passato – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Per chi suona la campana: rivolte di ieri e di oggi https://www.carmillaonline.com/2020/09/30/per-chi-suona-la-campana-rivolte-di-ieri-e-di-oggi/ Wed, 30 Sep 2020 20:10:44 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62864 di Sandro Moiso

Renzo Sabbatini, La sollevazione degli straccioni. Lucca 1531. Politica e mercato, Salerno Editrice, Roma 2020, pp. 190, 16 euro

«La Storia è per definizione un processo di scoperta e non un dogma da dare per scontato» ( L. Hunt – History. Why it matters, 2018)

E’ proprio questa frase posta in esergo a rendere pienamente il senso della ricerca che Renzo Sabbatini ha dedicato alle rivolte popolari che scossero la Repubblica di Lucca e la sua società tra il maggio del 1531 e l’aprile del 1532. Una ricerca che [...]]]> di Sandro Moiso

Renzo Sabbatini, La sollevazione degli straccioni. Lucca 1531. Politica e mercato, Salerno Editrice, Roma 2020, pp. 190, 16 euro

«La Storia è per definizione un processo di scoperta e non un dogma da dare per scontato» ( L. Hunt – History. Why it matters, 2018)

E’ proprio questa frase posta in esergo a rendere pienamente il senso della ricerca che Renzo Sabbatini ha dedicato alle rivolte popolari che scossero la Repubblica di Lucca e la sua società tra il maggio del 1531 e l’aprile del 1532. Una ricerca che approfondisce non soltanto la conoscenza che si può oggi avere degli albori dell’Età moderna, ma anche quella delle contraddizioni che accompagnarono le trasformazioni economico-sociali e politiche che precedettero la formazione dello Stato moderno e l’affermazione totale dell’economia monetaria e del capitalismo mercantile destinati a porre le basi dell’attuale modo di produzione.

Se un tempo, dalla fine dell’Ottocento a quasi tutto il Novecento, tutto ciò era stato visto come un progressivo e (quasi) cosciente percorso di realizzazione della società contraddistinta dai valori della borghesia imprenditoriale, oggi questo assioma è entrato pesantemente in crisi a partire proprio dalla minor fiducia riposta, sia a livello scientifico che sociale, nelle possibilità di sviluppo infinito dell’economia e del ciclo produttivo basato sull’appropriazione privata della ricchezza sociale prodotta.

Oggi, infatti, il modello lineare di sviluppo e progresso racchiuso nelle ricostruzioni storiche fatte nel periodo precedente, sia che provenissero dall’ambito istituzionale che da quello para-marxista, assomiglia troppo ad una visione teleologica della Storia, con un inizio e un fine delineati e delimitati una volta per tutte. Naturalmente la visione maggiormente contraddittoria degli avvenimenti passati non è frutto soltanto del pensiero di singoli ricercatori o di quello della collettività degli stessi, ma soprattutto degli avvenimenti presenti e delle lezioni che ci costringono a ricercare, ancora una volta e con chiavi interpretative diverse, nel passato. Nazionale o mondiale che esso sia.

Se le contraddizioni sociali del presente spingono gli studiosi, come Sabbatini, a reinterpretare, almeno parzialmente il passato, ciò è dovuto al fatto che, nel campo della Storia, Passato e Presente si influenzano a vicenda. Il primo ha sicuramente determinato il secondo, ma le necessità del secondo finiscono altrettanto col portare ad una ridefinizione delle vicende passate. Se poi si considera che il Presente costituisce in continuazione un attimo fuggevole, precipitando costantemente in ciò che ci ostiniamo a chiamare Futuro, diventa allora evidente che è proprio l’ultimo a determinare le scelte del Presente e le interpretazioni del Passato. Con buona pace di tutti coloro che si affannano a creare e ricreare modelli evolutivi, politici e interpretativi validi una volta per tutte.

Se invece interpretiamo il lavoro degli storici più onesti e attenti ai cambiamenti, attuali e passati, nel senso sopra suggerito potremmo accorgerci che la Storia stessa, come disciplina, non costituisce altro che un continuo work in progress, più vicino ai caratteri della ricerca scientifica moderna che non a quelli della funzione giustificazionista e stabilizzatrice delle età precedenti.

