Pentagono – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La Storia non sempre si ripete https://www.carmillaonline.com/2023/07/03/la-storia-non-sempre-si-ripete/ Mon, 03 Jul 2023 20:00:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77727 di Sandro Moiso

Francesco Dei, Balcani in fiamme. Storia militare della guerra russo-turca (1877-1878), Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2023, pp. 424, euro 32,00

Il bel saggio di Francesco Dei, appena pubblicato da Mimesis, permette di svolgere riflessioni, non solo di carattere militare, su molti aspetti dei conflitti alle porte d’Europa, sia di ieri che di oggi. L’autore non è nuovo ad opere del genere poiché, già in passato, si è occupato di conflitti che, tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi vent’anni del secolo successivo, hanno visto coinvolte le forze armate russe. Sia nella loro forma zarista che in quella [...]]]> di Sandro Moiso

Francesco Dei, Balcani in fiamme. Storia militare della guerra russo-turca (1877-1878), Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2023, pp. 424, euro 32,00

Il bel saggio di Francesco Dei, appena pubblicato da Mimesis, permette di svolgere riflessioni, non solo di carattere militare, su molti aspetti dei conflitti alle porte d’Europa, sia di ieri che di oggi.
L’autore non è nuovo ad opere del genere poiché, già in passato, si è occupato di conflitti che, tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi vent’anni del secolo successivo, hanno visto coinvolte le forze armate russe. Sia nella loro forma zarista che in quella di Armata rossa.

Dei, nato a Siena nel 1975 e laureato in Scienza politiche, si è specializzato in storia e cultura dell’Estremo oriente e in storia e cultura della Russia e dell’Europa slava. Appassionato di storia militare, ha pubblicato, sempre per Mimesis nel 2018, “La rivoluzione sotto assedio: Storia militare della guerra civile russa 1917-1922” (a suo tempo recensito su «Carmillaonline» il 27 giugno 2018), mentre nel 2020 ha dato alle stampe una “Storia militare della guerra russo giapponese 1904 – 1905” (LEG, Gorizia 2020).

La guerra affrontata nel saggio attuale è uno delle tante che hanno visto, tra l’età moderna e quella successiva alla metà del XIX secolo, due imperi, quello russo e quello ottomano, affrontarsi sia per il controllo dei Balcani che della Crimea e del Mar Nero. Conflitti in cui, di volta in volta, l’”aggressore” è stato uno dei due paesi, con motivazioni spesso mascherate dietro alla necessità di intervenire in difesa di minoranze etnico-religiose oppure di comunità ribellatesi contro lo zar o il sultano.

Nel caso della guerra del 1877-1878 il pretesto è fornito dalla persecuzione delle comunità cristiane dell’impero ottomano da parte delle milizie irregolari turche basci-buzuk, soprattutto in Bulgaria. Cosa che fornì lo spunto all’impero zarista, custode formale della fede ortodossa, di intervenire per espandere la propria influenza e presenza militare nell’area. A differenza, solo per fare un esempio, della guerra russo-turca del 1768-1774 in cui la parte del persecutore, in questo caso di comunità polacche e ucraine, era stata svolta dalle truppe di Caterina II di Russia e del suo favorito, Stanislao Augusto Poniatowski.

Considerata da molti storici come un conflitto secondario, la guerra russo-turca, nelle pagine e nell’accurata ricerca di Dei si rivela, nei fatti, una anticipazione e prefigurazione del futuro conflitto mondiale, in cui, soprattutto i Russi, utilizzeranno tecniche, strumenti, tattiche e lezioni tratte sia dalla guerra civile americana del 1860-65 che del conflitto franco prussiano del 1870.

Capisaldi trincerati sotto il livello del suolo o posti come rilievi creati con l’artificio di essere circondati e protetti da scavi profondi 4 o 5 metri che mettevano in difficoltà l’assalto delle fanterie e della stessa cavalleria; l’uso di armi da fuoco a retrocarica con gran numero di proiettili a disposizione di ogni soldato; mitragliatrici (prima fra tutte la Gatling così ampiamente utilizzata nel conflitto tra Nord e Sud negli Stati Uniti) e diversi tipi di artiglieria, cosi come l’uso dei primi siluri a propulsione per la marina militare, delinearono con grande anticipo quello che sarebbe stato, sul piano militare, il grande macello del Primo conflitto mondiale che sarebbe iniziato meno di quarant’anni dopo. Preceduta, per quanto riguarda la Russia, ancora dal conflitto russo-giapponese del 1904-1905.

Anche nel numero dei morto e feriti tra i soldati che, secondo i calcoli dell’autore, raggiunse quello complessivo di circa 230.000 caduti, spartiti su entrambi i fronti, nell’arco di soli 10 mesi di scontri.
Caduti che se apparentemente diminuivano rispetto al conflitto in Crimea del 1853-1856 (con un numero di soldati deceduti compreso tra i 363 e 673mila) oppure alla guerra civile americana (con un milione e ottocentomila caduti), costituivano un discreto esempio di macelleria automatizzata moderna se si tiene conto della minor durata del conflitto stesso.

L’autore eccelle sia nella descrizione del conflitto e del suo svolgimento sul campo e a livello politico-diplomatico, che nel descrivere le sofferenze delle popolazioni civili coinvolte. Così come nell’elencare le caratteristiche della capacità di resistenza del popolo russo e del suo esercito e le motivazioni su cui questa si è, spesso, fondata. Cosa che nell’introduzione lo porta a tracciare interessanti paralleli con il conflitto attualmente in atto in Ucraina.

Lasciando, però, al lettore interessato la ricostruzione di quei drammatici avvenimenti che si conclusero con una vittoria russa non coronata dai risultati sperati e con un ulteriore indebolimento di quello che era ormai chiamato il Grande Malato, ovvero l’impero ottomano, occorre qui sottolineare alcune ulteriori riflessioni che il testo di Dei induce a svolgere, pur non trattandole sempre in maniera diretta.

La prima riguarda proprio il numero dei caduti che, dal punto di vista delle perdite puramente militari, avrebbe raggiunto il suo apice nel conflitto 1914-18 e che ci suggerisce che le cifre pornograficamente fornite ogni giorno dai media e dalla propaganda sulle perdite russe (soprattutto) ed ucraine, per il conflitto attualmente in corso, devono essere per stati in precedenza un po’ (se non molto) gonfiate. Secondo fonti del Pentagono, infatti, a tutto aprile 2023, l’esercito ucraino avrebbe sofferto un numero di perdite che potrebbe variare dai 124.500 ai 131.00, compresi 17.500 deceduti in azione; mentre le forze russe avrebbero subito da 189.500 a 223.00 perdite di cui 43.000 sarebbero cadute in azione1. Chiaramente in molti articoli riguardanti l’argomento si è giocato molto sulla traduzione del termine inglese casualties che può indicare sia le vittime che i feriti oppure i morti.

Anche se c’è da osservare come l’attuale conflitto, proprio per la novità rappresentata da alcuni strumenti usati per la prima volta su larghissima scala come i droni, di fatto costituisca sia un passo avanti nelle tecniche militari che un passo, forse due, indietro con il forzato ritorno alla guerra di trincea e il rallentamento della guerra di movimento. Dovuto sia al controllo dello spazio aereo e terrestre con i droni che all’utilizzo di più maneggevoli e micidiali armi anticarro su entrambi i fronti. Mentre allo stesso tempo, il numero delle vittime civili sembra andare in controtendenza rispetto ad un trend storico in cui, dalla seconda guerra mondiale in poi, il numero dei civili uccisi in ogni guerra , allargata o locale, ha sempre ampiamente sopravanzato quello dei militari uccisi.

La seconda riflessione, invece, aiuta a spiegare la tensione e l’attenzione con cui i media liberal occidentali hanno seguito le recenti elezioni tenutesi in Turchia, tifando apertamente per il tutt’altro che liberale avversario di Recep Tayyip Erdogan, Kemal Kilicdaroglu, che aveva promesso un patto più forte con l’UE (e quindi con le sue politiche nei confronti della Russia). Questo perché, al di là delle farlocche dichiarazioni sui “diritti” (poi smentite proprio dalla promessa del pugno duro con i migranti presenti sul territorio turco fatta dallo stesso Kilicdaroglu), quello che interessava allo schieramento occidentale era il far tornare la Turchia “nemica” della Russia come nei decenni e nei secoli precedenti.

Smontare quell’asse che, se non costituisce ancora una vera e propria alleanza con Putin, in realtà fa sì che il paese detentore del secondo apparato militare della Nato (ampiamente rivisitato nei suoi vertici dopo il fallito colpo di stato del 20162, sventato anche grazie all’intervento dell’intelligence russa) non costituisca più quel baluardo anti-russo cui la Storia degli ultimi decenni, ma soprattutto dei secoli precedenti, aveva abituato l’Occidente (e soprattutto il Regno Unito) ad un “sicuro” contenimento verso il Mediterraneo e il Medio Oriente della potenza slava.

Proprio ciò, ovvero la differente politica di Erdogan e della Turchia nei confronti della Russia e delle “volontà occidentali”, costituisce uno dei fatti di rilevanza storica scaturiti prima e confermati durante l’attuale conflitto russo-ucraino. Dimostrando che non sempre la Storia si ripete, uguale a se stessa, così come troppo spesso analisti, studiosi, politici e militari dello schieramento europeo e Nato continuano a pensare per poter fare affidamento su certezze, in realtà, in via di rapido decadimento.

Un’ultima riflessione, che svolge ancora l’autore proprio nel saggio, riguarda infine la debolezza e la vacuità delle trattative diplomatiche una volta che i conflitti sono avviati e non abbiano ancora raggiunto un punto in cui sia chiara la loro possibile conclusione. Cosa che non fa altro che confermare lo sconcerto e la delusione di chi, oggi, dal Vaticano a varie altre entità politiche e statuali, guarda e promuove, con scarsi o nulli risultati, una soluzione diplomatica del conflitto in corso. In questo, sì, la Storia sembra ripetersi ancora, indipendentemente dalle capacità e dal carisma dei promotori delle medesime iniziative3.


  1. Fonte: M. Specia – B. Hoffman, Casualties in Ukraine overwhelm cemeteries, The New York Times International Edition, 21 giugno 2023  

  2. Si veda qui  

  3. Si veda, in proposito, l’intervista concessa dall’ex Capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare, Leonardo Tricarico, a Carlo Cambi in «In Ucraina nessuno cerca la pace», La Verità, 12 giugno 2023.  

