Rivoluzione Neolitica – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 22 Dec 2024 06:44:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il destino del corpo elettrico https://www.carmillaonline.com/2022/09/14/il-destino-del-corpo-elettrico/ Wed, 14 Sep 2022 20:01:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73614 di Sandro Moiso

Antonio Caronia, Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, a cura di German A. Duarte e con una postfazione di Marcel-lí Antúnez Roca, Krisis Publishing 2022, pp. 220, €18,00

Canto il corpo elettrico, le schiere di quelli che amo mi abbracciano e io li abbraccio, non mi lasceranno sinché non andrà con loro, non risponderà loro, e li purificherà, li caricherà in pieno con il carico dell’anima. E’ mai stato chiesto se quelli che corrompono i propri corpi nascondono se stessi? E se quanti [...]]]> di Sandro Moiso

Antonio Caronia, Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, a cura di German A. Duarte e con una postfazione di Marcel-lí Antúnez Roca, Krisis Publishing 2022, pp. 220, €18,00

Canto il corpo elettrico, le schiere di quelli che amo mi abbracciano e io li abbraccio, non mi lasceranno sinché non andrà con loro, non risponderà loro, e li purificherà, li caricherà in pieno con il carico dell’anima.
E’ mai stato chiesto se quelli che corrompono i propri corpi nascondono se stessi? E se quanti contaminano i viventi sono malvagi come quelli che contaminano i morti? E se il corpo non agisce pienamente come fa l’anima? E se il corpo non fosse l’anima, l’anima cosa sarebbe? (Walt Whitman – I Sing the Body Electric)

Sono passati più di centocinquant’anni dalla prometeica intuizione contenuta nei versi di Walt Whitman ed inserita nella sua unica raccolta di poesie, «Foglie d’erba», pubblicata per la prima volta nel 1855 e in seguito rivista ed ampliata più volte. Eppure soltanto oggi è forse possibile comprendere appieno il significato di quella comunanza dei corpi “fisici” e la loro intrinseca e specifica bellezza e diversità esaltata allora dal poeta americano.

E’ stato Antonio Caronia (1944-2013), in un saggio edito per la prima volta nel 1996 e oggi ripubblicato dalle sempre meritorie edizioni Krisis Publishing di Brescia, a sviluppare in senso attuale quel “canto”.
Anche se lo ha fatto in prosa e con un testo che analizza nel dettaglio le trasformazioni del corpo fisico e della specie avvenute in seguito allo sviluppo delle diverse tecnologie a disposizione delle differenti e successive società umane, nel tentativo di proiettarsi nella comprensione del destino futuro delle funzioni e dello sviluppo dello stesso una volta inserito nel magma della comunicazione elettronica.

L’autore, saggista, docente di Comunicazione all’Accademia di Brera e figura di spicco della critica letteraria fantascientifica italiana fra gli anni settanta e ottanta, attraverso una cavalcata che, sulle orme di Marshall McLuhan e dei più importanti innovatori della letteratura fantascientifica e del cinema corrispondente (da Asimov a Ballard e da Dick a Sterling e Gibson fino a Cronenberg), ci porta dall’avvento della scrittura alla Rete e oltre. Ci fa riflettere sulla progressiva esternalizzazione delle funzioni cognitive, ma non solo, svolte dal nostro corpo “naturale” a favore di tecnologie che se da un lato ingigantiscono le nostre capacità di gestire dati, dall’altra sembrano trasformare e condizionare sempre più il nostro immaginario e il corpo “sociale”.