Ecco allora che i fatti riportati nel testo, riguardanti la “piccola” Repubblica di Lucca nel ‘500, nell’esposizione fattane da Sabbatini ci rimandano ad un periodo di autentica “guerra civile”, i cui risultati definitivi si sarebbero visti soltanto a decenni o secoli di distanza, che, però, allo stesso tempo ci rinvia ai tempi attuali e alle rivolte in ogni parte del pianeta che li caratterizzano. Un contesto più ristretto, quello della Lucca cinquecentesca, che però ricorda da vicino il più vasto rivolgimento sociale, politico, economico e religioso che percorse la Francia nei due secoli e mezzo che precedettero la Grande Rivoluzione (qui).

Quella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 1531, il cantar maggio invece di essere il consueto, gioioso inno all’inizio della bella stagione, magari con qualche carnevalesca licenza o satira impertinente, si trasformò, per il “pacifico e popolare” stato di Lucca, nel lugubre annuncio di una lunga e sanguinosa fase di lotta politica e sociale […] Protagonisti sono i giovani setaioli che
abitano nei borghi murati a ridosso delle mura medievali, presto inglobati all’interno della nuova cerchia urbana. Hanno respirato la tensione che dalla fine di gennaio correva tra gli artigiani contro i mercanti per le nuove leggi, severe e punitive, e prendono l’occasione del calendimaggio per « far qualche novità contro di loro » […] Cosí, in formazione militare duecento giovani marciarono per i borghi e per la città, senza timore e rispetto della giustizia. E quando incontravano qualche nobile cittadino, non solo non gli facevano la dovuta riverenza, ma lo guardavano con atteggiamento di sdegno e di disprezzo. Ripresi da un «cittadino qualificato e raro nelle sue azioni», che pacatamente li consigliava a non aggirarsi per la città armati, con il rischio di commettere qualche grave reato, ma di andare invece a cantare e a divertirsi nelle campagne, i giovani gli risposero a muso duro che erano fuori di sé e di levarsi dai piedi urlandogli frasi sdegnose e minacciose. « Scorretti et audaci, in modo che ciascuno se ne meravigliava », i giovani setaioli scorrazzarono tutta la notte per la città e le ville vicine.
Ma questo è solo il prologo. La sollevazione prende avvio il giorno seguente, il primo maggio, con un grande assembramento di tessitori e altri artigiani della seta, non nella sede della loro Scuola, ma nella chiesa di San Francesco, « dove hanno l’altare per loro devotione », e poi anche nel chiostro del convento, vista l’enorme partecipazione. Come si è giunti a questa « raunata seditiosa »? Sediziosa e certamente illegale, ancor più perché non si tratta di una rivendicazione che oggi chiameremmo sindacale, ma esplicitamente politica dato che la folla tumultuante chiede il ritiro di una legge approvata dal Consiglio generale1.

Qual era dunque il provvedimento approvato dal Consiglio generale della Repubblica che era stato all’origine del rivolgimento giovanile di una notte e poi, per quasi un anno, di quello, anche violento e armato, degli strati popolari e più poveri della stessa?
E’ proprio l’autore a spiegarcelo sulla base dei documenti dell’epoca e con lo sguardo rivolto ad una situazione economica e produttiva internazionale che, di fatto, avrebbe segnato la fine dei privilegi accordati alle consorterie artigianali e alle corporazioni dei piccoli produttori.

Il gruppo dei mercanti interessati alla lavorazione della seta (i consoli della Corte dei Mercanti e i sei indicati dal Consiglio generale per l’elaborazione delle nuove disposizioni), di fronte alla crisi del mercato internazionale e a quelli che sono definiti « abusi » degli artigiani, mette in campo (anche con una forzatura istituzionale) una riforma che mira a “proletarizzare” i maestri tessitori indipendenti togliendo loro la possibilità di tessere in proprio e riducendoli, da piccoli imprenditori
quali erano con alle dipendenze qualche lavorante, a quasi-salariati, peraltro con una forte riduzione del compenso. In sostanza – sensibili alle tendenze che percepiscono nei mercati di Lione, Londra, Anversa nei quali sono ben presenti e attivi – i grandi mercanti cercano di superare l’organizzazione corporativa cittadina: in nome del mercato, più una rivoluzione che una riforma.
Il primo maggio la sollevazione prende avvio, con il tumultuoso assembramento di testori in San Francesco e il giorno successivo il Consiglio cancella tutte le nuove, punitive disposizioni, anzi fissa il prezzo delle manifatture in misura ancor più favorevole ai maestri artigiani.2

