Roberto Brioschi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 18 Apr 2025 22:31:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Stati alterati di coscienza digitale https://www.carmillaonline.com/2025/04/09/stati-di-coscienza-alterati-dal-capitale/ Wed, 09 Apr 2025 20:00:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=87752 di Sandro Moiso

Roberto Brioschi, Smart Life. Un vademecum per scansarla e vivere felici a uso delle giovani generazioni ma non solo, a cura di Calusca City Lights con interventi di Andrea Fumagalli, Giovanni Giovannelli e Giorgio Sacchetti. Edizioni Colibrì, Milano 2025, pp. 174, 15 euro

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati (Bertolt Brecht)

James Ballard, in un’intervista rilasciata nel 1992, sosteneva che: «la tecnologia sta influenzando e cambiando la nostra immaginazione. Anche su un piano etico, mi sembra che la tecnologia, la tecnologia moderna, stia cambiando le basi morali delle nostre [...]]]> di Sandro Moiso

Roberto Brioschi, Smart Life. Un vademecum per scansarla e vivere felici a uso delle giovani generazioni ma non solo, a cura di Calusca City Lights con interventi di Andrea Fumagalli, Giovanni Giovannelli e Giorgio Sacchetti. Edizioni Colibrì, Milano 2025, pp. 174, 15 euro

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati (Bertolt Brecht)

James Ballard, in un’intervista rilasciata nel 1992, sosteneva che: «la tecnologia sta influenzando e cambiando la nostra immaginazione. Anche su un piano etico, mi sembra che la tecnologia, la tecnologia moderna, stia cambiando le basi morali delle nostre vite. Infatti la tecnologia, in particolare nella forma della televisione, ci permette di separare noi stessi dalla sfera dei nostri sentimenti.» Per poi continuare affermando: «In qualche modo, è difficile definire dove sia il confine tra sogno e realtà. Credo lo sia ancora di più nel nostro mondo moderno, dove l’ambiente esterno in cui tutti viviamo, ciò che siamo abituati a chiamare realtà, oggi è una fantasia creata dai mass media, dai film, dalla televisione, dalla pubblicità, dalla politica – che ormai non è altro che un ramo della pubblicità.»

E concludere, infine: «Certamente uno degli sviluppi che arriveranno molto presto è quella che viene chiamata realtà virtuale. Se le previsioni degli scienziati che stanno lavorando in California e in Giappone sui sistemi per la realtà virtuale sono vere, credo che non vi sia alcun dubbio che la realtà virtuale rappresenterà il più grande cambiamento nella storia dell’umanità. Per la prima volta gli esseri umani vivranno in un ambiente artificiale più convincente della cosiddetta realtà in cui abitiamo oggi. Una realtà artificiale dove saremo in grado di soddisfare qualsiasi fantasia, qualsiasi autoindulgenza, qualsiasi sogno, qualsiasi mito»1.

Certo, però, neanche un indagatore dell’inner space come Ballard avrebbe potuto immaginare il trasferimento della vita reale delle persone avvenuto, senza passare per visori e sensori particolari, all’interno del circuito dei social e di tutto quanto viene oggi ritenuto smart2. Un passaggio che ha permesso ai più di ritagliarsi spazi di vita immaginaria in cui perdere la propria fisicità e condizione reale per trasformarla in altro da sé, pur fingendo di rimanere tali. Una vita che è stata trasformata in altra o altro senza nemmeno passare dalla Second Life lanciata dalla Linden Lab nel 2003, un anno prima di Facebook, e che ha aperto le porte alla diffusione del Metaverso o Meta ideato e sviluppato da Mark Zuckerberg.

Richiamandosi al titolo di uno dei più celebri testi prodotti da Raoul Vaneigem, il Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations, nel lontano 1967 e adeguandolo al fatto che le giovani generazioni del tempo sono diventate il ma non solo di adesso, il saggio pubblicato da Colibrì e curato dalla Calusca City Lights si scaglia in un autentico attacco da “non fate prigionieri” contro le illusioni e le falsificazioni prodotte dall’utilizzo dei social, delle nuove tecnologie digitali e tutto quanto, attraverso le stesse, ha finito col definire il miserabile orizzonte di vite che si ritengono al passo coi tempi e, per l’appunto, “smart”.

