pubblicità – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La voce del padrone https://www.carmillaonline.com/2020/08/16/la-voce-del-padrone/ Sun, 16 Aug 2020 20:00:58 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62200 di Alessandra Daniele

Nella pubblicità le banche sono generose. Il prosciutto è dietetico. La plastica è ecologica. La Chiesa Cattolica è povera. Nella pubblicità le automobili si materializzano in un attimo, sbucando direttamente dalla realtà virtuale, mentre i biscotti vengono preparati a mano uno per uno personalmente dal fornaio. Nella pubblicità tutti hanno un lavoro sicuro e gratificante, e un giardino enorme dove pranzare all’aperto in trenta. La pubblicità mente, e nessuno s’indigna. C’è qualche segnalazione di “pubblicità ingannevoli”, ma in realtà tutta la pubblicità è ingannevole. E nessuno si aspetta il contrario. Nessuno s’aspetta che uno spot dica “Questo petto [...]]]> di Alessandra Daniele

Nella pubblicità le banche sono generose. Il prosciutto è dietetico. La plastica è ecologica. La Chiesa Cattolica è povera.
Nella pubblicità le automobili si materializzano in un attimo, sbucando direttamente dalla realtà virtuale, mentre i biscotti vengono preparati a mano uno per uno personalmente dal fornaio.
Nella pubblicità tutti hanno un lavoro sicuro e gratificante, e un giardino enorme dove pranzare all’aperto in trenta.
La pubblicità mente, e nessuno s’indigna.
C’è qualche segnalazione di “pubblicità ingannevoli”, ma in realtà tutta la pubblicità è ingannevole.
E nessuno si aspetta il contrario.
Nessuno s’aspetta che uno spot dica “Questo petto di pollo non è un petto di pollo. È una specie di polpetta fatta al 20% di carcasse macinate, il resto è farina di mais e olio di palma. Il pollo sei tu, se la mangi”.
Nessuno chiede alla pubblicità di essere sincera.
Eppure questo flusso inarrestabile di suadenti cazzate che ci scorre addosso costantemente, che invade ogni spazio mediatico, che interrompe, frantuma e disarticola ogni programma TV che guardiamo, che ha sempre la precedenza su qualsiasi argomento in discussione, che non si ferma neanche durante le peggiori crisi, e anzi ne approfitta, le sfrutta, se ne serve, questo flusso è la spina dorsale del drago.
È il volto del vero nemico.
La pubblicità è l’unico programma che non può essere interrotto.
La pubblicità è tassativa.
È la voce del padrone.

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Hanno la faccia come il Covid https://www.carmillaonline.com/2020/04/19/hanno-la-faccia-come-il-covid/ Sun, 19 Apr 2020 20:00:51 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=59476 di Alessandra Daniele

“Gli ufficiali tornino ai loro uffici, gli schiavi alle loro schiavitù. E se sapete un inno, intonatelo” – Alberto Sordi,  Due notti con Cleopatra 

È la Ripartenza. Mentre gli esperti embedded blaterano di plateau come cuochi, e si continua a morire a centinaia nella Lombardia dell’orrore degli ospizi-lazzaretto, e in tutto il Nord dove non c’è mai stato nessun reale lockdown delle attività produttive, già Confindustria e Confcommercio scalpitano per riaprire anche quel poco che è stato chiuso, con la complicità di politici ed esperti embedded che hanno la faccia [...]]]> di Alessandra Daniele

“Gli ufficiali tornino ai loro uffici, gli schiavi alle loro schiavitù. E se sapete un inno, intonatelo” – Alberto Sordi,  Due notti con Cleopatra 

È la Ripartenza. Mentre gli esperti embedded blaterano di plateau come cuochi, e si continua a morire a centinaia nella Lombardia dell’orrore degli ospizi-lazzaretto, e in tutto il Nord dove non c’è mai stato nessun reale lockdown delle attività produttive, già Confindustria e Confcommercio scalpitano per riaprire anche quel poco che è stato chiuso, con la complicità di politici ed esperti embedded che hanno la faccia da Covid di attribuire i dati negativi a fantomatici “contagi avvenuti in famiglia”.
Attilio Fontana The Mask guida i governors leghisti annunciando una Fase Due all’insegna delle Quattro D (come la pellagra): Distanza, Digitalizzazione, Diarrea e Demenza.
Intanto al governo, PD e Movimento 5 Stelle si preoccupano di spartirsi le poltrone ai vertici delle partecipate statali. La partita delle nomine s’è giocata a porte chiuse.
Bisognerà smettere di citare I Promessi Sposi, le epidemie vere non finiscono come la Peste manzoniana, non sono i Don Rodrigo a morire, nessun Innominato si pente, piuttosto continuano a curare i loro affari insieme, mentre l’Azzeccagarbugli si dedica alle conferenze stampa in Tv.
Non sarà la Provvidenza manzoniana a salvarci, né l’UE del MES, Miliardi Europei a Strozzo, né “Il sole dell’Italia che non si arrende mai” come flauta melenso lo spot del cibo per cani, che arricchisce Urbano Cairo, insieme a quello dello yogurt che “rinforza le difese immunitarie”, e al condizionatore che “purifica l’aria”.
Bisognerà smetterla con questa anosmia che ancora a troppi impedisce di sentire tutta la puzza delle stronzate d’una classe dirigente di scarafaggi stercorari, e d’un sistema socio-economico di merda che ci sta letteralmente soffocando a morte.
E che strozzerà i superstiti con la recessione. Usando il distanziamento e il tracciamento anti-contagio come strumenti di controllo sociale.
Bisognerà imparare a salvarsi da soli.
E poi, ci chiameranno Provvidenza.