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Ufo: le conferme del Pentagono sul New York Times https://www.carmillaonline.com/2018/02/04/ufo-le-conferme-del-pentagono-sul-new-york-times/ Sat, 03 Feb 2018 23:01:20 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=43082 di Maverick

Talvolta i media locali sono fonti di notizie insolite snobbate dai fratelli maggiori. Compaiono perchè interessano direttamente il territorio o perchè non hanno trovato spazio altrove. I media locali sono anche i meno monitorati, almeno sull’immediato, e difficilmente controllabili. E’ stato Metro, un piccolo ma diffuso quotidiano a distribuzione gratuita nelle metropolitane a riportare notizie che solo quattro giorni prima avevano trovano un clamoroso spazio sul New York Times e su un blog di qualche prestigio.

Metro del 20 dicembre scorso, sotto il titolo “Il Top Gun e l’Ufo su San Diego” – “No, non veniva dalla Terra…”, [...]]]> di Maverick

Talvolta i media locali sono fonti di notizie insolite snobbate dai fratelli maggiori. Compaiono perchè interessano direttamente il territorio o perchè non hanno trovato spazio altrove. I media locali sono anche i meno monitorati, almeno sull’immediato, e difficilmente controllabili. E’ stato Metro, un piccolo ma diffuso quotidiano a distribuzione gratuita nelle metropolitane a riportare notizie che solo quattro giorni prima avevano trovano un clamoroso spazio sul New York Times e su un blog di qualche prestigio.

Metro del 20 dicembre scorso, sotto il titolo “Il Top Gun e l’Ufo su San Diego” – “No, non veniva dalla Terra…”, riferiva un caso di incontro ravvicinato del 14 Novembre 2004 tra un FA/18 SuperHornet della Marina e un oggetto non identificato sull’oceano al largo di San Diego, California, con tanto di immagini della rilevazione radar. Il pilota David Fravor, che comandava una squadriglia in esercitazione, ricevette l’ordine via radio di accertare la presenza di oggetti volanti che “scendevano da una quota di 24.000 m fino a 6.000 m e poi scomparivano”. Si trattava, vista la presenza della squadriglia in zona, di andare a controllare da vicino. Lo fecero in due, Favor e il Tenente Jim Slaight. “Era bianco e aveva la forma di una mentina – dichiara Fravor – delle stesse dimensioni di un Hornet, lungo 12 metri ma senza ali, fluttuante vicino all’acqua”… mentre mi avvicinavo ha accelerato ed è scomparso. Più veloce di qualsiasi cosa abbia mai visto…”.

La seconda parte dell’articolo è ancora più intrigante. Si dice che questa notizia e le relative immagini sono in possesso del Pentagono e “rientrano nel programma denominato Advanced Aviation Threat Identification operativo tra il 2007 e il 2012”. La fonte è l’ex ufficiale dell’intelligence Luis Elizondo, ex responsabile di una non meglio specificata Ufo Division. Due affermazioni che lasciano stupefatti: non hanno sempre detto che dai tempi del Progetto Blue Book (metà anni Cinquanta) i militari non si sono mai più occupati di Ufo? Già da tempo si sa che non era vero ma non per ammissione ufficiale del Pentagono, e si sa anche che ogni branch di intelligence militare e civile americana ha sempre monitorato, gestito e intorbidato l’informazione sul fenomeno.1

A naso, comunque, le notizie erano intriganti e dovevo saperne di più. Quale era la fonte di Metro? Un po’ di ricerca ed ecco la terza notizia interessante (con gli Ufo non si finisce mai di stupirsi…): quattro giorni prima, il 16 Dicembre 2017, ben tre articoli pubblicati in contemporanea negli Usa: due sul New York Times e uno sul blog Politico, uno con contatti stabili con gli ambienti militari. Tutti sul caso degli avvistamenti del 2004 e delle dichiarazioni di Elizondo.I due del NYT firmati dagli stessi tre nomi, uno dei quali quello di Leslie Kean, giornalista investigativa già nota per il suo interesse attivo sull’argomento Ufo. I titoli: “2 Navy Airmen and an Object That ‘Accelerated Like Nothing I’ve Ever Seen” e ” Glowing Auras and ‘Black Money’: The Pentagon’s Mysterious U.F.O. Program”. Su Politico si rincara la dose: The Pentagon’s secret search for Ufos.

Il primo articolo contiene più dettagli sull’incontro nei cieli. Per esempio, apprendiamo che Fravor viene informato dall’operatore di controllo che da due settimane vengono rilevati velivoli misteriosi che appaiono sui radar in arrivo da un’altezza di 24.000 m, picchiano a velocità “impossibile” da sopportare per un essere umano (stimata in almeno 20.000 miglia all’ora) verso l’oceano dove si fermano per lunghi minuti dopodichè o spariscono dai radar o ripartono velocissimi verso l’alto e si perdono. Prestazioni che sfidano la fisica conosciuta. Fravor e Straight eseguono e si avvicinano all’oggetto. In mare c’è una strana risacca intorno a qualcosa di semisommerso e 15 m sopra la superficie vedono il velivolo che si muove a scatti irregolari. Fravor inizia una lenta discesa circolare di avvicinamento e l’oggetto comincia a dirigersi verso di lui poi “accelera come non ho mai visto e poi sfreccia via nel cielo” scomparendo dai radar ma riapparendo a 60 miglia di distanza nel punto di ritrovo dei due F18 che stavano ancora 40 miglia indietro. Al ritorno sulla Nimitz, dopo il debrief con i superiori, Fravor commenta con tipica prosa da top gun: “Non so cosa ho visto. Non aveva nè piume nè ali, nè rotori e ci ha surclassato. Voglio pilotarne uno”. Con l’articolo il NYT pubblica il video della gun camera del F18 fornito dal Pentagono a documentazione dell'”incontro”. Rimane la curiosità per quell’oggetto semisommerso che provoca risacca in alto mare.

Nel secondo articolo del NYT, oltre a mostrare un secondo filmato dalla gun camera del F18 (lo stesso di Fravor o in altra circostanza?)2 si affrontano significativamente argomenti importanti per la comprensione della portata del fenomeno Ufo: il monitoraggio da parte degli apparati di intellligence e militari e i sistemi di finanziamento clandestino di cui si fa riferimento apertamente anche nei titoli: black money, soldi in nero: ulteriori conferme di quanto da tempo documentato e affermato dai più seri ricercatori indipendenti. Apprendiamo che il programma Advanced Aviation Threat Identification (Identificazione delle minacce da aviazione avanzata) di cui era responsabile fino al 4 Ottobre 2017 Luis Elizondo, è un programma “non riconosciuto”, parti del quale rimangono segrete, che traeva risorsa finanziaria (22 milioni di dollari) dai 600 milioni annuali dichiarati ufficialmente, apparentemente terminato nel 2012 ma confermato al Times come ancora operativo da “outsiders”, anonimi esterni.3

Il programma segreto
Il programma, si racconta, e qui tutto si intreccia, era stato avviato nel 2008 su richiesta del senatore Democratico del Nevada Harry Reid che lo volle assegnato alla Bigelow Aerospace di proprietà di Robert Bigelow un amico miliardario del senatore a lui unito da un intenso interesse per il feniomeno Ufo di cui avrebbe fornito ampia documentazione a seguito del contratto col Pentagono. Successivi sponsor politici del programma, su raccomandazione di Reid, sono stati due altri senatori, Ted Stevens, Repubblicano dell’Alaska e Daniel K. Inouye, Democratico delle Hawai,4 membri di rilievo – riferisce sempre il Times – di una sottocommissione di spese per la Difesa, entrambi deceduti di recente. Sotto la direzione della Bigelow, si è costruito un deposito per stoccare i materiali recuperati da Ufo precipitati o abbattuti, e si sono raccolte testimonianze di provenienza prevalentemente militare, video, filmati, audio, ma anche test su civili che avrebbero denunciato disturbi fisici a seguito di incontri con gli oggetti. Dalla Bigelow, la gestione del programma sarebbe poi passata direttamente al Pentagono. Da Bigelow vengono citate dichiarazioni in cui lamenta la troppa segretezza sull’argomento Ufo negli Usa paragonata alla maggiore apertura di altri Paesi quali Belgio, Francia, Inghilterra e Cile,5 ma soprattutto Russia e Cina dove se ne occupano “vaste organizzazioni”.

Sempre più interessante. Salta fuori un nome che abbiamo già incontrato più volte trattando di ricerche segrete, quello di Hal Puthoff, un top scienziato specializzato in propulsione aviospaziale ma non solo. Puthoff chiarisce al Times di aver lavorato come contractor al programma AATI e fa lo gnorri sui risultati conseguiti fingendo di saperne meno di quanto già dimostrato in altre occasioni: “Siamo alla stesso punto di come si troverebbe Leonardo da Vinci se gli avessero dato in mano un telecomando di apertura di un garage: prima di tutto cercherebbe di capire cosa sia quello strano oggetto di plastica ma non potrebbe sapere niente dell’elettromagnetismo che ne regola le funzioni”.6

E c’è di più: veniamo informati che proprio Puthoff insieme a Elizondo e a Christopher K. Mellons, un ex sottosegretario alla Difesa e ex Capo dello staff della Commissione Intelligence del Senato, hanno varato un’ iniziativa commerciale denominata To the Stars, Academy of Arts and Science che si propone di continuare la ricerca per la quale richiedere finanziamenti. Il fenomeno Ufo non è solo il più grande segreto dell’umanità (sempre meno però) ma anche una grande fonte di profitto per grandi e piccini. Quale miglior conferma della consistenza reale del fenomeno?

Il blog Politico ribadisce gli stessi contenuti del NYT enfatizzando la segretezza della ricerca nel settore e aggiunge qualche altro dettaglio: il nome del quarto socio, Tom DeLonge, ex chitarrista dei Blink 82, coinvolto per il suo profondo interesse per il fenomeno Ufo, il quale afferma che “To the Stars ha mobilitato un team di cervelli di grande esperienza provenienti dal mondo dell’intelligence, Cia compresa, che hanno operato per decenni nell’ombra della massima segretezza” . Da artista, DeLonge sostiene di voler “lavorare per portare allo scoperto le incredibili innovazioni della scienza e fornire ai cittadini del mondo la conoscenza che potrà trasformare l’umanità”. Con l’appoggio – rivela ancora De Longe – di collaboratori di alto livello come Chris Mellon, un ex alto dirigente Cia, e un ex direttore dei sistemi avanzati alla Skunk Works, la supersegreta branch della Lockeed Martin, massima corporation del settore aviospaziale.7

E’ insomma una miniera di novità e di conferme questa raffica di articoli-rivelazione. La prima in ordine di importanza, se ce n’era ancora bisogno è la conferma che del fenomeno Ufo ormai si parla quasi apertamente. E’ un segreto di Pulcinella “non riconosciuto” a cui manca solo l’ ufficialità. E dà da mangiare a tanti. Un mercato nutrito, almeno negli Usa, da fondi neri su programmi supersegreti appaltati e subappaltati a contractors privati di vario livello (laboratori, aziende, corporation, università, ecc) e quindi parcellizzati al massimo per impedirne la visione d’insieme. E chissà da cos’altro.

