Pier Carlo Masini – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Ciao Turi, testimone gentile di un’epoca ostile https://www.carmillaonline.com/2022/12/01/ciao-turi-testimone-di-unepoca/ Thu, 01 Dec 2022 21:00:34 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=74936 di Sandro Moiso

Non so in che modo e quando dovrò dare l’addio al mondo. E’ certo che sarà annullata per sempre la mia esistenza e insieme il mio bisogno di sapere che le ha dato un senso; e di tentare di operare per un futuro sociale comunista […] Sul nostro pianeta, un piccolo punto dell’universo, una volta apparsa spontaneamente dalla materia inorganica quella organica – che chiamiamo vita – la morte non la decide nessun esser sovraumano. La morte stessa invece è programmata, nel corso dell’evoluzione, dallo stesso formarsi e [...]]]> di Sandro Moiso

Non so in che modo e quando dovrò dare l’addio al mondo. E’ certo che sarà annullata per sempre la mia esistenza e insieme il mio bisogno di sapere che le ha dato un senso; e di tentare di operare per un futuro sociale comunista […] Sul nostro pianeta, un piccolo punto dell’universo, una volta apparsa spontaneamente dalla materia inorganica quella organica – che chiamiamo vita – la morte non la decide nessun esser sovraumano. La morte stessa invece è programmata, nel corso dell’evoluzione, dallo stesso formarsi e delimitarsi della specie che, nel perseguire il tentativo ostinato di eternarsi, sacrifica senza riguardo alcuno, i suoi stessi individui. (Salvatore Libertino Padellaro, 7 settembre 2017)

Nella notte tra il 22 e il 23 novembre è scomparso, a Roma, a causa di un problema cardiaco che lo accompagnava da tempo, Salvatore Libertino Padellaro, meglio conosciuto come Turi. Compagno e bordighista storico, difensore di una gran parte del pensiero dello stesso Bordiga ma, spesso, in lotta con le frange più settarie della stessa corrente, per anni si era dedicato al tentativo di ricostruire, se non il Partito, almeno l’idea di Partito. Indicando nel percorso seguito da Marx ed Engels, dalla Lega dei Comunisti al Manifesto fino all’esperienza della Prima Internazionale, una possibile via da seguire in tempi difficili di controrivoluzione e sconfitta del movimento operaio e di classe.

Nato a Piazza Armerina nel 1930, ancor giovane aveva iniziato a collaborare con i Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) formatisi, sulle tesi esposte da Pier Carlo Masini e Arrigo Cervetto, sostanzialmente nell’ambito del documento politico della Conferenza nazionale convocata dal Gruppo d’iniziativa per un movimento «orientato e federato» svoltosi a Pontedecimo, in provincia di Genova, dal 24 al 25 febbraio 1951.

Tra gli osservatori che partecipano alla Conferenza di Genova-Pontedecimo vanno segnalati Bruno Maffi, rappresentante del Partito comunista internazionalista; Livio Maitan e Sergio Guerrieri dei Gruppi comunisti rivoluzionari IV Internazionale. La presenza di queste organizzazioni a una riunione di anarchici rappresenta una novità. […] I bordighisti all’epoca rappresentano una delle «dissidenze» storiche del comunismo italiano, nel loro costituirsi in formazione politica distinta durante gli anni del Secondo conflitto mondiale, avevano sempre cercato di rivendicare la continuità con l’esperienza del Partito comunista d’Italia fondato a Livorno nel 1921. Questo richiamo alle radici non era casuale, e non riguardava solo anagraficamente la storia di alcuni dei principali militanti e teorici – tra cui lo stesso Amadeo Bordiga, primo segretario e fondatore del PCd’I –, ma soprattutto era di natura politico ideologica. La scelta nella propria denominazione dell’aggettivo «internazionalista», testimoniava la rivendicazione della vera essenza del comunismo rivoluzionario in contrapposizione al modello staliniano e togliattiano del partito, che faceva del nazionalismo la propria bandiera. La loro presenza alla Conferenza nazionale del gruppo de «L’Impulso» era dettata soprattutto dai buoni rapporti personali che negli anni Masini aveva mantenuto con quest’area politica e dalla quale traeva alcune riflessioni teoriche, specialmente quelle riguardanti l’analisi di Bordiga sullo Stato e la scelta internazionalista che l’intellettuale toscano stesso aveva condiviso durante l’ultima guerra”1.

La preoccupazione maggiore di Masini non fu però soltanto quella di costruire un’organizzazione che in una situazione controrivoluzionaria non avesse altro scopo che quello di illustrare, documentare e descrivere la crisi, non solo economica ma soprattutto politica del movimento proletario, dare la rappresentazione geometrica e puntuale di questa crisi fondando in tal modo le premesse della riscossa proletaria. Ma anche quella di chiarire che nel momento in cui il lavoro politico fosse venuto

a combaciare con la realtà rivoluzionaria, in questa si dissolve e scompare come movimento. Guai se l’organizzazione politica sopravvivesse di un attimo! Guai se anche i gruppi anarchici di fabbrica non si bruciassero ipso facto nel nuovo spazio umano delle assemblee. Avremmo allora una mostruosa dittatura, chiusa e tirannica quanto altre mai. L’alba della rivoluzione deve coincidere col tramonto dei suoi annunziatori2.

Quell’avventura politica sarebbe durata fino al 19573, in uno dei periodi più burrascosi e difficili per il movimento operaio non soltanto italiano; segnato dalla fine apparente dello stalinismo, dalla rivolta operaia “rimossa” di Berlino Est del 1953 e dalla repressione sovietica dell’insurrezione dei consigli ungheresi del 1956. E fu intorno a quello stesso anno che Turi aderì a «il Programma Comunista» e al Partito Comunista Internazionale, la frazione bordighista formatasi dopo la scissione tra la corrente di Amadeo Bordiga e quella di Onorato Damen all’interno del Partito Comunista Internazionalista nel 1952.

Nel 1961 Turi, con la famiglia, si trasferì in Algeria dove avrebbe seguito per conto del partito le vicende rivoluzionarie (e pure quelle controrivoluzionarie) di quel paese e i parte dell’Africa fino al 1969, anno in cui fu costretto a tornare in Italia a seguito dei drammatici avvenimenti che lì avevano avuto luogo4. Di quell’esperienza Turi, in una lettera dell’autunno del 2015, avrebbe scritto, a proposito dell’affermazione, contenuta in un testo critico dell’esperienza politica di Amadeo Bordiga5 sul «mancato tentativo di Programma Comunista di svolgere un ruolo significativo nella lotta anticolonialista e indipendentista dei popoli africani e asiatici»:

Si tratta come si vede del delineamento di uno scenario gigantesco… Vi si dice addirittura: “all’organizzazione fu richiesto, subito dopo la vittoria del nazionalismo algerino, un impegno concreto da esponenti del Terzo Mondo, come per esempio, dal poeta angolano Viriato da Cruz”. Chiariamo: adoperare le parole “mancato tentativo”, “ruolo significativo”, “Organizzazione” (riferita a Programma) significa ingigantire oltre i limiti ciò che esisteva in parte minima in Europa e anzi assai minima in Algeria. Sembra di leggere i fasulli e magniloquenti proclami che di tanto in tanto «Rivoluzione Comunista» rivolge a inesistenti gioventù proletarie rivoluzionarie. Chi ha militato in Programma Comunista (io aderii ai primi di febbraio 1957) deve sapere che la scissione operatasi nel Partito Comunista Internazionalista nel 1952, ridusse a pochi elementi le forze che si raggrupparono attorno a Bordiga (la maggior parte seguì le prospettive illusorie del gruppo di Damen che, nonostante le chiacchiere attivistiche, col tempo si arenò[…]). Con l’andare degli anni si realizzò un modesto miglioramento quantitativo, ma prima e dopo la morte di Amadeo, altre scissioni si sono verificate, come purtroppo i compagni tutti hanno dovuto constatare.
Vengo al gruppetto di Algeri. Questo era formato da due algerini che avevo conosciuto a Parigi, nel periodo del mio “peccato di gioventù”, quando cioè mi attivizzavo con Cervetto e Pier Carlo Masini – io avevo lasciato il PCI nel settembre del 1953. Negli anni ’50 e fino al Rapporto Krusciov, la preparazione dei giovani comunisti si faceva col solo libro edito dalla Commissione centrale del Partito comunista sovietico; di Trotzky si apprendeva che era stato un traditore e di Bordiga si aveva notizia estremamente vaga e rarefatta; in piazza s’incontravano gli anarchici molto attivi; devo agli anarchici il mio passaggio al comunismo della Sinistra Comunista perché da loro trovai «Il Programma Comunista». In seguito, grazie alla diffusione della rivista francese «Programme Communiste» si ebbe l’adesione di tre piedi neri portoghesi6 che insegnavano ad Algeri. (Tra parentesi voglio dire quanto segue: mentre Cervetto era creduto dai suoi seguaci come un rigoroso scienziato rivoluzionario leninista7, a me appariva sempre più evidente che era un attivista confusionario volontarista che, partendo dalla mitica riunione anarchica di Genova Pontedecimo del 1951, mescolava marxismo, leninismo, secondo la sua interpretazione, internazionalismo e partigianesimo; Masini invece conosceva bene Marx e aveva letto e leggeva Bordiga; era un brillante anarchico e affermava, in una interessante conversazione, che Amadeo aveva chiarito, allora, quello che si riteneva fosse l’enigma russo: la questione dell’economia, delle classi sociali, e a chi appartenesse realmente il potere di Stato. Aveva in mente un riesame della lotta tra marxisti e bakuninisti in seno alla Prima Internazionale, in vista di una parallela riunificazione ideale storica di due grandi rivoluzionari antiborghesi. Lui però restava anarchico per sentimento e ideale. Così pensava l’ultima volta che l’incontrai casualmente, tanto tempo fa).
Algeri, prima del colpo di stato di Boumedienne, era diventata la base di vari raggruppamenti africani genericamente rivoluzionari. Nel diffondere la nostra rivista venimmo in contatto con Viriato da Cruz, noto poeta angolano, e i suoi compagni: una decina in tutto. La rivista francese della Sinistra Comunista li orientò verso le nostre posizioni e loro si dettero da fare per farla circolare. Erano contro il movimento armato di Holden Roberto, foraggiato dagli americani, sia contro l’MPLA controllato dai russi. Insomma, erano dei simpatizzanti, non nostri militanti. Ovviamente avevo informato il Centro di Milano nella persona di Bruno Maffi. Dopo circa una decina di mesi di contatti e di chiarificazioni, Viriato mi chiese se, a Parigi, potevamo dare un sostegno concreto a due loro organizzati. Io non promisi nulla, però dissi che ne avrei discusso con i compagni parigini e italiani in occasione della riunione di Marsiglia che si tenne nel luglio del 1964. A Marsiglia, la sera dopo cena e ovviamente dopo la riunione di partito, presenti: Bruno, Giuliano, Elio, Calogero, Oscar (Camatte) (questi due ancora viventi), Roger (Dangeville), Daniel e ancora non mi ricordo chi, ne parlammo. La conclusione fu negativa: non per insipienza, né tanto meno perché non si voleva dare un aiuto agli angolani, ma perché non si poteva. A Parigi c’erano 4 o 5 militanti, tutti in condizioni di difficoltà per un motivo o un altro (ma ad Algeri gli angolani furono, nei limiti del possibile, aiutati; si riuscì, per esempio, anche a dar loro un appartamento per riunirsi. Fatto questo assai difficile: avere un alloggio allora era pressoché impossibile giacché le popolazioni dell’interno si erano riversate, occupando gli immobili vuoti, nella capitale dove c’era da mangiare anche gratuitamente: donazioni francesi, italiane, americane, russe, cinesi, cubane) […] Si trattava quindi di una richiesta di un semplice concreto appoggio da parte degli angolani e non di una sbandierata richiesta ufficiale politica, non voluta o non saputa sfruttare politicamente da “Programma Comunista”.
[…] Tornato ad Algeri riferii di come stavano le cose. Gli angolani, per un certo tempo, continuarono a diffondere la nostra rivista; ma un raggruppamento politico fuori dal suo paese ha bisogno di cibo, di rifugio, di soldi e di armi. Noi non potevamo far fronte a simili esigenze ed emergenze ed essi evidentemente si resero conto della inconsistenza delle nostre forze. Così una sera ad una mangiata collettiva di cous cous e ad una discussione accalorata, presenti due cinesi, Viriato, molto imbarazzato, fece un attacco pubblico a me e alle nostre posizioni politiche considerate ora pseudo-rivoluzionarie. Capita la situazione della presenza cinese, io replicai con non molta calma; sua moglie si mise a piangere. Si sciolse confusamente la serata. Qualche mese dopo appresi che Viriato era andato a Pechino dove visse ancora per alcuni anni.
Approfitto per dire ancora alcune cose. I vari gruppi trotzkisti appoggiarono concretamente la lotta di liberazione algerina. Con l’indipendenza fu pubblicato un loro giornale: “SOUS LE DRAPEAU DU SOCIALISME”. Il milione di francesi “pieds noirs”, proprietari dell’industria, della terra, dell’agricoltura, del commercio e dei servizi, in pochi giorni, abbandonarono tutte le loro proprietà e attività private e pubbliche; allora essi, con altri piccoli raggruppamenti di sinistra francesi ed europei, organizzarono le piccole e anche alcune medie realtà economiche abbandonate, dando luogo alla formazione di comitati di gestione. L’industria però si fermò per tutto l’anno 1962 e più oltre. Solo la scuola rimase attiva in mano al nuovo Stato con, per i primi tre anni, ancora le regole e i programmi francesi; ma vi erano moltissimi scolari (merito del governo benbellista) e pochissimi insegnanti. Questi vennero poi dalla sinistra francese, dai cubani, da argentini, dai russi (per le materie tecniche e scientifiche) e da alcuni individui simpatizzanti (me compreso che inoltrai al Ministero dell’Educazione una domanda d’insegnamento per il francese e l’italiano che fu subito accolta: dovetti però infine insegnare un po’ di tutto, motivo per cui non ho studiato mai tanto in vita mia come nel periodo che sono rimasto in Algeria). Dopo il colpo di Stato di Boumedienne che rovesciò il governo “socialista” di Ben Bella, la lodevole opera organizzativa trotzkista cominciò ad essere criticata e malvista dai nuovi padroni: i trotzkisti dovettero man mano mollare i comitati stessi che avevano organizzato e ritornare nei loro paesi da cui erano venuti e alcuni finirono in galera. Ci fu ad esempio, un comitato di gestione di una zona agricola vicino ad Algeri, Birtouta, che fu sciolto dalla polizia governativa. Mi pare fosse tra la metà di maggio e giugno del 1966. C’era stata un’abbondante raccolta di produzione orto-frutticola; i membri del comitato si riunirono e decisero di distribuirla gratuitamente alla popolazione, lasciandone giudiziosamente una parte per la riserva. Uno del comitato avvisò il dirigente dell’Agricoltura della capitale, il quale inviò subito dei poliziotti che fermarono la distribuzione dei prodotti. Il motivo: la distribuzione è una provocazione: ma che siamo pazzi? Mandiamo in malora il mercato?! Due argentini del comitato furono arrestati e “trattati per le feste” in prigione. Il nostro piccolo gruppetto continuò cautamente la diffusione della rivista e quando scoppiò la “Guerra dei Sei giorni” tra l’Egitto e Israele si dette da fare per diffondere un volantino ciclostilato che è pubblicato, mi pare, nel numero 14 di Programma Comunista del 1967 […] La fine del gruppo: io lasciai l’Algeria verso la fine del 1969, dei “piedi neri” portoghesi, due ritornarono nell’Angola indipendente, Socrates e Ferreira; il terzo, Adelino Torres si trasferì in Francia (era sposato con un insegnante francese). Nel 1972 venne a trovarmi a Borbiago-Venezia. Poi si ritrasferì a Lisbona, dove divenne professore di economia all’Università. Cambiò le sue vedute sulla interpretazione marxista dei fatti economici e sociali. Degli altri due algerini: Bacha e Derbal non seppi più nulla. C’era un altro compagno che raramente incontravo quando era ad Algeri: Ameziane. Mi pare che adesso sia in Francia quindi ancora vivente. Imperdonabili dimenticanze: militò con noi nell’ultimo anno che rimasi ad Algeri: Alain, giovane insegnante francese, che rientrò nel 1971 a Lione; ricordo poi Carrasco, un compagno anarchico spagnolo: fu nostro simpatizzante fino a quando rimase in Algeria; in seguito si arruolò nella guerriglia in Angola; molte e accanite furono le discussioni sulla guerra civile spagnola del 1936-1939 e sul ruolo confuso avuto dagli anarchici in questa8.

Risulta evidente, da questa lunga citazione, che con Turi se n’è andato un pezzo di Storia “altra” del movimento operaio e comunista; un compagno che, pur con la modestia che lo contraddistingueva, rivendicò sempre il ruolo rivoluzionario di Bordiga e di Trotzky:

Bordiga è stato il restauratore della Teoria di Marx, ed è stato pure il conservatore attivo della “linea del futuro” del proletariato internazionale, finché la malattia e poi la morte non gli tolsero la vita. Egli e Trotzky sono i due grandi compagni che hanno difeso l’opera mirabile di Lenin che non è stata solo russa ma internazionale. Trotzky combattè generosamente (finché non fu assassinato da sicari stalinisti), ma non rendendosi conto che la sconfitta subita dal proletariato occidentale ad opera della borghesia, aveva liquidata ogni prospettiva rivoluzionaria prossima. Ci ha lasciato scritti indimenticabili, come “Gli insegnamenti di Ottobre”, ma dubbi ed errori (per il periodo storico staliniano ormai borghesemente concluso) sul carattere del regime sociale, politico ed economico russo. […] Bordiga – durante l’epoca mussoliniana – pur immerso in una situazione politica e sociale soffocante, con una mente però sempre analiticamente attiva, riemergendo politicamente ha prodotto e ci ha lasciato armi teoriche per la ripresa delle lotte di classe future9.