Come afferma il curatore:

La prima edizione di questo volume è apparsa nel periodo in cui si andavano consolidando le narrazioni utopiche che hanno accompagnato lo sviluppo delle tecnologie digitali e della rete […] La rete, in particolare, sembrava poter dare voce al singolo cittadino, e molti leggevano questa sua potenzialità come la capacità, insita nel digitale, di determinare processi sociali complessi. Ed era fuor di dubbio, all’interno della narrazione utopica, che tutti questi processi fossero avviati verso una democrazia diretta, o quantomeno più partecipativa.
[…] Negli stessi anni, però, il panorama democratico e quello liberale cominciavano ugualmente a mutare. Progressivamente, quegli stessi scenari si trasformavano in un laboratorio per le multinazionali e le corporations che regnano nel mediascape contemporaneo. E’ infatti proprio nel momento più alto dell’ondata libertarianista che, in forma embrionale, le corporations hanno trovato terreno fertile, minando progressivamente questi spazi di libero scambio di idee, d’informazione e di merci, e appropriandosene successivamente a livello planetario1.

Proprio in ciò che è sottolineato da German Duarte sta l’estremo interesse insito nella riedizione del testo di Caronia, ovvero nella possibilità di mettere a confronto ciò che un quarto di secolo fa si poteva intravedere nello sviluppo dei media e delle tecnologie digitali con ciò che è effettivamente avvenuto, poiché la problematica costituita da ciò che avrebbe potuto essere e ciò che effettivamente è stato era già, in qualche modo, presente nel lavoro di Caronia, soprattutto quando nelle sue pagine «ci mette ripetutamente in guardia contro il possibile “tecnopolio” incarnato dalla Microsoft , nella persona di Bill Gates»2.

Lo sguardo dell’autore non era alimentato infatti soltanto del discorso “utopico” e fantascientifico, oltre che tecnologico e artistico sull’uso delle nuove tecnologie, ma anche dall’attenzione per i contraddittori processi sociali, cognitivi e politici messi in moto dal capitale in tutte le sue stagioni di esistenza. Anche se la sua attenzione si spingeva fino all’età neolitica, con l’invenzione dell’agricoltura e di società complesse, organizzate intorno al lavoro. Età neolitica in cui, nonostante la Rivoluzione industriale, secondo lo stesso, saremmo ancora inseriti proprio per la centralità costituita dal lavoro produttivo.

Agricoltura che ha segnato i primi passi della società umana verso quella trasformazione o “artificializzazione” del paesaggio e dell’ambiente che oggi regna incontrastata, nella realtà e nell’immaginario. D’altra parte la progressiva artificializzazione del corpo, dalle protesi alle medicine quotidianamente ingerite per gli scopi più disparati fino alla costruzione di identità fittizie in rete, sui social e nella Realtà Virtuale (RV), non può essere separata da quella del mondo che circonda l’individuo sociale. Come aveva già ben compreso James Ballard.

Il cyborg di Ballard non ha bisogno di impiantare fisicamente la tecnologia all’interno del proprio corpo. Quest’ultima, diffusa nel suo ambiente, agisce in lui direttamente a livello mentale, si inscrive nel suo sistema nervoso, con uno scambio tra l’interno e l’esterno che riattiva un processo simbolico a livello di tutto il corpo. Ma la civiltà industriale matura vive nell’apoteosi dell’esteriorizzazione prodotta dalla società mediatizzata e informatizzata, si crogiola nel trionfo della separazione analitica tra mente e corpo, coltiva l’illusione delirante di riunificare il mondo sotto un unico principio, lo sguardo oggettivo e impersonale della scienza, la logica dell’equivalenza astratta. In queste condizioni ogni riattivazione di un processo simbolico a livello del corpo non può avere che una conseguenza: l’impossibilità di leggere in modo “socialmente corretto” i codici di scrittura del comportamento, la rottura della “normalità sociale”, l’insorgere di quella che la medicina ufficiale chiama “malattia mentale”. E così è con i personaggi di Ballard, che, come spesso in Dick, solo attraverso la malattia, la perdita dell’identità, la confusione tra io e mondo, possono tentare di dare un senso alla propria vita e a tutto ciò che li circonda. Ma Ballard (e questo è uno dei suoi meriti) non descrive questi processi collocandosene al di fuori, non assume alcun punto di vista morale o nostalgico. Al contrario, mostra come tutto ciò non sia effetto di una logica estranea e alternativa, ma sia conseguenza ineluttabile dello sviluppo delle tecnologie e dei media, che nella loro ipertrofia aprono una contraddizione insanabile con i fondamenti della società che li ha prodotti3.

