Pop art – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Corpi, merci, identità. Arte nordamericana e sfera pubblica commercializzata https://www.carmillaonline.com/2021/05/29/corpi-merci-identita-arte-nordamericana-e-sfera-pubblica-commercializzata/ Sat, 29 May 2021 21:00:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66441 di Gioacchino Toni

«Di fatto, dalla seconda guerra mondiale in poi la storia dell’arte americana può essere descritta come una successione di strategie volte ad ampliare [la] sfera pubblica commercializzata, sia moltiplicando i tipi di manifestazioni visive realizzabili al suo interno che diversificando i soggetti che sono autorizzati a realizzarle» David Joselit

Negli anni Quaranta del Novecento gli approcci artistici di ordine concettuale sembrano rivelarsi inadatti ad un momento storico segnato non solo dagli orrori della guerra, dal ricorso all’atomica e dai campi di sterminio, ma anche da una percezione del futuro nel [...]]]> di Gioacchino Toni

«Di fatto, dalla seconda guerra mondiale in poi la storia dell’arte americana può essere descritta come una successione di strategie volte ad ampliare [la] sfera pubblica commercializzata, sia moltiplicando i tipi di manifestazioni visive realizzabili al suo interno che diversificando i soggetti che sono autorizzati a realizzarle» David Joselit

Negli anni Quaranta del Novecento gli approcci artistici di ordine concettuale sembrano rivelarsi inadatti ad un momento storico segnato non solo dagli orrori della guerra, dal ricorso all’atomica e dai campi di sterminio, ma anche da una percezione del futuro nel segno dell’incertezza in un panorama avviatosi al clima paralizzante e da caccia alle streghe della guerra fredda.

«Noi percepivamo la crisi morale di un mondo che era un campo di battaglia, di un mondo che era devastato dalla tremenda distruzione di una guerra mondiale incombente […] Era impossibile disegnare come prima – fiori, nudi sdraiati, suonatori di violoncello». Così l’artista nordamericano Barnett Newman ha sintetizzato il clima dell’immediato dopoguerra e non solo negli Stati Uniti.

All’interno di tale contesto è innegabile che vi siano state alcune poetiche artistiche che, più di altre, hanno saputo cogliere ed esprimere la sensazione diffusa di angoscia e lo hanno fatto concentrandosi sul rapporto tra individuo, spazio e materia, dunque riproponendo, in ultima analisi, la questione dell’identità dell’essere umano, ora vissuta però come problema di relazione con il cosmo nel suo essere spazio e materia. Si sta parlando di quella stagione “Informale”, per ricorrere al termine con cui viene solitamente indicata in ambito europeo, caratterizzante la scena internazionale a partire dagli anni Quaranta pur nelle inevitabile e profonde differenze locali.

Si tratta di una stagione che abbraccia l’arco temporale di un ventennio a cavallo della metà del Novecento che prende il via con le esperienze di artisti come Jean Fautrier, Jean Dubuffet, Arshile Gorky, Jackson Pollock, Alberto Burri, Lucio Fontana e che ha il suo corrispettivo nipponico nel Gruppo Gutai composto da Jiro Yoshihara, Sadamasa Motonaga, Kazuo Shiraga, Shozo Shimamoto e Atsuko Tanaka. Una stagione che giunge, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, a divenire un vero e proprio fenomeno di moda perdendo parte del potenziale espresso ai suoi albori.

È a partire dalle peculiarità specifiche dell’Espressionismo astratto nordamericano che lo studioso David Joselit nel suo American Art Since 1945, uscito in lingua inglese la prima volta nel 2003, propone un’analisi della scena artistica statunitense che dal primo dopoguerra giunge fino ai giorni nostri. Nel volume, recentemente tradotto in italiano da Maria Antonella Bergamin – David Joselit, Arte Americana dal 1945 (Postmedia books 2021) –, lo studioso, non accontentandosi delle letture più convenzionali del contesto artistico nordamericano, tendenti forse eccessivamente ad insistere sul ruolo esercitato dalle avanguardie storiche europee sulle neoavanguardie americane, ha inteso concentrarsi piuttosto sulle trasformazioni sociali ed estetiche che hanno caratterizzato il dopoguerra statunitense, trasformazioni che si paleseranno compiutamente nel corso degli anni Sessanta.

Tre sono le dinamiche interrelate su cui Joselit si è concentra: «il consolidamento di una sfera pubblica radicata nel consumo e nei mass media come la televisione e Internet; la manifestazione dell’identità personale come piattaforma prioritaria per la formulazione di rivendicazioni politiche negli Stati Uniti; e il passaggio degli oggetti artistici dai media tradizionali come la pittura e la scultura ai media “informativi” come il testo, la fotografia, gli oggetti ready-made e il video» (p. 9).