Ma che non ebbe mai paura di rompere i tabù delle sette “bordighiane” e di mettere apertamente in discussione numerose ipotesi e apporti teorici dello stesso Bordiga. Ad esempio quando diede vita, nel 1975 dopo aver abbandonato Programma Comunista, alle Edizioni Sociali che misero fine alla religione dell’”anonimato” e ripubblicarono, accompagnati da nome e cognome dell’autore, in forma di libro alcuni testi importanti di Bordiga: Dialogato con Stalin e Dialogato coi morti, oltre che un testo di Ottorino Perrone, La Tattica del Comintern.

Oppure quando rimise in discussione le tesi esposte nel 1961 da Bordiga sulla “conquista dello spazio”, affermando, al contrario di quanto sostenuto in quelle, che la critica della “decadenza storica di una classe” «non comporta necessariamente una regressione del pensiero scientifico. Questo, al contrario, può essere suscettibile di un’ulteriore evoluzione». L’errore, per Turi, era duplice: considerare che il lancio dei satelliti artificiali «non avesse alcun autentico valore scientifico» e «negare assolutamente che l’uomo possa un giorno viaggiare nello spazio…». Questa duplice negazione, secondo Turi, portava «ad una posizione anti-evoluzionista».

Pur facendo ciò Turi non dimenticò, mai di condannare gli storici che hanno rimosso, banalizzato o travisato pesantemente il ruolo avuto da Bordiga e dalla Sinistra Comunista nel movimento comunista internazionale.

“Politico”, strano e limitante aggettivo riferito al militante comunista Amadeo Bordiga da quando, dalla giovinezza fino a che lo sostennero le forze prima della morte, fece suo il marxismo rivoluzionario. Si capisce però, fin dalle prime righe dell’introduzione, qual è il significato che gli autori della pubblicazione sopra citata danno all’attributo “politico”: cioè la pretesa incapacità del comunista napoletano di attuare in pratica una politica rivoluzionaria “in un milieu che avrebbe potuto dare, a nostro avviso, a condizione di una effettiva ripresa e di un rinnovamento del marxismo” (quindi per loro anche il marxismo va rinnovato… non riaffermato) “[…] Ciò non solo con la costituzione del Partito Comunista d’Italia, ma anche dopo la degenerazione della Terza Internazionale e nel corso della lotta contro lo stalinismo, così come nel secondo dopoguerra. Questa possibilità è effettivamente esistita fino a che la chiusura dogmatica di Bordiga e del bordighismo in una riduzione della lotta politica a propaganda non ha preso le sembianze di una «perseverazione diabolica» nella seconda metà degli anni Sessanta” (pag. 9). Abbiamo qui, di conseguenza, un capovolgimento storico della funzione dell’individuo uomo politico: da positivo influenzatore e direttore possibile di grandi eventi storico-sociali a potente negativo disfacitore degli eventi stessi. Meraviglia! Viene inaugurato un nuovo materialismo storico e una nuova funzione storica negativa della personalità…! E così si ripete nelle ultime pagine: “Si può dire quindi che, dopo la messa a punto del 1964-65, tutto continuasse, come prima e più di prima, nell’ambito di Programma Comunista, con la conferma e la elevazione a sistema politico chiuso, che abbiamo chiamata «perseverazione diabolica», dell’intransigentismo di tipo propagandistico. E’ evidente che non è possibile stabilire i momenti precisi di questa involuzione, ma la responsabilità di Bordiga in essa è sicura” (pag. 678). Come dire: non le classi che lottano – vincenti o perdenti – ma gli individui e alcuni loro accoliti sono i fattori di storia in senso evolutivo o involutivo. La tesi imbecille sostenuta dall’inizio alla fine del libro è evidente: è stata teorizzata non un’autentica e valida iniziativa politica comunista di classe, ma attuato un esteriore e sterile “intransigentismo di tipo propagandistico” (ma che c’entra una tale affermazione con quanto dice prima “sistema politico chiuso”?).Insomma abbiamo a che fare con altri nuovi storici “bordighiani” (eh già il primo si vanta di aver conosciuto Bordiga e ha pure militato un tempo in Programma Comunista…).
I precedenti, quelli del periodo post XX Congresso del PCUS, i più benevoli, scrivendo su Bordiga e i “bordighisti” si limitavano a sistemarli nella “torre d’avorio” e nel discutibile “settarismo”; questi ultimi invece ne fanno dei perseveranti diabolici intransigenti sterili propagandisti e basta. In questo tipo di storia buffonesca e contraddittoria è una inutile fatica critica contrapporsi: abbiamo di fronte un muro di gomma. Come oggi nella politica ufficiale della sbandierata democrazia, la sinistra non è distinguibile dalla destra, giacché i componenti cambiano rapidamente di obiettivi e di posto, così tra “bordighismo” benevolo e quello critico paragonato è bene star lontani se si vuol essere in regola con il solo valido comunismo, cioè quello di Marx, di Lenin e di Bordiga10.

Proiettato sempre verso il futuro del divenire della specie, irremovibile difensore della teoria marxista e allo stesso tempo attento alle dinamiche scientifiche del mondo in cui è vissuto, di Turi può essere soltanto detto che, come nelle parole di una compagna che ha comunicato all’autore del presente testo la sua scomparsa, «tutti noi lo abbiamo apprezzato e abbiamo goduto della sua brillante intelligenza, della sua ampia cultura, della sua vivacità e, insieme alle discussioni accanite, dei suoi modi garbati».

Un’ultima cosa: chi scrive, in occasione di una visita a Roma nel corso degli anni Novanta mentre Turi era ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico, ebbe occasione di ridere a lungo con lui dopo avergli cantato Noi siamo figli delle stelle, di Alan Sorrenti, in riferimento alla sua passione per la scienza e lo spazio. Ora non resta che sperare che da qualche parte, nello spazio profondo e, magari, in compagnia della sempre tanto ammirata Margherita Hack, egli possa ricevere quest’ultimo ricordo e messaggio di affetto. Con serenità e allegria, come era solito discutere con chi qui scrive.


  1. Franco Bertolucci (a cura di), GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.1 Dal Fronte Popolare alla “Legge Truffa”. La crisi politica e organizzativa dell’anarchismo, Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo n° 7/2017, BFS Edizioni – PANTAREI, pp. 153-154  

  2. Ivi, p.97  

  3. Si veda qui  

  4. Dopo la raggiunta indipendenza dell’Algeria, nel 1962, il paese fu scosso da un primo colpo di Stato militare nel 1965, che, sotto la guida di Houari Boumédiène, estromise dal governo Ahmed Ben Bella che lo stesso Boumédiène, in qualità, prima, di capo di Stato Maggiore delle forze militari del Fronte di Liberazione Nazionale di Algeria (FLN) e di Ministro della Difesa, poi, aveva portato al potere. Nel 1967 un secondo tentativo di colpo di Stato militare aveva cercato di rovesciare il regime di Boumédiène, senza però riuscirci e a seguito di ciò si era avviata la repressione degli elementi di sinistra presenti ancora nell’esercito e nella società algerina.  

  5. Basile-Leni, AMADEO BORDIGA POLITICO, Edizioni Colibrì 2014, nota 1190, p. 661  

  6. Spiegazione: eravamo ad Algeri, capitale una volta dei pieds noirs colonialisti… Scherzando si era diffuso, in un certo ambiente, l’uso di chiamare piedi neri i portoghesi bianchi istruiti nati in Angola, ma che avevano aderito alla guerra di liberazione. Io scrivendo mi sono lasciato prendere la mano…scusate. (Nota di Turi)  

  7. Cervetto stesso, nei suoi Quaderni, si autostimava così: “Cerco di essere uno scienziato della rivoluzione e so che la scienza è ricerca incessante, errore che ricerca la verità, verità che ricerca l’errore” in Guido La Barbera: Lotta Comunista. Il gruppo originario 1943-1952, Edizioni: Lotta Comunista, 2012. (Nota di Turi)  

  8. Lettera di Turi ai compagni a commento del libro Amadeo Bordiga politico, 21 settembre 2015  

  9. ivi  

  10. ivi  

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Essere militanti comunisti, libertari e rivoluzionari nell’Italia della guerra fredda https://www.carmillaonline.com/2019/11/27/essere-militanti-comunisti-libertari-e-rivoluzionari-nellitalia-della-guerra-fredda/ Wed, 27 Nov 2019 22:01:52 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=56322 di Sandro Moiso

Franco Bertolucci (a cura di), GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.3 I militanti: le biografie, Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo n° 9/2019, BFS Edizioni – PANTAREI, pp. 456, € 40,00

Con questo terzo ed ultimo volume giunge a conclusione la monumentale opera di ricostruzione, curata da Franco Bertolucci, dedicata all’esperienza dei GAAP svoltasi interamente nel periodo compreso tra gli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale e la tragica rivolta dei consigli operai ungheresi del 1956. Dopo l’attenta ricostruzione delle vicende, dei congressi e dei dibattiti intervenuti all’interno della ristretta cerchia di [...]]]> di Sandro Moiso

Franco Bertolucci (a cura di), GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.3 I militanti: le biografie, Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo n° 9/2019, BFS Edizioni – PANTAREI, pp. 456, € 40,00

Con questo terzo ed ultimo volume giunge a conclusione la monumentale opera di ricostruzione, curata da Franco Bertolucci, dedicata all’esperienza dei GAAP svoltasi interamente nel periodo compreso tra gli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale e la tragica rivolta dei consigli operai ungheresi del 1956.
Dopo l’attenta ricostruzione delle vicende, dei congressi e dei dibattiti intervenuti all’interno della ristretta cerchia di militanti, spesso operai, che l’animarono e dei giornali che ne costituirono il filo rosso organizzativo, condotta nei primi due volumi (qui e qui), questo terzo tomo è dedicato principalmente alla ricostruzione delle biografie dei singoli militanti.