Il volume si apre con una rapida disanima dei principali fattori culturali, politico/religiosi, economici e tecnologici che hanno condotto al Capitalocene come conseguenza dell’Antropocene, ovvero dalla convivenza umana con il mondo al tentativo di dominarlo in tutte le sue manifestazioni ambientali e naturali, seguito all’affermarsi del modo di produzione capitalistico.

L’acquisita capacità di alterare le caratteristiche, le condizioni biologiche e fisiche del Pianeta con tutte le specie viventi e i fossili, mette in grado di modificare non solo ogni darwiniana evoluzione ma anche il corso stesso della Storia: «La Natura non guida più la Terra. Noi lo facciamo. Ciò che accade è frutto della nostra scelta»3. Si deve quindi dominare il Pianeta attraverso la Tecnologia, presentata come espressione naturale della condizione umana; Tecnologia, la sola in grado di adeguare Gaia allo Sviluppo del Progresso dominando la Natura e le sue leggi: creandola e ricreandola nel Tempo a seconda delle necessità e degli effetti della produzione di merci. «il “dispotismo” capitalistico che assume la forma della razionalità tecnologica»4.
Ovviamente per “attività umane” vengono intese unicamente quelle foriere e portatrici del Progresso: la Proprietà Privata e il Profitto; i virus che sarà il Mercantilismo a diffondere, forgiando al contempo quell’Homo OEconomicus soggetto-modello monocolturale di ogni relazione, che deve
farsi, essere Economia.
Modello unico, globale, totalitario e totalizzante delle relazioni umane, darà origine al Capitalocene che, per affermarsi e divenire esso solo “la Storia”, usufruirà di quattro eventi rivoluzionari:
– A) la pubblicazione del Liber abaci (1202)
– B) la scoperta delle Americhe (1492)
– C) l’affissione delle 95 tesi di Lutero (1517)
– D) l’invenzione della macchina a vapore (1769)5.

Dalle conseguenze dello sviluppo dei quattro punti appena elencati, il saggio prende spunto per giungere fino all’attuale trasformazione della comunità umana in “comunità del capitale”; fatto ricollegabile soprattutto allo sviluppo di un’intelligenza artificiale che, in base a processi di calcolo sempre più rapidi e ad algoritmi sempre più raffinati e complessi, fornisce risposte senza la necessità di fornire una spiegazione pienamente comprensibile6.

L’Intelligenza Artificiale è figlia del potere capitalista che utilizza una tecnica onnipervasiva in grado di sostituire l’automatismo all’autonomia, il controllo per mezzo dei big data alle scelte dell’individuo. Un determinismo tecnologico ove sono la società e le persone a doversi modellare, adattare allo sviluppo tecnologico. È la società digitale data driven, omologata ai e dai prodotti della ai, che ripropone il mondo così com’è, il già pensato-detto-fatto (il data base): la Intelligenza Artificiale riproduce l’ordine costituito esistente. Non solo. Le tech companies proprietarie delle piattaforme e delle app di ai propongono un sistema organizzativo e valoriale, quindi una cultura, una pratica imprenditoriale e sociale sulla base di rapporti di potere, prevaricazione e sfruttamento: nell’economia digitale si demolisce la concorrenza (move fast and break things), la merce di successo è un killer, i siti internet sono registrati come domini (domains) e le ricerche in rete si chiamano esplorazioni (evocazione linguistica del colonialismo). La società digitale è in realtà una società macchinica7.

Ecco allora che le speranze riposte nella rete ai suoi esordi e nelle possibilità espresse dalla virtual reality si son trasformate non tanto nel loro contrario quanto, piuttosto nella loro stessa negazione. Marco Margnelli, neurofisiologo e psicoterapeuta presidente della «Società italiana per lo studio degli stati di coscienza», nel 1993, scriveva infatti:

Per molti lo sviluppo della tecnologia della cosiddetta realtà virtuale rappresenta la concreta realizzazione di alcune delle tensioni ideali e delle aspirazioni più vivaci di questo secolo. Il cosiddetto cyberspazio […] viene salutato come il più consistente e concreto passo in avanti verso la conoscenza del Sé che l’uomo abbia compiuto nel corso della sua storia.
[…] Progettare di riappropriarsi dell’intera coscienza significa acquistare autocoscienza della coscienza e cioè tentare, per l’ennesima volta, di conoscere noi stessi. […] La realtà virtuale sarà un software interclasse8.