In realtà la separazione tra mente e corpo e l’unione tra corpo e macchina inizia ben prima dell’età dei media elettronici e della realtà virtuale. E’ stato Marx a sottolineare il processo di estraniazione e alienazione che ha accompagnato lo sviluppo industriale e la progressiva sottomissione del lavorato alla macchina, alla scienza applicata e al capitale. Motivo per cui l’idea del cyborg e del robot (termine slavo con cui si indica il lavoro mentre con robotnik si indica l’operaio) affonda le sue radici nello sviluppo della rivoluzione industriale e delle sue conseguenze sociali, economiche, politiche e culturali.

Oggi sappiamo però anche che lo sviluppo della RV è andato molto più a rilento di quanto potessero immaginarsi Caronia o Ballard4, mentre lo sviluppo dei social media e dell’uso degli smartphone ha contribuito a creare un’autentica realtà “esterna”, in cui tutti gli utenti della rete possono diventare protagonisti e attori di un mondo virtuale dove tutto può accadere, essere vero e credibile all’interno di un sistema dato, anche se non del tutto definito, in cui tutte le informazioni possono essere o possono trasformarsi in fake news.

Ci accorgiamo che contemporaneamente al “declino” delle RV in quanto tali, c’è stata invece l’ascesa dell’aggettivo “virtuale”. “Virtuale” è una delle parole chiave di questi anni […] Che la vita dell’uomo, e tanto più quella dell’uomo contemporaneo, è a ogni istante sospesa fra l’attimo appena trascorso e una pluralità di eventi possibili, che non sta solo a noi, certo, trasformare in eventi “attuali”, ma il cui accadere ci appare molto più di prima legato alle nostre scelte […] Una cosa è certa: incomparabilmente più di quelle del passato, queste tecnologie [digitali] sono “tecnologie del possibile”: nel senso che rendono sempre più possibili eventi che sino a ieri apparivano impossibili, ma anche nel senso che tendono a “derealizzare”, a togliere alla “realtà” tradizionale, in primo luogo a quella materiale, quell’aura di unicità e di immodificabilità con cui ogni essere vivente su questo pianeta si scontra dalle origini della vita5.

Un sistema relazionale e diffuso in cui il corpo, attraverso i selfie e l’ostentazione continua dell’immagine di sé, diventa “virtuale” nel suo volersi mostrare giovane, affascinante, sensuale, aggressivo o disponibile all’incontro, all’avventura momentanea e alla notorietà fittizia. Una condizione in cui a trionfare è più Andy Warhol con i suoi 15 minuti di celebrità per ognuno che non le raffinate teorie estetiche degli artisti estremi del corpo e della realtà virtuale che si incontrano tra le pagine del libro di Caronia.

Il corpo è diventato “disseminato”, esattamente come titola uno dei capitoli del testo, l’ultimo, ma in forme diverse da quelle previste ventisei anni fa. Cosa che ancora si stenta a comprendere se, non accettando la definizione borghese di “Io”, si continua dimenticare il possibile utilizzo del pronome plurale “noi” per sostituirlo con la rivendicazione di infiniti “ii”. Come avviene, ad esempio, nel testo Cosa vuole Luther Blisset citato all’epoca da Caronia (p.192)

Come afferma Marcel-lí Antúnez Roca, nella sua postfazione:

L’era del lavoro si era aperta quando l’estendersi della rivoluzione neolitica aveva creato un sovrapprodotto sociale di dimensioni tali da richiedere la nascita di funzioni specifiche per la sua gestione e di gruppi separati addetti a tali funzioni cognitive e delle basi etiche su cui si fondava la convivenza degli aggregati umani […] Le “televisioni interattive”, i cinquecento canali, il “digitale” nella sua versione fieristica e industriale, non sono il primo passo per uscire dal neolitico, ma l’ultimo sussulto di un sistema di comunicazione gerarchico e funzionale a una società la cui perpetuazione significherebbe la bancarotta dell’umanità. Sarebbe una ben misera prospettiva se il corpo disseminato non fosse che lo sgabello con cui Bill Gates si issa sulla schiena del resto dell’umanità6.