“- What genre is this?
– It’s reality, man”
Westworld, 3X05

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Il Continuum di Omnibus https://www.carmillaonline.com/2019/10/20/il-continuum-di-omnibus/ Sun, 20 Oct 2019 21:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=55500 di Alessandra Daniele

“Stiamo per subire un altro genocidio” dice la combattente curda, in collegamento con La7. Il conduttore di Omnibus l’interrompe: “Dobbiamo mandare la pubblicità”. È successo davvero. La denuncia d’un imminente genocidio non cambia niente. Deve aspettare. La priorità è la merce. Automobili, frullini, merendine, materassi. “Chi dice che le vacanze finiscono a settembre?” Chi deve tornare a lavorare. “Con soli 240€ potrai acquistare Evolatex”. Il materasso eugenetico. “Non seguire, fatti seguire”. Da uno bravo. Skyline scintillanti, chirurghi olografici, sorrisi perfetti. È il Continuum di Gernsback dell’hard sci-fi anni ’30, [...]]]> di Alessandra Daniele

“Stiamo per subire un altro genocidio” dice la combattente curda, in collegamento con La7. Il conduttore di Omnibus l’interrompe: “Dobbiamo mandare la pubblicità”.
È successo davvero.
La denuncia d’un imminente genocidio non cambia niente. Deve aspettare. La priorità è la merce.
Automobili, frullini, merendine, materassi.
“Chi dice che le vacanze finiscono a settembre?”
Chi deve tornare a lavorare.
“Con soli 240€ potrai acquistare Evolatex”.
Il materasso eugenetico.
“Non seguire, fatti seguire”.
Da uno bravo.
Skyline scintillanti, chirurghi olografici, sorrisi perfetti.
È il Continuum di Gernsback dell’hard sci-fi anni ’30, di cui parla William Gibson nel suo racconto omonimo.
Il futuro fittizio ancora adoperato per piazzarci tutte quelle variopinte stronzate, col riso e senza lattosio, che ci tengono buoni nelle nostre gabbiette.
Giocattoli per bambini decrepiti ma incapaci di crescere, bambini vampiri.
Vittime e complici d’un modello socio-economico che non ammette eccezioni. Non ammette eresie, come quella curda.
Un modello basato sul genocidio.
La priorità è la merce.
Sono stata nel ventre della Bestia. Ci siamo stati tutti. Supermarket, Superstore, Shopping center, Centro commerciale di gravità permanente: ha centinaia di nomi, e miliardi di fauci, fisiche e virtuali.
Ha miliardi di occhi, che ci guardano dagli schermi che teniamo in mano.
Ci ha ingabbiato in un timeloop, come criceti nella ruota, con uno scintillante futuro irraggiungibile appeso davanti al naso. E una pistola alla testa.
Stiamo per subire un altro genocidio.
Ma prima, pubblicità.

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La regola che conferma la regola https://www.carmillaonline.com/2019/04/07/la-regola-che-conferma-la-regola/ Sun, 07 Apr 2019 21:00:24 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=51958 di Alessandra Daniele

C’è una regola aurea che vale sia in amore che in politica: chi ti dà sempre ragione vuole fotterti. Sia che venga da destra, dal centro, dalla sinistra (o presunta tale) da una Chiesa, dalla Rete, dai movimenti reali o virtuali, chi ti dà sempre ragione, anche (e soprattutto) quando palesemente hai torto, vuole fotterti. Chi ti dice che il tuo è il paese più bello del mondo, che hai tutto il diritto di odiare i profughi (africani) perché il tuo padroncino (brianzolo) sfrutta te (e loro), chi ti applaude sia quando fai la raccolta differenziata che quando bruci [...]]]> di Alessandra Daniele

C’è una regola aurea che vale sia in amore che in politica: chi ti dà sempre ragione vuole fotterti.
Sia che venga da destra, dal centro, dalla sinistra (o presunta tale) da una Chiesa, dalla Rete, dai movimenti reali o virtuali, chi ti dà sempre ragione, anche (e soprattutto) quando palesemente hai torto, vuole fotterti.
Chi ti dice che il tuo è il paese più bello del mondo, che hai tutto il diritto di odiare i profughi (africani) perché il tuo padroncino (brianzolo) sfrutta te (e loro), chi ti applaude sia quando fai la raccolta differenziata che quando bruci i cassonetti, chi dà sempre a qualcun altro – gli stranieri, i banchieri, i tappezzieri – la colpa delle cazzate che combini, vuole fotterti.
Salirti sulla testa, e usarti come gradino per arrivare al successo, al denaro, al potere.
Chi ti blandisce, ti adula, ti istiga, ti giustifica, alimenta i tuoi istinti più bassi e le tue speranze più assurde, chi ti dice sempre quello che vuoi sentire, scrive sempre quello che vuoi leggere, e sostiene sempre tutte le stronzate che preferisci credere, sta cercando di fotterti.
Si dice che i sovranisti siano invisi al capitale.
È una stronzata.
Il capitale adora i sovranisti, perché dirottano la rabbia popolare su capri espiatori e bersagli simbolici, e mantengono comunque le masse all’interno del recinto dell’economia di mercato che è la vera causa della loro miseria.
Inoltre uno spezzatino di nazioni isolate e litigiose è la preda ideale per l’imperialismo politico-economico delle grandi potenze.
Come s’è visto, il talento dei grillini negli affari coll’estero è credibile quanto il loro antifascismo.
Di Maio che s’accorge improvvisamente delle inclinazioni fasciste di Salvini è credibile quanto quelle mogli che sostengono di non essersi mai accorte di nulla mentre il marito abusava sistematicamente dei loro figli. Di solito il magistrato non se la beve.
Si dice che la famiglia tradizionale sia invisa al capitale.
È una stronzata.
Il capitale adora la famiglia – di qualsiasi tipo – perché consuma più dei single. Chi ha famiglia compra pannolini, vestitini, libri scolastici, giocattoli, compra più elettrodomestici, più mobili, più cellulari, chi ha famiglia compra appartamenti e automobili familiari.
Chi ha figli da mantenere è più disponibile a farsi sfruttare.
Tutti gli spot pubblicitari ritraggono famiglie felici e numerose. Il familismo non è solo un veicolo per vendere prodotti, è il primo prodotto che viene venduto.
Se non hai ancora i soldi per mettere su famiglia non è perché il capitale ti voglia single, ma perché sa che pur di guadagnarli lavorerai ancora di più, e rinuncerai anche a quei pochi diritti che ti sono rimasti.
Chi ti dice che hai ragione a credere alle stronzate altrui, sta cercando di farti credere anche alle sue.
Che sia un filosofo (o presunto tale), un trapper, un influencer, o un ministro (o presunto tale) la regola non ha eccezioni. Chi ti dà sempre ragione vuole fotterti.