Militanti noti poi anche in seguito, come Pier Carlo Masini oppure Arrigo Cervetto, oppure scomparsi dalla memoria pubblica o anche solo della cerchia ristretta di coloro che mai hanno voluto assuefarsi alla via segnata dal modo di produzione capitalistico né, tanto meno, ai tradimenti e alle baggianate politiche diffuse dallo stalinismo sempre imperante, sia apertamente che sotterraneamente, all’interno di quello che per anni si è vantato di essere il più grande partito comunista dell’Occidente: il PCI.

Biografie che l’espertissimo Bertolucci, che già aveva coordinato il Dizionario biografico degli anarchici italiani sempre per la Biblioteca Franco Serantini1di cui è anche direttore, ha ricostruito insieme ai suoi collaboratori con grande precisione e partecipazione. Con un’attenzione che si manifesta sia nella scelta, operata nella stesura di tutti e tre i volumi, di lavorare sempre su materiali di prima mano e su carteggi e documenti precedentemente inediti o quasi sconosciuti, sia nel rispetto, ci sarebbe da dire nell’umiltà, dimostrato in ogni riga del testo nei confronti di quei coraggiosi militanti libertari e della Sinistra Comunista che in quegli anni difficili cercarono di giungere ad una ricomposizione di classe tutt’altro che sociologica e libera dalle infingardaggini della precedente partecipazione al conflitto imperialista che aveva contribuito a cancellare, quanto il regime fascista precedente, dalla memoria del proletariato italiano l’idea di una lotta di classe finalizzata alla rivoluzione e non alla democrazia partecipativa di cui tanti dirigenti del Partito Comunista, con Togliatti in testa, erano andati ragliando in giro.

Anni che videro non soltanto una dura azione repressiva messa in atto dai governi democristiani dopo il 1948 nei confronti dei lavoratori più attivi sul piano sindacale e politico, ma anche la manifestazione di quale fosse il vero volto del socialismo sovietico una volta applicato ai lavoratori dei paesi dell’Europa Orientale conquistati dalla armate “rosse”. Un volto che si rivelò appieno durante la feroce repressione della rivolta di Berlino Est nel 1953 e di quella ungheresi del 1956.

Si è pertanto scelto di presentare qui una lunga citazione dalla lettera di dimissioni dal PCI vicentino da parte di Bruno Tealdo2 del 30 giugno 1953, tratta dall’enorme mole di lettere e documenti privati o dalle relazioni interne delle/alle varie componenti dei GAAP tutte contenute nella seconda parte di questo terzo tomo, che sembra riassumere in poco spazio tutta l’amarezza, la delusione e allo stesso tempo la determinazione che animò nelle loro scelte questi militanti della rivoluzione futura e del mondo a venire.

“Dopo aver a lungo riflettuto, sono venuto nella determinazione di dare le mie dimissioni dal Partito Comunista Italiano.
[…] La mia iscrizione al PCI avvenne all’indomani della guerra di liberazione, e da allora ho dato al Partito tutta la mia attività, prima come Segretario di cellula, poi come Segretario di Sezione, membro del Comitato Federale e della Commissione Organizzatrice […].
Ricordo bene le riunioni del Comitato Federale, alle quali durante il periodo della mia attività avevo partecipato. Ogni volta ricevevo la netta sensazione che non si trattava di elaborare tutti insieme un programma di lavoro, ma soltanto di approvare ciò che alcuni piccoli dittatori avevano precedentemente stabilito.
Sono essi che tracciano la linea politica del partito, linea politica che è sempre meno rivoluzionaria, sempre più legalitaria e parlamentare. Molti compagni dissentono da questa linea politica, ma le loro opinioni non vengono tenute in nessun conto.
Dal ’45 ad oggi, le cellule e le Sezioni del Partito non hanno fatto altro che dell’ordinaria amministrazione. Non vi è stato, e non vi è tuttora, quello spirito di lotta che, anche in un momento come questo affatto rivoluzionario, dovrebbe animare un Partito che si dice comunista e che non perde invece occasione per riaffermare, con le parole e con i fatti, il proprio ossequio ed assoluto rispetto della legalità democratica. I dirigenti del Partito hanno più volte soffocato iniziative di lotta partite dalla base e sentite dalla base.
[…] Nella nostra Provincia, quante lotte non prtate a termine, quante lotte abbandonate! Ricordo la ex-Caproni, l’Isotta Fraschini. Ricordo la serrata dell’ILESA, la quale riassunse poi le operaie, ma non quelle iscritte al PCI. Ricordo i mezzadri ei piccoli fittavoli, che non hanno ancor avuto quanto stabilito per legge. Ricordo la mancata lotta contro un governo che puniva i ferrovieri con 10 giorni di sospensione, per avere il 30 marzo scioperato contro la legge truffa. Ci si è limitati a piccole proteste, e tutto è finito in una bolla di sapone. Ricordo l’abbandono della lotta per la bonifica di S. Agostino, nella quale molti giovani avrebbero trovato un po’ di lavoro, molti padri la possibilità di dare del pane ai propri figli. Eppure questa agitazione aveva l’appoggio di esercenti di piccoli commercianti, in quanto la bonifica, oltre a dare lavoro a molti disoccupati, avrebbe arrecato anche un beneficio alle campagne circostanti.
I compagni hanno atteso e attendono una prova che il PCI è il loro Partito rivoluzionario; continuano a dare la loro opera incessantemente; continuano ad avere fiducia nei loro dirigenti; ma io oggi non credo più che una tale prova possa venire da questo Partito.
Non lo credo più, perché gli ultimi avvenimenti della Germania-Est mi hanno aperto gli occhi. Ciò che non mi era chiaro mi è diventato chiaro: oggi io ho capito la vera natura di questo Partito.
Se il Partito Comunista fosse veramente il partito della classe operaia non avrebbe lanciato i carri armati sulla popolazione inerme che chiedeva condizioni più umane di lavoro; non avrebbe fatto fucilare decine di operai; non ne avrebbe incarcerati migliaia. Se il Partito Comunista fosse veramente il Partito della classe operaia, non avrebbe represso nel sangue una protesta legittima e sacrosanta, proprio come fanno i governi borghesi; non sarebbe ricorso alla vile menzogna di qualificare come agenti provocatori e fascisti intere masse di operai in sciopero. […] (Vedi L’Unità del 26/6/1953).
Anche i governi borghesi reprimono le agitazioni operaie con la scusa che sono sobillate da Mosca e che fanno il gioco di Mosca: il governo sedicente comunista si comporta nello stesso modo, dunque è anch’esso un nemico degli operai; ormai no ho più dubbi e per questo abbandono il Partito.”3

Un’opera che si rivela dunque, anche in quest’ultimo volume, essere imprescindibile per chiunque si interessi con serietà, impegno e passione alle vicende della lotta di classe in Italia e alle sue forma di autonoma espressione ed organizzazione.


  1. M. Antoniolo, S. Fedele, G. Berti, P. Iuso, (coordinatore F. Bertolucci) Dizionario biografico degli anarchici italiani, 2 voll, BFS 2003-2004  

  2. Bruno Tealdo (1912-1999) subito dopo le sue dimissioni dalla federazione del PCI di Vicenza fu additato come provocatore e “espulso” per indegnità politica per avere calunniato “il glorioso paese di Lenin e di Stalin” ed essersi rifugiato in uno sparuto gruppetto di anarchici senza seguito (così come recitava l’ Amico del popolo, organo della federazione provinciale vicentina del PCI, nel numero speciale pubblicato proprio per infangarne il nome e le scelte)  

  3. Franco Bertolucci (a cura di), GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.3 I militanti: le biografie, Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo n° 9/2019, BFS Edizioni – PANTAREI, pp. 267-268  

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Orgogliosamente rivoluzionari: per una storia dei GAAP https://www.carmillaonline.com/2018/03/08/orgogliosamente-rivoluzionari-storia-dei-gaap/ Wed, 07 Mar 2018 23:01:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=44080 di Sandro Moiso

Franco Bertolucci (a cura di), GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.1 Dal Fronte Popolare alla “Legge Truffa”. La crisi politica e organizzativa dell’anarchismo, Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo n° 7/2017, BFS Edizioni – PANTAREI, pp. 776, € 40,00

Uno degli aspetti positivi del recente tracollo elettorale dei Sinistrati, istituzionali e non, potrebbe essere costituito da un ritorno allo studio della Storia del movimento operaio oltre che da una riapertura della ricerca e da una maggiore attenzione nei confronti di tutte quelle espressioni dell’antagonismo di classe, anarchiche e comuniste, che per decenni la storiografia [...]]]> di Sandro Moiso

Franco Bertolucci (a cura di), GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.1 Dal Fronte Popolare alla “Legge Truffa”. La crisi politica e organizzativa dell’anarchismo, Quaderni della Rivista Storica dell’Anarchismo n° 7/2017, BFS Edizioni – PANTAREI, pp. 776, € 40,00

Uno degli aspetti positivi del recente tracollo elettorale dei Sinistrati, istituzionali e non, potrebbe essere costituito da un ritorno allo studio della Storia del movimento operaio oltre che da una riapertura della ricerca e da una maggiore attenzione nei confronti di tutte quelle espressioni dell’antagonismo di classe, anarchiche e comuniste, che per decenni la storiografia italiana e il dibattito politico-ideologico, che ha nutrito e di cui si è nutrita, avevano drasticamente rimosso. Una ricerca di tal fatta, motivata e libera da impicci ideologici, potrebbe poi servire a rimuovere quell’idea, falsamente moderna, che gli appelli rivoluzionari alla lotta di classe e all’anticapitalismo radicale possano appartenere soltanto a un folklore e a una tradizione ormai superati.

