riforma Fornero – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 04 Jan 2025 21:07:55 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Fare come in Francia? https://www.carmillaonline.com/2023/03/25/fare-come-in-francia/ Sat, 25 Mar 2023 21:00:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76612 di Sandro Moiso

La prima conseguenza del rinnovato accordo tra Italia e Francia, unico trofeo che la premier Meloni può vantare dopo i colloqui con Macron e la fine del vertice europeo conclusosi il 23 marzo, è stata quella di veder scaramanticamente cancellato dalle prime pagine dei quotidiani e dai telegiornali, di ogni tendenza politica e appartenenza, qualsiasi riferimento alle agitazioni che stanno scuotendo la Francia con milioni di manifestanti nelle strade. Eppure, anche all’occhio meno accorto o critico, non può non essere evidente il fatto che la carta geo-politica di ciò [...]]]> di Sandro Moiso

La prima conseguenza del rinnovato accordo tra Italia e Francia, unico trofeo che la premier Meloni può vantare dopo i colloqui con Macron e la fine del vertice europeo conclusosi il 23 marzo, è stata quella di veder scaramanticamente cancellato dalle prime pagine dei quotidiani e dai telegiornali, di ogni tendenza politica e appartenenza, qualsiasi riferimento alle agitazioni che stanno scuotendo la Francia con milioni di manifestanti nelle strade. Eppure, anche all’occhio meno accorto o critico, non può non essere evidente il fatto che la carta geo-politica di ciò che avrebbe dovuto essere l’Unione europea si caratterizza ormai per tre grandi aree di crisi che la percorrono tutta, da Est a Ovest.

Ai confini orientali la guerra in Ucraina, con i suoi possibili sbocchi mondiali che già spaventano alcune élite europee e le spingono a correre a Pechino a chiedere che il presidente Xi Jinping si affretti a impostare una reale proposta di tregua (in barba al diniego esibito nei confronti di tale ipotesi dal presidente Biden e dagli imperialisti pezzenti del Regno Unito).

Nel cuore del continente la crisi bancaria, che è sbarcata dagli Stati Uniti coinvolgendo due delle più importanti banche europee, Credit Suisse, morta in un battibaleno e sostanzialmente assorbita da UBS per un valore impensabile fino a qualche settimana fa, e Deutsche Bank che, ancora una volta, traballa sulla sua “pancia” piena di titoli spazzatura, subprime e derivati, ma “povera” di liquidità.

Nella parte occidentale e atlantica la rivolta sociale francese che si allarga sempre più, di cui la riforma autoritaria delle pensioni è stato soltanto il fattore scatenante di una crisi economica e sociale che covava sotto le ceneri, imposte dai due anni di provvedimenti liberticidi sventolati come necessari per la salvaguardia della salute pubblica, fin dai tempi dei gilets jaunes e, ancor prima, delle rivolte delle banlieue.

Un’autentica tempesta perfetta che testimonia come lo stato di salute del capitalismo occidentale e del suo modus vivendi sia tutt’altro che buono, così come quello dell’ambiente che ha colonizzato senza pietà e senza riguardo per il futuro della specie, proprio a partire del continente europeo.

Come i quattro cavalieri dell’Apocalisse, la crisi economica, la guerra, la crisi ambientale e l’impoverimento di ampi settori sociali, un tempo magari rientranti nelle fila della classe media, indicano che il modo di produzione basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del capitale sull’ambiente sta volgendo al termine nel più drammatico dei modi.

La Francia e i moti che sempre più la percorrono sembra indicare, contemporaneamente, tutte e due le strade che la società derivata dall’attuale distruttivo modo di produzione può imboccare nell’affrontare la drammaticità del momento storico dato.

Da un lato l’autoritarismo governativo che, come da anni si va ripetendo su questa pagine e in altri contesti1, nulla concede e nulla può più concedere sia alle richieste più elementari provenienti dal basso che a qualsiasi ipotesi riformistica destinata a migliorare le condizioni dei servizi sanitari, pensionistici2, scolastici, lavorative e salariali in un contesto in cui la concorrenza per la spartizione del plusvalore complessivamente prodotto si è fatta mondiale, con competitor giovani, scaltri e del tutto intenzionati a scalzare il primato “occidentale” nell’accaparramento delle ricchezze delle risorse.