Se quello della transizione dal corpo “naturale” e quello “virtuale”, in tutte le sue possibili declinazioni, costituisce il tema centrale del testo appena ripubblicato, in realtà la ricchezza dell’opera di Caronia apre ad una infinità varietà di argomenti, temi e critiche che, inevitabilmente, costringeranno il lettore ad aprire gli occhi, e la mente, su tutte le possibili conseguenze dell’artificiale ampliamento delle funzioni dello stesso. Sia a livello individuale che sociale.


  1. German A. Duarte, Prefazione a A. Caronia, Il corpo virtuale, Krisis Publishing 2022, pp. 11-12  

  2. G. A. Duarte, op. cit., p. 12  

  3. A. Caronia, op. cit., pp. 105-106  

  4. Per le idee di Ballard sulla RV si veda: J. Ballard, All That Mattered Was Sensation, intervista e prefazione a cura di Sandro Moiso con un saggio di Simon Reynolds, Krisis Publishing 2019  

  5. A. Caronia, op. cit., p. 157  

  6. Marcel-lí Antúnez Roca, Postfazione a A. Caronia, op. cit., pp. 197-201  

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Homo Sapiens, piante e CO2 https://www.carmillaonline.com/2017/09/21/homo-sapiens-piante-co2/ Wed, 20 Sep 2017 22:01:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40558 di Sandro Moiso

Luigi Mariani, Origini e viaggi avventurosi delle piante coltivate, Mattioli 1885 2017, pp. 90, € 9,90

L’agile, sintetico e, talvolta, problematico testo di Luigi Mariani, docente di Storia dell’agricoltura presso l’Università di Milano, può costituire un’interessante integrazione al testo di Nikolaj Ivanovič Vavilov sulle origini delle piante coltivate recensito qualche tempo fa proprio qui su Carmilla. Certamente tra le due pubblicazioni sono trascorsi almeno novant’anni, ma i riferimenti che l’autore fa, soprattutto all’inizio del testo, all’opera al genetista e botanico sovietico rende questa pubblicazione di Mattioli 1885 iscrivibile nella grande ricerca iniziata, ormai più di un secolo [...]]]> di Sandro Moiso

Luigi Mariani, Origini e viaggi avventurosi delle piante coltivate, Mattioli 1885 2017, pp. 90, € 9,90

L’agile, sintetico e, talvolta, problematico testo di Luigi Mariani, docente di Storia dell’agricoltura presso l’Università di Milano, può costituire un’interessante integrazione al testo di Nikolaj Ivanovič Vavilov sulle origini delle piante coltivate recensito qualche tempo fa proprio qui su Carmilla. Certamente tra le due pubblicazioni sono trascorsi almeno novant’anni, ma i riferimenti che l’autore fa, soprattutto all’inizio del testo, all’opera al genetista e botanico sovietico rende questa pubblicazione di Mattioli 1885 iscrivibile nella grande ricerca iniziata, ormai più di un secolo or sono, sull’interazione tra uomo, ambiente e sviluppo dell’agricoltura.

Il contributo dato da Mariani si fonda soprattutto sulle conoscenze metereologiche sviluppate nel corso del suo precedente insegnamento di Agrometereologia presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Milano e questo lo contraddistingue dall’opera di Vavilov citata,1 per l’ampio spazio dato, nella prima parte del testo, alla metereologia, alle correnti atmosferiche e all’importanza dell’anidride carbonica (CO2) per lo sviluppo della vegetazione sulla terra.