La seconda conferma è che anche diversi altri paesi, tra cui le superpotenze Cina e Russia, sono attivi nella ricerca e nel monitoraggio tramite Ufo Desks (anche in Italia, qui non nominata, ce n’è uno presso il Ministero della Difesa).8 Ci sono testimonianze accreditate che indicano che la Russia, già da quando era Urss, si occupi molto degli aspetti extrasensoriali ed extradimensionali del fenomeno. Poi, da quanto emerge da fonti diverse, ci aggiungerei anche l’Iran.

Terza conferma: esistono reperti, “leghe metalliche e altri materiali recuperati da Uap (Unidentified Aerial Phenomena. Sta per Ufo, tanto per non dirlo apertamente) abbattuti o precipitati”. I ricercatori indipendenti lo dicono da anni e hanno sovente riportato testimonianze in merito; a partire dal Roswell crash del 1947. Ci sarebbe da fare un titolone ma il NYT smorza e lo fa dire da Elizondo. Meglio non esagerare. Stesso discorso per gli “effetti psicofisici su individui che hanno avuto/subito un incontro ravvicinato con gli oggetti”: la casistica è ampia a partire dalla testimonianza diretta degli avieri Larry Warren e John Burroughs protagonisti loro malgrado dell’incidente alla base Nato di Rendlesham Forest, in Inghiltera nel dicembre 1980, un caso definito “la Roswell europea”. Per non parlare del rapporto del Ministero della Difesa britannico denominato Project Condign completato nel Marzo 20009 che tratta ampiamente quella materia.

Infine, le parole di Tom De Longe danno un’altra conferma di quanto sostengono da tempo testimoni e ricercatori cioè della possibilità di applicare a scopi civili la tecnologia, o almeno i processi tecnologici, ricavata dai reperti Ufo per ” fornire ai cittadini del mondo la conoscenza che potrà trasformare l’umanità”. Che è poi probabilmente la prima e più importante spiegazione del perdurante segreto. Quelle tecnologie ci farebbero superare la necessità dei carburanti fossili e porterebbero vantaggi incalcolabili per l’umanità producendo energia non inquinante e da fonte infinita, come lo spazio.

Curiosa la mancanza di reazione ufficiale alla divulgazione di queste notizie. Si pensi cosa succederebbe se un bombardiere russo Bear o un analogo cinese fossero stati avvistati a cento miglia dalla costa californiana: probabilmente gli americani andrebbero fuori di testa. Invece, in caso di Ufo, velivoli dalle prestazioni “oltre il conosciuto”, nessuna reazione. Come se fosse meglio non agitare troppo le acque ma si può ben presumere che nel background ci sia stata agitazione.

Questo break di notizie simultanee solleva qualche domanda:
Che succede al New York Times? Perchè ha pubblicato due articoli sull’argomento Ufo offrendo addirittura con la simultaneità un’evidenza senza precedenti?
Si sa che il NYT, insieme al Washington Post e Cnn, è la voce dell’establishment cioè degli ambienti più potenti della società americana, l’ espressione assoluta del mainstream, alfiere di un tipico atteggiamento di progressismo prudente e conformista, di fatto custode “illuminato” di un composto ma irremovibile status quo. E’ generalmente accurato e onesto ma non certo dedicato a sollecitare radicalizzazioni o a scaldare l’opinione pubblica con inutili verità. Ha anzi, su temi sensibili, una lunga tradizione di collaborazione con gli ambienti militari e dell’intelligence (come evitarla se vuoi dare notizie di primo piano?): si pensi alla sua frenetica falsa campagna sulle armi di distruzione di massa dell’Iraq, alle fake news su Siria, Libia, Ucraina e, nel 1947, sul falso reperto di Roswell (il pallone metereologico…) che diede l’inizio al cover up sul fenomeno Ufo.

Richard Dolan, uno dei più seri ricercatori della comunità ufologica, azzarda una spiegazione: la notizia di questi “incontri” del 2004, filmati inclusi, era già stata oggetto della conferenza stampa al National Press Center di Washington tenuta in Ottobre dal team di To the Stars di fronte a un pubblico di scienziati, del sottobosco politico-militare e di personale dell’intelligence. Anche se il tema esplicito non erano gli Ufo ma il lancio della nuova iniziativa, tutti sapevano che di quello si trattava in realtà e l’evento ebbe grande rilievo anche per il livello dell’audience e del personale coinvolto nell’impresa. Non poteva passare totalmente sotto silenzio. E’ dunque possibile che la pubblicazione delle notizie sul NYT sia un’operazione di “controllo del danno” in cui viene offerto un buon boccone ma forse non “intero”cosi da evitare rischiosi seguiti, “una ferita da cauterizzare”. Si contiene la notizia principale sperando di non dover aggiungere altro. Se cosi fosse, sarebbe improbabile che non ci sia altro.10

Prime conclusioni
1. Il segreto è sempre meno segreto. Per le più diverse motivazioni: per protagonismo, per convenienza (è il caso della To the Stars), per presa di coscienza individuale, per rivalsa professionale. E’ segno che le maglie della rete si allargano man mano che i soggetti interessati all’enorme flusso di denaro si moltiplicano. Un processo che mette a repentaglio la sicurezza delle principali fonti e dei principali fruitori, annidati nelle pieghe del complesso militare-industriale e dei cartelli dell’energia.

2. Le multiple conferme della potenzialità delle applicazioni civili ricavabili dalle tecnologie segrete apre ulteriormente il campo ad una critica ambientalista circostanziata e aggiornata. Se quanto si afferma fosse vero, ci troveremmo almeno cento anni avanti rispetto alle briciole della conclamata green economy. La politica, soprattutto quella dal basso, e la cultura dovrebbero cominciare ad occuparsi di quanto sta emergendo senza le paure del ridicolo che decenni di disinformazione organizzata e finanziata anche tramite le organizzazioni “scettiche”, hanno instillato. Se di Ufo parlano i politici, gli scienziati, le spie, i militari, i Ceo delle maggiori industrie aerospaziali, gli astronauti, perchè non possiamo parlarne noi? Il fenomeno Ufo è un argomento eversivo, potenzialmente capace di provocare i massimi rivolgimenti politico-economici a livello globale. Lo si può affrontare in nome della Verità mettendo in discussione in primo luogo le politiche e gli apparati della “sicurezza nazionale”, il vaso di Pandora dei più efferati segreti del Potere. Può valerne la pena se ci si rende conto che il progresso che ci è negato e la conseguente arretratezza tecno-scientifica non possono che assecondare i piani di dominio sull’umanità di un capitalismo sempre più selvaggio.


  1. Bruce Maccabee, The Fbi Cia Ufo Connection, Dolan Press 2014, e anche Leslie Kean, Ufos. Generals, pilots and government officials go on the record, Harmony Books 2010  

  2. Ancora più interessante perchè ha il sonoro con i dialoghi tra due piloti uno dei quali a un certo punto dice “Ce n’è un’intera flotta!”  

  3. Elizondo anche afferma che il programma continua a esistere e che è diretto da un suo successore di cui non può ovviamente fare il nome  

  4. Inouye era personalmente interessato perchè aveva condiviso un avvistamento durante il suo servizio militare  

  5. Paesi in cui sono attivi Ufo Desks riconosciuti o monitoraggi permane  

  6. Fisico teoretico e sperimentale con un curriculum che comprende General Electric, Stanford University, Sri International e , non casualmente, periodi di consulenza alla Nsa, e alla Cia su un programma segreto di “remote viewing”, cioè di sviluppo di facoltà extrasensoriali per “vedere” in luoghi distanti ed extradimensionali. Puthoff fonda nel 1985 l’Institute for Advanced Studies (Iasa) a Austin, Texas che si occupa di ricerca su argomenti correlati alla generazione di energia e alla propulsione spaziale, ricevendo fondi da “donatori anonimi”. Per molti anni Puthoff ha avuto autorizzazioni governative di accesso ad alti livelli di sicurezza . E’ adepto di Scientology. Un nome che ritorna sovente, un personaggio oscuro, al top dell’ambiente scientifico, coinvolto pienamente nei segreti che avvolgono la ricerca occulta sul fenomeno Ufo, il suo utilizzo compartimentato, e che forse riveste anche un ruolo più alto di gestione  

  7. Ricordo che fu un ex Ceo della Skunk Works, ora deceduto, Ben R. Rich, protagonista il 23 Marzo 1993 di una sconcertante dichiarazione in conferenza alla Engineering Alumni Association della Università di California a Los Angeles:: “Abbiamo già i mezzi per viaggiare verso le stelle. ma queste tecnologie sono rinchiuse nei progetti segreti e ci vorrebbe un miracolo per farle emergere a beneficio dell’umanità. Qualsiasi cosa possiate immaginare, noi sappiamo come farlo…”  

  8. Si chiama Reparto Generale Sicurezza dell’Aeronautica Militare, operativo dal 1998. v. Roberto Pinotti, Oggetti Volanti non identificati. Nuovo rapporto su avvistamenti e ricerche in Italia, Oscar Mondadori, 2003. pag. 387  

  9. http://ufoevidence.org/topics/projectcondign.htm  

  10. www.richarddolanpress.com The Pentagon and Ufos. Assessing the revelations. 1.1.2018  

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La strategia della tensione e i mezzi di informazione. “Guerra psicologica” e controinformazione https://www.carmillaonline.com/2016/08/24/la-strategia-della-tensione-mezzi-informazione-guerra-psicologica-controinformazione/ Wed, 24 Aug 2016 21:30:38 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=32570 di Alberto Molinari

eco_del_boato_coverMirco Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Laterza, Roma-Bari, 2015, pp. 445, € 28,00.

Sei stragi che provocarono 50 morti e 346 feriti (dalle bombe di Piazza Fontana a Milano, 12 dicembre 1969, a quelle sul treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, 4 agosto 1974), diverse minacce o tentativi di colpo di Stato, uno stillicidio di attentati e atti di violenza segnarono quella trama eversiva definita per la prima volta dal quotidiano inglese “The Observer”, all’indomani di Piazza Fontana, come “strategia della tensione”: è [...]]]> di Alberto Molinari

eco_del_boato_coverMirco Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Laterza, Roma-Bari, 2015, pp. 445, € 28,00.