Un autoritarismo che si maschera dietro le formulazioni generiche di difesa di improbabili transizioni green o di diritti liberali che poco incidono sulla concreta vita materiale di milioni di cittadini di ogni sesso, appartenenza etnica e sociale (purché medio-bassa), tutti destinati soltanto ad essere sempre più sfruttati in ogni ambito lavorativo (in cui ormai occorre inserire tutta l’economia falsamente definita illegale, collegata al mercato del sesso e degli stupefacenti) oppure come carne da cannone nella guerra che, proseguendo su questa strada, certamente verrà.

La scelta di Macron sull’imposizione dei due anni di aumento dell’età pensionabile dei lavoratori francesi, infatti, non è nemmeno una scelta. E’ una decisione imposta dal voler mantenere l’attuale assetto sociale e politico, di cui la democrazia parlamentare non è altro che un orpello. Un gioiello fatale con cui l’ideologia dominante è riuscita ad ammaliare lavoratori, giovani, donne e proletari di ogni tipo (sottoproletariato incluso) finché, almeno in Occidente, alcune riforme potevano essere finanziate con il plusvalore estorto ai lavoratori sottopagati di altri angoli del pianeta.

Ora il plusvalore colà estratto rimane in gran parte, o del tutto, nelle tasche di altri imprenditori, di altre borghesie che, oltre a rimpinguare i propri profitti e investimenti, preferiscono ridistribuirne una parte in casa soltanto per migliorare e ampliare anche il proprio mercato interno, oltre che per placare, almeno in parte, i segni di conflittualità di classe che si manifestano nelle fabbriche e nei settori produttivi dislocati a casa loro.

Paradossalmente l’accumulo di ricchezze in numero di mani sempre più ridotto, infatti, più che segnalare che la produzione mondiale sia in aumento (dato ancora tutto da verificare), indica che il valore prodotto è, rispetto agli investimenti necessari, sostanzialmente diminuito, soprattutto in Occidente e nelle aree ad esso direttamente collegate.

In questo senso la crisi di SVB (Silicon Valley Bank), più che ricordare i rischi connessi allo scarso controllo esercitato sulle banche dallo Stato (quasi come se questo fosse davvero uno strumento neutro e imparziale nella gestione della ricchezza e della società), rappresenta un po’ la fine del sogno delle start up, degli investimenti spericolati legati più alle promesse che ai risultati effettivi, di cui Elon Musk è stato il gran maestro. Forse ancor più dei pionieri come Billa Gates, Steve Jobs, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg che, arrivati per primi sul mercato delle nuove tecnologie e delle promesse ad esse collegate, si vedono oggi comunque costretti a licenziare complessivamente centinaia di migliaia di dipendenti (fatto che potrebbe avere conseguenze deflagranti anche sul prossimo voto presidenziale americano).

Finanza, rete, piattaforme e computer insieme hanno contribuito a velocizzare lo spostamento delle ricchezze, a intorbidire le idee e le battaglie e a confondere i singoli individui trascinati nel vortice della velocità della comunicazione e della disinformazione organizzata (spesso ufficiale, ancor prima che “artigianale”). Ma non hanno contribuito a produrre autentico “valore”, semmai l’illusione del valore di qualcosa che non esiste. E in questo senso l’unico vero proletariato, al di là delle balzane teorizzazioni degli ultimi trenta o quarant’anni, collegato al settore è stato quello direttamente coinvolto nella produzione manuale di apparecchi elettronici e della componentistica ad essi collegata (programmi compresi) .

La crisi di SVB ci conferma tutto questo3, ma ci annuncia anche la fine di un sogno: produrre valore e ricchezza senza passare dal lavoro manuale, senza produrre alcunché di materiale, sostanzialmente, come è successo in molti casi e in particolare in quello di Musk, vendendo fuffa e muffa ideologica.
Infine riporta alla luce il “paradosso di Solow”, economista statunitense che aveva ricevuto il premio Nobel nel 1987 per i suoi contributi alla teoria della crescita economica, in cui si sosteneva che «i computer si vedono ovunque, tranne che nell’aumento di produttività»4.