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Say My Name https://www.carmillaonline.com/2018/01/28/say-my-name/ Sun, 28 Jan 2018 18:00:19 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=43005 di Alessandra Daniele

I più giovani non lo ricordano, ma c’è stato un tempo in cui “socialista” non significava ”ladro”, “Sinistra” non significava “Destra”, “libertà” non significava “Berlusconi”. Oggi ce ne stiamo seduti davanti alla Tv a mangiare la nostra zuppa surgelata, che non si chiama né zuppa, né surgelata, ma qualcosa tipo “Viva L’Amore” o “Baciami Ancora”, e guardiamo Berlusconi chiamare “comunista” un partito che ha abolito l’articolo 18, e “buonista” un governo che finanzia campi di concentramento. Poi parte la pubblicità di “Morgana, la poltrona vegana” che dice [...]]]> di Alessandra Daniele

I più giovani non lo ricordano, ma c’è stato un tempo in cui “socialista” non significava ”ladro”, “Sinistra” non significava “Destra”, “libertà” non significava “Berlusconi”.
Oggi ce ne stiamo seduti davanti alla Tv a mangiare la nostra zuppa surgelata, che non si chiama né zuppa, né surgelata, ma qualcosa tipo “Viva L’Amore” o “Baciami Ancora”, e guardiamo Berlusconi chiamare “comunista” un partito che ha abolito l’articolo 18, e “buonista” un governo che finanzia campi di concentramento.
Poi parte la pubblicità di “Morgana, la poltrona vegana” che dice “Affrettati, l’offerta è limitata nel tempo”, e lo dice da 3 anni.
Dallo smartphone scopriamo d’avere un nuovo “amico” sul social, e ci chiediamo “Ma questo chi cazzo è?” Il nome non ci dice niente.
D’altronde, nessun nome dice più niente.
Il giornale di Belpietro si chiama “La Verità”. Il partito della Lorenzin si chiama “Popolare”. Lo straccio per i pavimenti si chiama “Revolution”. E la poltrona è vegana. In effetti, chi si siederebbe su una poltrona carnivora?
Il partito che ci governa da più di 6 anni, avendo perso tutte le elezioni nazionali e amministrative degli ultimi 6 anni, si prepara a continuare a governarci anche dopo aver perso le prossime.
Si chiama Partito Democratico.
Poi ci sono i grillini, ma senza Grillo.
Il Savonarola del Vaffanculo, che fu perfetto per catalizzare il voto di protesta, è incompatibile con la nuova immagine moderata e responsabile del M5S. Il volto del Movimento adesso è Di Maio, col suo cravattone, e il suo perenne ghigno berluschino da yuppie anni ’90.
Ad una ad una, sulla strada verso l’eventuale governo, il M5S ha perduto tutte le caratteristiche che lo facevano sembrare diverso.
Con una serie di slide, il candidato premier Cinquestelle ha presentato il programma elettorale: Meno Tasse Per Tutti, ed ha aperto alle alleanze dopo il voto, purché chiamate con un altro nome, qualcosa tipo “Viva L’Amore” o “Baciami Ancora”.
Poi ha promesso che non distribuirà poltrone in cambio.
O forse saranno poltrone vegane.

Chi controlla il significato delle parole, controlla la realtà, avvertiva Philip K. Dick.
È ancora Berlusconi a dare il nome alle cose, e a Bruxelles chi prima gli rideva in faccia, adesso gli lecca il culo.
È ancora Berlusconi il Cuoco?
Sarà comunque la stessa zuppa. Finché non saremo capaci di fare uno straccio di revolution.

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Azienda Italia https://www.carmillaonline.com/2017/11/26/azienda-italia/ Sun, 26 Nov 2017 19:14:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41848 di Alessandra Daniele

Il premier prende la parola davanti al Parlamento. – Come sapete, ancora una volta il responso delle urne è stato così incerto da rendere necessaria un’ampia coalizione di forze disomogenee per garantire la governabilità. Il mio esecutivo intende tenere fede agli impegni nazionali e internazionali che ci attendono, come illustrerò nel mio programma. Ma adesso, pubblicità. I parlamentari si guardano attorno con aria perplessa. Un megaschermo cala alle spalle del premier, e si accende. “Aula sorda e grigia? Elimina il grigio con True Dimension! – Dice garrula la bionda sullo schermo – [...]]]> di Alessandra Daniele

Il premier prende la parola davanti al Parlamento.
– Come sapete, ancora una volta il responso delle urne è stato così incerto da rendere necessaria un’ampia coalizione di forze disomogenee per garantire la governabilità. Il mio esecutivo intende tenere fede agli impegni nazionali e internazionali che ci attendono, come illustrerò nel mio programma. Ma adesso, pubblicità.
I parlamentari si guardano attorno con aria perplessa. Un megaschermo cala alle spalle del premier, e si accende.
“Aula sorda e grigia? Elimina il grigio con True Dimension! – Dice garrula la bionda sullo schermo – Senza ammoniaca, senza siliconi, senza parabeni, copre la ricrescita, e garantisce la rielezione!”
La confezione di tintura piroetta in una nuvola di capelli digitalizzati. Poi lo schermo si spegne. Il premier commenta
– Avete assistito a una delle nostre iniziative indirizzate alla riduzione dei costi della politica, e al risanamento del bilancio: la sponsorizzazione delle sedute parlamentari.
Lo schermo si riaccende. Compare una bruna.
“Aula sorda e grigia? Il calo dell’udito è un fenomeno che non dovete sottovalutare – mostra un oggettino di plastica – l’amplificatore Lost è quasi invisibile, perché si nasconde quasi completamente nel vostro condotto uditivo. Non rischierete più di perdervi i mormorii dei vostri avversari. Lost è la soluzione per voi!”
La camera zooma sull’amplificatore. Lo schermo si spegne di nuovo.
I parlamentari rumoreggiano. Il premier riprende la parola.
– Colleghi, vi invito ad aprire la scatola che sta davanti a voi sui vostri banchi.
I parlamentari eseguono incuriositi. Ne estraggono delle magliette ricoperte di marchi.
– La sponsorizzazione degli eletti è la nostra seconda iniziativa. Queste maglie andranno indossate durante tutte le sedute parlamentari, in particolare quelle riprese dalla TV.
L’aula reagisce con un boato. Qualcuno ride, qualcuno protesta ad alta voce. Il presidente scampanella ripetutamente. Il premier continua.
– Questa è la condizione indispensabile al pagamento degli stipendi e dei vitalizi.
Il vocio si spegne. Cala un silenzio imbarazzato, rotto solo da qualche protesta fra i banchi dell’opposizione. Alcuni s’infilano le magliette, altri si limitano ad appoggiarsele sulle spalle.
– Come noterete, le maglie sono tutte dello stesso colore. L’unità del paese in questo frangente deve prevalere sulle divisioni ideologiche. Ma veniamo adesso alla squadra di governo.
Il megaschermo si riaccende. Compaiono in sequenza i nuovi ministri, ognuno con la maglia del proprio sponsor.
– Sono tutti imprenditori – commenta un deputato.
– Non tutti. Il ministro dell’Interno è lo stesso del precedente governo, in ragione degli ottimi risultati ottenuti nella riduzione dei flussi migratori. Inoltre il ministero degli Esteri è stato accorpato a quello degli Interni per una maggiore coordinazione delle politiche antimmigrazione.
Tutti i parlamentari applaudono. Il premier sorride.
– Veniamo adesso al programma di governo. Ma prima, pubblicità.

