Paolo Sollier – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Sport e dintorni – Calci e sputi e colpi di testa… e non è detto che vinca il migliore https://www.carmillaonline.com/2022/02/19/sport-e-dintorni-calci-e-sputi-e-colpi-di-testa-e-non-e-detto-che-vinca-il-migliore/ Sat, 19 Feb 2022 21:00:15 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=70591 di Gioacchino Toni

Paolo Sollier, Calci e sputi e colpi di testa, Prefazione di Renzo Ulivieri, Mimesis, Milano-Udine, 2022, pp. 130, € 12.00

«Jürgen Klopp: “Non voterei mai un partito che promettesse di abbassare le tasse ai più ricchi”. Io sono per Klopp. “Chi è l’Italiano che stima di più, Mazzola o Rivera?” Socrates risponde: “Non li conosco. Sono qui per leggere Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio.” Io ero per Socrates e la democracia corinthiana. “Vogliamo che a fare politica siano tutti in prima persona” diceva Paolo [...]]]> di Gioacchino Toni

Paolo Sollier, Calci e sputi e colpi di testa, Prefazione di Renzo Ulivieri, Mimesis, Milano-Udine, 2022, pp. 130, € 12.00

«Jürgen Klopp: “Non voterei mai un partito che promettesse di abbassare le tasse ai più ricchi”. Io sono per Klopp. “Chi è l’Italiano che stima di più, Mazzola o Rivera?” Socrates risponde: “Non li conosco. Sono qui per leggere Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio.” Io ero per Socrates e la democracia corinthiana. “Vogliamo che a fare politica siano tutti in prima persona” diceva Paolo Sollier. Io ero per Sollier». Così si apre la prefazione stesa da Renzo Ulivieri alla nuova edizione del volume di Paolo Sollier uscito originariamente nel lontano 1976 e ora tornato nelle librerie grazie a Mimesis.

Calciatore, allenatore, scrittore e militante di sinistra, Paolo Sollier ha fatto parte del Perugia che a metà degli anni Settanta ha conquistato la sua prima promozione in Serie A. I tacchetti delle sue scarpette hanno calpestato i campi da gioco, quando ancora erano esclusivamente di terra ed erba naturali, soltanto una ventina di volte nella massima serie, mentre in oltre un centinaio di casi lo hanno fatto in Serie B. Pur non avendo conseguito risultati sportivi eclatanti nel corso degli anni Settanta Sollier ha ottenuto una certa celebrità. Quest’ultima, anziché derivare da funamboliche imprese da campione, gli è “piovuta addosso”, senza averla cercata.

È possibile diventare famosi senza fare niente per diventarlo? Pare di sì. Sto diventando famoso perché, udite udite, mi “occupo di politica”. Non dico fare il militante a sangue pieno o il capopopolo, no: solo “si occupa” o “si intende” di politica. Poi perché d’estate vado nei campi di lavoro. Poi perché vivevo in una comune. Poi perché “alza il pugno in campo”. Insomma, da quell’oscuro pedalatore senza pretese che ero sono diventato “il calciatore ultrarosso”, “il compagno centravanti”, “il pugno sinistro (chiuso) di Dio”. Come regolarsi? Tirare avanti e basta è la prima risposta. Migliaia di persone fanno politica, vanno nei campi di lavoro e vivono nelle comuni. Se c’è stupore perché un calciatore fa queste cose è perché il mondo del calcio è in ritardo rispetto al mondo reale. Mondo del calcio vuol dire anche i giornalisti che scoprono il giocatore comunista e lo mettono in una gabbia di righe: toh, guardate il fenomeno, e dopo averlo guardato state tranquilli, gli altri giocatori non sono come lui. Sono su tutti i giornali, per dritto e di traverso. Cosa ne faccio di questa fama? L’unica è usarla per dire quelle quattro cose che ho in testa, di sport, di politica, di vita alternativa. Mica voglio fare il profeta o il professorino; semplicemente sono uno dei pochi, tra quelli che la pensano come me, ad avere accesso a tutto, anche ai giornaletti di carta igienica. Dunque cercherò di usare questo spazio per rompere un po’ le scatole (pp. 39-40).