Mentre a trent’anni di distanza il meccanismo di identificazione, si potrebbe dire, quasi extra-corporea messo in atto dai social network9 e dagli avatar con cui si identificano gli utenti anche quando utilizzano la loro vera identità anagrafica insieme alla massa di dati di ogni genere raccolti tra gli individui che frequentano la rete e gli stessi social, hanno fatto sì che gli stati individuali di coscienza si siano progressivamente alterati in direzione di quello che assomiglia sempre di più ad un annichilimento sia della coscienza individuale che collettiva. Attraverso l’uso di software che più che interclassisti, se non nella loro finalità di controllo automatico del gusto comune e del comune sentire, si vanno rivelando invece estremamente funzionali a un capitalismo che, guarda caso, si rivolge nelle sue forme più avanzate sempre più alla ricerca e allo sviluppo in ambito digitale.

Desiderio e passione, pensiero e sentimenti, corporeità e spirito, tutto ciò che è proprio dell’umano è messo in produzione dal Data computing; nella società delle piattaforme il Data computing esprime la strumentalizzazione e l’asservimento derivanti dall’organizzazione capitalista, che utilizza l’intera umanità come mezzo funzionale al fine ultimo della propria esistenza: il profitto.
Il Data computing è “Lavoro Implicito”, una forma produttiva del Lavoro reso digitale e gratuito, finalizzato alla riproduzione del Capitale-Cloud delle Società delle Piattaforme (Big Tech), capace di generare inedite procedure di governabilità e servitù volontaria10. I lavoratori-utenti ci offrono lo spettacolo di una moltitudine di sfruttati felici (= dominio & consenso): dobbiamo aver ben chiaro che il Data computing è inserito a pieno titolo nello scontro sociale tra Capitale e Lavoro, e come tale dev’essere affrontato: il “Lavoro Implicito” è una componente della Economia Politica del Capitalismo.
La lotta degli invisibili deve investire la digitalizzazione del Mondo: laddove il Capitalismo si esprime nelle forme e nei contenuti più rappresentativi della globalità del Nuovo Mondo alieno che sta costruendo, pur conservando modi di sfruttamento assai novecenteschi, fordisti e colonia listi, di genere ove convenienti, utilizzando sia le guerre diffuse e permanenti per il controllo geopolitico delle risorse e dei mercati sia la crisi economica speculativa come strumento oppressivo della condizione proletaria.
[…] Opporsi, impedire la colonizzazione digitale della vita da parte del neurocapitalismo e della sorveglianza, del mercato e del profitto, comporta la consapevolezza individuale e collettiva che subiamo una seconda esistenza negli universi digitali delle app e delle piattaforme, nel Metaverso, dove il corpo è ri-composto dalle nuove protesi, la testa sta in un cloud, il cibo prodotto nelle vertical farm, è geneticamente modificato ma bio, le tecnologie riproduttive e la AI elidono le frontiere tra quanto è umano e quanto non lo è. È questa la condizione post-umana propugnata dal neo-umanesimo capitalista in un pianeta altro, alieno da Gaia. Senza rimpianti per un ’900 che ha esaurito un ciclo storico durato due secoli e che non è più ripetibile. What me worry?11.

Anche se il testo è supportato da numerose altre considerazioni sulle trasformazioni in atto nel pianeta e nelle “dipendenze umane”, è proprio questo appello a mettere metaforicamente mano alle colt dell’azione collettiva e cosciente contro un modo di produzione, autodefinentesi smart, sempre più totale e totalizzante, a caratterizzarlo e a renderlo quasi indispensabile per la biblioteca di chiunque voglia ancora considerarsi nemico e antagonista dell’esistente. Non tanto o solo delle sue forme politiche, ma delle caratteristiche profonde che ne definiscono la produzione e riproduzione della vita biologica, economica e sociale.


  1. J. Ballard, All That Matterede Was Sensation, intervista a cura di Sandro Moiso, Krisis Publishing, Brescia 2019, pp. 30-39.  

  2. Smart può essere tradotto come intelligente, sveglio, furbo, astuto, spiritoso, brillante, elegante o alla moda. Nel contesto della tecnologia, “smart” è spesso associato a dispositivi elettronici avanzati e connessi a Internet, come smartphone, smartwatch e smart TV.  