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Spot must go on https://www.carmillaonline.com/2016/08/28/spot-must-go/ Sun, 28 Aug 2016 06:17:24 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=32866 di Alessandra Daniele

stopSuccede sempre. Le breaking news rivoluzionano tutta la programmazione Tv. Espandono indefinitamente le dirette dei Tg, cancellando e sostituendo ogni trasmissione prevista. Tranne la pubblicità. Succede sempre. Centinaia di morti. Migliaia di sfollati. Presunte ristrutturazioni antisismiche disastrosamente controproducenti. Interi paesi ridotti a una distesa di macerie. E fra le case sbriciolate, ci tocca vedere la pubblicità della fetta biscottata che non si sbriciola. Basta. Non voglio comprare le vostre porcherie, e specialmente non voglio comprarle oggi. Ficcatevela nel culo la fetta che non si sbriciola, l’antirughe revitalizzante, la carne “senza glutine”. Tutta la carne è [...]]]> di Alessandra Daniele

stopSuccede sempre.
Le breaking news rivoluzionano tutta la programmazione Tv. Espandono indefinitamente le dirette dei Tg, cancellando e sostituendo ogni trasmissione prevista.
Tranne la pubblicità.
Succede sempre.
Centinaia di morti. Migliaia di sfollati. Presunte ristrutturazioni antisismiche disastrosamente controproducenti. Interi paesi ridotti a una distesa di macerie.
E fra le case sbriciolate, ci tocca vedere la pubblicità della fetta biscottata che non si sbriciola.
Basta.
Non voglio comprare le vostre porcherie, e specialmente non voglio comprarle oggi.
Ficcatevela nel culo la fetta che non si sbriciola, l’antirughe revitalizzante, la carne “senza glutine”. Tutta la carne è senza glutine, maledetti cazzari.
Non me ne frega un cazzo dei cialtroni con la lavatrice piena di catrame, del profumo per chi suona il pianoforte a culo nudo, delle merendine “senza olio di palma”. Ce l’avete propinato per anni l’olio di palma, cosa c’è adesso, s’è improvvisamente scoperto che è una porcata? Quante altre porcate per quanto altro tempo ci infliggerete prima di annunciare orgogliosi che non lo fate più?
Basta.
Basta con l’allegria idiota da meth head, le canzoncine, le risatine, le faccette, i testimonial famosi che interpretavano Falcone e adesso cercano di spacciare moneta fuori corso ai vecchietti. Le stagionate ex modelle con la bottiglia di tè sempre nella borsa, subito dopo lo spot dei pannoloni per anziani.
Il sito d’incontri “Dalla via, qualcuno la prenderà”. Il panino che “ti fa riscoprire il gusto autentico dell’America anni ’50”, maccartismo, apartheid, e scorie nucleari.
I feticisti della bresaola, le statuine del presepe ad agosto, la sgallettata delle gallette che canta giuliva anche se è troncata a metà, e quell’altra cosa col culturista senza testa pittato di arancione che non si capisce neanche che cazzo è.
Basta.
Se l’Italia è un presepe fatto di case biscottate è perché i diritti del mercato vengono sempre prima di quelli degli esseri umani.
Cercate almeno di non pisciare sulle loro tombe sfruttando l’audience che raccoglie la notizia della loro morte per piazzare la vostra mercanzia, sciacalli.
Mettetevi il pannolone.

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Le sinergie pericolose https://www.carmillaonline.com/2016/07/27/i-parassiti-dellimmaginario/ Tue, 26 Jul 2016 22:03:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=32214 di Mauro Baldrati

alienSei pagine. E il richiamo in prima. È lo spazio che è stato riservato, in uno dei maggiori quotidiani nazionali, al “caso” dei terroristi fai-da-te, o, più fascinosamente, i “lupi solitari”, che uccidono in varie parti del mondo prima di essere uccisi o di farsi saltare in aria. E la televisione ci va giù ancora più dura: lunghi servizi, con dovizia di particolari, interviste a esperti, reportages, gli immancabili dibattiti. E immagini, soprattutto immagini: foto, filmati dei guerriglieri che sollevano gli ak 47 (“le teste di stracci” li [...]]]> di Mauro Baldrati

alienSei pagine. E il richiamo in prima. È lo spazio che è stato riservato, in uno dei maggiori quotidiani nazionali, al “caso” dei terroristi fai-da-te, o, più fascinosamente, i “lupi solitari”, che uccidono in varie parti del mondo prima di essere uccisi o di farsi saltare in aria. E la televisione ci va giù ancora più dura: lunghi servizi, con dovizia di particolari, interviste a esperti, reportages, gli immancabili dibattiti. E immagini, soprattutto immagini: foto, filmati dei guerriglieri che sollevano gli ak 47 (“le teste di stracci” li chiama Alan Altieri in uno dei suoi romanzi apocalittici). E ritratti dei ragazzi (quasi sempre giovanissimi) che imbracciano un mitra, o un coltello, forse sognando di decapitare qualcuno perché, ci informano i soliti media, le liste d’attesa dell’Isis sono piene di aspiranti tagliatori di teste. Si riportano frasi a effetto dei video che gli stessi diffondono sui social, come quel ragazzo di 17 anni che voleva “scannare” tutti i tedeschi, o l’omicida-suicida di Monaco, 18 anni, in cerca, pare, di riscatto e di gloria.

L’episodio di Nizza ha particolarmente stimolato le menti febbricitanti dei giornalisti, dei ragazzi solitari che sognano la catarsi finale, in un bagno di sangue, e dei manager della multinazionale della morte.

Perché quella del terrore è un’impresa efficiente, un conglomerato che possiede tutti i moderni requisiti aziendali: ha dei finanziatori, degli sponsor, un’organizzazione che si decentra a seconda della necessità, dei reclutatori, dei corsi di formazione, una struttura finanziaria.