Certo oggi l’industria del riarmo, verso cui tutti i maggiori stati si stanno orientando, sembra promettere, in una prospettiva neppur troppo lunga, maggiori e più solidi guadagni, insieme ai titoli di stato necessari per finanziarla, e così la “concretezza” della materia militare, in tutti i sensi, riprende il sopravvento sulla leggerezza della già invecchiata new economy caratterizzata dalla produzione “immateriale”. E questo no va separato da ciò che il presidente francese ha fatto a proposito di riforma delle pensioni.

Nel gioco degli equilibri economici dello Stato, la recente promessa macroniana di giungere ad un investimento di 200 miliardi di euro per il rinnovo degli equipaggiamenti delle forze armate e della loro riorganizzazione in chiave più moderna, accompagnata da un accenno alla possibile reintroduzione della leva obbligatoria, non può preveder un costo zero. Costo che, naturalmente, è destinato fin da oggi, e come sempre, a ricadere integralmente sulle spalle dei contribuenti, dei lavoratori, dei giovani, delle donne e di chi vive al margine tra disoccupazione e “lavoro illegale”. Rendendo impossibile al “Mario Antonietto” di turno anche la semplice offerta di brioches per placare l’ira dei cittadini.

Ecco, allora, che, sì, per l’opposizione di classe occorre fare come in Francia.
La lotta sociale diffusa, testarda, ad oltranza e senza sconti per gli avversari è l’unica forma di lotta che il capitalismo attuale ci obbliga ad esercitare. Sia per le rivendicazioni sociali che per l’opposizione ai sacrifici che già ci vengono imposti per la guerra. Approfittiamone, dimostrando così che lotta contro il capitale e i suoi funzionari e contro la guerra sono, nella sostanza, la stessa cosa5, poiché ogni lotta sociale di queste dimensioni mette per forza di cosa in discussione e in crisi l’iniziativa del capitale. Fosse anche, per l’appunto, la guerra.

Le condizioni materiali di esistenza e non le idee; i rapporti tra le classi e non i discorsi politically correct segnano il cammino della Storia e delle rivoluzioni. Oggi possiamo trovarci sull’orlo di un baratro (guerra mondiale generalizzata) oppure di un nuovo domani tutto da inventare. I compagni e le compagne francesi, ancorché inconsapevoli, sono già costretti a porsi il problema (qui) sotto l’urgenza del divenire e dell’azione collettiva. Facciamo sì che quella francese diventi la nuova epidemia destinata a sconvolgere l’ordine europeo del capitale.


  1. S. Moiso (a cura di), Guerra civile globale. Fratture sociali del terzo millennio, Il Galeone Editore, Roma 2021  

  2. Va qui ricordato che proprio intorno al discorso sul costo della spesa per le pensioni si realizzò nel 2011, qui nella democratica Italia, una sorta di autentico colpo di Stato tecnocratico per mezzo del governo Monti, all’epoca incensato dalla Sinistra in chiave anti-berlusconiana, e la cosiddetta riforma Fornero.  