  3. An Ecomodernist Manifesto, sottoscritto da una ventina di accademici ed economisti di fama internazionale: www.ecomodernism.org  

  4. Raniero Panzieri, Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, «Quaderni rossi», n. 1, settembre 1961.  

  5. R. Brioschi, Smart Life. Un vademecum per scansarla e vivere felici a uso delle giovani generazioni ma non solo, a cura di Calusca City Lights. Edizioni Colibrì, Milano 2025, pp. 13-14.  

  6. Si veda in proposito quanto affermato da Gioacchino Toni qui.  

  7. R. Brioschi, op. cit., p. 51.  

  8. M. Margnelli, Realtà virtuale e autogestione della coscienza, in «Altrove» n. 1, dicembre 1993, Nautilus, Torino, pp. 93-95.  

  9. Per un’ulteriore riflessione in proposito, si consiglia la visione del convincente primo episodio della terza stagione della serie britannica “BlacK Mirror”, intitolato Caduta libera, diretto da Joe Wright e sceneggiato da Charlie Brooker, Michael Schur e Rashida Jones.  

  10. La definizione di “lavoro implicito” è da attribuirsi a S. Bellucci in E-Work. Lavoro Rete Innovazione, Derive e Approdi 2005.  

  11. R. Brioschi, Smart Life, op. cit., pp. 54-55.  

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Un diverso contributo alla storia dell’Autonomia (proletaria) https://www.carmillaonline.com/2023/11/21/un-utile-contributo-per-ridefinire-un-pezzo-di-storia-dellautonomia-proletaria/ Tue, 21 Nov 2023 21:00:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80027 di Sandro Moiso

Francesco Schirone (a cura di), L’Utopia concreta. Azione libertaria e Proletari autonomi. Milano 1969-1973, Volume I, Zero in Condotta, Milano 2023, pp. 382, 25 euro

[Per Autonomia operaia] Intendiamo la lotta (in tutte le sue espressioni, dal momento dell’esecuzione materiale e di tutti gli altri momenti riflessivi) di quegli strati che vivono nella condizione proletaria; una lotta che si ponga sempre in posizione antagonistica e mai unificante con gli interessi del sistema organizzato dello sfruttamento; una lotta condotta unicamente nel metodo della convenienza proletaria e non con quello della convenzione del legalitarismo democratico-borghese (vedi sindacalismo, parlamentarismo, ecc.); [...]]]> di Sandro Moiso

Francesco Schirone (a cura di), L’Utopia concreta. Azione libertaria e Proletari autonomi. Milano 1969-1973, Volume I, Zero in Condotta, Milano 2023, pp. 382, 25 euro

[Per Autonomia operaia] Intendiamo la lotta (in tutte le sue espressioni, dal momento dell’esecuzione materiale e di tutti gli altri momenti riflessivi) di quegli strati che vivono nella condizione proletaria; una lotta che si ponga sempre in posizione antagonistica e mai unificante con gli interessi del sistema organizzato dello sfruttamento; una lotta condotta unicamente nel metodo della convenienza proletaria e non con quello della convenzione del legalitarismo democratico-borghese (vedi sindacalismo, parlamentarismo, ecc.); una lotta il cui potere di gestione sia tutto nelle mani delle masse proletarie sfruttate (autogestione) ripudiando ogni forma di delega di potere decisionale, usando solo il metodo dell’azione diretta. (Spunti per una discussione sul sociale e sull’autonomia proletaria – Proletari autonomi, marzo 1973)

Per uscire, una volta tanto, dalla narrazione “operaista” della nascita e dello sviluppo dell’Autonomia, si rende utile e necessaria la lettura di questo primo volume, edito da Zero in condotta, sull’esperienza dei gruppi anarco-consigliaristi, soprattutto milanesi, che tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta fornirono un impulso organizzativo e nuove ipotesi di riflessione allo sviluppo di un movimento, allora, vivace e allo stesso tempo caotico che avrebbe dato vita e motivi di rinnovamento politico ai movimenti antagonisti di quel periodo attraverso innumerevoli spoglie ideologiche.

Non si tratta, però, qui di stabilire primati, diritti di prelazione o di prima nascita di sigle, teorizzazioni e formule che avrebbero caratterizzato in seguito i movimenti e il dibattito politico al loro interno, ma, piuttosto, di cogliere, come sempre si dovrebbe fare in questi casi, che tutte le varie formule e gli espedienti organizzativi e politici che quegli stessi finirono col produrre e riprodurre affondavano le loro radici non nelle teste dei singoli, nelle idee o in formulazioni ideologiche predefinite in anticipo da partiti o intellettuali più “di mestiere” che rivoluzionari “di professione”, ma nella concreta realtà dello sviluppo delle ribellioni proletarie e operaie, giovanili e studentesche di quegli anni.