Se a qualcuno, sentendo parlare di “azienda” che produce terrore e morte, viene un sorriso amaro pensando a un macabro scherzo, invitiamo a considerare la seguente, semplice riflessione: la morte – l’omicidio – non è un semplice incidente ma è prevista nelle strategie aziendali. Spesso come effetto collaterale, ma anche come elemento strutturale della produzione. Gli AD e i direttori di molte imprese erano perfettamente a conoscenza, da decenni, degli effetti cancerogeni dell’amianto, eppure hanno continuato a sottoporre i lavoratori alle polveri, con premeditazione. Il risultato è davanti a tutti: ogni anno in Italia muoiono dalle 3 alle 4000 persone per l’amianto. Qualcuno, dopo lunghissimi processi, subisce una specie di condanna, che tuttavia non sconterà mai. Quanti attentati sono necessari per raggiungere questo dato? Ma non è finita. La delocalizzazione di molte imprese italiane, oltre a causare un grave danno al nostro/loro paese, creando disoccupazione, povertà e disperazione, genera sfruttamento nei paesi ospiti, e morti: sul lavoro, per la prevenzione inesistente, per le condizioni, le malattie. Tutti ricordiamo come a Dacca il crollo di un capannone ha causato la morte di 380 operai tessili. Poi ci sono i morti per incidenti sul lavoro, in Italia circa tre al giorno.

Ma il conglomerato della morte, come tutte le grandi aziende, ha un altro importante requisito: la pubblicità e il marketing. Sfruttando internet veicola filmati autoprodotti che rappresentano decapitazioni, torture, e omelie deliranti dei predicatori della strage. Tutte immagini che fanno il giro del mondo, suscitando orrore, ma anche voyeurismo macabro, nonché una preziosa esaltazione di menti disturbate, giovani sparsi per il pianeta che accumulano rabbia, frustrazione, odio, per la loro condizione di emarginati in un mondo che considerano ostile. Giovani che cercano di raggiungere i centri di addestramento, per combattere come “soldati” di una guerra senza fine, alcuni diventando kamikaze ansiosi di assassinare decine di persone prima di farsi saltare in aria o di essere abbattuti. Una “sindrome di imitazione” che si traduce in una sorta di riscatto finale preparato con cura, con l’ausilio di psicologi-predicatori che usano la religione per introdurre nelle loro menti un Pensiero Unico che prevede lo sterminio di tutti gli “impuri” .

Perché è forse questo l’aspetto più interessante dell’attività del conglomerato della morte: la natura e l’intensità del marketing. Non ha eguali in nessuna parte del mondo. Nessuna grande multinazionale può competere col suo marketing. Ha una straordinaria potenza dirompente, e una diffusione capillare che tutti gli altri operatori ammirano. E invidiano, perché ha una caratteristica unica: è completamente gratuito. I titolari delle aziende – di qualsiasi produzione si occupino – spendono milioni di euro o di dollari per pagine pubblicitarie, o spot di pochi secondi. Invece questi assassini specializzati hanno sei pagine di giornale e servizi di ore e ore sulle maggiori televisioni. Gratis. Sempre. Così dei giovani che si identificano coi loro coetanei ritratti con le armi in mano, sono pronti a diventare dei “lupi solitari” che possono aggredire qualcuno sull’autobus, in treno, al mercato, al grido di Allah Akbar! Oppure senza una caratterizzazione religiosa precisa, come il ragazzo che ha ucciso nove persone a Monaco. E i manager della strage sono pronti a farne “cosa loro”, capitalizzandone l’operato, anche se non li hanno mai sentiti nominare. Generano comunque senso di minaccia, ansia, terrore, che è la materia prima della produzione aziendale. Soprattutto è manovalanza gratuita, che deriva da un marketing gigantesco, persuasivo, altrettanto gratuito.

Sia chiaro, noi qui non sosteniamo che un attentato che causa decine o centinaia di vittime debba essere ignorato. Ma un conto è la notizia, l’analisi dei retroscena, forse delle cause, un altro è la sua continua, ossessiva spettacolarizzazione, indugiando su dettagli che si giustificano solo con la propagazione di un gossip mortifero che ha l’unico fine di stimolare le menti già scosse dei lettori/spettatori. Per non parlare della generalizzazione sbrigativa, con lo scopo di far rientrare il tutto in un plot sperimentato, per cui l’assassino di Monaco, nel frenetico “real” delle cronache televisive, era un “arabo”, invece l’eredità iraniana non è araba, ma scita (mentre come tutti sanno la matrice del terrore è wahhabita sunnita).

Insomma, è nata una formidabile alleanza tra due conglomerati, quello della morte e quello dei media, che porta enormi profitti a entrambi.

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Estetiche del potere. Graffiti, dispensatori d’aura ed ordine pubblico https://www.carmillaonline.com/2016/07/22/31544/ Fri, 22 Jul 2016 21:30:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=31544 di Gioacchino Toni

graffiti_coverAlessandro Dal Lago e Serena Giordano, Graffiti. Arte e ordine pubblico, Il Mulino, Bologna, 2016, 182 pagine, € 14,00.

Le polemiche sorte a proposito della mostra bolognese “Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano” [sulla vicenda: Wu Ming su Giap e Mauro Baldrati su Carmilla], hanno ormai perso i riflettori e le prime pagine dei media locali e nazionali. Tutto sommato la missione dei media può dirsi compiuta: lo spazio concesso alle polemiche ha avuto i suoi effetti promozionali ed al pubblico, come [...]]]> di Gioacchino Toni

graffiti_coverAlessandro Dal Lago e Serena Giordano, Graffiti. Arte e ordine pubblico, Il Mulino, Bologna, 2016, 182 pagine, € 14,00.

Le polemiche sorte a proposito della mostra bolognese “Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano” [sulla vicenda: Wu Ming su Giap e Mauro Baldrati su Carmilla], hanno ormai perso i riflettori e le prime pagine dei media locali e nazionali. Tutto sommato la missione dei media può dirsi compiuta: lo spazio concesso alle polemiche ha avuto i suoi effetti promozionali ed al pubblico, come agli sponsor ed ai “creatori di eventi”, un po’ di polemica piace sempre. Ora i media torneranno a parlare di graffiti solo per celebrare qualche associazione impegnata a ripristinare il candido decoro urbano prevandalico, per promuovere qualche nuova mostra dispensatrice di aura ufficiale o per motivi di ordine pubblico. Difficilmente la questione graffiti urbani potrà uscire da questa trattazione schematica.