  3. “Apple, Microsoft, Amazone Web Services (branca di Amazon legata allo sviluppo del Cloud, dei micro servizi software e dell’internet delle cose, che fornisce alla intera multinazionale percentuali di utile netto decisamente superiore di quello derivante dal colossale fatturato della parte logistica e dell’e-commerce), Google, Oracle, Salesforce, IBM, ed Intel – in sostanza quasi tutte le big corporate strategiche della new digital economy – sono agli inizi di una crisi profonda.
    Prima del fallimento della Silicon Valley Bank, tutte queste grosse multinazionali ad inizio 2023 hanno avviato una massiccia ristrutturazione fatta di licenziamenti di massa nei loro settori chiave della ricerca e sviluppo, come già avevano preannunciato nel corso del passato autunno. Una operazione che impatterà 120 mila posti di lavoro in California appunto nel settore informatico, dell’internet delle cose, nel Cloud computing e nella ricerca software e digitale. Amazon (nel settore AWS), Google, Microsoft, Salesforce, stanno eseguendo licenziamenti pari al 15% della forza lavoro, Apple al momento sta tagliando tutte le forniture di subappalto con software house terze parti e l’aria che tira che questo non basterà a salvare i lavoratori diretti. Twitter appena acquistata da Elon Musk subirà un ridimensionamento pari al 50% della forza lavoro impiegata. Intel si trova immediatamente costretta a tagliare rispettivamente le compensation dei manager ed i salari dei dipendenti rispettivamente del 15%, del 10% per i quadri e del 5% per gli altri tecnici informatici, mentre annuncia i primi esuberi al momento contenuti.
    Che probabilità di successo avranno le cosiddette Startup della new economy e della tecnologie che da questa catena dipendono? Che prospettive di valorizzazione potevano avere quei capitali depositati e per le operazioni di finanziamento nella fu Silicon Valley Bank?” qui  

  4. L’autore del presente articolo deve questa osservazione ad Alberto Airoldi e al suo romanzo Sugar Mountain. Il brusco risveglio, Casa Editrice Leonida, Reggio Calabria 2022, p.29  

  5. Per questo motivo, alcuni commentatori della stampa italiana dovrebbero forse, e per vantaggio della loro stessa causa, esimersi dall’esprimere in prima pagina idee superficiali e riduttive come questa: “Proprio Macron, ieri, ha spiegato la differenza tra populismo e politica: la sovranità appartiene al popolo elettore, non al popolo in tumulto. Il populismo si mette dietro al popolo in tumulto, il politico si mette davanti al popolo elettore, là dove è stato messo dal popolo sovrano”, M. Feltri, Mario Antonietto, «La Stampa», 23 marzo 2023. Tra l’altro straordinariamente in linea con quanto espresso dall’ormai vieux, più che nouveau, philosophe Bernard Henri-Lévy in un suo articolo su «Repubblica», del 25 marzo, dall’allarmistico titolo: Una protesta giusta sfociata in violenza: la Francia rischia l’autodistruzione.  

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Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta. https://www.carmillaonline.com/2023/02/19/dal-bunga-bunga-al-festival/ Sun, 19 Feb 2023 21:00:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76167 di Sandro Moiso

La recente assoluzione del Cavaliere da cabaret non può stupire più di tanto, pertanto l’autore di queste righe non si protrarrà nel ricordare gli eventi e le polemiche che hanno accompagnato la vicenda. Già fin troppo tempo si è speso su un terreno che di opposizione politica reale ben poco aveva ma che, in compenso, è servito da paravento per segnare un passaggio epocale di tanta sinistra italica da una posizione di carattere ancora socialdemocratico ad una persa tra le spirali del liberalismo salottiero e moralista, oltre che economico, [...]]]> di Sandro Moiso

La recente assoluzione del Cavaliere da cabaret non può stupire più di tanto, pertanto l’autore di queste righe non si protrarrà nel ricordare gli eventi e le polemiche che hanno accompagnato la vicenda. Già fin troppo tempo si è speso su un terreno che di opposizione politica reale ben poco aveva ma che, in compenso, è servito da paravento per segnare un passaggio epocale di tanta sinistra italica da una posizione di carattere ancora socialdemocratico ad una persa tra le spirali del liberalismo salottiero e moralista, oltre che economico, destinate soltanto a far smarrire qualsiasi riferimento alla guerra tra le classi e ai bisogni materiali delle fasce sociali meno abbienti della società.

Sì, le lunghe “battaglie”, soprattutto mediatiche, condotte sulle “malefatte” di un premier autentico erede del Marchese del Grillo, intravisto nel nostro futuro più che nel passato nazionale da quel geniaccio cinematografico che rispondeva al nome di Mario Monicelli, avranno pure alimentato tanta ironia, anche sulle pagine di «Carmillaonline» attraverso le “Schegge taglienti” di Alessandra Daniele, ma, soprattutto, sono servite a diffondere una tendenza al moralismo e al giustizialismo che, dopo aver rinvigorito l’immagine di Marco Travaglio e del suo giornale e aver costituito le fondamenta dei “Vaffa Day” di Beppe Grillo, che hanno preceduto l’entrata in scena del Movimento 5 Stelle, ha cancellato, o almeno ha cercato di farlo, ogni riferimento al fatto che la battaglia politica, soprattutto se condotta da Sinistra, dovrebbe fondare le sue radici nelle contraddizioni reali del modo di produzione capitalistico. E non nelle sue platoniche ombre mediatiche.