Lotte e moti spontanei di rivolta, nelle fabbriche e nei quartieri, nelle strade e nelle università e scuole, che derivavano da concrete condizioni materiali di sfruttamento e oppressione, molto prima e molto più radicalmente di quanto qualsiasi ideologia, dottrina “scientifica” e ipotesi politica o sindacale avesse potuto prevedere in anticipo o con precisione. Da questo punto di vista un certo spontaneismo, termine con cui troppo spesso un’ortodossia, sempre farlocca, vorrebbe bollare tutte le iniziative che sfuggono ai suoi parametri interpretativi, era frutto della spontaneità e della immediatezza delle lotte. Per lungo tempo imprevedibili, tanto per i “padroni” che per i “bonzi” sindacali o di partito.

Se è vero dunque che qualsiasi sistemazione o interpretazione politica o storica delle lotte e delle loro finalità non può avvenire altrimenti che ex post, è altrettanti vero che spesso l’immediatezza dell’idea di azione diretta di stampo anarchico costituisce il primo “sentire” di avvenimenti in corso di maturazione ed evoluzione. Primo “sentire” che spesso si lascia irretire, talvolta, da formulazioni e da utopie sociali un po’ troppo semplicistiche (ma non lo sono, forse, tutte le Utopie?), ma che ha l’indubbio pregio di cogliere l’immediatezza dei fatti, senza per forza costruirvi intorno subito, magari in seguito poi sì, formule teoriche e organizzative che troppo spesso finiscono, nella loro magniloquenza e pretesa affermazione di autorità e verosimiglianza, col dividere gli stessi movimenti da cui sono nate e cui devono le loro concrete origini materiali.

Ecco, allora, che il titolo scelto per la raccolta di saggi, articoli, testimonianze, pagine di giornali e volantini curata da Franco Schirone, L’Utopia concreta, è davvero perfetto. Nelle sue pagine si tratta, infatti, dell’”Utopia concreta” che scaturì dall’unione tra pensiero e azione anarchica e lotte operaie e proletarie non solo in quel di Milano, in cui alcuni dei gruppi che animarono quell’esperienza ebbero origine e sede, ma anche in altre parti d’Italia.

Non a caso, la citazione posta in esergo a questa recensione è tratta da un ciclostilato distribuito come supplemento al n° 1 e 2 di “Proletari Autonomi”, edizione per la Sardegna e ciclostilato a Cagliari nel marzo del 1973. L’ampia raccolta documentaristica inclusa nel volume riesce così a ricreare la memoria di fatti che dalla persecuzione deli anarchici dopo la strage di piazza Fontana alla manifestazione dell’anno successivo in cui nella stessa data della strage, 12 dicembre, morì lo studente Saverio Saltarelli, ammazzato dalle forze del disordine, come diceva la canzone, con una bomba al cuore.

Su su, oppure se preferite giù giù, fino alle cronache delle lotte operaie e alla nascita dei comitati operai e di quei consigli di fabbrica, prima irregolari poi sempre più inquadrati dai sindacati confederali negli anni successivi, oppure ancora alla rivolta di Reggio Calabria del 1970. Una storia dei movimenti e delle loro lotte che, attraverso testimonianze dei protagonisti di allora e dei fogli scritti e ciclostilati di quel tempo, ricostruisce anche lo sviluppo di un’idea di autonomia di classe che iniziatasi nel gruppo Kronstadt (nomen omen) di Milano e dall’esperienza di Azione libertaria (gruppo anarco-sidacalista-consigliare), nel 1969-1972, darà poi vita, dal 1972 al 1974, a Proletari Autonomi, gruppo di discussione teorica che raccoglieva compagni militanti in differenti collettivi autonomi e che, a seguito di una divisone interna, avrebbe poi dato vita, dal 1974 al 1980, al Centro Comunista di Ricerche sull’Autonomia Proletaria (C.C.R.A.P.) e successivamente, ancora, a Collegamenti, fondando l’omonima rivista. Da cui sarebbero ancora derivati, nel 1975-77, «La fabbrica diffusa», rivista milanese di analisi e intervento sulla figura dell’operaio sociale e, dal 1981 al 1983, al foglio che dal 1983 si sarebbe unito a «Collegamenti» per dare vita alla rivista «Collegamenti-Wobbly», fino alla primavera del 1994.