Secondo lo studioso l’arte nordamericana del dopoguerra dovrebbe essere vista come derivazione e rappresentazione delle nuove esperienze del pubblico prodotte dalla presenza pervasiva dei mass media visivi, dal mezzo televisivo degli anni Quaranta a Internet degli anni Novanta. «Date queste condizioni, l’identità – una questione presumibilmente privata – ha acquisito la forza politica in passato attribuita a identificazioni collettive come la classe e la nazione. Nell’era del dopoguerra, le esperienze del “pubblico” si verificano sempre più spesso in solitudine o in piccoli gruppi di fronte a uno schermo televisivo o a un computer» (p. 14).

Sarebbe proprio nella confluenza tra le nuove sfere mediatiche pubbliche e l’esperienza politicizzata dell’identità sviluppatasi in concomitanza con queste, che prende piede l’arte nordamericana del dopoguerra. Se tale combinazione è solitamente associata ai movimenti di liberazione degli anni Sessanta – riassumibile nello slogan “il personale è politico” – , secondo Joselit, l’associazione tra il personale e il pubblico (se non il politico) è però già ravvisabile nell’astrazione apparentemente apolitica dell’esperienza del cosiddetto Espressionismo astratto della New York School di artisti come Jackson Pollock, Willem de Kooning, Barnett Newman, Mark Rothko, Clyfford Still e Adolph Gottlieb.

Se l’individualismo può suggerire un’astensione dalla vita pubblica, l’individualità aveva un significato politico potente nell’epoca dell’immediato dopoguerra. Per molti americani durante la Guerra Fredda, l’individualismo – in quanto contrapposto ai modelli di governo associati al fascismo o all’Unione Sovietica stalinista – costituiva una reazione morale e politica adeguata alle nuove realtà globali […] lo sviluppo di uno “stile di vita” privato poteva assumere il significato di un atto pubblico. Se l’individualismo era adottato come una manifestazione politica dei valori americani, esso promuoveva anche lo sviluppo della società dei consumi evidenziando le capacità di valutazione e di analisi dei consumatori a fronte alla sbalorditiva varietà dell’offerta di prodotti nell’opulenta America del dopoguerra (pp. 14-15).

Nell’esperienza della New York School, sostiene lo studioso, il tipo di individualità privilegiato aveva a che fare con l’emozione eroica e la sofferenza di uomini eterosessuali bianchi, considerati all’epoca come rappresentanti “naturali” dell’intera umanità. Già in tale esperienza negli Stati Uniti la questione dell’identità viene posta come categoria pubblica, dunque politica.

Se da un lato le poetiche dell’Espressionismo astratto fanno coincidere la specificità di maschi eterosessuali bianchi con l’essere umano nella sua totalità, tale nozione astratta di comunità consolida e rappresenta una sfera pubblica ben precisa: quella degli Stati Uniti del dopoguerra e, nonostante «l’enfasi apparentemente apolitica degli artisti sull’autonomia, l’individualità e la trascendenza, la loro arte finì per essere associata a valori specificatamente americani» (p. 27).

Con l’esperienza Pop americana le azioni individuali e le ideologie collettive risultano filtrate dal mondo dei mass media. Gli artisti che si rifanno a tale poetica se da una parte tracciano «una mappa della commercializzazione dello spazio pubblico» (p. 61), dall’altra dimostrano come le merci finiscono per assumere «un ruolo di icone pubbliche cariche di valori ideologici al di là delle loro funzioni manifeste» (p. 61). Per questi artisti lo spazio pubblico degli anni Sessanta diviene una funzione della rappresentazione al pari di uno spazio fisico. Nelle opere Pop «la superficie pittorica delle merci – la loro “autorappresentazione” nella pubblicità e nel packaging – viene astratta e riformulata. Le icone che ne derivano tendono a oscurare la funzione utile dell’oggetto commerciale a favore delle sue associazioni ideologiche» (p. 89).

Se il Pop tende a concentrarsi sul “nuovo” e “patinato”, l’Assemblage ricorre invece al «versante più povero della società dei consumi» (p. 91). Si tratta di operazioni bene diverse, sottolinea lo studioso: nel primo caso un oggetto di consumo nuovo subisce un’operazione di traslazione in un diverso contesto (sull’onda del ready-made duchampiano), nel secondo si scorge invece un’operazione di dissenso sociale nel suo associare sovente oggetti di scarto ad esistenze anch’esse di scarto.

Soffermandosi poi sull’esperienza Minimal, lo studioso evidenzia come spesso si sia visto in essa una ridefinizione dell’arte come «relazione tra pubblico, spazi e cose più che come oggetto specifico e autosufficiente» (p. 103). Se tale ambito metteva in relazione «incontri scultorei» tra oggetti e spettatori al fine di evidenziare i meccanismi visivi e psicologici della percezione, nel corso degli anni Sessanta altre poetiche, come Fluxus, hanno invece sviluppato forme interattive di produzione artistica denominate “eventi”.