Sei stragi che provocarono 50 morti e 346 feriti (dalle bombe di Piazza Fontana a Milano, 12 dicembre 1969, a quelle sul treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, 4 agosto 1974), diverse minacce o tentativi di colpo di Stato, uno stillicidio di attentati e atti di violenza segnarono quella trama eversiva definita per la prima volta dal quotidiano inglese “The Observer”, all’indomani di Piazza Fontana, come “strategia della tensione”: è questo l’oggetto della ricerca di Mirco Dondi, docente di Storia contemporanea e direttore del Master di comunicazione storica all’Università di Bologna. L’”eco del boato”, richiamato nel titolo, è «tutto ciò che lascia l’esplosione dopo il suo scoppio». «Un rilevante atto terroristico – scrive Dondi – proietta il suo peso sui principali eventi dell’agenda politica, caricandoli dei significati generati dall’atto criminale. L’attentato produce un effetto domino sulla scena pubblica che ne esce completamente reinterpretata» (p. 3). L’”eco del boato” è quindi il cuore della strategia della tensione che l’autore ricostruisce nei suoi risvolti teorici, nelle sue pratiche e nei suoi obiettivi lungo il decennio 1965-1974. Attraverso il ricorso ad un’ampia bibliografia e l’intreccio di numerose fonti – atti delle commissioni di inchiesta, documenti giudiziari, rapporti di polizia, stampa nazionale e internazionale, memorialistica e saggistica coeva – la ricerca analizza il comportamento dei diversi attori coinvolti nell’elaborazione e nella realizzazione delle strategia della tensione, dai soggetti politici e istituzionali, agli apparati militari e alle organizzazioni neofasciste. Attori che si mossero con disegni a volte diversi, ma con una comune volontà di condizionare o modificare radicalmente lo scenario politico, minando in senso antidemocratico l’assetto politico repubblicano.

La prima parte del volume è dedicata alle origini e ai presupposti teorici della strategia della tensione, maturati nel clima della guerra fredda quando l’Italia divenne di fatto un paese a sovranità limitata, condizionato dalla strategia anticomunista promossa dagli Stati Uniti tramite la Cia e strutture occulte come la rete militare Stay behind. Nella parte più corposa del testo (cinque capitoli) Dondi analizza la strategia della tensione in atto, tra il 1969 e il 1974, ricondotta in un quadro di insieme grazie ad un solido filo narrativo che riordina una materia estremamente complessa, individuandone le linee di fondo, l’evoluzione, le diverse articolazioni, contraddizioni e sfumature, poste in relazione ai mutamenti delle dinamiche politiche e del contesto sociale. Nella densa trattazione di Dondi, tra i numerosi temi e spunti interpretativi che meriterebbero di essere segnalati, ci soffermiamo sull’analisi del ruolo dell’informazione, un aspetto centrale e innovativo della ricerca, rivolto soprattutto all’ambito della carta stampata (sono oltre cento le testate, nazionali e internazionali, citate dall’autore).

I mezzi di informazione svolsero un ruolo rilevante nella guerra psicologica, fondamentale strumento, insieme alla guerra non ortodossa, della strategia della tensione. Messe a punto negli anni Cinquanta dal Pentagono, le caratteristiche della guerra non ortodossa (definita anche guerra rivoluzionaria) e della guerra psicologica furono al centro del convegno organizzato a Roma nel maggio 1965 dall’istituto Pollio – considerato l’«atto fondativo della strategia della tensione» (p. 49) – al quale parteciparono numerosi protagonisti della stagione eversiva: estremisti neri come Pino Rauti e Stefano Delle Chiaie, militari come il generale Giuseppe Aloia e il colonnello Amos Spiazzi, uomini dei servizi come Guido Giannettini.
La guerra non ortodossa prevedeva la pianificazione di strutture paramilitari e la realizzazione di azioni “coperte” «decise da una selezionata cerchia di èlites militari e politiche, al di fuori delle procedure istituzionali e all’oscuro del parlamento» (p. 7). Pensata inizialmente in funzione difensiva rispetto a un ipotetico attacco dell’Urss, negli anni Sessanta la guerra non ortodossa venne concepita come uno strumento rivolto anzitutto contro il “nemico interno” (le sinistre, in primo luogo il Pci). Il suo scopo era destabilizzare il quadro politico attraverso azioni terroristiche attribuite, secondo il meccanismo della provocazione, al “nemico”, per poi stabilizzare, modificando gli equilibri politici in senso conservatore o autoritario, se necessario anche attraverso azioni golpiste.

Nella strategia della tensione, la guerra non ortodossa rappresentava il momento dell’azione, quella psicologica il resoconto dell’azione inteso come una forma di condizionamento e di persuasione attuata attraverso la strumentalizzazione della paura e del senso di insicurezza generati dall’atto terroristico. Un compito decisivo spettava ai mezzi di informazione che dovevano diffondere l’allarme per il disordine, imporre una versione “ufficiale” degli eventi funzionale alle demonizzazione del “nemico” additato come responsabile del caos, spingere l’opinione pubblica verso una richiesta di ordine.
All’interno della guerra psicologica, nota Dondi, la narrazione pubblica dell’evento assume un ruolo fondamentale: «la notizia sovrasta l’attentato perché l’andamento del “conflitto” dipende dal significato che si attribuisce all’atto violento: l’informazione è responsabile dell’esito finale. […] La guerra psicologica giunge al suo esito quando la prefabbricata costruzione degli eventi permea il senso comune. Se le versioni di un evento entrano in forte conflitto tra loro, sia per le dinamiche della ricostruzione sia per il peso bilanciato delle testate che le sostengono, l’obiettivo rischia di non essere raggiunto» (p. 63). Risultava perciò indispensabile pianificare il flusso delle informazioni, a partire dalle agenzie di stampa – spesso legate agli ambienti di estrema destra e ai servizi segreti nazionali e statunitensi – in grado di realizzare la prima «trasformazione del fatto accaduto in notizia» (p. 76) attraverso la selezione e la manipolazione delle informazioni da veicolare alle testate giornalistiche.

Secondo le indicazioni scaturite dal convegno romano, i mezzi di informazione avrebbero dovuto «additare il nemico all’opinione pubblica, denunciandone la permanente minaccia» e costruendone «una visione ossessiva e unidimensionale»; in linea con l’impostazione teorica della guerra psicologica, dalla trasformazione dell’avversario politico in nemico assoluto discendeva «la sua criminalizzazione e l’invenzione di un suo progetto cospirativo» (p.70).
Analizzando la composizione dei convegnisti presenti al Pollio appare con evidenza la connessione tra ispiratori delle trame eversive e sistema informativo. Oltre a giornalisti di esplicita tendenza neofascista (come Mario Tedeschi, direttore de “Il Borghese”), al convegno parteciparono i direttori di sei quotidiani (“Il Messaggero”, “Il Tempo”, “La Nazione”, “Roma”, “Il Giornale d’Italia”, “Il Corriere lombardo”) rilevanti per la loro complessiva diffusione, per la dipendenza da poteri economici “forti”, per i rapporti che legavano alcuni organi di stampa ai servizi segreti. Nel 1969, l’anno di Piazza Fontana, saranno queste ed altre testate, che Dondi definisce edotte, al corrente delle strategie, oltre a quelle consenzienti (come il “Corriere della Sera”) – portate ad accettare acriticamente la versione ufficiale degli eventi, per conformismo o convenienza – a convogliare la guerra psicologica diffondendo le notizie pianificate dalle autorità politiche e militari.

2. Il-Corriere-della-Sera_13-dicembe1969La stagione stragista matura in contrapposizione ai movimenti sorti nel biennio 1968/’69, culminato nelle lotte dell’”autunno caldo”. Subito dopo la strage di Piazza Fontana la stampa amplifica il messaggio del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat che suggerisce un nesso tra manifestazioni di piazza, disordine e terrorismo per indirizzare l’opinione pubblica su una linea di ritorno all’ordine. Il Quirinale individua i precedenti della strage negli attentati di aprile a Milano, nelle bombe sui treni di agosto, nella morte dell’agente Annarumma, una «tragica catena», secondo le parole di Saragat, che funge da «elemento di raccordo dotato di funzione persuasiva» (p. 162). Diversi quotidiani riprendono l’intervento presidenziale descrivendo un paese in preda al caos, invocando provvedimenti di emergenza e rafforzando la linea narrativa del Quirinale attraverso allusioni alla pista anarchica che si tenta di avvalorare con un posticcio riferimento storico, l’attentato al teatro Diana di Milano del 23 marzo 1921, che aveva provocato 21 morti (si trattava di un gruppo di anarchici individualisti – estranei all’Unione anarchica italiana – che miravano a colpire il questore). La “tragica catena” «si arricchisce così di un nuovo contundente anello che si pone come presupposto di colpevolezza e serve a conferire credibilità alla pista anarchica prima ancora che siano gli inquirenti a rivelarla» (p. 163).
Oltre alle categorie interpretative, all’indomani della strage la stampa fa leva sull’emozione suscitata dall’evento. Titoli cubitali, immagini raccapriccianti, aggettivi ricorrenti (bestiale, orrendo, mostruoso, già presenti nel messaggio di Saragat) «rinfocolano una fenomenologia delle passioni utile a scuotere il panorama politico» (p. 172). Come nota Dondi, la strage è indiscutibilmente orrenda, ma il comune ricorso a quegli aggettivi, in luogo di altre possibili varianti, rimanda all’interpretazione dell’evento veicolata dal discorso presidenziale.