Una storia lunga come si può vedere da questo fin troppo rapido excursus, anche se questo primo volume si occupa specificamente del primo periodo dal 1969 al 1973, mentre resta in preparazione un volume successivo che si occuperà del periodo dal 1973 al 1982. Una storia che, come ci ricorda Giorgio Sacchetti, nasce dall’idea che, al contrario di quanto ha rivelato ancora una volta la sottomissione confederale all’Autorità statale, così tanto e spesso invocata dai sindacati confederali, in occasione dello sciopero “generale” del 17 novembre: «all’origine del movimento operaio non c’era lo Stato, ma l’idea di far da sé, di autogestione e di azione diretta»1.

Tocca però a Cosimo Scarinzi, testimone e protagonista di quell’esperimento fino ed oltre «Collegamenti-Wobbly», nella sua prefazione al testo, elencare per sommi capi le caratteristiche di quella esperienza, sia nella novità, che ebbe modo di rappresentare, che nei suoi limiti, visibili a cinquant’anni di distanza.

1. La critica radicale dei sindacati individuati come strumento di integrazione della classe anche nelle loro forme più estremiste e democratiche. Da ciò un giudizio negativo dello stesso “sindacato dei consigli” la cui “democratizzazione” ci parve , in maniera per certi versi unilaterale, una trasformazione volta a recuperare e inquadrare le stesse lotte più radicali.
2. La critica altrettanto radicale dei partiti della sinistra che si stendeva coerentemente ai gruppi della nuova sinistra di orientamento leninista giudicati non solo autoritari ma espressione degli interessi di una piccola borghesia parassitaria che cerca di utilizzare le lotte degli operai per occupare spazi di potere nell’apparato statale e sindacale.
3. Una differenziazione rispetto alla componente maggioritaria dello stesso movimento anarchico percepito come chiuso rispetto al conflitto di classe e troppo legato alla salvaguardia di una tradizione rispettabile ma talle da bloccare l’azione. Fuori dalle passioni dl tempo a chi scrive quel giudizio appare eccessivo e, in alcuni casi, ingeneroso ma era parte del nostro sentire che aveva alcune ragioni.
Guardando oggi a quelle vicende appare evidente che la nostra eresia era, per molti versi, un ritorno a un’ortodossia, non all’ortodossia […].
Mi piace, a proposito del mio/nostro operaismo radicale, ricordare come mi colpì quanto mi disse una volta Lea Melandri, una femminista molto conosciuta che frequentava i nostri ambienti, che mi fece rilevare come il proletariato tenda all’integrazione non, o non principalmente, per l’influenza della malefica piccola borghesia parassitaria ma proprio per il suo essere classe di questa società volta a migliorare, magari con lotte radicali, la propria condizione all’interno dei rapporti sociali dominanti2.

L’Utopia concreta, come afferma infine Roberto Brioschi nella seconda parte della Prefazione al testo, «è la inedita ricostruzione e proposizione della esperienza rivoluzionaria antiautoritaria degli anni dal 1968 al 1982 […] Anni che videro il tentativo cogente della abolizione del cosiddetto ordine capitalistico». Per poi concludere, poco dopo, affermando:

Un ribaltamento tutt’ora celato, temuto ed esorcizzato poiché rappresenta una storia che non è più una cronaca temporale dell’avvicendarsi di un Potere sopra ad un altro ma diviene Storia di liberazione sociale, collettiva ed individuale, propria di un immaginario che diventa realtà. Oggi più che mai bisogna tornare ad essere in grado di immaginare la vita altra e di realizzarla, ora3.


  1. G. Sacchetti, Milano, un laboratorio del sindacalismo conflittuale, Introduzione a Francesco Schirone (a cura di), L’Utopia concreta. Azione libertaria e Proletari autonomi. Milano 1969-1973, Volume I, Zero in Condotta, Milano 2023, p.13.  

  2. C. Scarinzi, Azione Libertaria e l'”eresia operaista”, prefazione a L’Utopia concreta, op. cit., p.15. Sul punto sottolineato da Lea Meandri si veda anche Michele Castaldo, Marx e il torto delle cose 1871 – 1917 – 2017, Edizioni Colibrì, Milano 2017.  

  3. R. Brioschi, In punta di matita, prefazione a L’Utopia concreta, op. cit., p.16.  

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