A metà tra performance e scultura, l’evento si fonda su un numero limitato di azioni collegate alla vita quotidiana che potevano passare quasi inosservate, differenziandosi in ciò dall’happening. Nonostante l’insistenza sul rifiuto di relazioni mercificate, indubbiamente Fluxus non manca di adottare, per quanto ironicamente, modalità desunte dal marketing aziendale in cui gli oggetti vengono riformulati come eventi e le reti di diffusione incorporate nell’opera d’arte.

Assemblage, Minimal e Fluxus, pur in modalità differenti, sostiene lo studioso, hanno esplorato «il posto occupato dalle merci nel mondo e in relazione ai singoli spettatori» (p. 114) ed è proprio attraverso la manipolazione degli oggetti commerciali che hanno inteso «comunicare attraverso il linguaggio pubblico condiviso della società dei consumi» (p. 127).

Nel corso della sua disamina, Joselit sottolinea come l’arte nordamericana degli anni Settanta si sia mossa verso una ridefinizione dell’arte come «puro atto di comunicazione» disinteressato alle «cose materiali», che invece erano parte integrante delle poetiche precedenti. «L’avvento dell’economia dell’informazione basata su tecnologie informatiche allora emergenti, combinato con la diffusione ormai generalizzata dei media elettronici come la televisione, trasformava l’informazione in una sostanza tanto “reale” e soggetta allo scambio dei mercati finanziari quanto qualunque altra merce solida» (p. 117).

La trasformazione dell’opera d’arte in flussi di informazione presupponeva una trasformazione in coloro che operavano in ambito artistico. Se tra i primi artisti concettuali, in prevalenza maschi bianchi, è ancora individuabile una retorica universalizzante, nel corso degli anni Settanta hanno teso ad evidenziare «le esperienze e condizioni di identità particolari basate su genere, razza e sessualità» (p. 145.)

Circa l’arte concettuale, in disaccordo con chi ha individuato la dematerializzazione dell’oggetto artistico, lo studioso vi coglie invece un nuovo tipo di materialità, consono a documentare le «proprietà intellettuali e fisiche dell’artista». (p. 145)

La nozione di arte come sequenza di proposte filosofiche ha […] una doppia implicazione. Mentre, da un lato, suggerisce un’universalità scientifica o logica nella quale la voce individuale dell’artista viene eclissata da autorità sociali senza volto […], dall’altro canto essa riporta nuovamente lo spettatore alla persona intellettuale e fisica dell’artista. Gran parte dell’arte concettuale può essere, quindi, intesa come un tentativo di mappare i confini dell’individuo come entità logica, sociologica o legale […] La cosiddetta dematerializzazione dell’arte prevede […] due tipi di dislocazione. In primo luogo, le opere d’arte venivano reinventate come estensioni della proprietà intellettuale e fisica dell’artista, e in secondo luogo l’enfasi conseguente sulle proposte o sulla body art richiedevano un passaggio da pratiche tradizionali come la pittura e la scultura a nuovi media basati sull’informazione come fotografia, video e testo (pp. 150 e 155).

Se inizialmente gli artisti concettuali tendevano a vedere le loro opere e la loro stessa presenza fisica come “proprietà privata”, nel corso degli anni Sessanta e Settanta spetterà al movimento delle donne evidenziare quanto il privilegio di “possedere” il proprio corpo dipenda dal genere. Dal punto di vista razziale si deve soprattutto alla comunità afroamericana la denuncia delle pretese egemoniche e totalizzanti dell’America anglosassone in ambito valoriale ed estetico.

Se nel corso degli anni Sessanta e Settanta la critica nei confronti dell’estetica tradizionale è spesso portata attraverso il testo e la fotografia, successivamente è la stessa idea di neutralità di tali mezzi informativi ad essere messa in discussione. Anziché porsi nell’ordine di idee di evitare il mercato, diversi artisti degli anni Ottanta e Novanta preferiscono considerarlo «come una sfera pubblica e i linguaggi commerciali come modalità del discorso pubblico» (p. 188). Le questioni del potere di “identificare” o di “identificarsi” sono state centrali negli ultimi decenni del vecchio millennio.

Rivendicando una piattaforma politica sulla base d uno “stile di vita” particolare, gli artisti, come gli attivisti, finiscono per maneggiare gli stessi stereotipi che vorrebbero disinnescare. Non è un caso che gran parte dell’arte più rilevante degli anni Ottanta e Novanta riconosca questo dilemma soffermandosi meno sulle categorie prestabilite dell’identità e più sulle intersezioni e le trasgressioni dei confini tra le stesse. Queste pratiche sono state etichettate di volta in volta come post-etniche, cyborg o post-umane dai teorici di punta degli anni Novanta. In modi diversi, ciascuna di queste categorie critiche auspica modalità di individualità basate sull’azione volontaria o sull’associazione più che su tratti biologici essenziali o su stereotipi culturali (p. 205).

