Romano Prodi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 18 Apr 2025 22:31:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Cronache del dopo Bomba https://www.carmillaonline.com/2018/09/23/cronache-del-dopo-bomba/ Sun, 23 Sep 2018 17:00:19 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47884 di Alessandra Daniele

“Pensano di essersi liberati di me, ma hanno sbagliato” – Matteo Renzi

Come ha dimostrato chiaramente la reazione del PD alla strage del ponte Morandi, dopo Renzi è ancora Renzi a dettare la linea. E come al solito punta dritta contro un muro. Se il PD vuole scampare alla meritatissima estinzione, deve liberarsi immediatamente del Bomba. Speriamo che non lo faccia. Il PD non è migliore di Renzi. Il Cazzaro non è mai stato, come molti raccontavano, un usurpatore, una metastasi berlusconiana. Renzi è un [...]]]> di Alessandra Daniele

“Pensano di essersi liberati di me, ma hanno sbagliato” – Matteo Renzi

Come ha dimostrato chiaramente la reazione del PD alla strage del ponte Morandi, dopo Renzi è ancora Renzi a dettare la linea. E come al solito punta dritta contro un muro.
Se il PD vuole scampare alla meritatissima estinzione, deve liberarsi immediatamente del Bomba.
Speriamo che non lo faccia.
Il PD non è migliore di Renzi.
Il Cazzaro non è mai stato, come molti raccontavano, un usurpatore, una metastasi berlusconiana. Renzi è un frutto dell’Ulivo. È la logica conseguenza della deriva strutturale che ha portato il PCI, da sempre verticista, opportunista, settario e securitario, a tradire tutti gli ideali e le speranze dei lavoratori e dei movimenti, inseguire il potere lungo la Terza Via globalista, fondersi coi resti della Democrazia Cristiana – un destino manifesto fin dal Compromesso Storico – e diventare il principale garante dell’establishment, e del Capitale.
L’Ulivo di Prodi ha svenduto agli squali le aziende di Stato, e col pacchetto Treu ha legalizzato il nuovo schiavismo del precariato.
La ditta di Bersani, coi governi tecnici, ha smantellato lo Stato Sociale, e lo Statuto dei Lavoratori.
Renzi ha finito il lavoro col Jobs Act e la Buona Scuola, mentre cercava di rottamare anche la Costituzione.
Liberi e Ipocriti, in fuga da Renzi, si sono scelti come padri fondatori Bersani, e il boia di Belgrado.
Il sobrio Gentiloni ha controfirmato la dottrina Minniti che finanzia i campi di concentramento libici.
Tutto il cosiddetto centrosinistra condivide questa marcescenza, di cui il renzismo è solo lo stadio terminale.
In Renzi però si vede più che in chiunque altro.
Renzi è uno sprezzante, grassoccio principino che ancora si rifiuta di vedere quanta rabbia giustificata susciti il semplice apparire del suo stolido faccione in tutti quelli che la sua classe parassitaria ha depredato.
Renzi è la pingue, querula personificazione stessa dell’arroganza del potere ereditario, e il cosiddetto centrosinistra, per avere qualche possibilità di sopravvivere al meritatissimo inverno nucleare che l’aspetta, dovrebbe liberarsi immediatamente di lui e dell’Esercito delle Dodici Sceme, le sue fedelissime che ancora infestano talk e social come uniche portavoce.
Speriamo che non lo faccia.
Renzi si ripete “Il futuro prima o poi torna”, o qualche altra stronzata motivazionale da meme di Facebook. Sogna di fondare un partito tutto suo. Che prenderebbe meno voti della Lorenzin. Pensa “Sull’onda del prossimo spread, tornerà il mio momento”. Si sbaglia. Non tornerà, come non è tornato quello del suo yoda, Rutelli.
O quello di Claudio Martelli. Era giovane, rampante e in camicia anche lui.
Il Bomba è scoppiato. Per sopravvivere al fallout, il PCI/PD tenterà l’ennesima mutazione.
Facciamo che non gli riesca.

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Strange Fruit https://www.carmillaonline.com/2017/10/22/strange-fruit/ Sun, 22 Oct 2017 19:12:59 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41257 di Alessandra Daniele

PD.jpgDurante le funeree celebrazioni per il decennale del PD, Renzi ha respinto con tono indignato l’accusa di fascismo, protestando ancora una volta la natura democratica e addirittura progressista del suo partito, che è sempre stato il principale rappresentante italiano dell’oligarchia politico-finanziaria che sta trascinando il pianeta alla rovina. Come dice anche la Bibbia, l’albero si riconosce dai frutti. E il sedicente centrosinistra italiano è un albero che produce strani frutti da sempre. Dalla Prima Repubblica, col consociativismo spartitorio DC-PCI e la cosiddetta solidarietà nazionale antiterrorismo che produsse le leggi speciali, alla Seconda Repubblica della definitiva fusione fra i resti di PCI e [...]]]> di Alessandra Daniele