Questo però, anche se risoltosi inizialmente in maniera favorevole per i piccoli artigiani, costituirà soltanto il primo atto dello scontro a venire; in uno scenario in cui gli attori saranno numerosi e destinati spesso a mutare ruolo, funzione e fini. Uno scontro tra classi ancora, per certi versi, spurie e soltanto parzialmente consapevoli delle forze politiche, economiche, morali, religiose e dei conseguenti interessi individuali e collettivi che si erano messi in moto.

Uno scontro, che l’autore finisce col definire, sulla base delle testimonianze dei contemporanei, come una vera e propria guerra civile, che si concluderà soltanto con la vittoria dei mercanti e dei nobili della città con l’aiuto dei contadini, soprattutto dei mezzadri o salani, del contado circostante. I cui interessi sul momento sarebbero stati più vicini a quelli dei proprietari terrieri delle “sei miglia” intorno alle mura di Lucca, in cui a partire dal Quattrocento si era diffusa una proprietà cittadina, che a quelli dei piccoli artigiani e dei lavoratori salariati della stessa. Una distanza di interessi cui i capi della rivolta non seppero dare risposte utili e che finirono col travolgerli.

La vicenda degli Straccioni si presenta come conseguenza della schizofrenia tipica dei primi secoli dell’Età moderna, in cui le vecchie logiche corporative si scontrano con il progressivo affermarsi delle regole del mercato. I drappi di seta vengono fabbricati dagli artigiani cittadini nel rispetto
(almeno formale) delle regole dell’arte che assicurano la protezione, quantomeno dei maestri artigiani (e assai meno dei loro lavoratori salariati). Ma poi, sul mercato lontano, francese, fiammingo, tedesco, i drappi sono venduti con la regola della concorrenza sul prezzo. Indipendentemente dal grado di consapevolezza che i contemporanei potevano avere del fenomeno, si è così di fronte alla dirompente alternativa tra la difesa del vecchio ordine corporativo, che assicura la pace sociale ma ormai non piú lo sviluppo economico, e l’azzardo del nuovo che comporta la libera competizione sul mercato globale con la perdita di ogni rete protettiva.3

Molti saranno gli episodi che segneranno quello che per i benpensanti del Palazzo fu un autentico annus horribilis e molte le conseguenze delle scelte operate dalle differenti fazioni che si incrociarono e si scontrarono in quegli undici mesi, ma quel che vale davvero la pena qui di sottolineare è costituito dall’attualità di uno scontro e di una protesta che, all’interno di un primo processo di globalizzazione dei mercati e della produzione, rinvia immediatamente, fatte le dovute differenze, ai malesseri che agitano le società attuali; in cui la perdita di sicurezza e di certezze economiche e sociali dei lavoratori e delle classi medie in via di proletarizzazione è causa di proteste e scontri che non trovano ancora un indirizzo reale verso cui dirigersi, anche perché le grandi ideologie novecentesche possono fornire loro soltanto risposte parziali, se non addirittura fuorvianti.

Proprio come le certezze della ricerca storica precedente non bastano più a dare risposte alle domande sul nostro passato oppure sul nostro divenire futuro. Per questo il libro pubblicato da Salerno, nella collana Aculei diretta da uno storico attento ai movimenti sociali del passato e del presente come Alessandro Barbero, si rivela oggi estremamente stimolante e utile per tutti coloro che non vogliano più accontentarsi di una Storia data per scontata e di una Politica fatta di slogan e frasi fatte.