L’emergere sin dal primo dopoguerra americano di una particolare forma di sfera pubblica massmediatizzata e consumista «ha evocato una politica dell’identità nella quale gli individui sono rappresentati attraverso stili di vita e attributi stereotipati intensamente mercificati» (p. 215). Diversi artisti degli anni Novanta intrecciando sociale e biologico hanno tratteggiato un nuovo mondo post-umano ove il corpo è concepito come sfera pubblica. A David Joselit, in chiusura della sua trattazione, non resta che auspicare che l’allentamento delle rigide differenze tra appartenenze di genere, sessuali ed etniche possa «offrire un’alternativa a un mondo ormai totalmente soffocato dalla commercializzazione di ogni gesto, pensiero ed emozione» (p. 215).

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Arte e cultura materiale https://www.carmillaonline.com/2015/05/17/arte-e-cultura-materiale/ Sat, 16 May 2015 22:01:14 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22298 di Gioacchino Toni

Il rapporto omologico tra produzione artistica e fattori materiali in Renato Barilli

arte e cultura materiale barilliNell’ambito degli studi artistici, l’originalità della proposta di Renato Barilli consiste nell’incentrare l’analisi  attorno al rapporto che si determina tra tecnologia, modalità di produzione e di circolazione delle merci e degli individui, e capacità di immaginare e progettare il futuro, attività che pertiene alle arti ed alle scienze. Nell’analizzare il rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica, l’autore riprende la nozione di rapporto omologico tra struttura e sovrastruttura proposta da Lucien Goldman per poi [...]]]> di Gioacchino Toni

Il rapporto omologico tra produzione artistica e fattori materiali in Renato Barilli

arte e cultura materiale barilliNell’ambito degli studi artistici, l’originalità della proposta di Renato Barilli consiste nell’incentrare l’analisi  attorno al rapporto che si determina tra tecnologia, modalità di produzione e di circolazione delle merci e degli individui, e capacità di immaginare e progettare il futuro, attività che pertiene alle arti ed alle scienze. Nell’analizzare il rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica, l’autore riprende la nozione di rapporto omologico tra struttura e sovrastruttura proposta da Lucien Goldman per poi articolare il proprio approccio facendo interagire le riflessioni di McLuhan e le proposte avanzate da Erwin Panofsky nel noto saggio giovanile La prospettiva come forma simbolica.

Ricostruendo l’imponente produzione dello studioso, conviene abbandonare l’ordine di pubblicazione dei diversi saggi e partire dal recente e voluminoso Arte e cultura materiale in Occidente. Dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche, uscito sul finire del 2011, ove vengono presi in esame quasi tre millenni di arte occidentale letta ed interpretata attraverso un rigoroso impianto metodologico argomentato dall’autore in Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (1982, nuova ed. 2007). Nonostante le seicento pagine, il testo del 2011, non pretende, né potrebbe, offrire un’analisi dettagliata di un periodo storico tanto ampio da spaziare dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche di inizio Novecento; l’intento dell’opera è piuttosto quello di affrontare la produzione artistica dei millenni esaminati individuando quelli che possono essere ritenuti gli snodi essenziali derivati dall’impostazione sviluppata dallo studioso nel corso di diversi decenni di ricerca ed insegnamento universitario.
Alcuni dei periodi storico-artistici trattati dal saggio sono stati approfonditi precedentemente dall’autore attraverso voluminosi testi specifici come Maniera Moderna e Manierismo (pubblicato nel 2004), L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Fussli a Delacroix (pubblicato nel 1995) e L’arte contemporanea (1984, nuova ed. 2014). Le parti riguardanti l’antichità ed il periodo medioevale fanno invece il loro esordio, almeno in maniera strutturata, in questo imponente e recente volume e, per certi versi, rappresentano la vera novità utile a completare la ricerca. Occorre sottolineare che, nel saggio, non mancano interessanti “inserti di collegamento” tra i periodi affrontati dettagliatamente in altri testi.