Soprattutto in questo cinquantenario del ’68 diventa perciò utile e necessario far riscoprire ai giovani, ma anche a coloro che non lo sono più, l’immensa mole di esperienze e riflessioni che accompagnarono le numerose aggregazioni politiche che, tra la caduta del fascismo e la ripresa delle iniziative di classe degli anni sessanta, si svilupparono a sinistra del PCI e in netta polemica con lo stalinismo e la conduzione togliattiana del “più grande partito comunista dell’Occidente”.1

Ancora una volta è stato Franco Bertolucci, intrepido ricercatore, direttore della Biblioteca Franco Serantini di Pisa e responsabile editoriale della stessa casa editrice BFS, a curare un’opera che scava negli anni compresi il 1945 e la fine degli anni Cinquanta e costituisce la conseguenza del fatto che, nell’aprile del 1998, Pier Carlo Masini avesse fatto dono alla Biblioteca Serantini dell’archivio politico dei GAAP (Gruppi anarchici di azione proletaria) e delle sue carte personali. L’impegno era che alla sua scomparsa, dopo un periodo di dieci anni, quei materiali fossero riordinati e resi disponibili per le attività di studio e di ricostruzione storica.

Così questo volume, il primo di tre, testimonia il rispetto di quell’impegno e di vent’anni di lavoro, per riportare letteralmente alla luce, come un reperto sconosciuto ai più, la ricerca portata avanti da un ristretto ma deciso e significativo nucleo di compagni, prevalentemente di estrazione anarchica, di un comunismo consigliarista e libertario che superasse le disgraziate scelte messe in atto dai partiti e dalla Terza Internazionale stalinizzati e allo stesso tempo l’impasse in cui sembravano essere precipitati l’anarchismo e le opposizioni di Sinistra dopo le esperienze devastanti della guerra di Spagna, dei totalitarismi e del secondo conflitto mondiale. Come afferma G. Berti, citato da Bertolucci:

“La tragedia della rivoluzione spagnola fu veramente la tragedia e la fine del movimento anarchico nato a Saint-Imier. Questo infatti si trasformerà lentamente ma inesorabilmente in un corpo ideologico immobile e in questa scia obbligata, ma sterile, affronterà i devastanti effetti della seconda guerra mondiale. Gli anni che seguirono non portarono sostanziali mutamenti alla irrimediabile situazione emersa con la sconfitta della rivoluzione spagnola. L’anarchismo non ebbe un vero ricambio generazionale perché la condizione creatasi dopo il 1945 lo mise, in modo ancora maggiore, in una posizione di assoluto isolamento che lo poneva di fatto fuori dalla realtà”.2

Nel settembre del 1939 avrebbe poi avuto inizio

“il più grande conflitto armato della storia dell’umanità, nel quale vennero usate nuove armi di distruzione di massa mai utilizzate fino a quel momento. […] Il movimento operaio internazionale rimase, ancor più che nella Prima guerra mondiale, lacerato e immobilizzato. La guerra imperialista fra gli Stati ebbe il sopravvento e quasi tutti i partiti di sinistra si dichiararono favorevoli al conflitto con le potenze dell’Asse”.3

Gli stessi esponenti anarchici, in alcuni casi, finirono con l’appoggiare l’intervento bellico degli alleati interpretandolo in chiave esclusivamente antifascista, mentre le opposizioni di Sinistra, schiacciate tra nazi-fascismo e stalinismo, si ritrovarono a tacere oppure ad avere un’influenza quasi nulla sulle masse ormai diversamente nazionalizzate. Mentre gli agenti dell’Ovra, della Ghepeù e dei nazisti davano loro la caccia per eliminarli fisicamente o per internarli nelle carceri o nei lager o nei gulag, oppure ancora mentre gli stati “liberali” concorrevano ad internare nei campi di prigionia militanti anarchici e comunisti di sinistra insieme a filo-fascisti e filo-nazisti.
Qualche anno dopo le prime prese di posizione degli anarchici a favore della guerra, che lasciarono uno strascico di polemiche e di lacerazioni interne al movimento,

“un convegno organizzato a New York dai gruppi anarchici riuniti del Nord America (24 dicembre 1943) elaborò un lungo documento, pubblicato l’anno seguente, dal titolo Rivoluzione e controrivoluzione. Nel documento, uno dei pochi prodotti in questo periodo di guerra dal movimento libertario di lingua italiana, si fa una lunga disamina delle radici del conflitto, partendo da quello precedente e analizzando la nascita delle dittature, lo sviluppo del capitalismo, il ruolo della Russia sovietica e la politica contraddittoria delle democrazie occidentali di fronte al nazifascismo e alla sua politica aggressiva. La conclusione del documento ribadisce, con le parole usate a suo tempo da Luigi Galleani, l’atteggiamento degli anarchici: «contro la guerra, contro la pace, per la rivoluzione sociale»”.4

Questa posizione può costituire, per certi versi, il canto del cigno dell’opposizione anarchica al conflitto imperialista in atto e, allo stesso tempo, la base di quell’elaborazione politica e teorica che nel secondo dopoguerra, in un clima di controrivoluzione imperante, avrebbe portato al tentativo di riorganizzare tra di loro i militanti anarchici e della Sinistra Comunista che avevano tenuta ferma la barra nella direzione della lotta al capitalismo e all’imperialismo, qualsiasi fossero le forme sotto cui si presentavano le due idre.
Occorre qui ricordare

“che il numero dei militanti (anarchici – N.d.R.) sopravvissuti a vent’anni di regime, che non si erano piegati e non avevano accettato compromessi, si aggirava nell’estate del 1943 intorno ai 2/3.000 individui, nella stragrande maggioranza nati tra il 1880 e i primi del Novecento e formatisi politicamente prima dell’avvento al potere del fascismo. Praticamente sono pochi i ventenni, cioè la generazione di giovani nati sotto il fascismo e che possono rappresentare il futuro del movimento. Questa cesura, o vuoto, generazionale peserà fortemente nello sviluppo del movimento e soprattutto nella sua incapacità di riallacciare le file della propria presenza tra le classi subalterne. […] Altro dato importante è il fatto che il nucleo più consistente di militanti, circa 200/300, che si trovava assegnato nelle diverse carceri o in località di confino, in particolare a Ventotene, non viene immediatamente liberato come gli altri prigionieri politici al momento della caduta del fascismo. Ad esempio, su iniziativa del capo della colonia di Ventotene, Marcello Guida – nome che ritornerà prepotentemente nella storia del movimento libertario nell’autunno del 1969 quando, come questore di Milano, si troverà a gestire la «Strage di Piazza Fontana» e il caso di suicidio/omicidio del ferroviere anarchico ed ex partigiano Giuseppe Pinelli –, gli anarchici confinati vengono destinati al campo di concentramento di Renicci d’Anghiari in provincia di Arezzo insieme con alcune migliaia di slavi. Solo dopo l’8 settembre riusciranno a fuggire dal campo di prigionia prima dell’arrivo dei tedeschi”.5

L’euforia post-resistenziale e la fine della guerra oltre che del fascismo non avrebbero sviato l’attenzione di questi compagni da quello che era il reale fuoco e il reale motore dei drammi appena trascorsi. L’abbuffata democraticistica, in cui apparentemente Truman e Stalin, borghesi e proletari, nazioni e classi, capitalismo e sfruttati potevano darsi felicemente la mano, non li aveva minimamente toccati. Anche se nel frattempo la situazione politica internazionale e nazionale, la composizione di classe e la cultura che le accompagnava si era, per forza di cose, significativamente modificata.