Al di là della semplificata e rigida partizione con cui se ne occupano i media, sono davvero così impermeabili l’uno all’altro questi diversi fronti? A ricostruire il quadro della situazione viene in aiuto il saggio di Alessandro Dal Lago e Serena Giordano, Graffiti. Arte e ordine pubblico. In tale volume il fenomeno del graffitismo viene trattato dal punto di vista estetico, sociale e culturale a partire dall’analisi tanto delle motivazioni che muovono i giovani writer ad intervenire sulle mura urbane, sfruttando il buio della notte e giocando a guardie e ladri con l’autorità, quanto quelle del fronte antigraffiti. Da un lato gli autori del testo si preoccupano di palesare le contraddizioni che attraversano i diversi schieramenti che non possono essere ricondotti a soli due soggetti, writer e antiwriter. Dall’altro lato il saggio evidenzia come alcune “categorie di pensiero” tendano a travalicare i diversi fronti in campo. Davvero, come evidenziano i due studiosi, parlare «sui graffiti significa anche e sempre parlare di qualcos’altro che sta a cuore ai parlanti» (p. 19) e se c’è «un fenomeno culturale che illustra a meraviglia il funzionamento tautologico e circolare dei meccanismi sociali in un mondo complesso, si tratta proprio dei graffiti e delle campagne per cancellarli» (p. 153).

Nel Primo capitolo il writing contemporaneo viene collocato all’interno di una lunga tradizione di scrittura ed arte murale. Se la prima è un tipo di espressione che risale ad antiche culture, come quella egizia, le forme di rappresentazione parietale si trovano già nel Paleolitico superiore. Gli autori non intendono proporre improbabili paragoni tra le pitture rupestri preistoriche e le forme contemporanee, ma sottolineare come il gesto di quei lontani antenati costituisca una sorta di universale antropologico. Nelle decorazioni rupestri, in un ambiente collettivo, viene rappresentato il mondo nei suoi aspetti considerati significativi; attraverso quelle pratiche il mondo viene dunque condiviso. Da quando, attorno al XV secolo, l’arte inizia ad essere intesa come espressione individuale, si è via via persa l’idea «dell’attività artistica come opera collettiva, nel doppio senso di qualcosa creato in comune e rivolto a un uso collettivo» (p. 47). Secondo Dal Lago e Giordano, al di là di improbabili altri paragoni, come detto, il writing contemporaneo ha in comune con il graffito rupestre l’idea di dar vita ad una forma di comunicazione pubblica.

Il saggio si sofferma anche sul muralismo messicano che, riprendendo la tradizione figurativa preispanica, palesa forti intenti pedagogici. Tale movimento presenta diverse contraddizioni a proposito del rapporto arte/potere, tanto che dal ruolo sovversivo rivestito nella prima fase della rivoluzione, passa ben presto ad avere un mero ruolo celebrativo una volta che le istituzioni rivoluzionarie si sono stabilizzate. Gli autori mettono in luce come l’ambiguità dei muralisti messicani derivi anche dall’adesione ad un’ideologia progressiva positivistica e questo è proprio uno dei motivi per cui tali artisti esercitano una certa attrazione anche nel capitalismo statunitense. A tal proposito gli autori ricordano come lo stesso Diego Rivera, nel 1931, venga chiamato dall’industriale Ford per illustrare il Detroit Insitute of Art con l’opera Detroit Industry or the Man and the Machine. «L’ambiguità si rivela nella celebrazione del matrimonio tra uomini e macchine proprio nel momento in cui la società americana era attraversata da aspri conflitti tra operai e industriali (si dice che tra i lavoratori che protestavano ci fossero anche i malpagati assistenti di Rivera)» (p. 53).

DECORO URBANO

DECORO URBANO

Nel volume viene ricordato anche come agli albori della pubblicità di massa, le scritte tracciate con la vernice sui muri vengano preferite ai manifesti cartacei, tanto che su diversi edifici statunitensi ed europei risultano ancora visibili le tracce sbiadite di vecchi messaggi commerciali. Ancora oggi nell’Africa, soprattutto sub-shariana, le pubblicità sono spesso dipinte direttamente sulle pareti. Alle pitture murali ha fatto ricorso anche il regime fascista al fine di riportarvi i motti mussoliniani o l’effige stessa del dittatore. Dunque, fino ad epoca recente, “scrivere sui muri” è stato un sistema di comunicazione diffuso e legittimo. In Occidente, le cose sembrano cambiare negli Stati Uniti dei primi anni Settanta, quando nei ghetti arfoamericani e latinos i graffiti murali iniziano ad essere utilizzati come reazione alle discriminazioni delle minoranze ed all’omologazione dello spazio urbano.

Secondo gli autori del saggio, al di là dei significati originari, il writing rappresenta «un impulso a lasciare il proprio segno sul palcoscenico urbano» (p. 34). I muri finiscono con l’ospitare «i punti di vista di mondi privi di accesso legittimo alla parola in pubblico» (p. 34). Dunque la prima e “pericolosa” novità introdotta dal fenomeno del writing degli anni Settanta, non è tanto il comunicare sui muri urbani, ma il fatto che a farlo non siano più soltanto gli apparati di propaganda commerciale e politico-statale. Si tratta in primo luogo di una “presa di parola” da parte dei ceti meno abbienti: «tracciare i segni sui muri significa […] contrapporsi all’immagine della povertà, dell’emarginazione e dell’ingiustizia sociale che la società ufficiale o legale produce in nome dell’ordine pubblico» (p. 35). Oggi le cose sono ovviamente cambiate ed a ricorrere a comunicazioni murali non sono soltanto gli ambienti marginali ed antagonisti; i muri oggi sembrano rappresentare spazi fisici in cui l’irrequietezza esistenziale e politica si può manifestare liberamente e ciò non è per forza prerogativa dell’antagonismo sociale.