Ciò che davvero il mondo del pallone, e dello sport in generale, non sopportava e, tutto sommato, ancora non sopporta, è che un atleta non si limitasse ad intrattenitore le folle con le sue performance agonistiche ma pretendesse addirittura di pensare ed esprimersi anche su questioni che esulavano dalla gabbia dorata entro cui doveva restare confinato.

Non si sopportava che sul finire degli anni Sessanta grandi eroi dello sport come Muhammad Ali, Tommie Smith e John Carlos affiancassero alle loro imprese agonistiche prese di parola critiche sulle guerre imperialiste o sul razzismo imperversante nella società e nelle istituzioni, non di meno si poteva mandare giù che un onesto calciatore di una formazione di periferia a metà anni Settanta rivendicasse anche sui campi da calcio la sua militanza politica e non la smettesse di denunciare le mille contraddizioni che toccavano, eccome, anche il mondo dello sport e gli esseri umani che ne facevano parte.

Con Calci e sputi e colpi di testa Sollier intendeva scrivere dei sogni, delle sofferenze, delle contraddizioni che un uomo come lui viveva entro un mondo che non accettava di essere criticato nel timore che il giocattolo potesse rompersi. Scrive Renzo Ulivieri nella prefazione che accompagna il ritorno del volume nelle librerie:

[Sollier] ha preso la penna e si è messo a scrivere con un lessico volutamente poco forbito per contrapporsi al linguaggio raffinato e salottiero dello scrittore borghese, con l’intento di consumare una sorta di rivincita dei proletari che, con meno parole, perché a loro non è consentito l’accesso alla cultura, riescono a esprimere idee di più alto valore morale, umano e politico. Una sfida alla cultura borghese, oltre che nella sostanza anche nella forma, perché il lessico usato viene dalla strada, dalla fabbrica o da un campo da calcio: comunque un lessico proletario (pp. 7-8).

Le riflessioni e le vicende raccontate dal libro vanno inserite nell’ambito della conflittualità che caratterizzava il periodo sin dalla fine degli anni Sessanta, quando anche nello sport si palesarono contraddizioni che ne mettevano in discussione la sua presunta neutralità e separatezza. Se in un primo momento in Italia le strutture organizzate della sinistra più radicale sostanzialmente si mostrano disinteressate alle questioni sportive, successivamente tentarono di intervenire su tale ambito, soprattutto in occasione di eventi internazionali, senza però riuscire a strutturare riflessioni importanti circa le contraddizioni che attraversano l’universo sportivo.

È probabilmente sull’onda delle mobilitazioni contro la partecipazione della squadra italiana di tennis alla finale della Coppa Davis prevista a Santiago nel 1976 contro il Cile in balia del regime di Pinochet che anche i gruppi della sinistra più radicale si trovarono quasi costretti a fare i conti con l’universo sportivo. Testate come «Il Manifesto», «Lotta continua» e «Il Quotidiano dei lavoratori» diedero conto della vicenda appoggiando il movimento di protesta contro la partecipazione italiana all’evento.

Avanguardia operaia dedicò sulle pagine del suo «Il Quotidiano dei lavoratori» un certo spazio alle tematiche sportive, e proprio a tale formazione politica aderiva Sollier, che nell’ottobre del 1976 si azzardò a fare quello che un calciatore evidentemente non doveva: pubblicare un suo libro autobiografico di denuncia delle deformazioni, delle ipocrisie e delle chiusure mentali del mondo del pallone con l’esplicita volontà di rompere quell’isolamento in cui era mantenuto rispetto alle piccole e grandi questioni che attraversavano il resto della società dell’epoca. All’uscita del libro, edito dall’editore milanese Gammalibri, Sollier venne prontamente deferito alla Commissione disciplinare della Lega nazionale calcio “per avere espresso pubblicamente in un libro da lui scritto affermazioni e giudizi lesivi della reputazione di altri tesserati”. Non erano tollerabili punti di vista critici dall’interno del sistema calcistico.