3. FOTO VALPREDANei giorni successivi l’arresto di Valpreda e la morte di Pinelli offrono altri due anelli alla “tragica catena”: alla matrice politica a cui si allude dal 13 dicembre, si aggiungono un “colpevole” e un “suicida”, secondo la versione della questura che presenta la morte dell’anarchico come un’”autoaccusa”.
La morte di Pinelli viene comunicata il 16 dicembre dalla Tv di Stato, senza avanzare alcun dubbio sulla tesi della questura. In serata arriva in diretta, nel momento di massimo ascolto, l’annuncio dell’arresto di Valpreda, attraverso il servizio dell’inviato Bruno Vespa che apre la strada alla «lapidazione» dell’anarchico sulla stampa (p. 189). Dondi analizza in modo puntuale la costruzione del “mostro” anarchico, a partire dal ricorso alle immagini. L’istantanea più utilizzata dai giornali ritrae Valpreda mentre protesta davanti al palazzo di Giustizia di Roma. Valpreda appare «seduto con un giubbotto sportivo, un po’ spettinato, indossa pantaloni bianchi, ha un medaglione in petto in stile beat con la “a” di anarchia mentre saluta con il pugno chiuso: un uomo agli antipodi del comune borghese». Poiché è additato come certamente “colpevole”, «in quell’immagine così efficace e sovrabbondante di simboli c’è la firma inequivocabile. Il ritratto di militanza cambia significato diventando contesto di crimine. Da qui si va per estensione: […] l’estremismo o l’essere fuori dagli schemi diviene marchio di delinquenza. Valpreda con il pugno chiuso è la più potente schedatura mediatica mai realizzata» (p. 192). La strumentalizzazione di Valpreda avviene anche attraverso altre immagini, come quella pubblicata su “Il Tempo”: alla fotografia scattata in ospedale del bambino Enrico Pizzamiglio, che a causa della strage ha perso una gamba, è affiancata, in taglio fototessera, l’immagine di Valpreda: «L’effetto è notevole. L’anarchico è raffigurato con un viso torvo, i capelli sempre scompigliati, la poca luce tra il collo e il mento – oltre al fondo scuro – ne accentuano la ruvidezza, mettendo in risalto la barba appena incolta. A fianco il volto candido, innocente e sofferente del piccolo Enrico» (p. 194).

4. valpredapress2Per distruggere la dignità di Valpreda la stampa scava nella sua vita privata, enfatizza, come marchio di derisione, la sua breve esperienza come “ballerino” (“il ballerino dinamitardo”, titola “Il Giornale d’Italia”) e insiste sulla precarietà dei suoi impieghi per farlo apparire come un velleitario, un fallito. Viene evidenziato anche il suo soprannome (“Cobra”) per delineare «un ritratto da fumetto di avventura», come nella prosa del “Tempo”: «cobra per la sua capacità mimetica, per l’abilità con cui camuffava il suo credo estremista» (p. 199).

A ridosso della strage di Milano poche testate (come “Il Giorno”, “La Stampa”, “Il Mondo”) mantengono un margine di autonomia, cercando di offrire una propria interpretazione dei fatti, e solo la stampa di opposizione (“l’Unità”, “Lotta Continua”, “il Manifesto”, “L’Espresso” e altri giornali legati alla sinistra) contrasta, per ragioni diverse, le versioni ufficiali. In breve tempo però l’attentato del 12 dicembre, l’arresto di Valpreda e la morte di Pinelli producono mutamenti anche nel mondo dell’informazione.
Dondi dedica diverse pagine all’analisi della controinformazione, primo ed efficace tentativo di contrastare la guerra psicologica (per una storia dettagliata della controinformazione negli anni Settanta, si veda A. Giannuli, Bombe ad inchiostro, Milano, Rizzoli, 2008). A Milano e a Roma nascono i comitati dei giornalisti democratici, che si propongono di ripensare e rinnovare la professione, restituendole autonomia e valore civile. Gli eventi milanesi sono l’occasione per una «ridefinizione del concetto di informazione» (p. 220) che cambia radicalmente il modo di concepire il giornalismo. I comitati, che contano su numerose adesioni tra i giornalisti professionisti, in gran parte collocati a sinistra, e su un proprio organo di riferimento (“Bcd”, Bollettino di controinformazione democratica), avviano un importante lavoro di inchiesta, di ricerca della verità sullo stragismo e di denuncia dei meccanismi di manipolazione della notizia, con l’intento di rovesciare il senso comune presente nell’opinione pubblica.

5C strage di stato cInsieme alla controinformazione democratica, nasce la controinformazione militante promossa da giornalisti professionisti e esponenti delle formazioni di estrema sinistra che, richiamandosi ai principi del ’68, svolgono un lavoro di raccolta di informazioni dal basso, utilizzano fonti alternative e contano sulla raccolta di notizie che proviene da un ampio bacino di militanti. In questo contesto prende forma il collettivo che produrrà il volume La strage di Stato, il libro simbolo della controinformazione, uscito il 13 giugno 1970. Il gruppo che realizza il lavoro, incrociandosi con l’inchiesta sulla morta di Pinelli condotta da “Lotta continua”, svolge un capillare lavoro di raccolta e di elaborazione di notizie che provengono da semplici militanti, sindacalisti, docenti universitari, avvocati e magistrati democratici, si avvalgono di informazioni raccolte nelle carceri, di indiscrezioni provenienti da diversi ambienti ai quali i militanti riescono ad avere accesso. Informazioni sulle relazioni tra l’Ufficio affari riservati (Uaarr), il servizio segreto civile, e il gruppo neofascista Avanguardia nazionale giungono dal Sid, il servizio segreto militare. Si tratta però di un’operazione di depistaggio – nell’ambito della rivalità tra servizi, resa più acuta dalla strage di Milano – realizzata per coprire Ordine nuovo, la formazione neofascista legata al Sid da cui provengono gli autori della strage di Milano, e scaricare le responsabilità sull’Uaarr, che intrattiene rapporti privilegiati con Avanguardia nazionale.
Anche se la pista Uaar-An seguita dalla redazione di La strage di Stato impedisce al gruppo di individuare i reali esecutori della strage, il lavoro di inchiesta raggiunge importanti risultati nella decostruzione della pista anarchica e della versione ufficiale sulla morte di Pinelli. Come sottolinea Dondi, grazie al successo politico ed editoriale del libro la controinformazione militante, insieme a quella democratica, inizia a produrre nell’opinione pubblica un mutamento rispetto all’interpretazione dominante. Le tesi della controinformazione vengono riprese e approfondite da altre testate della sinistra tradizionale e di opinione e stimolano la diffusione di libri-inchiesta, film, documentari, spettacoli teatrali, canzoni che contribuiscono ad incrinare ulteriormente la versione dei fatti veicolata attraverso la guerra psicologica.

Nelle successive fasi della stagione stragistica muta progressivamente il ruolo dei mezzi di informazione. Dopo la strage di Peteano, eseguita dagli ordinovisti contro i carabinieri il 31 maggio 1972, «i quotidiani conservatori cercano la strumentalizzazione politica del caso, ma in forma minore rispetto al 1969. Manca il peso del “Corriere della Sera” che dal marzo 1972, con la direzione di Piero Ottone, comincia a percorrere una linea più autonoma dal governo» (p. 293).
Lo sviluppo impressionante delle azioni violente ad opera dello squadrismo neofascista, la diffusione delle tesi della controinformazione che alimentano la mobilitazione antifascista, l’avvio dell’inchiesta della magistratura milanese che orienta le indagini su Piazza Fontana verso il neofascismo contribuiscono a far crescere anche nella stampa di opinione l’allarme nei confronti delle minacce eversive che provengono da destra. «Dalla metà del 1972 all’estate del 1974 – scrive Dondi – la minaccia nera viene progressivamente percepita, nella sua reale pericolosità, da larga parte dell’opinione pubblica. Da questo momento in poi le azioni di marca terroristica dell’estrema destra divengono aperte, chiaramente attribuibili, e processi di mascheramento e di inversione di responsabilità sempre meno credibili» (p. 303).
Nell’aprile 1973 fallisce l’attentato al treno Torino–Roma (viene arrestato il neofascista Nico Azzi, rimasto ferito nel tentativo di far esplodere la bomba che doveva essere attribuita all’estrema sinistra). Il mese successivo l’attentato alla questura di Milano non suscita l’ampio schieramento di stampa confluito sulla linea desiderata dagli strateghi della tensione dopo Piazza Fontana. Nonostante il tentativo di alcuni giornali, come “Il Resto del Carlino”, “Il Tempo e “Il Secolo d’Italia”, di sostenere la tesi dell’anarchismo di Bertoli, l’autore della strage, la fede anarchica dell’attentatore appare subito dubbia: «Gli eventi stragisti e il loro lungo strascico hanno cambiato in maniera sensibile la stampa d’opinione» (p. 320).

6A STRAGE brescia xL’attentato alla questura è l’ultima strage costruita secondo il copione di Piazza Fontana (regia istituzionale, esecutori “neri”, responsabilità da rovesciare sull’estrema sinistra). Cessate le «stragi di provocazione», finalizzate allo scambio di attribuzione dei responsabili, il 1974 si caratterizza per le «stragi di intimidazione dove l’esecuzione nera, anche se non apertamente rivendicata, appare incontrovertibile». L’obiettivo finale rimane il medesimo (modificare i tratti istituzionali del sistema), ma si è passati «da un tentativo di spostare il consenso attraverso la manipolazione degli eventi e la riproduzione del suo effetto distorto sui mezzi di informazione a un attacco frontale, con l’esibizione della propria forza d’urto. E’ saltato il passaggio intermedio nel quale i media dovevano convincere i cittadini sulla necessità di un intervento militare di fronte alla minaccia rossa. Da questo punto di vista la strage della questura ha dimostrato, soprattutto all’ambiente nero, l’inefficacia del travestimento» (p. 335).
In questo quadro si inscrivono le stragi del 1974 (piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio; treno Italicus, 4 agosto). In entrambi i casi la straordinaria risposta antifascista, unita alla denuncia della matrice fascista degli attentati da parte dei principali mezzi di informazione, indicano che il clima è profondamente mutato: «La reazione politica e mediatica di condanna a piazza della Loggia dà l’impressione di assistere a un’inversione del codice ideologico da sempre prevalente nella storia dell’Italia repubblicana. Dopo la strage di Brescia, per la prima volta, l’antifascismo appare prioritario rispetto all’anticomunismo» (p. 361). Il meccanismo della strategia della tensione, così come era stato pensato a partire da metà anni Sessanta e messo in atto tra il 1969 e il 1974, è inceppato e lo stragismo nero «in declino per l’affievolirsi del sostegno internazionale, ma soprattutto – come […] Aldo Moro nota durante la sua prigionia – per la “vigilanza delle masse popolari”, il cui riorientamento rende infruttuosi e nocivi i nuovi atti della strategia della tensione» (p. 411).

Le stragi di Brescia e dell’Italicus segnano la chiusura della strategia della tensione, ma la conclusione è solo «apparente» e non mette al riparo la democrazia da nuove minacce eversive: «Il mancato smembramento degli apparati golpisti condizionerà, seppure in altro modo rispetto al quinquennio 1969-74, anche gli anni successivi» (p. 415). I principali responsabili della stagione stragista resteranno impuniti o sconteranno pene irrisorie. «La verità storica» – sostiene a ragione Dondi – «colma solo parzialmente le falle dell’omertà politica e dell’evasione giudiziaria, lasciando dietro di sé una memoria inquieta» (p. 404).