  1. R. Sabbatini, La sollevazione degli straccioni, pp.19-20  

  2. R. Sabbatini, op.cit. pp. 16-17  

  3. R. Sabbatini, p. 8  

]]>
Tre secoli di guerra civile https://www.carmillaonline.com/2019/03/07/tre-secoli-di-guerra-civile/ Wed, 06 Mar 2019 23:01:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=51175 di Sandro Moiso

Pierre Miquel, Le guerre di religione, Res Gestae, Milano, 2019, pp. 636, € 24,00.

L’autore di questo libro uscito in Francia nel 1980, al tempo docente presso la Sorbona, e per la prima volta in Italia nel 1981, certamente non si sarebbe trovato d’accordo con il titolo di questa recensione. Avrebbe, cioè, tenuto fermo il punto sullo scontro di carattere religioso avvenuto in Francia tra il 1523 e il 1771, il periodo di cui appunto l’ampia ricerca si occupa. Eppure, eppure…

Oggi, ancor più di ieri, è evidente agli occhi di chi scrive che spesso è più il [...]]]> di Sandro Moiso

Pierre Miquel, Le guerre di religione, Res Gestae, Milano, 2019, pp. 636, € 24,00.

L’autore di questo libro uscito in Francia nel 1980, al tempo docente presso la Sorbona, e per la prima volta in Italia nel 1981, certamente non si sarebbe trovato d’accordo con il titolo di questa recensione. Avrebbe, cioè, tenuto fermo il punto sullo scontro di carattere religioso avvenuto in Francia tra il 1523 e il 1771, il periodo di cui appunto l’ampia ricerca si occupa. Eppure, eppure…

Oggi, ancor più di ieri, è evidente agli occhi di chi scrive che spesso è più il presente o ancor meglio il futuro a determinare le coordinate della ricerca storica, più che il passato in sé. Si potrebbe forse addirittura affermare che il passato in sé non esiste, essendo rideterminato da ogni stagione di nuove riletture dello stesso, messe in opera sulla base delle esperienze e delle esigenze del presente oppure sulle ipotesi derivate da nuove prospettive future.
In questo senso, sia come ricercatori che come antagonisti del presente, occupandoci di Storia e di studi sociali, così come di qualsiasi altra scienza, possiamo essere tanto agenti del quanto agiti dal futuro.

Il semplice ricordo o la memoria del passato in sé spesso invece finiscono col coincidere con la nostalgia o la difesa conservatrice delle tradizioni e delle nozioni acquisite, mentre sono soltanto i cambiamenti in atto nel presente a costringere la ricerca storica a sfidare i suoi limiti, spesso semplicemente costituiti da verità ed affermazioni che si ritengono, soprattutto in ambito accademico, valide una volta per tutte. Ma i cambiamenti, presenti e futuri, di carattere sociale, culturale e politico, in ogni epoca, costringono ad una rilettura del passato poiché a nuovi immaginari, sempre derivanti dalla materialità del mondo circostante, servono nuovi elementi di conoscenza e nuove articolazioni interpretative per sviluppare le proprie iniziali intuizioni. Rendendo così possibile, infine, che spesso sia il futuro ad agire sul passato (e sul presente), più di quanto faccia il secondo sul primo.

Ecco allora che bene ha fatto Res Gestae, casa editrice da sempre impegnata nel recupero e nella ristampa di testi di storia da tempo scomparsi dal mercato editoriale italiano, a ripubblicare questo testo, denso di informazioni e allo stesso tempo di lettura piuttosto scorrevole, dedicato ai quasi tre secoli che precedettero sostanzialmente l’affermazione delle idee illuministiche e la rivoluzione francese. L’autore infatti ci teneva a sottolineare proprio questo: quei duecentocinquanta anni di violenze, rivolte, roghi, massacri e scontri militari erano serviti comunque a creare le basi per una nuova libertà di coscienza e della successiva Grande Rivoluzione.

Eventi che di fatto significarono l’uscita da un’epoca in cui il pensiero religioso era ancora onnicomprensivo, utile a spiegare tanto i fatti spirituali e morali ricollegabili all’aldilà quanto le esigenze concrete e politiche espresse dalla vita materiale nel mondo secolare. Già nel Principe, d’altra parte, Niccolò Machiavelli aveva sottolineato l’importanza della religione come strumento politico di governo, rivelando così, già agli inizi del XVI secolo, come la religione assuma particolare importanza nella lotta politica là dove non esistono ancora altri strumenti interpretativi della realtà di carattere politico o sociologico.