PD.jpgDurante le funeree celebrazioni per il decennale del PD, Renzi ha respinto con tono indignato l’accusa di fascismo, protestando ancora una volta la natura democratica e addirittura progressista del suo partito, che è sempre stato il principale rappresentante italiano dell’oligarchia politico-finanziaria che sta trascinando il pianeta alla rovina.
Come dice anche la Bibbia, l’albero si riconosce dai frutti.
E il sedicente centrosinistra italiano è un albero che produce strani frutti da sempre. Dalla Prima Repubblica, col consociativismo spartitorio DC-PCI e la cosiddetta solidarietà nazionale antiterrorismo che produsse le leggi speciali, alla Seconda Repubblica della definitiva fusione fra i resti di PCI e DC.
Il primo governo Prodi fruttò la precarizzazione del lavoro con la legge Treu.
Il successivo governo D’Alema (colui che adesso si proclama l’ultimo strenuo difensore della sinistra) fruttò la criminale partecipazione dell’Italia alla guerra nella ex Jugoslavia, col bombardamento di Belgrado.
Negli ultimi sei anni nei quali è stato al governo con la destra berlusconiana, il PD ha proseguito l’operazione di sistematica cancellazione dei diritti dei lavoratori, tentando ripetutamente di smantellare la Costituzione antifascista, continuando a partecipare a tutte le guerre neocoloniali disponibili, e finanziando campi di concentramento per la Soluzione Finale del problema immigrazione.
Strani frutti. Gli stessi del pezzo blues di Billie Holiday Strange Fruit sulle vittime impiccate dei linciaggi razzisti.

Blood on the leaves and blood at the root
Black bodies swinging in the southern breeze

È questo il partito per il quale gli scissionisti da riporto dell’MDP si offrono di provare a recuperare una manciata di voti, in cambio d’una scodella sotto al tavolo dei vincitori.
Riverito ospite dalla Gruber, questa settimana Matteo Renzi ha insistito a definire il PD un partito di sinistra. Di tutte le cazzate che ha raccontato nella sua carriera, questa è la più grottesca.
Il Cazzaro ha fallito il compito che gli era stato affidato di liquidare la Costituzione, e ora lo stesso establishment che aveva orchestrato la sua ascesa sta cercando di sostituirlo col più efficiente duo Gentiloni-Minniti. La rissa in Viscoteca Bankitalia che imbarazza il governo è quindi uno scontro tutto interno al sistema di potere rappresentato dal PD, e chiunque lo vincerà a perdere saremo noi.
E continueremo a perdere, finché l’albero degli impiccati non sarà finalmente abbattuto.

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Il terzo cazzaro di Fatma https://www.carmillaonline.com/2015/08/23/il-terzo-cazzaro-di-fatma/ Sun, 23 Aug 2015 18:04:02 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24597 di Alessandra Daniele

matteiLa popolarità di Renzi si squaglia tristemente come una palla di gelato cascata nella sabbia, per lui è troppo tardi per tentare la manovra Tsipras. Intanto le ambizioni di Salvini finiscono spiaccicate come zanzare sotto le ciabatte vaticane, ha tentato la volata troppo presto. A quale aspirante Cavaliere toccherà adesso provare ad estrarre l’Italibur, l’Excalibur italica, dalla montagna di merda nella quale è sepolta? Matteo Renzi a La Ruota della Fortuna, Matteo Salvini a Doppio Slalom: se vogliamo sapere chi sarà il prossimo leader degli italiani, il vero [...]]]> di Alessandra Daniele

matteiLa popolarità di Renzi si squaglia tristemente come una palla di gelato cascata nella sabbia, per lui è troppo tardi per tentare la manovra Tsipras. Intanto le ambizioni di Salvini finiscono spiaccicate come zanzare sotto le ciabatte vaticane, ha tentato la volata troppo presto. A quale aspirante Cavaliere toccherà adesso provare ad estrarre l’Italibur, l’Excalibur italica, dalla montagna di merda nella quale è sepolta?
Matteo Renzi a La Ruota della Fortuna, Matteo Salvini a Doppio Slalom: se vogliamo sapere chi sarà il prossimo leader degli italiani, il vero erede di Berlusconi, non dobbiamo perdere tempo in inutili analisi politologiche, dobbiamo spulciare l’archivio dei telequiz Mediaset gestiti da Fatma Ruffini negli ultimi trent’anni, alla ricerca del terzo Matteo.
Il terzo pasciuto rampollo della borghesia post democristiana che, superato il test di telegenia, è stato avviato alla carriera politica, e adesso aspetta il suo turno per spacciarsi da Rinnovatore mentre in realtà prosegue la svendita del paese esattamente come previsto dell’agenda Monti.
Il partito in cui si trova adesso non ha importanza, potrebbe essere uno qualunque, dall’NCD al M5S. A prescindere dal punto di partenza, quando verrà il suo momento si collocherà fra Renzi e Salvini, nello spazio lasciato semilibero da Berlusconi per raggiunti limiti d’età e di sputtanamento. Recupererà tutti i voti di centrodestra latitanti, e diventerà il prossimo Re Sòla.
Che ne sarà di Renzi?
A dispetto di tutto l’odio e il disprezzo che agli italiani piace ostentare verso i politici dell’era repubblicana, in realtà quando viene il momento ai loro Cazzari cadenti permettono quasi sempre un atterraggio morbido, con l’eccezione di Craxi, la cui latitanza tunisina fu comunque una scelta.
Di solito gli viene come minimo consentito di ritirarsi comodamente fra presidenze, fondazioni, conferenze, consulenze, e talk show come ricercati opinionisti, quando non addirittura di riciclarsi in ruoli istituzionali. Qualche esempio fra i più odiati:
Giuliano Amato, giudice costituzionale, consulente in Italia per la Deutsche Bank, è stato per mesi fra i candidati al Quirinale.
Giulio Andreotti, senatore a vita, è morto riverito come un pontefice emerito.
Mario Monti è presidente della Bocconi, e senatore a vita.
Silvio Berlusconi è ancora al potere.
Certo, a giudicare dalla sua immagine, Matteo Renzi non sembra il tipo da cedere il passo accontentandosi d’una buona uscita parigina da maggiordomo di lusso come Enrico Letta, ma Renzi è un cazzaro, niente della sua immagine è reale, quindi aspettarsi che venda cara la pelle probabilmente è stupido quanto credere che voglia davvero cambiare il paese.
Si darà da fare fin che potrà, ma saprà anche ritirarsi al momento per lui più opportuno?
Una delle prime cose che si imparano partecipando a un telequiz è uscire di scena senza impallare il concorrente successivo.
Perché show must go on.