Anche se l’autore si concentra in particolare sull’Olocene, l’ultima fase del Quaternario che ha avuto inizio dai 10 agli 11.000 anni fa e che corrisponde grosso modo al Neolitico, il periodo in cui ha avuto inizio e si è sviluppata l’agricoltura, non manca di spingersi più indietro nel tempo fino a milioni di anni fa per rilevare i ripetuti periodi di riscaldamento e di glaciazione del pianeta che hanno di volta in volta favorito o rallentato lo sviluppo della vita sulla terra.

Utilizzando, fin dove è possibile, le serie storiche e i dati accertati e affidandosi, in altri casi, alle testimonianza degli scrittori antichi oppure dei testi mitologici, non ultima la Bibbia, Mariani riesce, in maniera convincente, a tracciare l’intricata interazione tra ere geologiche, modificazioni climatiche e successive attività umane.

Soprattutto prendendo a modello la vite da uva e la sua diffusione verso il Mediterraneo a partire dal Caucaso come case study , Mariani riesce a riunire tra di loro le comuni memorie mitiche del Diluvio Universale, appartenenti a popoli e culture estremamente diverse e lontane tra di loro, collegandole tutte al momento in cui l’innalzamento di circa 120 metri del livello dei mari e degli oceani ebbe luogo tra i 14.000 e egli 8.000 anni fa al termine dell’ultima grande glaciazione.

Sembra giusto parlare di “grande glaciazione” poiché nei secoli seguenti si alternarono periodi in cui secoli di siccità anticipavano e avrebbero poi seguito periodi di nuove, piccole glaciazioni. L’ultima delle quali, studiata in particolare dallo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie, sarebbe avvenuta tra la metà del XIV secolo e la metà del XIX.2 Tale periodo, legato probabilmente ad una minore attività del Sole e delle macchie solari,3 seguì infatti ad un periodo in cui sulle Alpi era possibile trovare vigneti fino ad un’altezza di 1250 metri slm, mentre ancora oggi l’altezza massima a cui è possibile rintracciare la viticoltura si aggira intorno agli 800 metri.

La vite coltivata (Vitis vinifera) afferisce al genere Vitis, le cui impronte fossili sono state reperite nel Nord Europa e risalgono al Terziario antico, intorno a 65 milioni di anni fa. Durante il Terziario recente, iniziato 23 milioni di anni fa, la separazione tra l’America e l’Eurasia favorì la speciazione degli antenati della vite, per cui in America e in Asia Orientale si registrò l’evoluzione di diverse specie mentre in Europa e Asia Occidentale si affermò un’unica specie, Vitis vinifera ssp. sylvestris, antenato selvatico della vita domestica.
Nel corso delle glaciazioni quaternarie (ultimi 2,5 milioni di anni) la zona mite a sud del Gran Caucaso fu un’importante zona rifugio per molte specie tra cui la vite. Ciò probabilmente promosse il consumo di uva selvatica da parte dei cacciatori- raccoglitori ponendosi all’origine della successiva valorizzazione di questa pianta da parte delle popolazioni neolitiche insediatesi in ambito sub-caucasico
4 Ecco fin dove si spinge la storia del bicchiere di vino che magari sta accompagnando chi legge queste poche righe.

Il libro di Mariani costituisce una lettura che, nonostante il numero limitato di pagine, farà fare al lettore un’incredibile ed emozionante cavalcata attraverso le culture, le vie (non ultima quella della Seta), i traffici, i contatti, le navigazioni e gli scambi che hanno accompagnato l’interazione tra Homo Sapiens e piante da coltura fin da prima della Rivoluzione Neolitica.
Come afferma l’autore, infatti, “la dispersione delle piante e dell’uomo nel nostro pianeta è un vero viaggio nel tempo5