In risposta al deferimento «Lotta continua» mise in evidenza come Sollier fosse balzato agli onori delle cronache non per la sua attività di calciatore ma per il suo occuparsi di politica, per la sua ostinazione a non vivere di solo pallone. Al libro di Sollier, riconosceva il quotidiano, spettava il merito di aver provato a forzare il ghetto entro cui era costretto il calciatore: Sollier, al pari di altri militanti dell’epoca, si poneva il problema di cosa significasse essere rivoluzionari, del “personale è politico” e della sessualità.

Sulle pagine de «Il Quotidiano dei lavoratori», il collettivo editoriale della Casa Editrice Gammalibri bollò il deferimento come “un provvedimento manifestamente incostituzionale e fascista, tendente a dare continuità a uno stato di cose che vede il calciatore come oggetto muscoloso tacitato a colpi di milioni, di fatto utilizzato dal sistema non in senso ricreativo e di diffusione della pratica sportiva, ma quale ‘valvola di scarico’ di conflitti e di contraddizioni sociali e quale diversivo rispetto alla situazione sociale e politica”.

Nel libro Sollier racconta sì di politica, di amori, di partite e di ritiri ma sopratutto racconta la sua storia di essere umano.

All’inizio della mia canescioltaggine, un anno e passa fa, facevo un pensiero al PCI; ma era probabilmente la ricerca di un rifugio, la cosa più facile e comoda da fare. Mi dava l’idea di entrare in un carro armato (senza sottintesi) e al confronto gli extrasinistri erano biciclette col carrettino. Nel PCI tutto è sicuro, hai la linea e la controlinea, i fianchi e il culo coperti, tutto pronto tutto organizzato. Solo che anche gli occhi sono coperti. Insomma il PCI sta sempre peggio e sempre meno risponde alla voglia e alla necessità di lotta; continua a farsi forza della sua tradizione storica, e su quella tanto di cappello, ma con questo lenzuolo di dura tela antifascista, giorno per giorno cucita a morti e a fucilate, con questo lenzuolo per quanto crede di coprire le puttanate di oggi? Il vecchio buon Partito è diventato posato, domestico; fa tutto secondo le regole (borghesi), rispetta i vicini; e sotto sotto fa compromessi e frena. Ingrossa, certo che ingrossa, apre le porte a tutti. Non ho mai visto tanti padroni comunisti come adesso, e scusa la contraddizione. Ma il conto è facile: se sei di sinistra, magari con la giunta rossa, ti ritrovi tanta pace in fabbrica. Vuoi che i lavoratori lottino contro il compagno imprenditore? Non sia mai, niente paura, ci pensa il Sindacato. Perciò riprendo il mio posto in Avanguardia Operaia. Lì troverò anche gli amici. Del resto se non li trovo in mezzo ai compagni dove li trovo? Posizione opportunistica, dice qualcuno. Certo. Ma tra i compiti di un’organizzazione politica c’è anche quello di garantire un ambiente ai propri militanti. Né più né meno (pp. 28-29).

Nel suo racconto Sollier ha il merito di individuare nelle piccole cose, apparentemente banali, le grandi contraddizioni.

