uomo, L’orma rossa o L’ultimo sparo – è un nome adesso impronunciabile: Cesare Battisti, rendiamogli almeno questo tributo); infine le istituzioni universalmente riconosciute come James Ellroy, Edward Bunker, Elmore Leonard o – più per Cold in July o The Bottoms, che per il ciclo di Hap & Leonard – Joe R. Lansdale.

Che cosa unisce tutte queste opere così disparate ? Non l’intreccio tortuoso o l’assunto criminale, non il nihilismo o la brutalità del contesto, piuttosto il malessere, l’Angst esistenziale, la visione critica senza compromessi, radicalmente non rassicurante e non consolatoria dell’esistente, il punto di vista, sempre in soggettiva, che vagola tra epochè fenomenologica e ossessione delirante, fra realismo sistematico e onirismo allucinatorio, fra empirismo e metafisica: tutte queste opere disparate spaziano dall’uno all’altro estremo delle due polarità, talvolta soffermandosi solo su uno dei due aspetti, talvolta su entrambi, nella contraddizione feconda di un nodo aporetico: libertà o necessità, destino o responsabilità. Nel suo continuo farsi domande e non cercare risposte il Noir è alla fine, sempre e soltanto, una prospettiva filosofica sul mondo.

Per compendiare ed estendere ulteriormente queste riflessioni si rimanda il lettore interessato al volume Guida alla letteratura Noir: nella prima parte del libro cinque saggi dei cinque autori cercano con fatica una definizione, un’essenza, una specificità, riprendendo e sviluppando quanto ho cercato di sintetizzare qui; nella seconda parte vengono presentate le schede dettagliate sui 28 autori imprescindibili fra quelli che ho citato in queste pagine; nell’appendice si ripercorre infine l’itinerario storico del Noir attraverso le pubblicazioni che lo hanno sostanziato come tale in Usa, Francia e Italia. Sia il neofita che l’appassionato potrebbero trovarvi utili spunti di giudizio e di discussione.

 

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Marco Martucci: PRIMA DI MORIRE https://www.carmillaonline.com/2014/12/05/prima-morire/ Thu, 04 Dec 2014 23:01:56 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19270 di Nico Macce

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Marco Martucci, Prima di morire, Edizioni Cicogna, Bologna, 2014, pp. 264, € 12,00

Quando ho iniziato a leggere questo romanzo, mi sono detto: finalmente un noir senza il solito commissario o ispettore che dir si voglia. Un cliché che imperversa in quasi ogni lavoro di giallista, condizionando spesso dalla parte della giustizia con la G maiuscola il punto di vista dell’io narrante. Questo invece no: Prima di morire, quarto romanzo di Marco Martucci,  napoletano di nascita e bolognese d’adozione, si può definire un romanzo sociale, di critica sociale per [...]]]> di Nico Macce

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Marco Martucci, Prima di morire, Edizioni Cicogna, Bologna, 2014, pp. 264, € 12,00

Quando ho iniziato a leggere questo romanzo, mi sono detto: finalmente un noir senza il solito commissario o ispettore che dir si voglia. Un cliché che imperversa in quasi ogni lavoro di giallista, condizionando spesso dalla parte della giustizia con la G maiuscola il punto di vista dell’io narrante. Questo invece no: Prima di morire, quarto romanzo di Marco Martucci,  napoletano di nascita e bolognese d’adozione, si può definire un romanzo sociale, di critica sociale per la precisione.

La narrazione è semplice, diretta, non lascia spazio a espedienti iperbolici. Descrive l’esistente, fatto di cinici datori di lavoro, maestranze in lotta per salvare l’insalvabile, giornaliste routinarie di emittenti locali  di facile identificazione per chi smanetta i canali digitali, politici di carriera, pronti a cogliere ogni palla al balzo per autoaffermarsi, tra manovre dietro le quinte e comparsate populistiche.

Chi conosce Bologna può stupirsi nel ritrovarsela nei suoi tratti più reali, vissuta da due fratelli, Claudio Mantovani, il protagonista, e Alessandro, l’ucciso: il primo tra le mozzarelle di bufala della sua azienda, omaggio (questo sì un po’ surreale dato il contesto felsineo) a Napoli, e il secondo immerso nell’impegno politico e civile dalle inaspettate propaggini clandestine.

Il tema dominante è quello del viaggio che compie Claudio. Per scoprire qualcosa, certo, ma in questo romanzo non si configura come la solita scoperta dell’assassino (che ci sarà, come c’è pure la vittima). Lo scopo più o meno consapevole del protagonista è la scoperta di se stesso nel ripercorrere la vita del fratello. Un viaggio di avvicinamento a spirale che diviene osmosi psicologica quasi forsennata nei luoghi come la casa di Alessandro, dove Claudio arriva a vivere; nelle relazioni che vedono in primo piano le donne che Alessandro ha amato e trascurato; nelle atmosfere musicali come la musica dei Depeche Mode, quasi una colonna sonora.