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Divine Divane Visioni (Cinema di papà 06/07) – 61 https://www.carmillaonline.com/2014/07/03/divine-divane-visioni-cinema-papa-0607-61/ Thu, 03 Jul 2014 21:26:38 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15584 di Dziga Cacace

Zitto! La smetta con quel mandolino, altrimenti ci cacciano!

ddv6101 Lost630 – Il mio week end perduto con Lost di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2004 Arriva Pasqua e io devo ovviamente lavorare. Rimango quindi solo a casa mentre Barbara va via con Sofia: tre giorni di silenzio e sonno assicurato per completare un copione impegnativo. Ce la farò. Però non ho considerato che non sono veramente solo: con me, a casa, è rimasto anche il cofanetto della prima serie di Lost. Sono 24 episodi. Ma devo lavorare. E il cofanetto è lì. Venerdì arrivo presto [...]]]> di Dziga Cacace

Zitto! La smetta con quel mandolino, altrimenti ci cacciano!

ddv6101 Lost630 – Il mio week end perduto con Lost di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2004
Arriva Pasqua e io devo ovviamente lavorare. Rimango quindi solo a casa mentre Barbara va via con Sofia: tre giorni di silenzio e sonno assicurato per completare un copione impegnativo. Ce la farò. Però non ho considerato che non sono veramente solo: con me, a casa, è rimasto anche il cofanetto della prima serie di Lost. Sono 24 episodi. Ma devo lavorare. E il cofanetto è lì.
Venerdì arrivo presto dall’ufficio, faccio una spesa blietzkrieg comprando cibi strategici e mi metto subito sotto, senza indugi, sono uno serio, io. Cioè vedo le prime quattro puntate del serial, sbafando patatine all’aceto e un caprice des dieux scartocciato e addentato come una banana. Sabato mi sveglio ad orario congruo e faccio il mio dovere professionale fino a tarda mattinata, quando ci stanno un kebab leggerissimo con Coca Cola e altre due puntate. Le vedo ruttando cipolla cruda. Riprendo a scrivere e a merenda gradisco ancora due episodi accompagnati da un Twix ciascheduno. Arrivo a sera stanco e un po’ appesantito, chissà perché, e allora ci sta una diavola presa sotto casa con litrozzo di Menabrea ghiacciata e come niente mi scoppio altre quattro puntate. Ormai ho preso il ritmo, sono a metà dell’opera (del cofanetto, intendo) e ho un’efficienza produttiva sudcoreana con rigore (e prevedibili punizioni, in caso di fallimento) nordcoreano. È già domenica e per pranzo concludo il mio lavoro, che non è neanche male. Santifico la festa e la libertà con Cipster, un intero salame di Piacenza ben stagionato che non mi preoccupo neanche di tagliare – tanto va via a morsi che è una meraviglia – e innaffiando il tutto con Lemonsoda a 4 gradi, uno dei piaceri della vita. Una festa a sorpresa per il mio colesterolo, ma chi ne gode di più sono i miei lobi cerebrali perché il fiero pasto viene consumato pazientemente mentre assumo dodici episodi di Lost, uno via l’altro, concedendomi giusto una pisciatina ogni tanto. E arrivato alla fine della maratona gastroseriale dichiaro convinto che probabilmente, ad oggi, questa è l’esperienza televisiva più clamorosa di ogni tempo. Fate questa semplice addizione: Robinson Crusoe + Cast Away + L’isola del dottor Moureau + Il signore delle mosche + il telefilm Le isole perdute + il videogame Monkey Island + la saga di Airport + L’isola del tesoro + il reality Survivors + l’estetica primi seventies e tutto l’immaginario pop che vi possa venire in mente. Ganci narrativi a profusione, apparato tecnico e artistico a livelli sublimi, attori azzeccati, dialoghi (in originale) perfetti: è impossibile mollarlo, è una droga potentissima, che il crack al confronto smetti quando vuoi. La storia la sapete e non ve la ripeto e l’intreccio è clamoroso. Ma la formula prevede anche flashback che illustrano il passato dei 14 protagonisti, formula quasi banale orchestrata magistralmente: ognuno ha un passato che nasconde qualcosa, tutti sono inspiegabilmente legati, anche senza saperlo. Alla fine ne viene fuori una macchina narrativa perfetta: si può fare di meglio, ma 24 episodi in 52 ore – dovendo lavorare – sono un mio personale piccolo record. Gli extra del cofanetto sono interessanti: i creatori di questa macchina da guerra sono tre trentenni adrenalinici, cazzoni e affilati come rasoi, capaci di mettere in piedi lo show – come lo chiamano loro – in pochi giorni, assoldando il cast mentre lo script era ancora in embrione. Oppure diciamo che la mitologia agiografica vuole così, ma non importa: la prima serie di Lost è un capolavoro, comunque vada a finire. (Dvd; 6, 7, 8/4/07)