Questa degli autografi è davvero una mania pericolosa, proprio perché è considerata una stupidata. È uno dei primi passaggi per accettare le cose come stanno. Il mondo è composto da persone importanti e non importanti. Quelle importanti vanno idolatrate e messe un gradino più in alto. Ed è dovere dei non importanti andare a caccia di quelli importanti e tornarsene con un ricordo […] Questi scarabocchi di fretta sono un esempio di una delle regole di questo sistema: dare valore a cose che non ne hanno alcuno. E per farlo bisogna creare tutta una serie di falsi desideri per falsi bisogni: questo è il più stupido, ma non c’è niente di diverso dalla voglia dell’automobile più bella o dell’abbigliamento più elegante. È un’ideologia che ti bombardano addosso appena nato fino a morto, per magari farti desiderare un funerale di prima classe. Per forza un bambino che viene a chiederti la firma, se rifiuti ti fa la faccia scura. Si sente defraudato di qualcosa di prezioso; gli hanno insegnato che vale chissà cosa. Il non farli mi ha procurato infinite critiche e maledizioni. Dicono che è un fregarsene dei tifosi, prenderli per il culo, darsi arie. Tutto il contrario. Perché è molto più facile fare una firma che fermarsi a spiegare, discutere (p. 32).

Con note di malinconia, Ulivieri scrive nella sua prefazione che il libro di Sollier racconta di un

tempo in cui si gioca con un portiere “murato in porta”, un libero staccato di venti metri che non pone quindi il problema della Var per scovare millimetrici fuorigioco, due marcatori a uomo, un terzino fluidificante, un mediano incontrista, un regista di centrocampo, un rifinitore in zona più avanzata, un ala tornante e due punte: catenaccio e contropiede, giocare la palla in avanti senza tanti fronzoli, evitare di passare la palla al portiere perché viene giù lo stadio dai fischi. È un calcio che non c’è più, semplice, forse più umano. Un calcio, come diceva Socrates, “che si concede il lusso di far vincere il peggiore: non c’è niente di più marxista o gramsciano del calcio” (pp. 8-9).


Sport e dintorni

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Sport e dintorni – Calcio e letteratura in Italia https://www.carmillaonline.com/2018/12/14/sport-e-dintorni-calcio-e-letteratura-in-italia/ Thu, 13 Dec 2018 23:01:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=48612 di Alberto Molinari

Sergio Giuntini, Calcio e letteratura in Italia (1892-2015), Biblion edizioni, Milano, 2017, pp. 365, € 25,00

Con questo saggio lo storico dello sport Sergio Giuntini offre per la prima volta un quadro d’insieme sulla storia dei rapporti tra calcio e letteratura in Italia. L’autore si misura con una materia molto ricca ed eterogenea, assumendo la nozione di letteratura in un’accezione ampia. Attraverso un approccio metodologico che mira a superare la dicotomia tra cultura “alta” e “bassa”, nel volume vengono analizzati regolamenti e manuali tecnici, interventi giornalistici su quotidiani e periodici, [...]]]> di Alberto Molinari

Sergio Giuntini, Calcio e letteratura in Italia (1892-2015), Biblion edizioni, Milano, 2017, pp. 365, € 25,00

Con questo saggio lo storico dello sport Sergio Giuntini offre per la prima volta un quadro d’insieme sulla storia dei rapporti tra calcio e letteratura in Italia. L’autore si misura con una materia molto ricca ed eterogenea, assumendo la nozione di letteratura in un’accezione ampia. Attraverso un approccio metodologico che mira a superare la dicotomia tra cultura “alta” e “bassa”, nel volume vengono analizzati regolamenti e manuali tecnici, interventi giornalistici su quotidiani e periodici, romanzi, racconti e poesie, biografie e autobiografie, saggi di varia natura dedicati al calcio.
Grazie ad una minuziosa e rigorosa ricerca – a partire dalla raccolta di una vastissima gamma di documenti, padroneggiati con notevole competenza – Giuntini riesce pienamente nell’intento di fornire una mappatura ragionata delle relazioni tra dimensione letteraria e fenomeno calcistico che si inserisce nella storia socio-culturale del calcio italiano ovvero della disciplina sportiva che più di ogni altra cattura quotidianamente l’attenzione di milioni di persone.
Oltre a fornire molteplici spunti interpretativi, il saggio si segnala per la qualità della scrittura e per il solido impianto storico di un percorso che si snoda da fine Ottocento ai giorni nostri.