Fu in questa situazione e in questo iato culturale venutosi a creare tra le avanguardie militanti più radicali e la società circostante che ebbe inizio l’avventura dei Gruppi anarchici di azione proletaria (GAAP). Il cui principale animatore si può individuare nella figura di Pier Carlo Masini (1923 -1998), straordinaria figura di intellettuale, ricercatore, storico del movimento anarchico ed operaio, che proprio nel 1949, su Volontà, aveva scritto: «A mio giudizio non è esatto affermare che nella storia tutti i moti di libertà o di giustizia o di umana affermazione, ieri o domani, possano avere una relazione di consanguineità con l’anarchismo». Affermazione in cui era evidente l’intenzione di Masini

“di contestare tutte quelle correnti e/o tendenze del movimento anarchico che interpretano l’anarchismo come un’idea generica di ribellismo o, viceversa, ogni forma di ribellismo sociale che si senta in qualche modo autorizzata a essere inclusa nell’alveo della grande famiglia libertaria. Questa posizione nasce, appunto, dalla considerazione di come il movimento anarchico nell’immediato Secondo dopoguerra, sull’onda della riconquistata libertà, abbia accolto nelle sue file militanti di ogni genere, che spesso hanno creato confusioni e contraddizioni. […] «La storia di ogni società esistita fino ad oggi è storia di lotte di classe», la lapidaria sentenza si trova, come è risaputo, nel Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels e secondo Masini non è necessario esser convinti adepti del materialismo storico per accettare l’essenza di verità racchiusa nella frase testé citata. Sebbene la storia umana non possa esser tutta spiegata con l’azione della lotta di classe, non si può negare che i conflitti sociali più o meno violenti ne siano stati uno dei motori principali.[…] Dell’elaborazione marxiana sulle classi, Masini condivideva l’individuazione nel proletariato e nella borghesia delle due classi emergenti, ma antagoniste, di quella fase storica – il secolo decimonono – e da ciò ne conseguiva la considerazione che nel momento in cui il proletariato avesse portato avanti i propri interessi all’interno del sistema capitalistico, essendone in quanto forza-lavoro prodotto e componente prima, ne avrebbe determinato la totale distruzione; e poiché alla proprietà dei mezzi di produzione avrebbe sostituito la proprietà comune, avrebbe conseguentemente eliminato anche le classi che sono a quella connesse. Era quindi evidente che le condizioni necessarie per la formazione della classe, riprendendo la riflessione del filosofo ed economista di Treviri, erano principalmente di ordine economico; esse potevano però soltanto delimitare quella che veniva definita dagli economisti e dai sociologi una «situazione di classe». Questa risulta dalla trasformazione della maggior parte dei membri della società in lavoratori, per i quali il capitalismo aveva creato una situazione comune”.6

Inoltre Masini scriveva ancora sulla classe e il proletariato

“che, illuso o tradito, non può mai venir meno a se stesso perché è sempre e ferreamente presupposto dalla classe nemica, dallo stato nemico: resta un conflitto di classe, sia pure deviato dai liquidatori o sfruttato dai demagoghi, una lotta implacabile di «quelli che stanno sotto» contro «quelli che stanno sopra»; resta soprattutto l’esigenza di dare a questo movimento di classe una ideologia che esso non esprime mitologicamente dal suo seno come un tempo sognarono i pontefici massimi dell’operaiolatria, ma che un secolo di lotte ci propone oggi come il prodotto delle sue dirette esperienze”.7

A fronte di un movimento anarchico che rivendicava, attraverso la redazione della stessa rivista Volontà, un ruolo più di testimonianza che di direzione politica, Masini opponeva l’idea che

“gli anarchici devono organizzarsi e attrezzarsi con un’ideologia che rivendichi la piena autonomia dei lavoratori nel definire e realizzare il proprio percorso di emancipazione, e questa è una condizione sine qua non per l’acquisizione di una coscienza politica che può condurre verso la conquista e l’avvento di una società liberata”.8

“Per Masini, come per il gruppo formatosi nel frattempo intorno a lui, non può esistere una rivoluzione senza un movimento rivoluzionario, di conseguenza è fondamentale per gli anarchici uscire dal loro isolamento e darsi una funzione di «avanguardia», proprio per insinuare nelle lotte sociali il germe dell’insurrezione: «È per questo che noi vogliamo agganciare al movimento della classe lavoratrice una rivendicazione di libertà che completa e trascende le limitate richieste a fondo politico ed economico». E la funzione dei gruppi anarchici specifici per Masini nel divenire sociale è ben precisa: «Allora non bisogna dimenticare che i gruppi anarchici nei luoghi di lavoro operano oggi in una situazione controrivoluzionaria e non possono avere che uno scopo: quello di illustrare, documentare, descrivere la crisi, dare la rappresentazione geometrica e puntuale di questa crisi fondando in tal modo le premesse della riscossa proletaria»”. 9

Su queste basi, che sottendono una situazione controrivoluzionaria che solo successivamente potrà essere superata e un confronto serrato con molte delle federazioni anarchiche diffuse sul territorio nazionale, Masini contribuirà a dare vita al periodico L’Impulso, che vedrà raccogliersi intorno alla sua redazione (composta nel primo anno e mezzo di vita quasi esclusivamente dal solo Masini) Augusto Boccone, fornaio e militante di vecchia e provata fede; due giovani della classe 1920 entrambi amici personali di Masini: Luciano Arrighetti operaio della Galilei e Sirio Del Nista impiegato ai Cantieri Orlando di Livorno. I liguri Arrigo Cervetto, Lorenzo Parodi, Agostino Sessarego e Aldo Vinazza – classi 1925-1927 – tutti di estrazione proletaria con esperienze nella Resistenza. I piemontesi, che rappresentano forse il gruppo più omogeneo dal punto di vista sociale essendo tutti di estrazione proletaria e inseriti nei principali stabilimenti industriali del capoluogo regionale con una grande esperienza sindacale alle spalle e anche internazionalista visto che tra loro ci sono volontari che hanno combattuto in Spagna come Aldo Demi – classe 1918 –, o che hanno un lungo excursus nel movimento, come Paolo Lico – classe 1903 –, tutti o quasi facenti parte di un gruppo storico dell’anarchismo torinese, quello del quartiere popolare di Barriera di Milano, insieme a numerosi altri provenienti da diverse regioni. I militanti che ruotano intorno al periodico hanno una prevalente estrazione proletaria, ma con una significativa presenza di giovani intellettuali, studenti e insegnanti, che poi svolgeranno una discreta influenza sullo sviluppo dell’organizzazione.

“Il primo obiettivo di questo nuovo impegno del gruppo è quello di iniziare alla base un paziente lavoro di restaurazione teorica allo scopo di rianimare i compagni disorientati o ideologicamente deboli; di qui la necessità di riassestare consolidare potenziare, sul piano locale, il tessuto associativo minacciato da un avanzato processo di lacerazione. Va altresì ricordato che questo gruppo, soprattutto i più giovani, è attraversato da un sentimento di inquietudine, di voglia di essere in qualche modo protagonista del proprio avvenire, ma nel contempo è incerto nelle scelte soprattutto teoriche. Masini li sprona allo studio, invia loro continuamente lettere nelle quali suggerisce letture di classici, sia politici che economici. Tra di loro c’è chi non ha una formazione prettamente anarchica, ma spesso è mutuata da elementi spuri derivati dalla cultura social-comunista, o repubblicana; Masini ne è ben cosciente e cerca con tutte le sue forze di costruire un cammino comune, ma l’impresa come vedremo non sarà priva di ostacoli e anche di delusioni. Tra i nomi dei giovani che sono tra i più irrequieti e in qualche maniera “problematici” c’è Cervetto”10

Che nell’immediato Secondo dopoguerra vive un’evoluzione politica e teorica che lo porterà ad essere da antifascista ribelle e comunista irregolare ad anarchico, come reazione alla svolta del «partito nuovo» di Togliatti.
E proprio in una lettera a Cervetto del 16 novembre 1949 che Masini delineerà in parte il programma dell’attività di quelli che diverranno i GAAP:

“Mi sembra che sul piano ideologico si possa andare d’accordo dichiarando il fallimento di socialdemocrazia-bolscevismo-sindacalismo-anarchismo tradizionale. […] Ora ecco la prospettiva che si disegna
a) dichiarare il fallimento di tutto il passato (anche nostro);
b) procedere alla formazione di un movimento (anarchico) nuovo.
Fin qui la prospettiva politica, di anni. Poi la prospettiva storica, di decenni.
c) Formare il movimento di classe.
Natura non facit saltus.
Sul terreno ideologico le nostre posizioni coincidono.
Sull’astensionismo siamo d’accordo.
Sul «partito» nessuno vuole il partito tradizionale della classe operaia, né l’azienda elettorale dei socialdemocratici né la superassociazione di amicizia italo-sovietica degli stalinisti, ma qualcosa di superiore di metapartitico.[…] se un presupposto della dissoluzione dello stato nella fase rivoluzionaria è la formazione particolare dei quadri rivoluzionari, risulta anti-pedagogico, controproducente parlare a questi quadri il linguaggio della «dittatura», della «egemonia», della «conquista del potere». Significa capitolare innanzi tempo di fronte all’ipotesi dello stato, ripiegare passivamente su posizioni di rinuncia, di pigrizia, di controrivoluzione preventiva.
Bisogna decisamente puntare sul non-stato, concentrare tutte le forze nel periodo rivoluzionario senza deroghe, senza proroghe dei problemi. Ci siamo?”11

Sarà sostanzialmente su queste basi, oltre che su una più vasta riflessione di carattere geo-politco sull’imperialismo e sull’opposizione alla guerra, che sarà formulato il documento politico della Conferenza nazionale convocata dal Gruppo d’iniziativa per un movimento «orientato e federato» svoltosi a Pontedecimo, in provincia di Genova, dal 24 al 25 febbraio 1951da cui avranno ufficialmente origine i GAAP. Le cui tesi principali saranno elaborate da Masini e da Cervetto.
Con il secondo ormai più orientato verso ipotesi di stampo leninista.