ddv6102Douro632 – Compiacimento archeologico con Douro faina fluvial di Manoel De Oliveira, Portogallo 1931
Altra Vhs da estinguere, con una registrazione che mi aspetta da diversi anni: il primissimo film di De Oliveira, quando era appena ventitreenne. Il documentario è fortemente debitore del cinema sovietico ed è assimilabile alle tante “sinfonie urbane” di quegli anni. La vita sul fiume Douro, sotto il ponte Luiz I, dall’alba alla notte: grafismi, assonanze visive, dinamismi, nature morte, riflessi, ombre, particolari, montaggio analogico, primi piani, grandangolate. Ci rivedi dentro Ivens, Chomette, Ruttman, Clair (La Tour), Vertov, Vigo e molta avanguardia coeva: un film piccolo, bellissimo e montato da dio. Appagante il gusto per la bella immagine, pulita, pregnante. Non si è più abituati a questo nitore e la volgarità della tivù è nell’averci disabituato alla bellezza compositiva, all’inquadratura filmica come opera d’arte. Ecco. E De Oliveira l’anno prossimo compie cent’anni: ha cominciato col muto e il bianco e nero ed è ancora lì che gira e produce a tutto spiano. Magari chiava pure, non so. Pazzesco. (Vhs da RaiTre; 10/4/07)

ddv6103 JCS639 – Oddio, Jesus Christ Superstar di Norman Jewison, USA 1973
Nuova passione di Sofia duenne, che ne ha visto un pezzettino e non lo ha voluto mollare più. Ovviamente la visione è di pochi minuti per volta ed è rigidamente censurata quando le cose volgono al peggio per Nostro Signore Hippie. Il quesito che Sofia mi pone continuamente è perché litigano tutti (Gesù con Giuda, Giuda con gli apostoli, i farisei con Gesù etc.) e non s’immagina neanche lontanamente come finiscano malissimo tutte queste discussioni. Il film io lo ritrovo splendido e le ripetute visioni me ne fanno apprezzare ogni sfumatura. La musica, beh, è clamorosa, lo sappiamo già: prima di tutto, Jesus Christ Superstar è stato un disco strepitoso, realizzato perché in teatro nessuno si sentiva di produrre un’opera con protagonista Gesù. Se ti dicevano che l’ottica era quella di Giuda, poi… I due autori ventenni, Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, oggi baronetti, hanno poi fatto la storia del genere, ma all’epoca scommisero pesante. Girava una parola nuova, allora: “Superstar”. Decisero di fare i gggiovani e di usarla per un titolo che colpiva e per analogia costruirono un Gesù rockstar, con Giuda ideologo preoccupato dal troppo successo d’immagine che oscurava il messaggio. La storia acquisì anche sottotesti politici e, per me, una costante tensione omosessuale. Musicalmente siamo allo stato dell’arte del rock di quegli anni: influenzato dal pop, con reminiscenze di ragtime quando serve, perlopiù improntato da un rhythm and blues da infarto, non disdegnando tracce di psichedelia e hard (con la chitarra scatenata di Henry McCollough). Da contrapporre al Giuda discografico di Murray Head (quello di One Night In Bangkok!) serviva un Gesù potente e incazzoso, umano e non divino (stesse conclusioni di De André per il coevo La buona novella): l’ascolto delle urla barbariche di Child in Time sul non ancora pubblicato In Rock dei Deep Purple fece trovare l’uomo giusto, Ian Gillan. Maria Maddalena venne invece scovata per caso, mentre cantava in un club postribolare: era la Yvonne Elliman, che purtroppo dopo fu solo corista e amante di Clapton. Nell’ottobre 1970 uscì l’album doppio, da considerare assieme a Tommy capostipite di tutte le rock opera. Oggi siamo oltre le 20 milioni di copie vendute: avesse esordito come musical in un teatro di provincia non ne conosceremmo neppure l’esistenza. Invece il successo del disco fece fare due più due a qualche impresario che portò l’opera per 8 anni consecutivi nel West End londinese (record dell’epoca, oggi non so). Nel 1973 – sull’onda del successo ormai planetario – venne realizzato questo film meraviglioso che accentua gli anacronismi (e la stessa temperie hippie era già bella che passata) e leviga lo score musicale con l’orchestra, ma senza esagerare: infatti la chitarra continua a improvvisare a latere. Gillan, interpellato, non partecipò per impegni che dovete conoscere e nel cast subentrarono l’ottimo e strabico Ted Neeley e soprattutto il Giuda marxista che non dimenticheremo mai, Carl Anderson, morto tre anni fa, pace all’anima sua. In questo Jesus Christ Superstar sono eccezionali anche il montaggio, i costumi, la recitazione generale o le incredibili location on site, con il sole sempre basso (doveva fare un caldo dell’accidente, eh). Siccome sono prodotti del loro tempo – album doppio e film –, i critici li hanno sempre un po’ snobbati e li dimenticano ogni volta che bisogna fare una di quelle stupide classifiche che servono a riempire le riviste durante i mesi estivi. Ma sbagliano e le due opere meritano ancora oggi lo status di capolavoro assoluto. Oh, stiamo ben parlando di Dio, eh? (Dvd; maggio ’07)