Si dice che Antonio Ricci, ideatore di tanta tv berlusconiana, dai tempi di Drive In e Lupo Solitario fino ai tutt’ora inossidabili Striscia la notizia e Paperissima, sia da sempre appassionato ammiratore e collezionista di tutto quanto riguardi il Maggio francese e il Situazionismo. Così da far pensare che di quella significativa esperienza critica possa esser diventato uno dei legittimi eredi. Portando lo spettacolo ad essere l’unico elemento di riferimento per qualsiasi critica sociale e politica e rovesciando la rabbia della critica nel sorriso, nemmeno acido, dello spettacolo d’intrattenimento. Tanto da poter dire che se Bonaparte fu l’esecutore testamentario della Rivoluzione francese, così Ricci, si scusi il paragone un po’ azzardato sul piano storico e delle dimensioni effettive dei personaggi e degli eventi, lo è stato altrettanto in Italia per le intuizioni di Guy Debord sulla Società dello spettacolo.

Passato dalle collaborazioni con Beppe Grillo a quella più lunga, solida e, probabilmente, meglio remunerata col Cavaliere di Monza, l’autore televisivo, dopo essersi fatto le ossa in Rai, ha potuto scatenare il suo estro in una serie di programmi che hanno abituato il pubblico a reagire con lo sghignazzo e la battuta a qualsiasi evento politico e sociale. Trasformando così ogni evento in un puro e semplice spettacolo satirico. Anche se dai tempi di Lupo Solitario e dei gemelli Ruggeri, ivi transitati dal cabaret insieme a Patrizio Roversi e Syusy Bladi, e dell’ironica critica al socialismo reale raffigurato nell’immaginaria terra di Kroda, a quelli del Tapiro d’oro di Striscia la notizia e degli involontari capitomboli di Paperissima, qualcosa si è perso per strada. Soprattutto in termini di originalità.

Ma poco importa poiché, per i motivi appena menzionati, forse, si dovrebbe affermare che il vero artefice e stratega dei successi berlusconiani, compresi quelli processuali, sia da individuare proprio in colui che del détournement situazionista ha fatto la sua carta vincente e il grimaldello per scassinare una comunicazione “politica” già da tempo imbalsamata. Il rovesciamento, l’uso obliquo dei significati e dei fatti ha infatti finito col costituire il motore e il motivo delle narrazioni politiche italiane, certo non soltanto a partire dall’epoca berlusconiana, ma che in quest’ultima ha trionfato.

Soprattutto a Sinistra.
Un trionfo del rovesciamento che ha fatto sì che oggi gran parte del cosiddetto elettorato, ma anche chi scrive, non sappia più cosa significhi concretamente in politica il termine “sinistra”. Troppo volubile, troppo espandibile, troppo ambiguo e, come si sa, il troppo stroppia.

Una Sinistra istituzionale ammaliata dai salotti dei talk show televisivi. Una Sinistra per cui il look e l’apparenza hanno trionfato sui contenuti, così come dimostrano ancora le immagini di quella parte della stessa che esultava trionfante alla vista del Cavaliere che lasciava Palazzo Chigi nel 2011. Soltanto per sottomettersi, poi, al successivo governo Monti, lanciato in tv come salvatore della patria, non lo si dimentichi mai, proprio da Pier Luigi Bersani, e alla riforma Fornero delle pensioni. Senza nemmeno lontanamente accennare a ciò che oggi, per un tipo di riforma simile ma tutto sommato più leggera (64 anni invece di 67 per la pensione di vecchiaia) sta accadendo nelle strade e nelle piazze francesi.