Il volume si apre con un capitolo sui primi manuali e regolamenti, mutuati principalmente dall’Inghilterra, che contribuiscono ad uniformare una pratica calcistica ancora disomogenea e con regole confuse. Nel contempo il football debutta sulle pagine della pubblicistica sportiva nella quale si distinguono testate come “La Gazzetta dello Sport” e il “Guerin Sportivo”. Inizialmente marginale rispetto ad altre discipline, il calcio conquista progressivamente uno spazio nei periodici, mentre nascono le prime riviste specializzate e fogli espressione di alcuni club calcistici.
Il panorama giornalistico si arricchisce anche grazie a due voci critiche: il “Corriere dello Sport Libero” – organo della Unione Libera Italiana del Calcio, sorta nel 1917 in alternativa alla FIGC con l’intento di diffondere il calcio tra le classi popolari – e “Sport e proletariato”, settimanale legato all’area socialista massimalista uscito nel 1923 e subito soppresso dal fascismo.
Giuntini segnala inoltre un episodio poco noto accaduto nel clima del “biennio rosso”. Nell’ottobre del 1920 le maestranze del “Guerin sportivo” occupano per alcuni giorni la sede torinese della rivista e danno alle stampe un’edizione autogestita nella quale denunciano l’autoritarismo del direttore e si propongono di dare al periodico un orientamento di classe. L’evento – unico nella storia della stampa sportiva italiana – si inscrive nel superamento dell’originario “antisportismo” socialista, in un contesto che vede la nascita di un associazionismo sportivo di classe promosso a Milano dai “terzinternazionalisti” vicini a Giacinto Menotti Serrati e a Torino dal gruppo de “L’Ordine Nuovo”. In questo quadro Giuntini dedica alcune pagine alle riflessioni di Antonio Gramsci sullo sport, letto in modo originale attraverso le categorie del marxismo.

Una parte rilevante della ricerca riguarda il periodo fascista, sul versante giornalistico e letterario.
Giuntini si sofferma inizialmente sul ruolo di Lando Ferretti e Leandro Arpinati – due personalità di primo piano del fascismo nonché dirigenti dello sport nazionale – nel dare impulso alla carta stampata sportiva e inquadrarla secondo le direttive del regime per la costruzione dell’”uomo nuovo” fascista.
Durante il fascismo il giornalismo sportivo cresce dal punto di vista quantitativo con una moltiplicazione delle testate, sempre più “calcistizzate”, e la copertura degli eventi sportivi da parte dei nuovi mezzi di comunicazione di massa (radio e cinema). Tra i giornalisti che contribuiscono alla trasformazione della scrittura sportiva Giuntini indica in particolare due direttori de “La Gazzetta dello Sport”: Emilio Colombo, a cui si deve la nascita dello “sport epico”, e Bruno Roghi che fa scuola con il suo stile retorico ed enfatico e con il ricorso a metafore di matrice bellica funzionali all’esaltazione dei successi agonistici della nazione “guerriera e sportiva”.

La ricostruzione di Giuntini spazia poi da Massimo Bontempelli, lo scrittore che esalta il «vitalismo tipicamente fascista insito nella modernità dello sport», alle prove di scrittura sportiva di Alessandro Pavolini, uno dei principali «gerarchi-letterati del “calcio e moschetto”», da La prima antologia degli scrittori sportivi (1934) che comprende tra l’altro le Cinque poesie sul gioco del calcio di Umberto Saba, alla narrativa sul calcio nella quale si distingue Novantesimo minuto (1932) di Francesco Ciampitti, «il primo autentico romanzo calcistico italiano», capace di uscire dai canoni dominanti del romanzo sportivo fascista. Nel corso del Ventennio questo genere conosce una notevole fortuna – esemplificata ad esempio da La squadra di stoppa (1941) di Emilio De Martino, un best-seller della letteratura italiana per l’infanzia – anche grazie alle vittorie internazionali conseguite dagli “azzurri” di Vittorio Pozzo e all’attenzione del fascismo per il calcio.