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Ufo, sicurezza nazionale e progresso negato – 3 https://www.carmillaonline.com/2016/02/14/ufo-sicurezza-nazionale-e-progresso-negato-3-2/ Sat, 13 Feb 2016 23:01:22 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28257 di Maverick

TR3B2 Come mantenere un segreto Come si mantiene un segreto che evidentemente coinvolge migliaia di persone, nei vari ruoli? Non è probabilmente cosi difficile se si guarda al precedente più illustre che coinvolse con successo per quasi dieci anni circa 120.000 persone, il progetto Manhattan, che partorì la bomba A. Sul piano individuale si ottiene imponendo segretezza al personale scientifico, militare e di sicurezza con contratti e impegni “a vita” (una delle richieste di chi vuole smantellare il segreto è l’appello ai Presidenti affinché ne svincoli per decreto i funzionari e gli ufficiali governativi), gestendo tramite i servizi segreti [...]]]> di Maverick

TR3B2 Come mantenere un segreto
Come si mantiene un segreto che evidentemente coinvolge migliaia di persone, nei vari ruoli? Non è probabilmente cosi difficile se si guarda al precedente più illustre che coinvolse con successo per quasi dieci anni circa 120.000 persone, il progetto Manhattan, che partorì la bomba A. Sul piano individuale si ottiene imponendo segretezza al personale scientifico, militare e di sicurezza con contratti e impegni “a vita” (una delle richieste di chi vuole smantellare il segreto è l’appello ai Presidenti affinché ne svincoli per decreto i funzionari e gli ufficiali governativi), gestendo tramite i servizi segreti la disinformazione sui media,1 moltiplicando i livelli di top secret, parcellizzando all’estremo la ricerca, incanalando ingenti finanziamenti “in nero” in un numero impressionante di appalti semiclandestini affidati all’industria e alla ricerca privata.

Dopo l’11 Settembre, per la necessità conclamata di contrastare il terrorismo, negli Usa gli apparati di sicurezza e di intelligence si sviluppano in misura enorme esondando nel settore privato. Le agenzie di intelligence “ufficiali” americane ad oggi sono 16 ma quelle “non riconosciute” e private sono centinaia,2 tutte in competizione per assicurarsi una fetta dell’enorme budget “nero” che si è gradatamente dimensionato al punto da essere diventato irrintracciabile e “unaccountable” (inaccertabile contabilmente), disperso in mille rivoli denominati Sap (Special Access Programs, Programmi a Speciale Accesso), su cui non c’è controllo pubblico e a cui si aggiungono programmi “waived” (cancellati-non esistenti) o “unacknowledged” (non riconosciuti) accessibili solo ai più alti livelli di clearance e, a maggior garanzia, a chi è riconosciuto un “need to know” (necessità di sapere).3

E’ noto che al momento del suo insediamento come segretario alla Difesa, il 16 Luglio 2001, Donald Rumsfeld riferì al House Appropriation Committee di aver accertato un budget “nero” cinque volte maggiore di quello ufficiale e di non aver alcun controllo su di esso. Dati riferiti solo al Pentagono.4 I destinatari dei flussi di finanziamento sono agenzie private d’intelligence, contractors, laboratori privati di ricerca scientifica, filiali “non riconosciute” delle grandi corporazioni dell’industria aerospaziale (Northrup, Lockeed, Boeing, ecc.), della farmaceutica, e della stessa Nasa (che, ricordiamo, è un’agenzia militare). Si calcola che quasi due terzi di quei flussi di denaro siano spesi per la “sicurezza” degli stessi e vadano ad agenzie di contractors specializzate. Una sicurezza nella sicurezza.

Dal 2001 a oggi, il settore intelligence negli Usa si è più che duplicato,5 i livelli di segretezza sono aumentati a dismisura, la catena di controllo gerarchico istituzionale è totalmente annullata.
Dan Morris, sottufficiale dell’Air Force e agente operativo del National Reconnaissance Office (Nro) riferisce di ben 38 livelli di top secret nella sua organizzazione.6 Il giornalista Bill Sweetman ha stimato che a fine 1999 fossero attivi almeno 150 Sap solo tra quelli pertinenti il Pentagono, molti dei quali “non riconosciuti” con sistemi indipendenti di classificazione di segretezza e controllo totale esercitato da singoli program managers, la maggior parte dei quali non dipendenti dal Pentagono ma privati,7 sganciati da qualsiasi catena di comando.

E’ sempre Paul Czysz che descrive come funziona il finanziamento “nero” dei Sap: “Se si tratta di un progetto segreto, il finanziamento arriva via diverse fonti governative, nessuna delle quali è rivelata a chi vi lavora, non importa a che livello dirigenziale. Qualcuno lassù firma un contratto con il governo e il finanziamento arriva al momento e nel posto giusto8 . Inutile chiedere ai presunti responsabili istituzionali nelle singole posizioni: né un Segretario alla Difesa né un Direttore Cia né tanto meno il Presidente (si sa…i politici e i funzionari di nomina politica sono di passaggio) sono al corrente di tale imponente flusso di denaro e delle sue destinazioni.

Chi controlla tutto questo? Chi si avvale delle enormi cifre di denaro succhiate ai bilanci statali? Chi conosce e gestisce il segreto sui risultati dei Sap? Chi ha trattenuto per i propri interessi la conoscenza di enormi avanzamenti scientifici e tecnologici ottenuti anche dallo studio del fenomeno Ufo condannando cosi il mondo all’arretratezza?

Una “società in fuga”
Il 23 Marzo 1993, un personaggio di indiscutibile peso nel mondo delle corporation, Ben R. Rich, ex CEO della Skunkworks, branch della Lockeed che ha realizzato i progetti più top secret dell’aviazione americana (SR71 Blackbird, F117A Nighthawk) dichiarò con una certa nonchalance nel corso di una conferenza alla Engineering Alumni Association dell’Università di California a Los Angeles: “Abbiamo già i mezzi per viaggiare verso le stelle. ma queste tecnologie sono rinchiuse nei progetti segreti e ci vorrebbe un miracolo per farle emergere a beneficio dell’umanità. Qualsiasi cosa possiate immaginare, noi sappiamo come farlo”.9 Si sa, letteratura e Hollywood talvolta precedono la realtà..o ci vanno vicino. Ma è una rivelazione sconvolgente quella di mr.Rich, anche qui chissà quanto voluta, cui si stenta sinceramente a credere. Se fosse vera, e l’uomo, la sua posizione e la circostanza rendono difficile dubitarne, si tratterebbe di una finestra aperta su una realtà inconfessabile. Chi possedesse quelle conoscenze e quei mezzi si porrebbe “oltre” l’attuale livello del progresso riconosciuto; avrebbe un potere immenso e risorse incalcolabili; di conseguenza controllerebbe o condizionerebbe la politica e l’economia globale. Come dare un volto, un’identità a un’entità del genere? Qualcuno, sempre in base a dati e logica, ci ha provato.

Questo un identikit attendibile, condiviso: si tratterebbe di uno o più gruppi transnazionali, trasversali agli ambienti politici, industriali, militari, tutti collegati in qualche misura ai Sap e alla finanza internazionale, in qualche misura in competizione fra loro ma uniti negli scopi: condividere (o spartirsi) la conoscenza delle tecnologie più avanzate e di traguardi scientifici molto oltre quelli ammessi nel mondo “normale”, controllare il mercato delle applicazioni scientifiche, proteggere lo sfruttamento delle risorse energetiche basate sui combustibili fossili; una consorteria ibrida tra politico e privato che, tra le tante funzioni, controllerebbe gruppi minori di collegamento nei media, nella comunità scientifica, nelle corporazioni di importanza strategica, nei think tanks di analisi politica, operativi di medio livello gerarchico nel mondo della politica, della difesa e dell’intelligence, unità operative non ufficiali del settore sicurezza. E’ possibile ipotizzare che il management e il processo di decisione politica siano al momento attuale gestiti soprattutto dalla componente civile mentre quella militare fa da scudo protettivo. Viene definito “breakaway society”, una elite che gestisce progetti clandestini, che controlla centellinandola la commercializzazione di prodotti derivati (circuiti integrati e miniaturizzati con relative applicazioni – quelle che utilizziamo tutti i giorni – fibre ottiche, tecnologia laser, ecc.), che domina il settore aerospaziale, che governa la scienza “privata” (avete notato che gli scienziati sopra citati hanno sempre operato all’interno di circuiti privati e di intelligence?) e avanzamenti estremi nei campi della propulsione, della biotech e della produzione di energia, che ha rapporto diretto con il complesso militare, che opera in un contesto extracostituzionale, che prolifica e prospera sulla base di un concetto autoritario, gerarchico, che si nutre del suo stesso essere segreto e clandestino. Che è talmente avanti, rispetto al mondo che noi viviamo, nel livello tecnologico e nella conoscenza del nostro ambiente spaziale e del nostro posto nell’universo che può a buona ragione definirsi “in fuga”.

A giudicare da quanto la logica porta a ipotizzare, il gruppo clandestino potrebbe essere cosi tanto avanti da definirsi quasi estraneo alla realtà che conosciamo. E più che mai radicato in qualche misura nelle entità finanziarie internazionali per quanto riguarda il potere economico, in particolare in quegli organismi che controllano i meccanismi del prestito (Banca Mondiale, Wto, ecc.) e che pilotano le frodi finanziarie per alimentare il budget “nero”.10 Accedervi è possibile solo per inclusione e per necessità senza che influiscano le singole posizioni: non importa se si è direttori della Cia, presidenti, segretari dell’Onu o semplici miliardari. Inutile sottolineare quanto le politiche di liberismo estremo, la difesa delle fonti fossili di energia, siano funzionali a un’entità di questo genere che fa del potere e del profitto il proprio unico scopo. I nomi ci sono, ci devono essere e c’è sicuramente chi sa di più,11 ma quella che traspare dall’identikit è l’immagine del capitalismo peggiore, del più selvaggio, quello che è pronto a devastare il pianeta come uno sciame di locuste per poi, come nel film, abbandonarlo al suo destino dopo essersi assicurata condizioni di sopravvivenza.12 Se, a dar retta a mr. Rich, già nel 1993 sapevano di poterlo fare, oggi, dopo altri venti anni, a che punto sono arrivati? A quali conoscenze?