Nel saggio viene sottolineato come l’ostilità di molti cittadini nei confronti dei graffiti che ricoprono le mura del quartiere in cui vivono derivi anche da un senso di impotenza nei confronti di una scelta che altri, nottetempo, hanno fatto per tutti. Il cittadino che si ritrova le mura del palazzo “esteticamente modificate”, non ha avuto voce in capitolo. Tale frustrazione si scarica facilmente sui writer ma, a ben guardare, suggeriscono gli autori del testo, il cittadino è impotente anche di fronte alle modificazioni estetiche della città, siano esse temporanee o permanenti, imposte dalle politiche urbane comunali e dal mondo del commercio. Gli spazi urbani in cui i cittadini si trovano a vivere costituiscono pertanto «l’arena dei conflitti (di interessi e visioni del mondo) che si esprimono anche nelle dimensioni semiotiche ed estetiche. Ciò che gli abitanti vedono intorno a loro è, a seconda dei punti di vista, una scena collettiva squallida o invitante, degradata o scintillante, rilassante o inquietante, piacevole per alcuni, sgradevole per altri…. In ogni caso, è il risultato dell’azione di poteri e interessi spesso invisibili, a cui nessuno pensa quando passeggia per le strade e giudica ciò che lo circonda» (pp. 41-42). Dal Lago e Giordano individuano nei graffiti contemporanei l’indicazione di un punto di vista altro, diverso, rispetto ad una scena urbana che intende proporsi/imporsi come necessaria/obbligatoria ma che in realtà è contingente, derivata da un’evoluzione storica che avrebbe potuto dirigersi verso tante altre direzioni.

Nel Secondo capitolo viene passata in rassegna l’evoluzione del writing e le sue connessioni con l’arte contemporanea. Questa sezione del volume prende il via con l’articolo comparso nel luglio del 1971 sul “New York Times” ove viene riportata la fotografia di una porta della 183a strada ricoperta da sigle. Tale pubblicazione rappresenta per certi versi un momento significativo per il writing perché apre un discorso pubblico su di esso.

È soprattutto nell’ambito della cultura Hip Hop che «le tag, che nascono come sigle o firme e quindi come un tipo di scrittura, diventano vere e proprie forme artisticamente autonome, composizioni complesse, progettate e poi realizzate (pieces). Le lettere si dilatano nello spazio, si riempiono di colore creando immagini di grandi dimensioni (masterpieces). I caratteri (blockletters) si gonfiano (bubble style), oppure acquistano una dimensione in più (3d style) e, infine, perdono la loro funzione, diventando forme volutamente illeggibili (wild style)» (pp. 78-79). La risposta delle istituzioni newyorkesi non tarda ad arrivare; all’epoca del sindaco John Lindsay sono ben 1500 i writer arrestati. Lo stesso mondo dei graffiti si rinnova; la bomboletta spray sostituisce il pennello e s’impone il lavoro di gruppo, dunque le stesse tag non di rado si trasformano da firma individuale ad espressione dell’intera crew.

La stagione d’oro della Street art coincide con gli anni Ottanta, quando il «graffitismo si emancipa come linguaggio autonomo e l’attenzione si sposta dal gesto in sé al risultato» (p. 82) e ciò, sottolineano gli autori del saggio, attira l’attenzione del mondo dell’arte ufficiale provocando così l’apertura di un fronte interno al mondo dei writer che vede contrapporsi “puri” e “venduti”. «Dal momento in cui l’idea di Street art ha libera circolazione all’interno dei confini dell’arte riconosciuta, diviene oggetto di un discorso fondamentale per confezionare gli oggetti artistici. Un discorso a cui i graffitisti “perbene” aderiscono pienamente. Spesso, le dichiarazioni di guerra al sistema dell’arte e al suo mercato da parte loro sono in netta contraddizione con fruttuose frequentazioni di galleristi e collezionisti. Una contraddizione che non disturba affatto questi ultimi che, al contrario, si industriano per trovare formule spericolate, capaci di conciliare la natura anarchica della Street art con il suo sfruttamento commerciale» (p. 84).

Al fine di consentire ai graffiti di entrare a far parte del circuito artistico ufficiale, occorre togliere loro l’etichetta criminale e così gli “addetti alla trasformazione” si appellano all’idea che i graffitisti sono criminali per necessità (mancanza di spazi su cui lavorare) e non per scelta. A questo punto, sostengono gli autori, i writer indipendenti che non si concedono, o che tentano di resistere per quanto è loro possibile – visto che il sistema-arte non manca di speculare su produzioni indipendenti anche senza il consenso degli autori -, sanno benissimo che la Street art è divenuta una moda tra le altre all’interno del circuito ufficiale. «Sanno anche che il loro lavoro anonimo potrebbe essere fotografato e inserito in un catalogo, con tanto di prefazione di un critico alla moda: un’eventualità a cui non possono opporsi, ma della quale non intendono approfittare» (p. 87). Altri writer accettano di entrare a far parte del mercato dell’arte e non mancano di estendere l’ambito d’azione commerciale a sneakers, cappellini, t-shirt e felpe dei grandi marchi. In un modo o nell’altro il luccicante e remunerativo mondo dell’arte (e del commercio più in generale) ha modificato le regole del gioco e nulla può più essere come prima.

DECORO URBANO

DECORO URBANO

«I writer, quando sposano il mercato, portano in dote l’aura di trasgressione della loro vita precedente, ma non basta. Sono necessarie le giuste parole dei critici per trasformare in arte ciò che fino a qualche anno prima era deliberatamente fuori dal sistema […] Occorre rompere con il passato, mantenendo vivo quanto basta il mito degli anni ruggenti, ridotto a una scena di sfondo. Occorre soprattutto inventare qualcosa di nuovo per garantire la bontà del prodotto, dimostrando che non tutti i graffiti sono arte. Ciò significa mettere ordine in un repertorio sterminato e, come sempre accade, stabilire criteri estetici, canoni tecnici, limiti e regole» (pp. 90-91).

La questione dei canoni estetici che creano gerarchie ed indicano cosa è arte e cosa non lo è, risulta centrale nel discorso di Dal Lago e Giordano. Gli autori citano esempi di writer “convertiti al mercato” che imputano l’ostilità dei cittadini nei confronti dei lavori di tanti “colleghi” alle loro scarse capacità professionali. Chi ha scelto di “contaminarsi col mercato” è costretto, come abbiamo visto, a mantenere i piedi su due staffe e nell’argomentare circa i difficili rapporti del writing con la cittadinanza, può giungere ad indicare nella mancanza di abilità tecnica di tanti colleghi la principale causa di astio. Se tutti fossero “bravi” come coloro che il mercato ha saputo scegliere, verrebbero meno molti motivi di ostilità. «Riemerge il fantasma della tecnica, grande cavallo di battaglia di qualsiasi posizione reazionaria nell’arte» (p. 92), sostengono gli autori che, a tal proposito, portano alcuni esempi di motivazioni addotte dalle associazioni ostili al writing in cui si sostiene che i graffiti “non possono” essere considerati un fenomeno artistico o perché “l’arte è un’altra cosa” o perché, derivando da un’azione illegale, “non possono” essere considerati “arte”. Lo stesso Museo d’arte moderna di Bologna (Mambo) nel luglio del 2009 giunge a proporsi di “periziare” i murales in città al fine di evitare che, “malauguratamente”, vengano cancellate “opere d’arte” nel corso delle operazioni di ripristino del “decoro urbano” promosse dal Comune. Insomma, da più latitudini si avverte la necessità di distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è.