“Tra gli osservatori che partecipano alla Conferenza di Genova-Pontedecimo vanno segnalati Bruno Maffi, rappresentante del Partito comunista internazionalista; Livio Maitan e Sergio Guerrieri dei Gruppi comunisti rivoluzionari IV Internazionale. La presenza di queste organizzazioni a una riunione di anarchici rappresenta una novità. […] I bordighisti all’epoca rappresentano una delle «dissidenze» storiche del comunismo italiano, nel loro costituirsi in formazione politica distinta durante gli anni del Secondo conflitto mondiale, avevano sempre cercato di rivendicare la continuità con l’esperienza del Partito comunista d’Italia fondato a Livorno nel 1921. Questo richiamo alle radici non era casuale, e non riguardava solo anagraficamente la storia di alcuni dei principali militanti e teorici – tra cui lo stesso Amadeo Bordiga, primo segretario e fondatore del PCd’I –, ma soprattutto era di natura politico ideologica. La scelta nella propria denominazione dell’aggettivo «internazionalista», testimoniava la rivendicazione della vera essenza del comunismo rivoluzionario in contrapposizione al modello staliniano e togliattiano del partito, che faceva del nazionalismo la propria bandiera. La loro presenza alla Conferenza nazionale del gruppo de «L’Impulso» era dettata soprattutto dai buoni rapporti personali che negli anni Masini aveva mantenuto con quest’area politica e dalla quale traeva alcune riflessioni teoriche, specialmente quelle riguardanti l’analisi di Bordiga sullo Stato e la scelta internazionalista che l’intellettuale toscano stesso aveva condiviso durante l’ultima guerra”.12

La preoccupazione maggiore di Masini non fu però soltanto quella di costruire un’organizzazione che in una situazione controrivoluzionaria non avesse altro scopo che quello di illustrare, documentare e descrivere la crisi, non solo economica ma soprattutto politica del movimento proletario, dare la rappresentazione geometrica e puntuale di questa crisi fondando in tal modo le premesse della riscossa proletaria. Ma anche quella di chiarire che nel momento in cui il lavoro politico fosse venuto

“a combaciare con la realtà rivoluzionaria, in questa si dissolve e scompare come movimento. Guai se l’organizzazione politica sopravvivesse di un attimo! Guai se anche i gruppi anarchici di fabbrica non si bruciassero ipso facto nel nuovo spazio umano delle assemblee. Avremmo allora una mostruosa dittatura, chiusa e tirannica quanto altre mai. L’alba della rivoluzione deve coincidere col tramonto dei suoi annunziatori”13

Quell’avventura politica sarebbe durata fino al 1957, in uno dei periodi più burrascosi e difficili per il movimento operaio non soltanto italiano; segnato dalla fine apparente dello stalinismo, dalla rivolta operaia “rimossa” di Berlino Est del 1953 e dalla repressione sovietica dell’insurrezione dei consigli ungheresi del 1956. Nel mentre quei compagni sarebbero stati sempre attenti ai nuovi sviluppi della lotta di classe e all’evolversi della situazione internazionale e dei conflitti interimperialistici.

L’organizzazione sarebbe stata attraversata anche dolorosamente dalle contraddizioni esplosive che si manifesteranno nella seconda metà del decennio post-bellico, ma sempre quei compagni avrebbero cercato di non perdere la rotta e di mantenere un punto di vista adeguato sia alla situazione ancora ritenuta controrivoluzionaria che alle possibili evoluzioni future della lotta di classe e della rivoluzione.
Come esempio di tale attenzione e lucidità basti qui ricordare una risoluzione del Comitato nazionale dei GAAP sui moti di Berlino del giugno 1953:

“Il giorno 17 giugno le strade di Berlino, quelle stesse strade che nel primo dopoguerra rosso furono teatro della estrema resistenza spartachiana contro le truppe del traditore Noske, sono state invase da prorompenti turbe di lavoratori e di lavoratrici che dopo anni di silenzio, di reazione croce-uncinata, di guerra imperialista, di occupazione militare hanno levato la voce fremente ed angosciosa di una classe di schiavi in rivolta. Come anarchici e come rivoluzionari noi consideriamo questo avvenimento, insieme alle eroiche sollevazioni dei popoli coloniali, insieme alle dure lotte dei lavoratori europei contro l’imperialismo americano, come uno dei fatti più importanti e più significativi degli ultimi anni.
Il 17 giugno l’imperialismo sovietico ha rivelato le debolezze e le contraddizioni del suo sistema non più attraverso oscuri conflitti tra alti gerarchi di partito e di governo, facilmente risolvibili con l’impiccagione dei vinti, non più attraverso processi, sensazionali e clamorosi quanto privi di ogni significato sociale, di fronte ai quali le masse assistevano passive e attonite. No, questa volta le masse sono entrate nel processo come accusatrici ed hanno impostato la causa su chiari motivi di classe: di là lo Stato burocratico e poliziesco, l’esercito straniero, il partito di governo; di qua noi, popolo lavoratore, armato dei nostri diritti al pane ed alla libertà. Ancora una volta è stato dimostrato che né il peso opprimente di una dittatura, né l’illusione di un «socialismo» statalista e burocratico. Né il violento annientamento fisico di ogni qualificata opposizione rivoluzionaria sono sufficienti a garantire la classe egemone dall’incontenibile insurrezione delle forze di classe che sgorgano alla base della sua stessa egemonia e le si avventano contro”.14

L’enorme mole di documentazione e di testi riportati in questo primo volume andrebbe esaminata ancora più approfonditamente, cosa che lo spazio di una recensione non può permettere, ma sicuramente le pagine della coraggiosa e ampia opera di ricostruzione curata da Bertolucci, insieme a quelle dei due volumi che seguiranno15 e che ancora qui su Carmilla saranno recensiti, richiamano tutti allo studio della Storia e ci ricordano che il processo di formazione dei partiti e dei movimenti reali non è semplice né casuale né, tanto meno, volontaristico. Sorge invece da lunghe riflessioni sulle sconfitte passate e dalla dura esperienza delle lotte reali, condivise (non soltanto sulla base ideologica) e diffuse sui territori, non da un’urna elettorale e nemmeno dall’aggregazione di rappresentanti di formazioni politiche ormai defunte che come fantasmi si rifiutano semplicemente di accettare l’idea di esser già scadute da tempo.


  1. Come spesso si ricordava orgogliosamente, senza allo stesso tempo ricordare quale incredibile baluardo della restaurazione borghese questo avesse finito col rappresentare fin dalla svolta di Salerno e quale ostacolo avesse sempre costituito per la riorganizzazione di classe dal basso e per l’autonomia politica della stessa  

  2. G. Berti, Il pensiero anarchico: dal Settecento al Novecento, Lacaita, 1998, pp. 47-48 cit. in F.Berolucci, Per una storia dei Gaap, in GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE. Vol.1, pag. 56  

  3. F. Bertolucci, op.cit. pag. 56  

  4. Bertolucci, op.cit. pp.57-58  

  5. Bertolucci, pag. 61  

  6. op.cit. pp. 94-95  

  7. pag.96  

  8. pag.96  

  9. pag. 97  

  10. pag. 110  

  11. pag. 114  

  12. pp. 153-154  

  13. Cit. in Bertolucci, pag. 97  

  14. Le rosse giornate di Berlino est, Genova 15 luglio 1953, op.cit. pag. 475  

  15. Il secondo intitolato: Dalla rivolta di Berlino all’insurrezione di Budapest. Dall’organizzazione libertaria al partito di classe; mentre il terzo sarà dedicato alle biografie dei vari militanti  

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Il movimento anarchico italiano dal 1943 al 1968 https://www.carmillaonline.com/2014/10/09/movimento-anarchico-italiano-dal-1943-1968/ Wed, 08 Oct 2014 22:10:01 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17960 di Sandro Moiso

anarchiciPasquale Iuso, GLI ANARCHICI NELL’ETA’ REPUBBLICANA. Dalla Resistenza agli anni della contestazione 1943-1968, BFS Edizioni, Pisa 2014, pp. 240, Euro 18,00

Il testo di Pasquale Iuso prosegue l’opera di rigorosa ricostruzione della storia del movimento anarchico italiano avviata da molti anni dalla Biblioteca Franco Serantini di Pisa, che, con i suoi 40.000 libri e i 5.000 periodici depositati nella sua emeroteca oltre alla grandissima mole di materiale documentario (volantini, manifesti, lettere, fotografie, striscioni e bandiere) ivi contenuto, costituisce di fatto uno dei più importanti centri di documentazione per la storia del movimento operaio presenti in Italia.

Rigore [...]]]> di Sandro Moiso

anarchiciPasquale Iuso, GLI ANARCHICI NELL’ETA’ REPUBBLICANA. Dalla Resistenza agli anni della contestazione 1943-1968, BFS Edizioni, Pisa 2014, pp. 240, Euro 18,00

Il testo di Pasquale Iuso prosegue l’opera di rigorosa ricostruzione della storia del movimento anarchico italiano avviata da molti anni dalla Biblioteca Franco Serantini di Pisa, che, con i suoi 40.000 libri e i 5.000 periodici depositati nella sua emeroteca oltre alla grandissima mole di materiale documentario (volantini, manifesti, lettere, fotografie, striscioni e bandiere) ivi contenuto, costituisce di fatto uno dei più importanti centri di documentazione per la storia del movimento operaio presenti in Italia.