Complottismo? Con le risultanze acquisite nel tempo (dati, informazioni declassificate, testimonianze eccellenti) sembra un’ipotesi sempre più difficile da sostenere. E in tale contesto il fenomeno Ufo diviene più comprensibile e accettabile. E allora diventa d’obbligo chiedere e avere verità. Nascondere, negare le possibilità di progresso scientifico ed energetico significa ritardare il progresso stesso e mantenere gli squilibri economici tra i popoli.

Le testimonianze provenienti dal settore scientifico sommerso13 confermano che si conoscono sistemi per generare energia pulita e illimitata e sistemi di propulsione basati sull’antigravità capaci di sostituire tutti quelli attualmente in funzione senza inquinare, tanto da poter relegare la cosiddetta green economy, tanto cara ai radical chic, nell’antichità.extremetech Se tali sistemi fossero resi disponibili – affermano i ricercatori – si potrebbero eliminare i combustibili fossili come fonti di energia e di conseguenza l’inquinamento di aria e acque, il riscaldamento globale, le piogge acide, le malattie da inquinamento entro una ventina d’anni; potrebbero finire lo spreco di risorse e le tensioni geopolitiche collegate all’accaparramento dei carburanti fossili; si fermerebbe la desertificazione e si incrementerebbe l’agricoltura tramite il deprezzamento della desalinizzazione; si potrebbero rimpiazzare molti dei mezzi di trasporto utilizzando le forme di energia derivanti dall’antigravità ed eliminare l’inquinamento di jet, camion e mezzi pesanti; si potrebbero eliminare le grandi condutture sotterranee e sottomarine di gas e petrolio; crollerebbero i costi dei servizi energetici domestici e industriali perché sarebbe possibile creare autonomamente energia con apposita tecnologia; si eliminerebbero o ridurrebbero fortemente le centrali nucleari utilizzando le nuove tecnologie per ripulire i siti e le scorie. Energia pulita e a basso costo (perché infinita) avvierebbe una crescita economica esplosiva. Inutile dire che tali misure inciderebbero fortemente sul raggiungimento di piena sostenibilità per la nostra civiltà. Le aree impoverite del pianeta rifiorirebbero, la carestia e le siccità potrebbero essere sconfitte portando il terzo mondo ai livelli di vivibilità dei paesi sviluppati, la povertà potrebbe essere drasticamente ridotta. L’ordine attuale economico, sociale e geopolitico ne risulterebbe alterato. Una vera rivoluzione, un immenso cambiamento che comprensibilmente le forze oscure vorrebbero evitare. Per non parlare dei cambiamenti culturali, spirituali, politici che si verificherebbero. Ce n’è abbastanza per riflettere?

Che fare?
Se tutto quanto raccontato in queste pagine è vero, allora tutti noi ci troviamo di fronte a difficili sfide e enormi interrogativi che possono mettere a dura prova la nostra percezione della realtà. La consapevolezza individuale e collettiva dovrebbe essere la nostra prima risposta. Non è facile superare la visione della realtà che l’idea di una presenza non umana che interagisce con la nostra impone. Bisogna vincere l’inerzia mentale che ci frena nell’acquisire nuove prospettive, vincere la paura del ridicolo sapendo che è strumento indotto da chi frena il cambiamento e sapendo che può essere contrastata con l’informazione, la logica, i dati e un approccio laico, non superficiale. C’è anche la nostra paura dell’ignoto da vincere: conosco direttamente diverse persone che “hanno visto” ma che hanno rimosso il ricordo “perché faceva paura” o semplicemente perché mentalmente “troppo impegnativo” relazionarvisi. Più che comprensibile, dopotutto non sappiamo se quelle presenze sono buone o cattive nei nostri confronti o se seguono una loro agenda per cui la nostra presenza è insignificante. Ma la paura è gestibile con il raziocinio. Bisogna poi vincere le diffidenze ideologiche che impongono di diffidare di argomenti che sembrino esulare dalla concretezza delle esigenze quotidiane e materiali. Cosa c’è di più concreto che battersi per il superamento dell’attuale modello di sviluppo e per la sconfitta delle forze che perseguono lo sfruttamento intensivo delle risorse, il riarmo (anche spaziale), e un progetto di società mondiale che ci vuole solo cittadini inerti e consumatori passivi? Non basta: bisogna vincere le diffidenze parascientifiche di chi crede solo nei postulati della scienza mainstream senza pensare che la scienza stessa è una disciplina in costante evoluzione che dovrebbe confrontarsi con i dati e non escluderli a priori. E senza sapere che le frontiere della scienza non sono fissate negli articoli di Nature né nelle sedi di ricerca “pubbliche” con budget risicati e asfittici, con scarsità di mezzi e personale ma nei laboratori privati delle corporation, degli appaltatori della Difesa e della sicurezza nazionale, dove, come abbiamo letto, i finanziamenti arrivano a fiumi per mille canali, legali o “neri” e dove vige il segreto più stretto. Dove ci sono i soldi c’è il segreto e ci sono i veri risultati. Che gli altri si divertano con provette e acceleratori di particelle. Non fu forse un’azienda privata a disvelare per prima la struttura del Dna?

Ci si potrà chiedere perché sottoporsi a ulteriori nuovi stress e sforzi mentali per un problema cosi fuori dalla nostra portata. Siamo cosi immersi nella nostra stretta quotidianità e nelle pieghe di una tossica cultura di massa; già dobbiamo misurarci con le piccole tematiche della nostra politica, dobbiamo far fronte alle difficoltà quotidiane. Perché andare cosi oltre e sconvolgere le nostre menti con l’idea di aver a che fare con qualcosa di sconosciuto e inquietante o mettere a rischio la nostra incolumità per aver ficcato il naso in cose troppo grandi e forse pericolose? Le risposte dipendono dal tipo di persona che pensiamo di essere. Se non siamo fatti per viver come bruti ma abbiamo sete di conoscenza, se siamo curiosi e non ci soddisfano facili risposte a grandi questioni, o pensiamo che abbiamo diritto di sapere o sentiamo di voler scavare più a fondo, allora dobbiamo andare avanti sapendo che niente ci viene regalato e che, principio sempre valido, dobbiamo lottare per prenderci i nostri diritti. E il più grande di questi è la Verità specie se qualcuno ce la nasconde e se riguarda quello che è stato definito “il segreto più grande dell’umanità”.

La ricerca della Verità è il nodo cruciale che può aprire la porta al cambiamento, un obiettivo che può essere perseguito e declinato in mille modi ma che deve essere definito in termini politici. Può essere perseguito sia individualmente che collettivamente dandosi gli opportuni strumenti. Partiamo dal presupposto che la segretezza di Stato nuoce alla democrazia e sovverte la Costituzione perché concentra la conoscenza nelle mani di pochi, non eletti e, come ben sappiamo, quasi sempre poco affidabili se non personalmente pericolosi. Non si può accettare che i cittadini vengano tenuti all’oscuro di fatti che li riguardano con la giustificazione quasi sempre pretestuosa di presunte esigenze di sicurezza nazionale. Se è comprensibile che certe cose possano temporaneamente non essere divulgate, bisogna tuttavia stabilire dove tracciare il limite.

Essenziale dovrebbe essere la richiesta di ridimensionamento dei segreti di Stato e quantomeno la ridefinizione delle esigenze della sicurezza nazionale. Obiettivo arduo in tempi di terrorismo e di guerra come quelli che stiamo vivendo ma si potrebbe cominciare a fare piazza pulita dei segreti del passato e degli apparati più “a rischio”deviazione con severi protocolli di controllo (non basta il Copasir). Già cosi potrebbero scaturire sorprese e si potrebbero creare altre crepe nel muro della segretezza. Penso per esempio a Ustica, un caso dato per risolto con la conferma che aerei stranieri (francesi, americani?) hanno sparato i missili fatali ma che non lo è perchè, fateci caso, non si è mai data risposta a due domande fondamentali: a chi o cosa hanno sparato? A chi rispondevano i generali processati per alto tradimento e poi prosciolti per mancanza di evidenze?14 Penso al caso Canneto di Caronia e al possibile collegamento tra i fenomeni “di origine non terrestre” e la destinazione d’uso del Muos.

Chiedere la verità e l’abolizione dei segreti di Stato sull’immediato significa minare le politiche sporche della “sicurezza nazionale”, significherebbe ostacolare le connessioni tra intelligence e criminalità organizzata, una delle fonti di sovversione e di creazione di fondi neri, le promiscuità con poteri occulti piccoli e grandi, le provocazioni e le operazioni clandestine più efferate, le connessioni con i meccanismi di corruzione finanziaria e chissà quant‘altro.

La richiesta di Verità si può collegare alle lotte sociali antimilitariste. Se è vero che a utilizzare e sfruttare le scoperte e gli avanzamenti scientifici derivanti dalla retroingegneria sugli Ufo sono prevalentemente le corporation dei settori militare e avio-spaziale, allora può essere utile aumentare le pressioni e i controlli su aziende come Microtecnica (Utc Aerospace Systems), Avio (General Electrics), Skf, Teksid Getti Speciali, Alenia SIA, Alenia Aermacchi, Galileo Avionica spa, Finmeccanica e derivata Selex Es (in particolare, la presidenza De Gennaro in Finmeccanica è sintomatica della sinergia di interessi tra sicurezza nazionale e tecnologia militare aerospaziale).

Gli hackers come Anonymous o Gary McKinnon, il giovane britannico che entrò nei sistemi Nasa per cercare risposte al segreto Ufo, possono costituire un’altra valida arma per forzare la mano e incoraggiare leaks, per ampliare le crepe del silenzio. Ma avere consapevolezza delle ragioni del progresso negato dovrebbe di per sé costituire uno stimolo a sapere di più a darsi come impegno per esempio il contrasto agli armamenti per ridurne il mercato e il potere di chi lo gestisce e lo alimenta (non per idealismo pacifista), a tutte le zone oscure del Potere, nonché alle forze e ai progetti che devastano il pianeta, la natura e ne depauperano le risorse per interesse privato, progetti che indirettamente sono figli di chi ci mantiene nel buio della conoscenza.