Ma la scoperta di un’esistenza mai immaginata, il lato clandestino in tutti i sensi di Alessandro, la sua appartenenza ai “Pirati”, un’organizzazione rivoluzionaria sui generis, è per Claudio la scoperta di ciò che sa già, ciò che ci passa tutti giorni davanti e noi non lo vediamo, o lo vediamo senza capirlo, o lo capiamo senza considerarlo neppure per un istante.

È l’ingiustizia, la sopraffazione, l’arroganza dei potenti che crea la precarietà sociale e soggettiva, che diviene abito mentale, assuefazione, scontatezza. Dunque precarietà esistenziale.

Alessandro prende coscienza di ciò che già sapeva e si ribella a modo suo. L’ingiustizia della morte del fratello gli fa prendere a sua volta sulle spalle un fardello, attraverso la denuncia politica rabbiosa che la finestra mediatica, che gli si apre davanti, gli consente di fare.

Di Prima di morire e di Marco Martucci, mi preme sottolineare due aspetti importanti.

Il primo è il contesto in cui è nato il romanzo: quello di un autore che è lavoratore precario e quadro sindacale. Le sue parole (che trovate sulla pagina fb del romanzo) valgono più di qualsiasi discorso sul mondo dell’editoria che si possa fare a quei tanti autori le cui opere abitano i cestini delle case editrici:

“Non immagini quanta diffidenza abbia dovuto affrontare questo romanzo. Quando era ancora un manoscritto l’ho proposto a poche mirate case editrici. Convinto del suo valore aspettavo la giusta proposta di pubblicazione. Non avevo fatto i conti con due peccati originali. Il primo problema era l’autore, io, Marco Martucci. Troppe volte mi sono opposto alle politiche da macelleria sociale che colpiscono Bologna suscitando il fastidio di chi ha potere. Il secondo peccato era il contenuto. Il mio protagonista che si trova a proseguire la vita del fratello, amando le donne che gli erano state a fianco, rilanciandone la rabbia e i principi di giustizia sociale doveva rimanere nel mio computer. E infatti per le case editrici che avevo individuato, lo stile e lo sviluppo della trama erano validi, come la descrizione dei personaggi e le loro interazioni. La critica politica e sociale però non li convinceva. Si trattava soltanto dello sfondo su cui appoggiava la vicenda, ma escludeva il romanzo da tutte le possibili linee editoriali.

Questi editori non avrebbero scontentato i potenti di turno.

A quel punto ho spedito il manoscritto a tanti altri editori. Prima però ho stabilito dei criteri.

Avrei rifiutato proposte di pubblicazione a pagamento.

Avrei rifiutato di tagliare dal testo le parti scomode perché quel che avevo da perdere non valeva la dignità.

Avevo bisogno di un editore che credesse nel romanzo. Lontano dalle major dell’editoria è utile che chi ti pubblica sia convinto della bontà del progetto. Questa condizione avrebbe aiutato il libro a superare i confini della regione e ad arrivare nelle librerie.

E così, mentre ero assorbito da reportage e manifestazioni, dal mio blog (altrepozzanghere.com), da Radio Machete Bologna, mi arrivava di tanto in tanto qualche proposta.

Quando mi ha telefonato Cicogna Editore, ne è stata chiara la determinazione. Qualche giorno dopo, nella loro sede, è bastato poco per intendersi.

Oggi Prima di morire non è più soltanto un manoscritto, ma è un libro, un bellissimo romanzo che scoppia dalla voglia di farsi leggere, e di prendersi la rivincita.

C’è tanto spazio libero per esserne protagonisti. Puoi comprare e leggere il libro. Oppure puoi chiudere questa pagina e rinunciare, ma non saprai mai cos’altro accadrà.”

Il secondo aspetto è la mirabile e “bolscevica” opera promozionale del suo romanzo, che Martucci sta portando avanti in queste settimane: dal trailer video, ai social, un’azione che è sfociata il 19 novembre scorso in un’affollatissima presentazione di Prima di morire alle Librerie Feltrinelli di via dei Mille a Bologna: più di cento persone e copie del romanzo insufficienti, che hanno stupito la Feltrinelli stessa.

Dopo Napoli e Bologna, la prossima presentazione è a Torino, domani 6 dicembre alle 18,00 presso la libreria Linea 451, via santa Giulia 40/a.

A Bologna è possibile acquistare Prima di morire alle Feltrinelli di piazza Ravegnana e via dei Mille, alla libreria Trame in via Goito 3/c e alla libreria Ubik in via Irnerio 27. Lo si può comunque acquistare oppure ordinare in tutte le librerie e acquistare sui negozi online come Amazon.

In definitiva, questo romanzo è un’ottima occasione di lettura: Prima di morire… va letto.

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