ddv6104 Bova640 – Io, l’altro di uno inadeguato, Italia 2007
Devo confessare l’antefatto: nell’ultima puntata del programma tivù cui lavoro è stato ospite gradito Raoul Bova, un educatissimo gnoccolone – lo confermo per le lettrici femminili con la Bova alla bocca –, molto carino. E che a registrazione ultimata ci ha invitato tutti alla prima di un film che ha prodotto e interpretato, credendoci molto. Promettono tutti di venire ma al cinema mi presento solo io (redazione di paccari snob!) e siccome non ho faccia tosta abbastanza mi siedo in mezzo al pubblico plebeo e scoprirò solo dopo che avevo un posto riservato di fianco a Giorgio Armani. Pensa cosa s’è perso: un Cacace in camicia da boscaiolo e pantaloni cargo lerci, roba che ci tirava fuori due collezioni estate-inverno per l’uomo casual. Vabbeh: il film. Due pescatori, uno italiano, uno arabo, con lo stesso nome (Giuseppe e Youssef) lavorano assieme su un peschereccio, sinché non emergono dubbi e differenze e accuse. Va prevedibilmente a schifìo: il film ha sicuramente un intento meritorio ma il veleno del terrorismo raccontato da un regista con poche letture (il tunisino Mohsen Melliti) fa crollare le aspirazioni di un apologo teatrale molto scarno. I due attori (Bova e Giovanni Martorana) tengono in piedi il film nonostante lo script schematico, con passaggi di sceneggiatura che sfiorano il ridicolo e dialoghi maldestri a dir tanto. E qui la colpa è di sceneggiatori che per conto mio meriterebbero la radiazione dall’albo, se mai esiste, perché i buoni propositi non bastano. A fine proiezione esco dalla sala perplesso, pensando ai fatti miei, dimentico dell’atmosfera celebrativa e in cima alla scalinata che dà sull’esterno mi ritrovo all’improvviso abbracciato dal coraggioso Raoul Bova, accecato da un crepitare di flash che mi avranno sicuramente guadagnato una partecipazione involontaria a Sipario su Retequattro. Succede. A me. (Multisala Odeon, Milano; 14/5/07)

ddv6105 24641 – Lo stupefacente 24 – Season 1 di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2001
Di questo seriale controverso e altamente addictive, che è il non plus ultra dell’adrenalina televisiva e che porta a un consumo compulsivo simile a quanto avviene con Lost, parlo più avanti. Qui rilevo solo l’incredibile finale del thriller spionistico, una cosa che mai potreste immaginare. Abbiate fede, procuratevelo, deliziatevene e andate all’incredibile, ricchissimo, innovativo e geniale parere d’autore (cioè il mio) che troverete alla rec. #655. (Dvd; maggio e giugno ’07)

ddv6106 Uccidete la democrazia642 – Lo spaventoso Uccidete la democrazia! di Ruben H. Oliva, Italia 2006
Documentario maldestro e, purtroppo, senza uno straccio di prova esibita, sulle elezioni politiche dell’anno scorso, quando nel corso di una giornata si passò da una vittoria schiacciante dell’armata Brancaleone di Prodi a una risicatissima maggioranza a notte fonda, pelo pelo, tanto che oggi ‘sto governo vivacchia sperando che la Levi Montalcini arrivi oltre i cento anni. A urne chiuse il nano gridò subito al broglio, e siccome “l’ho detto prima io” nessuno fece notare granché che il sospetto, al limite, era per chi aveva gestito informaticamente il voto, cioè il governo uscente. Vabbeh. Sennonché sulla vicenda è tornato quel drittone di D’Alema, parlandone en passant da Fabio Fazio, dicendo cose gravissime senza però andare fino in fondo alla faccenda (lui, Fazio, i giornalisti, tutti, CAZZO!), perché tanto siamo superiori o più semplicemente complici. Il documentario in questione affronta la vicenda ed è sgrammaticato, sceneggiato male, con escursioni narrative che confondono (Portella delle Ginestre, il cospiratore americano) e con parti ricostruite in fiction semplicemente agghiaccianti, da non poterci credere, al di là del bene e del male come recitazione e testo. Mi stupisce che nessuno si sia preso la briga di prendere una videocamera e un microfono per andare da D’Alema a fare la domanda che Fazio non ha fatto: “A Massimo bello, spiegami un po’ BENE cos’è successo… perché quando si stava mettendo veramente male hai mandato Minnitti al Viminale? Cos’ha fatto là?”. E poi, facendo la fatica di cambiare interlocutore: “Caro Minnitti, spiegaci perché arrivi tu e s’inverte la tendenza dei voti…”. E magari una domandina anche a Pisanu, via!, ministro responsabile dell’epoca. Perché il flusso anomalo di voti e l’anomalia statistica della scomparsa delle schede bianche (in tutte le regioni, con le stesse percentuali, mai successo in 50 anni di Repubblica), non sono una prova, però un bell’argomento sì. E invece rimane tutto lì, adombrato, guadagnando al film la facile accusa di complottismo. Peccato, ma proprio “no buono”, come diceva Andy Luotto. (Dvd; 21/5/07)