Rigore che spesso è costato alla BFS più di una critica all’interno dello stesso ambiente anarchico, poiché rigore non sempre fa rima con fervore come una storiografia più schierata, molte volte in ambito antagonista, vorrebbe. Ma il suo stesso definirsi “biblioteca di studi sociali e storia contemporanea” indica già da solo lo sforzo di travalicare i limiti dell’autoreferenzialità politica. Autoreferenzialità che, troppe volte insieme all’eccessivo fervore o alla passione intransigente, ha finito col falsare, anche involontariamente, la ricostruzione della storia del movimento operaio dando vita ad agiografie oppure a rimozioni che di solito non hanno giovato alla conoscenza delle forme organizzative e di lotta assunte dalla lotta di classe e dei problemi teorici e politici che sempre l’hanno accompagnata nel passato. Soprattutto recente.

Sono 25 anni importanti quelli presi in considerazione dall’autore, docente di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli studi di Teramo. Compresi tra due avvenimenti estremamente significativi per la storia del movimento operaio italiano: la caduta del fascismo sul finire del secondo conflitto mondiale e la ripresa dell’azione autonoma di classe alla fine degli anni sessanta. Eventi che, in entrambi i casi, videro una straordinaria mobilitazione giovanile, operaia e civile. Spesso non immediatamente compresi nella loro complessità né da coloro che li vissero in prima persona né, tanto meno, da coloro che cercarono di interpretarli alla luce delle esperienze organizzative e politiche precedenti.

Venticinque anni di storia caratterizzati soprattutto dalla crisi di un movimento, quello anarchico, che si ritrovò ad operare in un contesto politico, sociale ed economico profondamente cambiato rispetto a quello in cui aveva potuto maggiormente esprimere la propria forza e la coerenza delle proprie idee e formulazioni teoriche. Infatti il periodo compreso tra l’inizio del ‘900 e la guerra civile spagnola, nonostante l’avvento del fascismo e del totalitarismo, aveva visto un quadro sociale e politico molto differente da quello successivo al secondo conflitto mondiale.

Un quadro mutato dal punto di vista politico con l’avvento dei grandi partiti di massa la cui finalità oggettiva non era più costituita dal rovesciamento dell’esistente, ma, nonostante le promesse e le roboanti dichiarazioni, dalla sua piena e corresponsabile continuazione.
Motivo per cui il movimento operaio sul finire del secondo conflitto mondiale non aveva più dato vita ad insurrezioni e rivoluzioni, come sul finire del primo, ma a movimenti di difesa nazionale ispirati dalla scelta staliniana di “collaborare” con l’imperialismo americano per poter poi ampliare l’influenza sovietica in Europa.

Una scelta che, esattamente come durante l’esperienza spagnola, aveva non solo diviso il movimento anarchico, ma, più in generala, tutto il movimento operaio tra chi voleva ancora privilegiare innanzitutto la lotta di classe anti-capitalista ed antimperialista e chi invece intendeva fare di necessità “virtù” ed affiancarsi a quello che sembrava rappresentare il male minore tra i molossi in lotta.

Una scelta che, dalla fase resistenziale e del CLN in avanti, avrebbe diviso profondamente e, forse, irrimediabilmente il movimento anarchico italiano; lungo una linea di faglia che correrà all’inizio tra Nord ancora occupato dalle forze nazi-fasciste e Sud già “liberato” dagli alleati occidentali e, successivamente, tra coloro che intenderanno tener conto dei cambiamenti intervenuti adattando la propaganda e l’azione anarchica ai nuovi tempi e coloro che, invece, continueranno imperterriti a difendere la tradizione, si potrebbe dire epistemologica, del movimento stesso.

La frattura tra le due pratiche c’era già stata nei fatti , tra i gruppi che avevano da un lato appoggiato la resistenza armata a fianco, e talvolta all’interno, dei comitati di liberazione nazionale e quelli che, già sottoposti al regime di sorveglianza anglo-americano, non coglievano alcuna differenza tra il regime dittatoriale fascista e l’organizzazione della futura “democrazia” occidentale. In ogni caso erano stati i fatti concreti a spingere i rappresentanti del movimento in una direzione piuttosto che nell’altra e questo lo si può cogliere bene nelle pagine del testo.

Sono anni, quelli che vanno dal ’43 alla metà degli anni cinquanta ricchi di iniziative tese a riunire e riorganizzare il movimento anarchico. Congressi, giornali, fogli volanti, convegni segnano un periodo in cui lo spirito di rinnovamento caratterizza significativamente il tentativo di riaggregare politicamente e sindacalmente l’anarchismo italiano.

Anni in cui emergono figure nuove ed importanti, come quella di Pier Carlo Masini, con il suo tentativo di ricollegare almeno una parte del movimento all’altro grande sconfitto di quegli anni: quello della Sinistra comunista italiana. Con la formazione successiva di raggruppamenti ed esperienze editoriali che daranno poi in seguito vita a nuove realtà di ricerca storica e di organizzazione politica.

Esperienze, comunque e sempre, minoritarie se paragonate, sia in ambito anarchico che in quello comunista, a quelle degli anni precedenti la guerra civile spagnola, che di fatto sembra davvero aver costituito la linea di confine tra l’organizzazione politica, verrebbe forse da dire anche la “mentalità”, del primo novecento e quella della seconda metà del secolo. Metà del secolo che inizia proprio con i processi di Mosca e l’eliminazione dell’opposizione di classe all’interno dei partiti comunisti e con la divisione in campo anarchico tra chi intendeva partecipare al Governo repubblicano di Madrid e chi si oppose a tale “anarchismo di governo”.

Paradossalmente, quella seconda metà del secolo sarà messa in crisi, nuovamente, soltanto dai movimenti reali e spontanei che sorgeranno a partire dagli anni sessanta e in particolare con quelli compresi tra il 1968 e il 1977, in cui prenderà il sopravvento una nuova generazione di militanti che cercherà, spesso anche inconsciamente, di ricucire la necessità storica immediata con la tradizione di pensiero dell’anarchismo. Generazione che dovrà fare i conti anche con una criminalizzazione feroce e che avrà, per modo di dire, il suo “battesimo del fuoco” da Piazza Fontana in avanti.

Pasquale Iuso si mantiene in rigoroso equilibrio nell’analizzare le posizioni politiche ed ideologiche assunte dal Movimento Anarchico nel corso del quarto di secolo affrontato. Con una ricchezza di materiali tratti da atti di convegni, articoli, lettere ed interventi che denotano una ricerca precisa e meticolosa, ma che fa risentire a tratti il testo di un eccesso di accademismo e fa sentire la mancanza di un’analisi dell’altro elemento che caratterizzò la trasformazione del movimento operaio durante quegli anni: il cambiamento intervenuto nella composizione di classe.

Composizione di classe che mutando non poteva non avere conseguenze anche sulla mentalità e sui comportamenti dei lavoratori. Infatti, da un movimento composto perlopiù da operai di mestiere e piccoli artigiani, spesso orgogliosi del proprio lavoro e, talvolta, della loro indipendenza economica e politica, si era giunti a vedere come protagonisti delle lotte dei lavoratori sempre più massificati e dequalificati che, dopo un’iniziale fiducia nei regimi o nei partiti di massa, avrebbero preso coscienza della propria autonomia politica attraverso il rifiuto del lavoro e del regime salariale tout court.

Il fallimento o meno della proposta politica anarchica, e più in generale della critica radicale dell’esistente, è quindi da collegarsi, più che alle scelte di carattere derivativo operato in ambito ideologico e programmatico ai fattori oggettivi, tanto socio-economici quanto storico-politici, che di volta in volta ne hanno determinato il percorso e i salti, in avanti o all’indietro, avvenuti di volta in volta.

Ma con questo, più che un eventuale mancanza del testo, si segnala quello che è il problema reale che si presenta quasi sempre nell’analisi delle esperienze di lotta e di organizzazione di stampo rivoluzionario. Esperienze che, quando sono reali, sono accompagnate sempre da formulazioni tattiche e programmatiche “nuove”, risultanti dalla dialettica tra la memoria delle esperienze e delle sconfitte passate e le novità intervenute nella composizione di classe e nella dinamica degli elementi politico-economici che danno vita al modello sociale capitalistico e/o alla sua crisi.

Così, come forse è accaduto ad una parte del movimento analizzato nel testo, uno sguardo eccessivamente rivolto al passato è talvolta dovuto alla mancanza di una prospettiva futura e di una sua possibile ed immediata materializzazione nelle contraddizioni del presente. E può capitare, come già si segnalava all’inizio, che l’esaltazione di un passato ritenuto, a torto o a ragione, “glorioso” sostituisca l’analisi rigorosa per non dover fare i conti con la mancanza di prospettive per il presente.

L’opera di Iuso si pone pertanto come una necessaria lettura non solo per coloro che siano interessati alla storia del movimento anarchico, ma per chiunque sia interessato a ripercorrere le contraddizioni, le difficoltà e le scelte del movimento operaio italiano soprattutto dal punto di vista ideologico e tattico.

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