NC intro NoordaLa trattazione inizia con l’analisi della scultura greca dall’arcaismo all’Ellenismo. Vengono, pertanto, passati in rassegna celebri kouroi e korai del periodo arcaico, alcune note realizzazioni di età classica, di Policleto e Fidia, e tardoclassica, di Lisippo, Skopas e Prassitele, sino a giungere al dinamico intreccio tra i copri caro alla produzione ellenistica, come il Gruppo del Laocoonte e l’Altare di Pergamo. L’analisi barilliana segnala come le trasformazioni stilistiche che hanno portato dalle rigidità distaccate della statuaria arcaica ai movimentati grovigli ellenistici siano rapportabili alle trasformazioni che hanno visto saltare i confini tra le singole e separate Poleis di età arcaica e classica.
Sempre in ambito antico, l’analisi prosegue con l’epopea romana individuando nell’Ara Pacis Augustae il punto di partenza per esaminare quello che si rivela essere un percorso di lenta e graduale perdita di naturalismo e di individuazione delle singolarità umane in favore di un livello crescente di stilizzazione. Alle figure umane ripetute quasi meccanicamente si accompagnano però scenari ben dettagliati. Di pari passo l’analisi di Barilli evidenzia come dal centralismo di Roma Caput mundi dell’età augustea, la situazione si evolva verso un impero sempre meno centralizzato e centralizzabile. Già nella Colonna Traiana iniziano a palesarsi elementi di stilizzazione, di replica stereotipata delle figure. Per certi versi, stilisticamente parlando, può dirsi iniziato un processo di conquista del centro da parte della periferia. Si assiste ad un’inversione di marcia: non è più Roma a dettare, ad esportare, “la linea” ma è la provincia a premere sulla capitale trasformandone lo stile. La successiva Colonna Antonina sembra essersi liberata dei dettagliati sfondi presenti nel rilievo della precedente, le figure umane sembrano ora muoversi nel vuoto. Nei sarcofaghi realizzati tra il II ed il III secolo si assiste ad un bilanciamento tra naturalismo ed astrazione; alle ancora evidenti conoscenze anatomiche e proporzionali si affianca una composizione in cui i personaggi risultano allineati sul primo piano. L’instaurazione di un regime tetrarchico che politicamente coincide con una sorta di «moltiplicazione per quattro dei centri di potere e di comando dell’impero, attraverso una vera e propria clonazione» trova la sua «corrispondenza omologica a livello stilistico di questo principio di clonazione (…) nel gruppo dedicato ai quattro Tetrarchi, elaborato a Costantinopoli e quindi trasportato a Venezia, a San Marco». Tale monumento, nella marcata specularità delle figure e nel senso di contrazione e di annullamento delle anatomie che sembrano ormai avviate a collassare, evidenzia bene la situazione politico-istituzionale venutasi a creare.
L’avvento del cristianesimo, per opera di Costantino, rivoluziona l’arte a livello tematico ma non dal punto di vista stilistico; a trionfare è l’isolamento delle figure disposte in ordine una accanto all’altra senza alcun rapporto. È la proliferazione di altrettanti mondi chiusi tanto uguali quanto privi di contatto e, tale isolamento delle figure, rimanda inevitabilmente al processo di lenta ed inesorabile implosione della rete viaria romana. Non c’è da stupirsi se in ambito paleocristiano la produzione artistica resta legata all’astrazione e la scelta di realizzare i grandi cicli figurativi a mosaico è da interpretarsi come una precisa scelta stilistica. Considerando le maggiori decorazioni musive di Ravenna, appaiono evidenti i caratteri stilistici dominanti: figure prive di volume disposte frontalmente ed allineate in maniera stereotipata alla medesima altezza e distanza. La semplificazione e lo schematismo di derivazione bizantina tendono a rendere le figure simili ad ideogrammi, ed all’aumentare del livello di astrazione, diminuisce la distanza tra parole ed immagini, tanto che, in taluni casi, convivono agevolmente.
Tra il VI e l’inizio del XI secolo il panorama artistico resta pressoché bloccato così come bloccata appare la società dominata da un sistema feudale costituito da una miriade di centri di potere pressoché incomunicanti: «Languisce il reticolo delle vie di comunicazione, e assieme ad esso pure la prospettiva diviene assolutamente impervia, impraticabile, priva di qualsiasi utilità». È attorno alla seconda metà del XI secolo che le cose iniziano lentamente a cambiare, in concomitanza con la ripresa dello studio del diritto romano, forte della sua portata universalistica; «il particolarismo dei Comuni non è ostile alla restaurazione di reti viarie, ovvero i Comuni dialogano tra loro, le rispettive merci devono viaggiare lungo direttrici riattivate (…) e dunque, il particolarismo, la pluralità dei centri si concilia col tentativo di accedere ad una legislatura unitaria, esattamente come avveniva tra le poleis della grecità, fieramente autonomiste, pronte anche a darsi battaglia, ma unificati nei caratteri di una civiltà abbastanza omogenea». Di pari passo alla riesumazione del diritto romano come elemento unificante, dal punto di vista stilistico l’arco a tutto sesto tende ad imporsi come elemento unificante nell’architettura dell’intera Europa. Le lastre modenesi di Wiligelmo, nel XII secolo, mostrano come sia possibile iniziare a mettere in discussione i canoni di una rappresentazione eseguita per clonazione dei personaggi disposti con regolarità stereotipata. Il grande scultore manifesta, davvero in anticipo rispetto ai tempi, l’inizio di una fase espansiva ove il protagonista è sempre meno disposto ad accettare di dover sottostare a rigide partizioni modulari. Lo stesso Antelami, in quel di Parma, pur manifestando certamente una maggior padronanza anatomica rispetto a Wiligelmo, risulta meno propenso ad abbandonare la sottomissione delle scene ad un generale ritmo paratattico.