Oggi siamo per lo più abituati a considerare che sia l’uomo ad «imporre» alle piante i caratteri «domestici» (dimensione, colore, sapore, etc.) ma un ruolo di rilievo può essere stato giocato anche dagli animali consumatori. Un esempio in tal senso è offerto dal melo, che nell’areale di origine (il Kazakistan) sarebbe stato selezionato dall’orso, il quale avrebbe scelto individui con grandi frutti, sapore dolce (accumulo di amido e poi di glucosio), un calendario di maturazione amplissimo e che si estende da luglio a novembre con varietà precoci e medie da consumare in estate e varietà molto tardive che si conservano fino a fine inverno per cui possono essere consumate all’uscita del letargo (le odierne mele invernali da cuocere). Il melo si sarebbe poi diffuso dal kazakistan verso occidente e verso oriente lungo la via della seta, grazie alla diffusione dei semi con le feci degli esseri umani e dei cavalli che si nutrivano di mele passando per il Kazakistan6

Ciò che rende invece il libro problematico, senza per questo renderlo meno interessante, è il fatto che l’autore sembra voler far dipendere l’attuale situazione climatica quasi esclusivamente dai fattori di lungo termine (ad esempio l’attività solare) e troppo poco dalle scelte fatte dall’uomo e dal modo di produzione vigente, anche là dove si afferma che “il trend di crescita delle temperature in atto dalla fine della piccola era glaciale è probabilmente influenzato dalle attività umane. In tal senso Ziskin e Shaviv, applicando un Energy Balance Model, hanno stimato che il 60% del trend crescente delle temperature globali osservato nel XX secolo è di origine antropica ed il 40% sarebbe di origine solare. Al riguardo si deve considerare che nel XX secolo il sole ha fatto registrare uno dei periodi di maggiore attività dalla fine dell’ultima glaciazione, tanto che per trovarne uno analogo occorre portarsi a oltre 8800 anni or sono e cioè all’inizio del grande optimum post-glaciale7

Gli altri due punti, ad avviso di chi scrive, discutibili riguardano l’eccessiva fiducia riposta nell’importanza dell’anidride carbonica per lo sviluppo delle piante, senza tenere sufficientemente conto dei danni provocati da questa a livello respiratorio per la specie umana, anteponendo, probabilmente involontariamente, la redditività degli investimenti nell’agricoltura alla salute. Come pure, sempre anteponendo l’aumento della produttività alle sue conseguenze, la fiducia riposta in quella che l’autore definisce come la decima rivoluzione tecnologica tra quelle che più hanno segnato la storia dell’agricoltura: quella genetica.

Per eccesso di entusiasmo, forse tipico degli ambienti universitari se si prendono ad esempio i suggerimenti dell’Università di Bari a proposito della coltura dell’ulivo nel Salento,8 le modificazioni genetiche introdotte industrialmente per aumentare la produttività (quasi mai la qualità) agraria, vengono messe sullo stesso piano delle modificazioni apportate sì dall’uomo sulle piante da coltura attraverso la loro domesticazione e selezione, dimenticando però che tale processo si è svolto nell’arco di secoli e millenni ed è stato sperimentato sempre a partire da areali ridotti prima di essere riconosciuto come valido, utile e non dannoso per l’applicazione successiva e vantaggiosa in altre aree coltivate.

Detto questo, il testo rimane di grande utilità per chi si interessi, non solo a livello professionale o di studio, di agricoltura, ambiente e dei rapporti che questi intrattengono con la specie umana di ieri, oggi e (speriamo) soprattutto domani.


  1. Nikolaj Vavilov, L’origine delle piante coltivate. I centri di diffusione delle diversità agricole, Pentàgora, Savona 2016  

  2. E. Le Roy Ladurie, Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno mille, Einaudi 1982 (prima edizione francese 1967)  

  3. Anche se attualmente non è noto nessun collegamento diretto tra basso numero di macchie solari e basse temperature terrestri (Radiative Forcing of Climate Change: Expanding the Concept and Addressing Uncertainties, National Research Council, National Academy Press, Washington, D.C., 2005)  

  4. pag.69  

  5. pag.7  

  6. pag.15  

  7. pp. 42-43  

  8. Cfr. https://www.carmillaonline.com/2017/09/03/guerra-agli-ulivi/  

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