(Fine)


  1. Terry Hansen, The Missing Times, TH 2000. Il rapporto tra intelligence e media è argomento che regala spunti di grande interesse e analisi dei meccanismi di disinformazione, manipolazione delle notizie e di infiltrazione nei media applicabili ad ampio raggio e meriterebbe uno studio specifico  

  2. Dana Priest, William Arkin,Top Secret America, The Rise of the New American Security State, Little Brown & Co., 2011  

  3. Tra i programmi invisibili, un’ulteriore distinzione è fatta per i programmi “non esistenti” considerati talmente sensibili da essere esenti da esigenze di rapporto al Congresso. Il presidente di commissione o il membro anziano e talvolta altri esponenti dello staff delle commissioni parlamentari possono essere informati solo oralmente dell’esistenza di tali programmi (1997, U.S. Senate Document 105-2, Report of the Commission on Protecting and Reducing Government Secrecy). “Possono“, ma ignorandone l’esistenza è improbabile che chiedano  

  4. Per la precisione Rumsfeld dichiarò 2.6 triliardi di dollari di ‘soldi mancanti’, poi ridotti dopo varie verifiche a qualche centinaio di miliardi di dollari. Una cifra comunque fuori da ogni buon senso di cui si era persa traccia. v. Lost Spendings, American Forces Press Service, 20/2/2002, www.defense.gov/news/newsarticle.aspx?id=43927. Secondo una più recente valutazione, il totale budget nero attuale si aggira intorno ai 500 triliardi di dollari – di fondi pubblici, naturalmente  

  5. Dana Priest, William Arkin, op. cit.  

  6. Steven M. Greer, op. cit. 

  7. Richard Dolan, After Disclosure, Keyhole2010  

  8. Steven M. Greer, op.cit.  

  9. Timothy Good, Earth, an Alien Enterprise, Pegasus Books 2013; anche Tom Keller in MUFON Journal, Maggio 2010 e in http://www.abovetopsecret.com/forum/thread 965970/pg1  

  10. Catherine A. Fitts, What’s up with the Black Budget?, Settembre 2003, https://solari.com/blog/whats-up-with-the-black-budget  

  11. In un’intervista telefonica del 1987, il Dr. Eric A. Walker, presidente della Penn State University con una lunga storia di rapporti di alto livello nella comunità dei think tanks sui problemi della sicurezza nazionale, ex presidente dell’ Institute for Defense Analysis e precedentemente (1950-1951) Segretario Esecutivo della Commissione militare Ricerca & Sviluppo, cosi rispondeva, enigmatico: Domanda: Dr. Walker, esiste un tale gruppo e se si, include degli scienziati?
    Risposta: Immagino che lei intenda chiedere se lavorano per la Difesa o per i militari…
    D. Esatto. R. Li è dove si sbaglia. Sono una piccola elite. Qualora si fosse invitati a farne parte, io lo saprei.
    D. E’ un gruppo simile al Bilderberg o alla Trilateral? R. (lungo silenzio) Qualcosa del genere. D. Lei ne fa parte? R. Non posso rispondere. Quanto è buono il suo sesto senso? Quanto ne sa di Esp (Extra Sensorial Perception)? D. Qualcosa ne so. Ma che c’entra questo? R. A meno che lei ne sappia e sappia usarne non verrebbe accettato. Solo pochi ne sanno. (in Richard Dolan, Ufos and the National Security State 1973-1991, Keyhole publ.2009)  

  12. Interessante la ricerca dello Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo, pubblicata da New Scientist nel 2011, che da un data base di 37 milioni di aziende internazionali ha individuato quella che definiscono un’ “entità superiore” in 147 aziende (meno dell’1%) strettamente collegate tra loro che controllano oltre il 40% dell’intera rete economica mondiale. Tra le Top 20 ci sono Barclays Bank, JP Morgan, Chase & Co.,Goldman & Sachs Group. “E’ sconcertante vedere quanto nella realtà le cose siano connesse” ha dichiarato in merito George Sugihara, esperto di sistemi complessi e consulente della Deutsche Bank. La maggior parte delle azioni di quelle 147 aziende sarebbero di proprietà di gestori di fondi che a loro volta le controllano www.Newscientist.com, Ottobre 2011)  

  13. Steven M. Greer, op. cit.  

  14. Sul caso Ustica, v. Fabrizio Salmoni, Ustica: un segreto più grande, https://mavericknews.wordpress.com/2013/03/12/ustica-un-segreto-piu-grande/  

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Il Nuovo Medio Oriente (2006) https://www.carmillaonline.com/2014/09/25/medioriente-2006/ Thu, 25 Sep 2014 21:45:36 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17579 di Sbancor

nuovo_medioriente1[Ripubblichiamo un’analisi geopolitica di  Sbancor, uscita su “carmilla” il 1 dicembre 2006. Sbancor, con gli strumenti di lettura che gli erano propri, annunciava già allora la guerra civile in Siria, e rivelava l’esistenza di un piano per ridisegnare l’intero Medio Oriente. A distanza di otto anni, ci sono pochi dubbi sull’esattezza della sua analisi.]

Ho passato la notte al telefono. Le notizie da Beirut sono brutte. Molto brutte. Oggi alle 15.00, cioè alle 16.00 ora italiana il fronte antigovernativo che comprende oltre a Hezbollah anche i cristiani di Michael Aoun, gli sciti di Amal [...]]]> di Sbancor

nuovo_medioriente1[Ripubblichiamo un’analisi geopolitica di  Sbancor, uscita su “carmilla” il 1 dicembre 2006. Sbancor, con gli strumenti di lettura che gli erano propri, annunciava già allora la guerra civile in Siria, e rivelava l’esistenza di un piano per ridisegnare l’intero Medio Oriente. A distanza di otto anni, ci sono pochi dubbi sull’esattezza della sua analisi.]

Ho passato la notte al telefono. Le notizie da Beirut sono brutte. Molto brutte. Oggi alle 15.00, cioè alle 16.00 ora italiana il fronte antigovernativo che comprende oltre a Hezbollah anche i cristiani di Michael Aoun, gli sciti di Amal e i piccoli partiti di sinistra, fra cui il minuscolo partito comunista, inizia un sit-in al centro di Beirut, sotto la sede del governo. Il sit-in, mi informano ambienti vicini a Hezbollah, sarà a tempo indeterminato, fino alle dimissioni del governo Sinora. Nashrallah dice che non ci saranno violenze. L’Esercito libanese sostiene che manterrà l’ordine. Ma il rischio è alto. Si è sul filo del rasoio.

La stampa occidentale, intossicata da Londra e Washington, continua a parlare di pro-siriani contro anti-siriani. Come se Michael Aoun, che era definito “l’ultimo crociato” e che ha fatto quasi vent’anni d’esilio per aver combattuto i siriani potesse oggi essere considerato un pro-siriano. Nessuno si accorge che l’odontotecnico Bashir, l’erede del “Leone di Damasco” Assad in questa storia conta meno di niente. La Siria è anch’essa sull’orlo di una guerra civile, lo zio di Bashir controlla una buona parte dei servizi di sicurezza e non è escluso che voglia sbarazzarsi dell’inetto nipote. I Fratelli Musulmani a Damasco sono pronti a prendere il potere, oggi in mano agli Alawhiti, che sono meno del 4% della popolazione siriana. Ma chi conosce queste cose in Occidente?

D’Alema blatera di democrazia in Libano. Il Libano è un sistema feudale basato su famiglie che detengono il potere dal 1.300 d.C., se non da prima. Una Jumblatt era alla corte di Lorenzo de’ Medici, un’altra andò sposa a Ivan il Terribile. I Gemayel hanno un albero genealogico che neppure i Colonna o gli Orsini in Italia possono vantare. Sicuramente più antico dei Savoia. Democrazia. Ma di cosa sta parlando D’Alema, onorevole, forse, a Gallipoli? Chi sa che il sistema elettorale libanese è basato su un censimento “religioso” degli anni ’40? Che senso ha l’elezione in un paese in cui su 4 milioni 2 sono cittadini non residenti, circa 1 è residente ma non cittadino e per 300.000 palestinesi che stanno ancora lì, qualcuno dal 1948, non c’è nessun diritto? Volete rifare un censimento, garantire il voto all’estero, rivedere la cittadinanza? Solo dopo si può parlare di democrazia!

E allora per cercare di capire la posta in gioco forse conviene leggere questo articolo.
E guardare questa cartina:

nuovo_medioriente

Disegnata da uno “strategist” del Pentagono. È il “Nuovo Medio Oriente”.
Osserviamola bene:

1) La Palestina è scomparsa, assorbita da Egitto e Giordania, come era prima della guerra del 1967.
2) C’è uno stato islamico di Mecca e Medina: è forse un premio per Al Qaeda?
3) La Turchia perde il Kurdistan, compresa Dyarbakir.
4) L’Iraq è tripartito fra sciti, sunniti e curdi.
5) La Siria perde tutti gli sbocchi al mare, in funzione del grande Libano.
6) Tabriz passa dall’Iran all’Azerbaijan, ed Herat dall’Afghanistan all’Iran.

Non è il caso neppure di discutere il progetto e la sua filosofia etnico-religiosa. I problemi rilevanti sono solo due:

1. Cosa autorizza un colonnello in pensione americano a ridisegnare le mappe del Medio Oriente?
2. Quelle mappe richiedono comunque una guerra dei cent’anni per diventare realtà.
3. Sto disegnando una mappa anch’io, per restituire parte del Dakota e del Wyoming ai Cheyenne ed ai Sioux, il New Mexico agli Apache, il Colorado ai Navajo e Fort Alamo ai messicani.

E però qualcuno quelle mappe, almeno in Libano, le ha prese sul serio. E forse non solo in Libano.

Il movimento tellurico generato nel 2003 con la cacciata di Saddam Hussein ha generato la più alta situazione di instabilità possibile in Medio Oriente. L’Iran appare l’unica potenza egemone a livello regionale, ma ovviamente non può esserlo per gli equilibri occidentali. L’Arabia Saudita ha fomentato e sostiene ancora in Libano la riscossa anti-scita, puntando su Hariri junior. Whalid Jumblatt, che si è già trasferito a Parigi, gioca le sue ultime carte, fra una sniffata e l’altra. Certo il padre Kemal, gran brava persona, amico di John Lennon e di Ghandi, fu ucciso dai siriani. Ma Whalid si alleò subito con i siriani contro i cristiani. E poi ancora con gli israeliani — è noto che le truppe scelte di T’shal sono fatte da Drusi, e Drusi erano i generali che conquistarono il Golan. Il Medio Oriente è troppo raffinato e crudele per i giornalisti occidentali, e certamente al di sopra della soglia di comprensione dei nostri politici.

Un dato solo è certo: se non avviene un miracolo il terzo fronte ormai è aperto. E l’Unifil sarà coinvolta.

Il dollaro scende, il prezzo del petrolio sale, Wall Street sta di nuovo sull’orlo del baratro. La guerra torna quindi ad essere una variabile da prendere in considerazione.

That’s economy, stupid!

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