Proprio ciò che successe tanto al tempo delle eresie medievali che, forse, una più attenta analisi storica rivelerebbe trattarsi di una diffusa resistenza all’affermazione delle nuove regole di una società mercantile in via di progressivo assestamento, quanto abbiamo ancora visto succedere in età a noi più vicine con movimenti sociali come quello di Davide Lazzaretti, il Cristo dell’Amiata, oppure i primi moti della rivoluzione russa del 1905 con la presenza del pope Gapon oppure, ancora, con gli attuali sussulti del radicalismo islamico in tutte le sue componenti.

Movimenti che si ammantano di religiosità proprio in assenza di una teoria laica e politica che serva a spiegare determinate contraddizioni sociali fornendo agli oppressi e ai rivoltosi una prospettiva di cambiamento e di vittoria oppure, e in questo caso soprattutto per quanto riguarda il radicalismo islamico odierno, a causa del fallimento delle teorie politiche messe in atto per raggiungere determinati risultati. Ad esempio il fallimento del nazionalismo arabo di stampo nasseriano e del socialismo di stampo baatista.

Non c’è dubbio che nei tre secoli di storia francese magistralmente analizzati, sul piano dello scontro religioso, sociale, politico e militare, dal testo di Miquel le contraddizioni fossero tante e distribuite su più livelli. Cattolici contro protestanti; signori locali contro la monarchia in difesa delle loro autonomie; borghesi contro vescovi e signori feudali, talvolta al riparo degli editti del re, ma talvolta contro lo stesso; interessi imperiali contro interessi papali; interessi dei contadini liberi contro gli interessi feudali; servi della gleba contro i signori, ma anche investiti in quanto contadini dalle mire espansive della borghesia cittadina sulle terre comuni; la presenza esigua ma significativa di una prima “classe operaia” istruita, ad esempio quella degli stampatori di Lione, che però riveste ancora le vesti di un apprendistato destinato domani a farsi imprenditore1 che si esprimeva con una rimessa in discussione dei principi della Chiesa di Roma a partire dalle critiche che le erano state mosse da Lutero e da tutti gli altri Riformatori.

L’elenco potrebbe ancora essere lungo e il gioco combinatorio delle rivalità e delle contraddizioni allungarsi all’infinito, ma ciò che conta a questo punto è sottolineare che, nel corso dei due secoli e mezzo presi in esame, lo scontro e il gioco delle alleanze tra le varie componenti sociali contribuì soprattutto a ridefinire le forme del nascente Stato moderno, con la sua volontà accentratrice che in seguito la Rivoluzione del 1789 avrebbe contribuito a completare soltanto cambiando il segno della classe al comando.

Ecco allora perché è giusto parlare di guerra civile: proprio perché l’obiettivo ultimo di quello scontro che vide al suo centro per lungo tempo quello con gli Ugonotti, ma anche la straordinaria ultima ribellione dei camisards della Linguadoca e le violente dragonnades messe in atto dal potere reale per reprimerla insieme a tutte le altre rivolte precedenti oppure la nascita della bandiera rossa sulle mura della ugonotta e indipendente città marinara di La Rochelle, fu quello di ridefinire i rapporti di forza politici e sociali che avrebbero dovuto sostanziare la nuova forma statale che ne derivò e che, ripeto, si completò soltanto con l’affermazione della borghesia durante la Grande Rivoluzione.

Rivoluzione che, in quanto dialettica e materiale sintesi delle lotte che l’avevano determinata nel corso dei secoli precedenti, rappresentò non tanto la vittoria di uno dei due attori principali (cattolici e protestanti, tanto per semplificare) ma, piuttosto, la negazione di entrambi attraverso la laicità e la centralizzazione politica giunte a piena maturazione con l’affermazione di classe della borghesia (che aveva in precedenza giocato le proprie carte, non sempre in maniera del tutto calcolata, su entrambi i fronti). Determinando così quella separazione tra Stato e Chiesa che, in Europa, soltanto in Italia sarebbero tornati a riunirsi sotto il Fascismo con i Patti Lateranensi del 1929.