ddv6107 apocalypto645 – Corri! Arriva Apocalypto di Mel Gibson, USA 2006
Seratina genovese, con papà che sonnecchia mentre su Sky passa Ogni cosa è illuminata, film rischiosissimo, tratto da uno dei romanzi più belli letti di recente. A film finito (e direi riuscito) e papà a letto ito, rimango solo con un dvd che mi attira terribilmente. Qui ne hanno parlato tutti malissimo – lo so – perché Mel Gibson sta prepotentemente sulle palle ai nostri critici. Del resto è un fascistone. Ma oltremare il film è stato ben accolto. Io non ho visto Braveheart la Passione di Cristo per cui non ho preconcetti e se puttanata dev’essere, che puttanata sia: me lo vedo anche se è tardi perché di sonno non ne ho per niente, domani non lavoro e ho diritto ogni tanto anch’io, eccheccazzo, al diavolo l’ideologia. E poi per me Gibson rimane l’amabile tamarro con la testa gonfia di Arma letale, l’eroe post-atomico di Mad Max e il soldatino eroico de Gli anni spezzati, mio personale stracult. Gli perdono tante cose, insomma. E vengo premiato in toto perché Apocalypto è una sesquipedale e clamorosamente divertente stronzata, un videogioco indiavolato dove un povero maya della foresta dello Yucatan deve fuggire da rapitori carogne e sacerdoti amabili che ti estraggono il cuore senza anestesia. Non ho verificato l’attendibilità storica del prodottino, ma non m’importa per niente: il thriller azteco è ritmato, colorato ed efferato e va via che è una meraviglia. E poi – per fortuna, verrebbe da dire – arrivano i conquistadores che sbarcano a sinistra dello schermo, cioè percettivamente a ovest (come se arrivassero dall’oceano Pacifico, insomma): il ribaltamento di campo geografico mi manda in sbattimento psicomotorio, tipo pilota di jet che perde l’orizzonte, e mi consegna a un sonno inquieto. Apocalypto è come una parmigiana di melanzane bisunta: sai che non devi mangiarla, lo fai, ti strafoghi, ne godi. E poi hai gli incubi. (Dvd; 26/5/07)