barilli_maniera_manierismoIl corposo volume continua la sua trattazione fino a passare in rassegna le avanguardie storiche ma, giunti a questo punto vale la pena proseguire il cammino affrontando il periodo storico-artistico che inaugura la modernità attraverso l’approfondimento proposto dal saggio Maniera Moderna e Manierismo (Recensito su Carmilla). Qui Barilli si addentra nell’epopea artistica moderna recuperando la proposta vasariana dell’evoluzione stilistica basata sulle famose “tre maniere” che indirizzano l’arte verso una resa mimetica della realtà. Si passa pertanto dall’introduzione di elementi di aderenza al reale, nella prima maniera, ad un loro sviluppo scientifico, grazie, soprattutto, al ricorso ad un preciso tipo di prospettiva, nella seconda, sino al raggiungimento di esiti naturalistici, con tanto di resa atmosferica e rappresentazioni sciolte e vitali, nell’ultima maniera, quella detta moderna, appunto, che vede tra gli assoluti protagonisti autori come Leonardo, Raffaello e Tiziano.
La nascita dell’epopea artistica moderna si lega, nella lettura barilliana, all’introduzione di una prospettiva di tipo scientifico, indicata da Panofsky quale forma simbolica della modernità, nel suo proporre/imporre una precisa visione del mondo in anticipo di un secolo e mezzo rispetto agli studi di Galilei, Cartesio e Newton. All’introduzione della prospettiva scientifica si aggiunge un’altra fondamentale invenzione volta a normalizzarne ed a diffonderne la logica retrostante: la tipografia a caratteri mobili introdotta da Johan Gutenberg. Tale innovazione sistematizza l’impatto visivo della pagina stampata, con le relative implicazioni concettuali, in maniera analoga a quanto fatto dalla prospettiva scientifica nell’impaginazione dei dipinti. Il carattere tipografico assume ora la chiara connotazione di elemento standard, discreto, divenendo, in definitiva, equiparabile al punto come unità di costruzione di una superficie omogenea, di un piano. Vengono pertanto riprese le argomentazioni addotte da McLuhann circa la portata culturale e le implicazioni sociali dell’omogeneizzazione razionale e seriale insinuata dal medium tipografico.
L’epopea moderna, che si inaugura artisticamente con il Rinascimento, tenta di legittimare un nuovo rapporto con la rappresentazione del mondo. L’universo, in quanto oramai vissuto come idealmente commensurabile, è sempre meno distante ed incomprensibile. Il timore reverenziale, che fino a questo momento viene risolto nella preservazione simbolica del mistero, cede il posto ad un’apertura consapevole, fiduciosa nei propri mezzi tecnici e scientifici. Il mondo visibile e la concretezza del presente storico diventano oggetto di uno sforzo pittorico improntato alla veridicità, alla resa realistica, all’indagine naturalistica.
Alla maturità rinascimentale, caratterizzata dall’ossessione per la mimesi, si contrappone il fenomeno manierista, contraddistinto dall’arbitrio dell’artista che ormai intende contraddire il sistema proporzionale e la verosimiglianza anatomica dei personaggi effigiati. La produzione di artisti come Pontormo, Rosso Fiorentino, Giulio Romano e Tintoretto non intende più farsi specchio del percepibile ma, piuttosto, apertura ad un mondo fantastico ed onirico. Lo spirito controriformista contribuisce alla rapida chiusura della parentesi manierista supportando il ritorno ad impostazioni votate al naturalismo che si incanalano lungo tre direttrici secentesche: una carraccesca di tipo classicista, una caravaggesca di intonazione realista ed una più strettamente sensualista sull’onda delle opere berniniane e rubensiane.

barilli_alba_contempL’antimodernismo manierista non resta comunque lettera morta, esso viene ripreso da artisti visionari come Füssli e Blake che, per certi versi, anticipano il superamento della modernità che si attuerà soltanto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo con il passaggio all’età contemporanea. Barilli affronta in maniera dettagliata tale compagine visionaria nel saggio L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Füssli a Delacroix, analizzando come tali precursori del contemporaneo, attraverso registri differenti, caratterizzati da evidenti semplificazioni formali che conducono, non di rado, a soluzioni bidimensionali di impaginazione ed a veri e propri fuori-scala, manifestano una chiara contrapposizione all’illusionismo naturalistico dell’epoca moderna.