Ma questa riflessione può essere oggi indotta, e questo giustifica completamente la riedizione e una rilettura attenta del testo in questione, dall’osservazione che ormai da più di un secolo, almeno centocinquant’anni se partiamo dalla Comune di Parigi, un’altra violenta e tutt’altro che sotterranea guerra civile si è aperta tra sfruttati e sfruttatori, sia della specie umana che dell’ambiente, che si risolverà soltanto con la ridefinizione delle forme sociali di governo e di produzione. Le forme non sono ancora del tutto date, ma ciò potrebbe essere dovuto al corso degli eventi oppure definirsi completamente soltanto al loro termine, ma certo è che dobbiamo, con intelligenza e lucidità di pensiero, renderci conto che la Comune, la rivoluzione russa, due guerre mondiali, le grandi dittature del ‘900, le lotte antimperialiste e operaie, il ’68, gli anni Settanta e le attuali lotte come quelle della Zad, dei NoTav o in difesa dell’ambiente e contro l’estrattivismo diffuso su scala planetaria oppure, ancora, la nascita di nuovi movimenti autonomi come quello dei gilets jaunes fanno tutti parte di una lunga, forse lunghissima, guerra civile destinata a ridefinire i confini del futuro della nostra specie. Uno scontro, quello che viviamo, che soltanto dal futuro, inteso come negazione dei rapporti sociali di produzione presenti e passati, può trarre l’ispirazione e le giuste motivazioni.

Lasciando agli attuali manutentori dell’ordine costituito il ruolo che toccò alle peggiori forze conservatrici, laiche o ecclesiastiche che fossero, dell’epoca studiata da Miquel. Ovvero quello di negare, con ogni mezzo, un futuro diverso e possibile affinché ciò potesse e possa ancora impedire qualsiasi azione di cambiamento del presente attuale e del passato.
Carcere, forca, tortura, costrizione all’abiura e violenza non sono stati strumenti repressivi tipici soltanto del passato, ma sempre più lo sono del presente. In ogni angolo d’Europa e del mondo e anche questo occorre chiamare col nome appropriato: guerra civile, aperta o strisciante che sia.


  1. L’attualità odierna di questo tema si può riscontrare dalla lettura di Silvio Lorusso, Entreprecariat, Krisis Publishing, Brescia 2018 (qui)  

]]>
Zapruder: 13 anni di storie in movimento. Il 26 e 27 novembre l’assemblea annuale a Bologna https://www.carmillaonline.com/2016/10/22/zapruder-13-anni-storie-movimento-26-27-novembre-lassemblea-annuale-bologna/ Fri, 21 Oct 2016 22:01:09 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34139 di Simone Scaffidi

zapruder-with-his-camera«Dallas, 22 novembre 1963: il presidente degli Stati Uniti, John Kennedy, muore assassinato a bordo della Lincoln limousine. Poco distante Abraham Zapruder filma con la sua cinepresa la sequenza dell’attentato. Zapruder rende la vita un po’ più difficile alle nuove “Commissioni Warren” istituite per stabilire le verità ufficiali».

Nel 2004, a un anno e quattro numeri dal lancio della rivista Zapruder e del progetto Storie in Movimento, Fabrizio Billi – uno dei fondatori del progetto, allora membro del Comitato di coordinamento dell’associazione – spiegava sulle pagine [...]]]> di Simone Scaffidi

zapruder-with-his-camera«Dallas, 22 novembre 1963: il presidente degli Stati Uniti, John Kennedy, muore assassinato a bordo della Lincoln limousine. Poco distante Abraham Zapruder filma con la sua cinepresa la sequenza dell’attentato. Zapruder rende la vita un po’ più difficile alle nuove “Commissioni Warren” istituite per stabilire le verità ufficiali».