Una Sinistra, infine, che si affida ai messaggi social e alle prediche vuote del Festival di Sanremo, durante il quale lo spettacolo di nani e ballerine di craxiana memoria si è ripetuto su grande scala e con un audience elevatissima. Liberalismo da strapazzo che, tra fiori che volavano per i calci di Blanco e le finte provocazioni di Rosa Chemical, Fedez e dei Maneskin, si è ammantato di “impegno civile” per mezzo dei discorsi stantii e retorici di Benigni; di un femminismo che non è riuscito nemmeno a elevarsi al livello dell’hollywoodiano “Me Too” (già piuttosto deludente rispetto ad un serio discorso sulla questione delle reali condizioni sociali e famigliari di milioni di donne); della superficiale lamentatio antirazzista e di mille altre banalità di base scambiate per discorsi “seri” e “impegnati”.

Discorsi del tutto simili a quelli contenuti nei programmi del PD che un altro uomo di spettacolo, Fiorello, ha definito “discorsi ad minchiam” dopo essersi imbattuto in un articolo dell’Adnkronos riguardante “i caratteri del nuovo partito nella quattro mozioni”, nel quale si citava testualmente: «Il nuovo Pd dovrà essere ‘aperto’, ‘inclusivo’ e ‘di prossimità’. Ma anche ‘paritario’, magari con una ‘cosegreteria’ o comunque con vertici ‘duali’ uomo/donna, e mai più ‘verticista’».

Il successo di tanto chiacchiericcio inutile e vuoto, tutt’altro che classista, si è visto, ad esempio nel calo dei tesserati del PD, sul quale pesano nonostante tutto anche le false tessere campane, la scarsa attenzione per il suo congresso (soprattutto nelle sezioni di tradizione “operaia”) e nel risultato delle votazioni regionali di Lazio e Lombardia in cui, guarda caso, il vero vincitore è stato l’astensionismo. Un astensionismo cosciente, non nel senso politico ma di rabbia e disgusto volutamente espresso attraverso il non voto. Come ha ammesso Stefano Fassina in un articolo dell’«Huffington Post» del 16 febbraio scorso:

Un’astensione con un nettissimo segno di classe. A tal proposito, le analisi delle precedenti tornate elettorali, amministrative e politiche sono inequivocabili. In attesa della scomposizione sociale del voto del 12-13 febbraio scorso, ne troviamo chiara conferma nell’affluenza a Roma, dove la quota di votanti in ciascun Municipio è direttamente proporzionale al reddito medio in esso registrato. […] In sintesi brutale, chi ha più bisogno di politica sta lontano dalla politica e, quando si avvicina alla politica, sta lontano dalla sinistra ufficiale…

Astensionismo che segnala anche, però, la possibilità di una rinascita futura di movimenti spontanei dal basso, poco ideologizzati e ancor meno inquadrabili ai fini dell’ormai cadaverico parlamentarismo. Manifestazione di uno scontento diffusissimo, giovanile e non, operaio e non, femminile e non, che per forza di cose dovrà, in forme ancora tutte da definire, rivolgersi contro l’attuale sistema di valori “condivisi” e di sfruttamento diffuso, mal retribuito e spietato del lavoro salariato. In sostanza, contro il capitale e le sue guerre sociali e militari.

Per ora, Berlusconi ha vinto e si sfrega ancora una volta le mani felice. Ma non ha vinto per i cavilli legali utilizzati dai suoi abili avvocati e nemmeno per le crepe apertesi nella magistratura e nel suo lavoro. Sempre fin troppo efficiente nei confronti di anarchici e No tav. Anche se Marco Travaglio potrà piangere ancora su puttanieri scagionati e giudici minacciati, mentre ancora qualche giorno fa il suo giornale mostrava un’immagine di prima pagina in cui alle spalle di Alfredo Cospito si proiettavano le ombre dei mafiosi, sbandierando il suo giustizialismo “tradito” nelle aule di tribunale e parlamentari.