Il passaggio epocale che segna l’avvento di un’arte che si distingue decisamente da quella moderna, inaugurata nel corso del XV secolo, viene individuato da Barilli nella figura di Paul Cézanne. Dopo il “movimento-cerniera” impressionista, è con tale autore che crolla definitivamente l’illusione di una rappresentazione obiettiva, mimetica. L’artista rifiuta di vedere nella prospettiva uno strumento ordinante i rapporti spaziali. Per Cézanne la visione è inevitabilmente approssimativa, relativa, complessa ed in movimento, fluttuante; essa non può certo essere coglibile attraverso uno strumento rigido quale la prospettiva scientifica. È pertanto con la trattazione di detto artista che Barilli apre il saggio dedicato al definitivo superamento della modernità: L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze.

barilli_contemporaneaL’analisi riparte dal rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica. Conseguenza diretta della Rivoluzione industriale, l’età contemporanea impone da subito una radicale revisione dei precedenti statuti culturali. La tecnologia, con l’inevitabile ricaduta sull’immaginario collettivo, riveste un ruolo fondamentale nelle trasformazioni che si danno a livello delle espressioni culturali, dei linguaggi rappresentativi, dei paradigmi identificativi. L’arte partecipa significativamente all’avvicendamento, descrivendo, proprio a partire dalle istanze tecnologiche, un percorso di ricerca di nuove forme simboliche in cui riconoscersi e consolidare l’appartenenza collettiva. Se la correlazione delle arti con il livello alto, ideale, della cultura di una determinata epoca è facilmente individuabile, trattandosi spesso di un rapporto di emanazione diretta, meno evidenti sono i rimandi e gli attraversamenti con il livello basso, materiale, della medesima cultura, rappresentato dalla tecnologia.
Tra gli anni ’60 e ’70 del XIX secolo, alcune fondamentali scoperte tecnico-scientifiche avviano un processo di cambiamento epocale a partire dalle fonti energetiche, in particolare dalle possibilità offerte dalle cariche elettriche. Nel corso di tali decenni si susseguono alcune tappe importanti nell’ambito di quella che può essere definita “rivoluzione energetica”: gli studi del fisico Antonio Pacinotti volti a ricavare lavoro meccanico dallo sfruttamento dell’azione combinata dell’elettricità e del magnetismo, la posa del primo cavo telegrafico tra Europa e Nord America, che amplifica le possibilità di trasmissione di informazioni attraverso onde elettromagnetiche, e gli studi del campo elettromagnetico di James Clerk Maxwell. Si assiste in tal modo ad uno spostamento concettuale da un universo meccanico, rigidamente vincolato dalle leggi galileiane e newtoniane, ad un universo fluttuante, legato al divenire di un continuum energetico. Si passa da una concezione atomistica, legata alla somma di entità spazialmente distinte, relazionantisi a distanza tramite le leggi gravitazionali, ad una concezione sistemica, sviluppata sulle idee di flusso e di campo come luoghi della continuità e dell’interazione simultanea.
La costruzione cézanniana dello spazio, nel suo contestare la struttura prospettica e l’idea che ne consegue di profondità come dislocazione tridimensionale di punti fissi ed ordinati, di particelle distinte e localizzabili, si richiama ad un nuovo tipo di visione dinamica e sferoidale. Da una spazialità certa, stabile, esattamente conoscibile e conosciuta, si passa ad una spazialità incerta, instabile, in continua e rapidissima trasformazione, percorsa da invisibili flussi energetici in grado di interagire con la struttura degli elementi, modificandola. Questo spazio fluttuante, legato all’imponderabilità dei campi intesi come sistemi di influenze, è lo stesso che ai primi del Novecento evidenzia il limite epistemologico della Meccanica classica, aprendo alla Relatività di Albert Einstein e al Principio di indeterminazione di Werner Heisenberg.

La fine dell’Ottocento vede anche altri percorsi di formalizzazione più o meno consapevole della fluttuanza, uno di questi è certamente quello proposto dall’Art Nouveau che, seppur espressione di una tendenza volta ad estetizzare l’industrializzazione, palesa, nel suo repertorio formale, d’ispirazione floreale, di volgersi, più o meno consapevolmente, alle novità tecnico-scientifiche legate all’energia elettromagnetica. Il ricorso a tipologie formali fitomorfe formalizza l’andamento curvilineo del campo elettromagnetico; la nuova tendenza decorativa svolge la propria funzione simbolica nei confronti di un sistema di riferimenti materiali e concettuali ormai decisamente oltre la modernità. A cavallo tra moderno e contemporaneo, tra Otto e Novecento, si pone anche la compagine simbolista che, nel suo contrapporre l’evocazione all’impressione, intende oltrepassare la cerniera impressionista; in essa il simbolo diventa l’unità di senso che rapporta l’apparenza all’essenza profonda, ciò che è fisico a ciò che è spirituale.