Nel 2004, a un anno e quattro numeri dal lancio della rivista Zapruder e del progetto Storie in Movimento, Fabrizio Billi – uno dei fondatori del progetto, allora membro del Comitato di coordinamento dell’associazione – spiegava sulle pagine di Carmilla la scelta del nome della rivista. Sono passati tredici anni dall’uscita del primo numero cartaceo (maggio 2013) e oggi Zapruder è un punto di riferimento per chiunque – dentro e fuori dall’accademia – senta l’esigenza di sguardi critici e trasversali sulla Storia e le storie, la contemporaneità e il passato, i movimenti e il conflitto.

Il 26 e 27 novembre a Bologna, presso il Vag61, si svolgerà l’assemblea annuale dell’associazione Storie in Movimento (Sim), un momento di riflessione e creazioni di contenuti attorno alla rivista cartacea Zapruder, alla rivista digitale in lingua inglese Zapruder World e all’organizzazione del SIMposio.

Abbiamo fatto alcune domande ad Alfredo Mignini, coordinatore della redazione multimediale di Storie in Movimento, per capire cos’è oggi Zapruder, come ha cambiato forma in questi anni e come si può partecipare attivamente alla scrittura e all’immaginazione dei percorsi presenti e futuri del progetto.

Raccontaci che cos’è l’associazione Storie in Movimento e da chi è composta.

Storie in Movimento è un progetto culturale nato all’indomani delle proteste contro il G8 di Genova del luglio 2001 a seguito di un appello sottoscritto da oltre 260 persone. L’idea era quella di mettere in piedi una rivista di “storia antagonista”, come si chiama ancora la nostra mailing list, che poi si è concretizzata nel quadrimestrale «Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale». Il fine di SIM è fin dall’inizio offrire una riflessione approfondita sul passato a un pubblico più ampio di quello solitamente raggiunto dalle riviste di storia che nascono dentro le università. Volevamo una rivista capace di comunicare in tante forme diverse, da articoli medio-lunghi con il tradizionale apparato di note fino alle immagini, alle interviste, alle prese di parola. Soprattutto, volevamo una rivista in cui insieme al contributo di studiosi e studiose acclarati potesse trovare spazio anche – non in subordine – la riflessione di attiviste e militanti, studenti e studentesse, appassionati di storia che riflettono sul passato a partire dalle loro esperienze quotidiane e dialogano sulla base dei contenuti con chi per professione si occupa di ricerca storica. Per noi, infatti, studiare il passato non significa ritirarsi dal presente, ma l’esatto opposto. È per questo che abbiamo voluto una rivista che raccogliesse la sfida di confrontarsi col presente, a partire dai conflitti che lo attraversano e rifiutando nettamente le logiche che governano il mondo accademico contemporaneo.

copertina_zapCos’è rimasto e cos’è cambiato rispetto al 2002, anno di lancio del progetto?

Forse non sono la persona più indicata per rispondere a questa domanda, perché solo da qualche anno sono diventato socio di Sim e ho iniziato a collaborare attivamente alla realizzazione del sito web. Mi sono però fatto un’idea leggendo i vecchi numeri della rivista e il materiale delle prime assemblea, ma soprattutto stando a contatto con chi è arrivato prima di me… Sim è stata per me anche un importante momento di confronto con una generazione che non ho potuto incrociare nelle aule universitarie e nell’attivismo politico. Nelle prime discussioni di Sim era molto forte l’accento sull’uso pubblico della storia, le strumentalizzazioni interessate del passato, le amnesie collettive. E questo anche in collegamento con i nuovi media e la dimensione sempre più allargata dei sistemi di trasmissione del passato. Un discorso che continua ad informare la nostra riflessione interna e che, per quanto presente in ogni uscita di Zapruder, ha dato recentemente i suoi frutti con un numero ad hoc (Di chi è la storia?), che registra anche le profonde trasformazioni intervenute nel frattempo. Senz’altro sono rimasti intatti i principi ispiratori del progetto, tanto sotto il profilo dei contenuti, quanto sotto quello organizzativo: sono fondamentali per noi l’autofinanziamento e il basso costo di abbonamenti e attività, l’apertura alle proposte esterne, l’autorganizzazione e il rinnovo continuo delle redazioni e del nostro comitato di coordinamento attraverso processi decisionali trasparenti e assembleari. È invece cambiata, e purtroppo in peggio, la situazione editoriale italiana e Zapruder vive solo grazie al continuo sforzo dei nostri gruppi locali nella promozione della rivista e in un’opera capillare di cura del rapporto con gli abbonati e una politica di differenziazione dei prezzi verso chi ha un lavoro precario o è giovane senza un reddito fisso.