Negli anni della dittatura non mancano posizioni critiche nei confronti dello sport di regime. Antonino Pino Ballotta in Tifo sportivo e i suoi effetti sottolinea «l’esasperata sportivizzazione promossa dal fascismo»; Cesare Zavattini smitizza «la tronfia retorica staraciana dello sport in “camicia nera”» attraverso alcune pagine del suo I poveri sono matti; su “Giustizia e Libertà” Carlo Rosselli denuncia il fanatismo sportivo alimentato dalla dittatura e Carlo Levi interviene con una serie di articoli che rappresentano «un autentico J’accuse nei confronti della politica sportiva fascista».

Venendo al dopoguerra, il saggio analizza il ritrovato interesse per il calcio da parte di scrittori e poeti che se ne erano allontanati, disgustati dalla strumentalizzazione fascista dello sport.
Mentre Italo Calvino scrive di sport su “l’Unità” e Alfonso Gatto e Vasco Pratolini celebrano con i loro scritti «il rito domenicale della partita», «la unica vera “religione laica” degli italiani del secondo dopoguerra», negli anni Cinquanta Gianni Brera – il “Gadda spiegato al popolo” secondo Umberto Eco – si afferma come protagonista di una lunga stagione del giornalismo e della letteratura sportiva. Giuntini analizza puntualmente i passaggi che portano Brera verso la costruzione di un linguaggio straordinariamente originale. La sua scrittura «affabulatoria, gigionesca e straripante» è frutto di «un esercizio di inventività “parolibera” infinito, in un codice linguistico “onomaturgico” impregnato di metafore e neologismi entrati nel parlato comune»: da “centrocampista” a “goleador”, da “incornare” a “libero”, da “melina” a “palla-gol”, da “pretattica” a “rifinitura”, da “Bonimba” (Roberto Bonisegna) al “Barone” (Franco Causio).

In pieno “miracolo economico” esce un importante romanzo di Salvatore Bruno (L’allenatore, 1963), mentre lo juventino Mario Soldati e l’interista Vittorio Sereni fanno filtrare in alcune opere la loro passione per il calcio. Un amore che traspare anche nella narrativa di Luciano Bianciardi chiamato nei primi anni Settanta, alle soglie della morte, da Gianni Brera a collaborare al “Guerin Sportivo” e di Oreste Del Buono, incarnazione dello “scrittore-tifoso” che trova nel tifo una fonte di ispirazione per un capitolo del suo romanzo I peggiori anni della nostra vita (1971).
Tra i grandi intellettuali italiani è poi Pier Paolo Pasolini – tifoso del Bologna, appassionato praticante e attento osservatore del calcio – a scrivere pagine preziose sullo sport e in particolare sul pallone spingendosi fino a tentare una lettura semiologica del fenomeno calcistico con i suoi “elzeviristi”» (Gianni Rivera e Sandro Mazzola) e i suoi poeti e prosatori “realisti” (Giacomo Bulgarelli e Gigi Riva).

Di sport scrive anche Giovanni Arpino cimentandosi in un’attività giornalistica che lo porta tra l’altro a seguire per “La Stampa” diverse edizioni delle Olimpiadi e dei Mondiali di calcio. Sarà l’ingloriosa eliminazione della nazionale italiana ai Mondiali tedeschi del 1974 ad ispirare il suo Azzurro tenebra (1977) – secondo Giuntini «il più importante romanzo, tra il reportage e il pamphlet, di questo scorcio di anni» – nel quale si esprime «una forte requisitoria contro la decadenza materiale e umana del football italiano».
Una denuncia che è al centro di Calci e sputi e colpi di testa (1978) di Paolo Sollier, militante dell’organizzazione della sinistra extraparlamentare Avanguardia operaia, uno dei calciatori più “politicamente scorretti” nella ridotta schiera degli “irregolari” del calcio, tra i quali si possono annoverare il calciatore-poeta Enzo Vendrame e Carlo Petrini con i suoi libri, pubblicati vent’anni dopo, su un football sempre più ossessionato da una ricerca esasperata del risultato e condizionato dal doping, dalle scommesse clandestine e dalle partite truccate.