Negli anni Novanta ormai il mondo dei writer è cambiato radicalmente rispetto alle origini del fenomeno; è cambiata la composizione sociale, ora molto meno connotata, sono mutate le tecniche di realizzazione e si è di fronte ad un contesto molto più globalizzato. Se in passato l’idea era quella di coprire la città, ora l’intervento tende piuttosto a scoprirla, svelarla e, spesso a deriderla. Negli ultimi tempi diversi writer hanno messo in campo notevoli abilità manageriali nella gestione della propria immagine, nel saggio viene fatto esplicitamente riferimento al caso forse più noto: «Banksy incarna perfettamente il modello dell’artista capace di fondere la sua arte e la sua capacità imprenditoriale in un’unica grande opera: se stesso» (p. 101). C’è chi ha voluto vedere analogie tra la figura di Banksy e quella di Andy Wharol. A tal proposito, nel saggio, viene evidenziato come mentre il primo si è più volte espresso con opere di esplicita contestazione nei confronti del sistema capitalistico e consumista, Wharol ne ha invece tessuto acriticamente le lodi. Resta il fatto che l’anonimo fustigatore della società dei consumi ha finito col generare un business impressionante attraverso le sue opere e le riproduzioni delle stesse. Lo stesso attacco del celebre writer ai brand delle grandi multinazionali è stato portato attraverso tecniche pubblicitarie che hanno contribuito a creare il “brand Banksy”.

Anche l’arte mainstream non ha mancato di fare i conti con il fenomeno del graffitismo ma, puntualizzano gli autori, «l’interesse degli artisti “ufficiali” nei confronti della strada è un’estensione del territorio della galleria e non una reale fuoriuscita dalla gabbia dorata in cui operano. Diciamo che l’arte ufficiale può solo citare quella di strada, può appropriarsene o trasformarla, ma non sarà mai la stessa cosa. Infatti non gode del privilegio della gratuità e del disinteresse, da cui in fondo deriva ogni innovazione nell’arte e nella vita» (p. 163).

Nel Terzo capitolo vengono analizzate le ragioni dell’ostilità nei confronti del writing. Come presupposto alle questioni che verranno affrontate, gli autori sottolineano come l’attività artistica, indipendentemente da cosa essa sia in origine, divenga socialmente tale solo nel momento in cui viene riconosciuta da chi dispone, storicamente, della legittimità per farlo. Sappiamo che tale soggetto, tale istituzione, viene ad avere diritto di vita e di morte circa il riconoscimento dell’artisticità o meno di un’opera ed in questo discorso non si tratta di accettare o mettere in discussione tale autorità, si tratta di prendere atto del ruolo che certe cariche hanno nell’ambito del conferimento di artisticità qui ed ora. Premesso ciò, Alessandro Dal Lago e Serena Giordano sottolineano come nelle motivazioni delle associazioni antigraffiti non ci si appella tanto al diritto decisionale degli abitanti circa gli interventi sulle superfici delle pareti di casa, ma piuttosto, spesso, si entra nel merito artistico dei graffiti sostenendo che questi non sono opere d’arte. Così facendo tali associazioni si inoltrano su un terreno scivoloso perché sappiamo come sia variabile il concetto d’arte nel tempo. Se i graffiti, o alcuni di essi, fossero ritenuti opera d’arte dalla maggioranza dei cittadini e/o dalle “autorità in materia”? In linea di principio, ricordano gli autori, qualsiasi graffito può “divenire” (essere indicato come) opera d’arte.

In alcuni casi gli abitanti del quartiere hanno difeso i graffiti (e gli autori) in quanto ritenuti una valorizzazione del contesto urbano e tutto ciò indipendentemente dal fatto che fossero stati realizzati illegalmente e che nessun critico d’arte od altra autorità in materia si fosse espresso a riguardo. La mera questione estetica risulta scivolosa, pertanto il fronte antigraffiti, non di rado, si sposta sul versante pedagogico indirizzando i potenziali vandali verso spazi consentiti, non rendendosi conto che una componente fondamentale del writing ha a che fare con il fascino dell’illegalità.

In conclusione, abbiamo visto come, ancora una volta, un fenomeno controculturale, di strada, finisca con l’essere in buona parte riassorbito da un sistema che non esita a ricavare profitto anche da chi lo contesta. Qualche writer si adegua, preferendo mettere a profitto le sue abilità creative a costo magari di trasformare quello che era stato un linguaggio di ribellione donato alla collettività in un testo vuoto che deve essere riempito da critici e dispensatori d’aura. Qualcun altro decide di resistere e di non farsi coinvolgere dal mercato, magari vendendo la propria forza lavoro altrimenti per campare. È una vecchia storia che ha attraversato – e sempre lo farà – le cosiddette sottoculture quando queste diventano appetibili al circuito economico; lo abbiamo visto nell’ambito musicale e nella gestione degli spazi sociali così come tante volte abbiamo assistito a contrapposizioni frontali tra più o meno “puri” contro più o meno “venduti”. Resta il fatto che i graffiti sono «sia un aspetto rilevante della convivenza urbana, sia l’occasione per i cittadini di esprimersi su un buon numero di questioni di interesse generale. In breve, hanno una grande capacità di aggregazione concettuale. Parlare sui graffiti significa anche e sempre parlare di qualcos’altro che sta a cuore ai parlanti» (pp. 18-19).

 

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Npapa-fonzieuovo rivoluzionario annuncio di Papa Francesco: “Chi crede in Gesù Cristo avrà la vita eterna”. Straordinario: la Chiesa non promette ai fedeli soltanto l’immortalità dell’anima in Paradiso, ma addirittura la resurrezione della carne dopo il Giorno del Giudizio. Il Pontefice rinnovatore continua a stupire il mondo.

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di Alessandra Daniele

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Straordinario: la Chiesa non promette ai fedeli soltanto l’immortalità dell’anima in Paradiso, ma addirittura la resurrezione della carne dopo il Giorno del Giudizio.
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