Anche l’esperienza cubista si propone il superamento della pittura intesa come pura registrazione del dato visivo. L’opera, nella nuova poetica, diviene creazione neoplastica in cui la natura non è più il punto di partenza, anzi, ad essa si sostituisce la volontà dell’uomo di plasmare in proprio. Se dal punto di vista stilistico il meccanomorfismo cubista palesa il debito nei confronti di una tecnologia tradizionale, più contraddittoria appare la proposta futurista nel suo legare l’esaltazione della civiltà delle macchine ai suoi aspetti più dinamici. In entrambi i casi, però, la realtà finisce per essere riformulata sul modello delle macchine. Toccherà ai movimenti dada-surrealisti contestare il meccanomorfismo cubo-futurista a partire dai suoi aspetti ideologici; il ricorso a componenti del mondo delle macchine viene qui ad avere finalità contestatarie e beffarde. Le macchine dada-surrealiste sono abbandonate ad un ritorno delle energie primarie, ad una contaminazione con la casualità ed il disordine della natura tale da azzerarne le logiche razionali di funzionamento; all’utilitarismo, si contrappone il ritorno al principio di piacere che regola i meccanismi inconsci.

Giunti a metà Novecento, dal punto di vista scientifico-tecnologico, si assiste allo sviluppo ed alla diffusione di molte delle invenzioni e delle scoperte dei primi decenni del secolo. In un’epoca ancora segnata dal dramma della guerra, prendono piede nuovi materiali, si avvia la corsa alla conquista spaziale e si inaugura l’era della televisione. Tutte queste novità tecnico-scientifiche non mancano di influenzare il panorama culturale ed artistico; spetta alle poetiche informali captare e dare forma ed immagine ad un periodo attraversato da un generale senso di angoscia che trova, parallelamente alle novità tecnico-scientifiche, nel rapporto tra essere umano, spazio e materia il centro attorno a cui gravitare facendo riemergere la questione dell’identità dell’uomo. Il dominio dell’Informale negli anni ’40 e ’50, lascia, sin dai primi anni ’60, spazio allo sviluppo di poetiche accomunate dall’attenzione per gli oggetti tratti dalla realtà quotidiana (New dada, Pop art, Nouveau Réalisme…). All’interesse dell’Informale per la sfera degli elementi primari, le “poetiche dell’oggetto” contrappongono gli elementi secondari: è il mondo degli oggetti costruiti a divenire centrale.

barilli_informale_oggetto1La produzione artistica successiva la metà del secolo, è analizzata da Renato Barilli attraverso tre saggi: Informale Oggetto Comportamento. Volume I. La ricerca artistica negli anni ’50 e ’60 (1988), Informale Oggetto Comportamento. Volume II. La ricerca artistica negli anni ’70 (1988) e Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005 (2006). barilli_informale_oggetto2I primi due testi, relativi agli anni ’50, ’60 e ’70, si presentano sotto forma frammentata di raccolta di scritti stesi in un lungo arco di tempo, in diretta con gli eventi, e lasciati, sostanzialmente, “tali e quali”. Nell’ultimo saggio, invece, pur derivato da interventi precedenti, l’autore opta per una loro rielaborazione a posteriori in modo da conferire alla trattazione una stesura continua. Successivamente è uscito anche uno studio dedicato all’arte italiana: Storia dell’arte contemporanea in Italia. Da Canova alle ultime tendenze 1789-2006 (2007).

Di tutto ciò, eventualmente, si parlerà più avanti.

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Immagine di apertura: Paul Cézanne, Le grandi bagnanti (1906), olio su tela, 208×251 cm, Museum of Art di Filadelfia

Bibliografia

Edizioni attualmente in commercio:

– R. Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Bononia University Press, Bologna 2007, 220 pagine, € 22,00

– R. Barilli, Arte e cultura materiale in Occidente. Dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche. Bollati Boringhieri, Torino 2011, 609 pagine, € 40,00

– R. Barilli, Maniera Moderna e Manierismo, Feltrinelli (Campi del sapere), Milano 2004, 308 pagine, € 30,00

– R. Barilli, L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Füssli a Delacroix, Feltrinelli (Campi del sapere), Milano 1996, 304 pagine, € 35,00

– R. Barilli, L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, Milano 2014 (8 ed.), 368 pagine, € 45,00 (Campi del sapere) / € 17,00 (Universale economica)

– R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume I. La ricerca artistica negli anni ’50 e ’60, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2006 (3 ed.), 293 pagine, € 14,00

– R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume II. La ricerca artistica negli anni ’70, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2006 (3 ed.), 238 pagine, € 14,00

– R. Barilli, Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2014 (4 ed.), 234 pagine, € 12,00

– R. Barilli, Storia dell’arte contemporanea in Italia. Da Canova alle ultime tendenze 1789-2006, Bollati Boringhieri, Torino 2007, 565 pagine, € 35,00

 

 

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