Tra gli anni Ottanta e Novanta un profluvio di titoli e un impoverimento linguistico segnano «la mediatizzazione selvaggia vissuta dal calcio sempre più malato di “biscardismo” e di quel gigantismo sfrenato inaugurato con gli sprechi di “Italia ‘90” e proseguito con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e l’invasione delle pay-tv di Rupert Murdoch». L’antidoto al “biscardismo” è affidato alla penna di autori che tentano l’impresa «quasi folle e utopica di frenarne, con una buona letteratura, la grave decadenza umana e morale».
Ecco allora Dov’è la vittoria? Cronaca e cronache dei Mondiali di Spagna (1982) del dantista Vittorio Sermonti che avverte precocemente gli effetti nefasti della deriva biscardiana e qualche anno dopo, ai tempi del mondiale italiano degli affari e delle speculazioni e della craxiana “Milano da bere”, Il calciatore di Marco Weiss, un romanzo di formazione a sfondo calcistico, e Finale di partita, raccolta di scritti alla quale partecipano autori del calibro di Dario Bellezza, Gianni Celati, Franco Fortini, Cesare Garboli, Valerio Magrelli, Dacia Maraini, Antonio Tabucchi e molti altri.

Tra i tanti autori e titoli citati e commentati da Giuntini nel capitolo sulla scrittura come risposta culturale al “biscardismo” e sulle tendenze più recenti della letteratura a tema calcistico, spiccano per valore letterario e impegno civile La solitudine dell’ala destra di Fernando Acitelli, una storia del calcio in versi; alcune poesie di Loi, Giudici, Sanguineti e Roversi; Manlio Cancogni sulle tracce dell’”eretico” Zeman con il suo Il Mister, che Giuntini valuta come uno dei tre romanzi da ricordare nella storia della letteratura italiana sul calcio insieme a Novantesimo Minuto di Ciampitti e Azzurro tenebra di Arpino; Il portiere e lo straniero di Daniele Santi, un’opera tra storia e romanzo intorno alla figura dell’intellettuale-portiere Albert Camus; La farfalla granata, il libro di Nando Dalla Chiesa su Gigi Meroni. E ancora Edmondo Berselli che in Il più mancino dei tiri propone attraverso il calcio una rivisitazione politica, sociale e di costume dell’Italia e delle sue contraddizioni irrisolte, i romanzi sul calcio e i sentimenti di Roberto Perrone, Rembò di Davide Enia, Addio al calcio di Magrelli, Il mio nome è Nedo Ludi di Pippo Russo, la produzione sportivo-letteraria di Darwin Pastorin e le esperienze di scrittura sul calcio al femminile.

Oltre ad offrire una panoramica sulla ripresa degli studi storici sul calcio e sulle opere sociologiche e letterarie dedicate al tifo ultrà, in chiusura del volume Giuntini dedica due capitoli ad una sintetica rassegna sul calcio nel cinema e nel teatro, suggerendo altri spunti di riflessione e indicazioni per ulteriori approfondimenti.
Utile è anche la bibliografia posta in appendice al volume, mentre è discutibile la scelta editoriale di non avvalersi di un apparato di note, uno strumento che sarebbe stato prezioso per i lettori interessati a risalire puntualmente dalle numerose citazioni alle loro fonti. Un limite che comunque non inficia il notevole valore di una ricerca che rappresenta uno dei più importanti contributi recenti agli studi storici sullo sport.

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