ddv6108 HRCCacace a Mosca (con filmino ad hoc!)
Per la consueta settimana di festeggiamento annuale dei 138 Hard Rock Cafe sparsi nel mondo, me ne vò con Riccardo a Mosca, a riprendere il concerto del nostro amico Vic Vergeat.
L’arrivo nella capitale è incredibile: smog come a Mexico City e traffico come a Mumbay, con SUV giganteschi e Lada arrugginite fianco a fianco. I semafori sono a gusto della Polizia che può cambiare segnale all’improvviso, rendendo l’attraversamento pedonale divertente come una roulette russa. Il mio albergo è davanti al Ministero dell’Interno, un imponente palazzo staliniano che negli anni Cinquanta, se eri un Giovane Pioniere, doveva sembrarti un missile puntato verso il cosmo. O verso le tue terga se eri un dissidente. Dicono che l’albergo – molto frequentato da politici stranieri – sia controllato dai servizi segreti che l’hanno tutto cablato. Mah: non ci credo, non voglio intaccare il mio sincero fervore sovietico.
L’Hard Rock invece è davanti alla casa di Puskin, sul vecchio Arbat, il corso dove la gente fa le vasche come in tutto il mondo e dove puoi vedere splendide ragazze, militari sfaccendati, facce piatte di buriati e calmucchi, artisti fasulli che disegnano caricature invendibili e turisti che ci cascano. Aperto nel 2003, il locale presenta reliquie decisamente cafone come gli abiti di scena di Ozzy Osbourne e Paul Stanley dei Kiss, gli stivalazzi di quella gran signora di Lita Ford e anche la clamorosa chitarra dei Blue Öyster Cult, sagomata come il simbolo di Cronos. Il tocco indigeno è dato da qualche balalaika elettrica di artisti francamente ignoti a noi occidentali. E a tavola altro che bortsch e blinis: panini molto yankee e per i fanatici degli Aerosmith pure la “Quesadilla alla Joe Perry”, polletto con una salsina urticante con cui faccio merenda. E poi si può fumare che è un vantaggio niente male.
Dopo le prime prove acustiche e di regia torniamo in albergo a prepararci per la serata. Vic è inquieto e accusa curiosi fastidi alla schiena, sinché non scopre che è venuto in Russia con due scarpe diverse (!) che lo fanno zoppicare. Ci prepariamo ad uscire, vagamente storditi dalla conturbante frequentazione dell’albergo di donne single eleganti ed altere che intuisco potrebbero incenerirti la carta di credito. Ma io ho una faccia da deficit e non vengo considerato come possibile cliente. Ci succede di peggio: siamo nella hall con la band e, momento surreale come pochi, da una rumorosa delegazione di politici italiani si stacca l’ineffabile Giulio Tremonti – lui, giuro – che ci piomba addosso curioso. Vuol sapere chi siamo e che facciamo a Mosca e nella vita. Non a caso non si offre come commercialista a nessuno di noi. È lì con Bertinotti per non so quale incarico comunitario (Tremonti: “Una gvuan vottua di balle”) e quando sa del nostro concerto dell’indomani e dell’abilità di Vic esclama “Magavui mi imbuco!”. Fausto non ci degna che di un cenno e devo dire che tra il rotacismo dei due risulta più simpatico quello di destra, mannaggia.
Andiamo nel ristorante più quotato della capitale in questo momento, italiano. È tutto offerto dal fantastico organizzatore della trasferta Luca e siamo trattati come superstar, con cibi nostrani pregiati e freschissimi, come certe burratine che vengono fatte arrivare dalla Puglia con voli giornalieri. Fuori dal locale una teoria di Hummer corazzati tutti col motore acceso. Chiedo distrattamente il perché a chi sa di cose moscovite e la risposta mi lascia la burratina a metà gargarozzo: “Per scappare subito in caso di attentato”. Comincio a osservare allarmato la clientela e ai miei occhi diventano tutti mafiosi ceceni, trafficanti georgiani, industriali del gas e generici tagliagole. Si finisce con classici brindisi e abbracci lacrimosi con sconosciuti e seppur barcollanti guadagniamo di nuovo l’albergo. Ric dorme 9 ore consecutive, senza pipì; io sono svegliato dagli SMS di sua moglie e tormentato da un’aria condizionata siberiana inarrestabile.
Il giovedì mattina è dedicato a un ovvio pellegrinaggio alla piazza Rossa. Vic compra delle scarpe nuove ai magazzini GUM, io mi faccio turlupinare acquistando alcune memorabilia sovietiche palesemente false, Ric riprende tutto, anche quando una guardia ci invita ad abbassare le telecamere, non capiamo se volendo una mancetta o cosa. La piazza è grossa ma non come credevo e San Basilio è proprio piccina, un labirinto espressionista. Pranziamo all’Hard Rock Cafe e poi dedichiamo il pomeriggio a prove estenuanti, fino all’ennesimo frugale spuntino e al concerto vero e proprio, davanti a una cinquantina di persone.
ddv6109 MoscaDopo l’esibizione ceniamo per l’ennesima volta nel locale, un po’ appesantiti, francamente, e nell’euforia post partum Vic ci racconta convinto della storia dell’uomo bicazzo, cui Ric e io non crediamo assolutamente. Complice la birra prima e le vodke dopo chiedo curioso di come siano posizionati i peni e ipotizzo rapporti a “presa elettrica” con la famosa donna con due buchi del culo. Ric ha un attacco di risa isterico e in albergo deve prendere il Ventolin perché ha ancora l’affanno asmatico un’ora dopo. Però poi scopriamo che la difallia esiste eccome (sui due buchi del culo non ho investigato).
Il venerdì siamo ancora storditi da alcolici, fumo e rivelazioni morfologiche, ma ci concediamo una visita più accurata del centro di Mosca, ritornando infine sulla piazza Rossa e visitando l’emozionante monumento dei caduti della seconda guerra mondiale. Ci sono segni dell’impero sovietico un po’ ovunque, non nascosti, neanche esaltati, ma presenti. Come il paragone quasi orgoglioso tra Putin e Lenin. Poi è già ora di ritorno a casa e dopo due ore in coda fino all’aeroporto Sheremetyevo, con un tempismo da film thrilling saliamo a bordo. Mosca addio. Come diceva Abatantuono nell’immortale Eccezzziunale veramente: “Che popolo, lo slafo!”. Ah: poi al concerto Tremonti ha dato buca. (Live 13, 14, 15/6/07)