Cosa sono e come nascono Zapruder, Zapruder World e il Simposio?

Alla rivista Zapruder, che rimane comunque il cuore pulsante del progetto, si è affiancato quasi da subito un incontro annuale estivo, che con un po’ di autoironia abbiamo voluto chiamare SIMposio. Questo è il tentativo di trasportare quello che facciamo con Zapruder nel contesto di un incontro residenziale in cui si discute di storia in tante forme diverse (discussioni, documentari, musica, teatro). Abbiamo scommesso sull’idea di promuovere degli incontri in cui il dibattito potesse essere intervallato da momenti di convivialità e siamo convinti che stare insieme produca non soltanto energie, affiatamento e coinvolgimento di persone nuove, ma anche idee originali e un’occasione di scambio e di condivisione dei saperi. Anche qui, la nostra politica di differenziare i prezzi – che riusciamo a fare solo chiedendo un contributo anche a chi viene invitato per esporre le proprie ricerche – ci aiuta a permettere la partecipazione attiva di chi non ha un lavoro o di chi è studente. Dal 2014, inoltre, abbiamo fondato una rivista digitale in inglese che ha preso il nome di «Zapruder World» e che ha da poco sfornato il suo terzo numero sul Welfare State. Infine, stiamo cercando di far decollare il sito, come spazio per raccogliere quello che non riusciamo ad inserire nella rivista, per lunghezza o per… formato (video, audio ecc.), ma su questo confesso che siamo ancora molto indietro!

Chi può partecipare attivamente al progetto e quali sono le forme e i canali per farlo?

Tutti e tutte! Chiunque voglia dare il proprio contributo al progetto Storie in movimento è sempre il e la benvenuto/a e ci sono tantissimi modi per farlo. Il modo più diretto è forse contattare e conoscere di persona chi anima i gruppi locali e collaborare a realizzare le presentazioni dei numeri, i banchetti, le discussioni, ma anche proporre la presentazioni di libri, fumetti, documentari e così via. Si possono poi proporre i propri articoli alle riviste oppure al sito, sia rispettando le richieste tematiche che di tanto in tanto vengono pubblicate, sia proponendo qualcosa di diverso e originale che rifletta sul passato in maniera critica. Si può fare un passo in più e proporre all’assemblea annuale il progetto di un numero intero delle riviste, iniziando così un percorso scrupoloso di cura dell’uscita e, infine, ci si può proporre come relatori/rici o coordinatori/rici di un dialogo del SIMposio. Infine, ci si può candidare a far parte delle redazioni (carta, digitale, sito), del comitato di coordinamento, del comitato organizzatore del SIMposio e contribuire così al progetto in ogni suo aspetto.

zw_logoL’assemblea annuale del 26 e 27 novembre è aperta a tutti/e?

Certamente! L’assemblea è chiaramente anche un momento di bilancio e discussione interna, che serve a rinnovare le strutture e a decidere i contenuti delle riviste e dell’incontro estivo. Questo per noi è fondamentale: le decisioni più importanti per il futuro del progetto si prendono all’interno di un’assemblea aperta al pubblico, in cui tutti/e prendono visione delle proposte arrivate e partecipano alla discussione da cui emergeranno i numeri da realizzare nell’anno a venire, i dialoghi del SIMposio, i progetti da intraprendere. Proprio per questo, l’assemblea è un momento che si nutre della partecipazione e delle proposte di chi è esterno all’associazione e vuole conoscerla meglio, capirne il funzionamento e portare un commento, una critica, un contributo. Quest’anno, grazie all’ospitalità dei compagni e delle compagne di Vag61, l’assemblea si terrà a Bologna dal 26 al 27 novembre e sarà possibile prenotare (entro il 27 ottobre) un posto letto e i pranzi delle due giornate a prezzo calmierato… perché anche per l’assemblea il motto è: “pagare tutti, per pagare meno”.

]]>