Silvio Berlusconi rimane l’autentico vincitore di Sanremo, tant’è vero che del, tutt’altro che monolitico, blocco di centro-destra è stato l’unico a non iniziare la tiritera opposta su foibe, famiglia e droga. Perché sapeva di aver vinto, insieme ad un Guy Debord rovesciato nel suo contrario (com’è destino di ogni teorico del détournement), quando ha visto il Presidente della Repubblica inchinarsi davanti allo spettacolo e alle sue implacabili leggi. In nome dei discorsi di “impegno civile”. Mentre, Zelensky, nel ruolo di fantasma europeo, poteva soltanto aggirarsi ma non manifestarsi di persona sul palco dell’Ariston.

Dunque, dopo tanti anni, missione compiuta per il Cavaliere. Con la Sinistra istituzionale definitivamente rovesciata nel contrario di ciò che avrebbe dovuto essere e “rifondata” a immagine e somiglianza del glamour dei programmi Mediaset.
The king is dead, long live the king!
Anche se all’orizzonte già si delinea il volto confuso di uno strano soldato…

APPENDICE

Si allega qui di seguito, per dover di cortesia e non per altro, la precisazione richiesta all’autore dall’Ufficio Stampa di Striscia la notizia.

PRECISAZIONE CON RICHIESTA DI PUBBLICAZIONE

Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta.

Gentile Sandro Moiso,

abbiamo letto il suo pezzo “Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta”, apparso su Carmillaonline.com il 19 febbraio. Superata una certa sorpresa nell’assistere al divertente e creativo tentativo di collegare l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo “Ruby ter” al Festival di Sanremo 2023 e all’impatto sul linguaggio televisivo (e non solo) avuto da Striscia la notizia e dai programmi di Antonio Ricci, ci teniamo a precisare alcuni punti che ci sembrano decisivi.

Drive In, come d’altra parte anche Lupo solitario, che lei cita, è stato un programma innovativo, libero e libertario. Era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell’epoca: un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi degli anni 80. Una parodia dell’Italia di quegli anni esagerati, del riflusso, dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere. Omar Calabrese, Luciano Salce, Giovanni Raboni, Federico Fellini, Umberto Eco, Oreste Del Buono, Angelo Guglielmi e tanti altri intellettuali dell’epoca la definirono «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» o «l’unico programma per cui vale la pena di avere la tv».

È andato in onda dal 1983 al 1988, quindi molti anni prima della fondazione di Forza Italia e non ha nulla a che fare con l’impegno politico diretto di Silvio Berlusconi.

E seppure, come scrive lei, a Striscia la notizia, che è nata nel 1988, a volte si ride, è pure vero che non è sempre così. Si ride pochissimo quando, come in questi giorni, si mandano in onda immagini delle violenze dentro il CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Palazzo San Gervasio, delle gabbie in cui vengono rinchiusi gli “ospiti” della struttura, delle fascette di contenzione, della “terapia” a base di sedativi che alcuni di loro sono costretti a prendere. Tanto più che Striscia la notizia è l’unica voce di denuncia, nell’indifferenza generale della stampa nazionale. A Striscia si ride pochissimo anche quando salta in aria l’auto dell’inviata da Palermo, Stefania Petyx, che tra i tanti servizi contro le mafie ne ha realizzato uno a Corleone, proprio sotto la casa di Totò Riina. O quando in redazione arriva un pacco bomba o quando viene data alle fiamme la casetta di un inviato. Si ride pure pochissimo quando si denunciano magagne, errori, inefficienze del nostro Paese e lo si fa senza riguardi per le più importanti imprese pubbliche e private, dall’Eni a Fca, a Telecom, e per questo si accumulano più di 400 vertenze legali, e neppure quando si indaga sulle acque minerali, i supermercati, le grandi aziende che talvolta sono sponsor della rete televisiva che manda in onda il programma. È chiaro che tutti noi (lei compreso) potremmo sempre fare di più. Ci proviamo, spesso non ci riusciamo e aumenta il disincanto nel constatare che una risata, anche finta, non seppellirà nessuno.

Con i nostri più cordiali saluti

L’ufficio stampa di Striscia la notizia

P.S. Antonio Ricci non ha mai firmato esclusive di alcun genere con nessuna rete proprio per avere la più grande autonomia possibile.

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