655 – 24 – Season 2 di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2002
Se arrivate dalla recensione #641 vi ho fregati: per i miei pensierini su questa serie magistrale vi tocca aspettare la #688 perché, lo confesso, ciurlo nel manico anche nella #672. (Dvd; agosto ‘07)

ddv6110 History Of Violence660 – Non ho capito benissimo A History Of Violence di David Cronenberg, USA 2005
Mah! Adesso: non è che se un film lo firma Cronenberg, debba per forza essere un colpo di genio… io son rimasto freddo, confesso, mentre tutto il mondo ha gridato al miracolo. L’unica cosa che mi ha colpito è quando a metà pellicola c’è l’idea clamorosa della lite che finisce in trombata: Viggo Mortensen e Maria Bello litigano furiosamente, si menano di brutto e poi – dopo un’occhiata elettrica – scopano come cani per le scale di casa. Detto questo, mi pare un film algido, in qualche maniera irrisolto, che parte bene per poi andare totalmente sopra le righe nella seconda parte. Ma non sembra averlo notato nessuno. Boh, sbaglierò io! Ed ero pure di buon umore: l’oracolo immerso nella pipì ha confermato, l’anno prossimo ripartono le notti magiche perché arriva un altro figlio, oh yeah! (Dvd; 25/9/07)

(Continua – 61)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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Tecnocrazia https://www.carmillaonline.com/2008/03/06/tecnocrazia/ Thu, 06 Mar 2008 02:23:49 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=2563 di Alessandra Daniele

pd.JPGCompletate le liste elettorali del PD, presentate due giorni fa con qualche casella incompiuta. Dopo l’ex-prefetto Serra, l’ex pubblico ministero Di Pietro, il generale Del Vecchio, e il commissario Rex, Walter Veltroni annuncia una nuova candidatura all’insegna del rinnovamento, e perfettamente in linea col programma del PD. Un giovane imprenditore prestato alla politica: Silvio Berlusconi. Un nome che non mancherà d’attrarre quegli elettori moderati nei quali Veltroni spera, senza fargli perdere quelli progressisti che, notoriamente, pur di evitare Berlusconi sono disposti a votare chiunque. Anche Berlusconi.

Fra scrittori di fantascienza e scienziati futurologi esiste una differenza fondamentale: i primi, che [...]]]> di Alessandra Daniele

pd.JPGCompletate le liste elettorali del PD, presentate due giorni fa con qualche casella incompiuta.
Dopo l’ex-prefetto Serra, l’ex pubblico ministero Di Pietro, il generale Del Vecchio, e il commissario Rex, Walter Veltroni annuncia una nuova candidatura all’insegna del rinnovamento, e perfettamente in linea col programma del PD.
Un giovane imprenditore prestato alla politica: Silvio Berlusconi.
Un nome che non mancherà d’attrarre quegli elettori moderati nei quali Veltroni spera, senza fargli perdere quelli progressisti che, notoriamente, pur di evitare Berlusconi sono disposti a votare chiunque. Anche Berlusconi.

Fra scrittori di fantascienza e scienziati futurologi esiste una differenza fondamentale: i primi, che adoperano il futuro soprattutto come allegoria del presente, spesso riescono anche a prevederlo.
I secondi, che invece sono pagati proprio per prevederlo scientificamente, non ci riescono mai.
I futurologi dicevano: ”Nel terzo millennio gli uomini governeranno macchine che faranno per loro i lavori pesanti e pericolosi”. Oggi invece, come previsto dagli scrittori di fantascienza, i lavori pesanti e pericolosi li fanno ancora gli uomini.
E le macchine sono al governo.
Una delle cose più sconcertanti della ferraglia al potere è la sua obsolescenza.
Berlusconi, Prodi, Ratzinger, Bush, non sembrano neanche frutto della nostra attuale tecnologia. Con la loro grottesca meccanicità, paiono un rugginoso prodotto dell’era degli ingranaggi a vapore, o dei transistor e dei nastri magnetici sempre inceppati e gracchianti.
Anche la loro manutenzione è pessima.
Berlusconi è verniciato male. Continuano a stendere uno strato nuovo sull’altro senza scartavetrare il precedente, col risultato che la sua testa si fa sempre più sproporzionata e bitorzoluta, mentre gli occhi diventano due crepe sottili, e il naso un informe bugno di vernice rappresa.
Prodi aveva le pile tubolari completamente scariche. Biascicava al ralenty, e si spegneva continuamente. Con un cazzotto ripartiva, ma solo per fermarsi di nuovo poco dopo con un rantolo strascicato, gocciolando acido. L’hanno rottamato. Poi con i rottami peggiori hanno assemblato il modello Veltroni.
Ratzinger è in cortocircuito. Si capisce dagli occhi, lì dentro è un groviglio di cavi a massa. Per questo ha celebrato quella messa di spalle. La testa s’è girata di scatto sfrigolando, e s’è bloccata così. Hanno dovuto smontare le braccia, e attaccarle al contrario. L’abito lungo firmato poi ha coperto tutto.
Bush lo hanno già cambiato 268 volte, ma si guasta sempre alla stessa maniera. Si blocca in un loop sulla parola “democracy”, e continua a ripeterla finché non significa più niente. Poi esplode.
Allora sgombrano le macerie, bruciano i cadaveri, e ne attivano un altro uguale.
Ma è inutile, tutta la serie è fallata.
Questi sono i leader, e le loro seconde e terze file sono altrettanto desolanti. Più che macchine, pupazzi a molla, sorprese dell’uovo di Pasqua. Di marca sfigata.
Ferraglia.

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