ospedale – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Chiamate telefoniche – 1 https://www.carmillaonline.com/2020/03/24/chiamate-telefoniche/ Tue, 24 Mar 2020 22:00:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=58808 di Piero Cipriano

Questo scritto ha per oggetto il virus e ha per titolo un libro di Roberto Bolaño. La storia inizia quando il virus ancora non era epidemico, ancora si poteva uscire di casa, fare la spesa, correre nei parchi, ancora non era iniziato il trattamento sanitario obbligatorio con obbligo di dimora a casa per chi una casa ce l’ha, e possibilità di uscire solo se i motivi sono con-provati.

Erano i primi di marzo, e andavo come sempre in ospedale, il luogo perfetto per lasciarsi incubare dal coronavirus, l’ospedale dove ancora non era arrivato ma di lì a poco [...]]]> di Piero Cipriano

Questo scritto ha per oggetto il virus e ha per titolo un libro di Roberto Bolaño. La storia inizia quando il virus ancora non era epidemico, ancora si poteva uscire di casa, fare la spesa, correre nei parchi, ancora non era iniziato il trattamento sanitario obbligatorio con obbligo di dimora a casa per chi una casa ce l’ha, e possibilità di uscire solo se i motivi sono con-provati.

Erano i primi di marzo, e andavo come sempre in ospedale, il luogo perfetto per lasciarsi incubare dal coronavirus, l’ospedale dove ancora non era arrivato ma di lì a poco sarebbe arrivato, era questione di giorni, ore, e il nosocomio dove lavoro vivo penso dormo mangio parlo impasticco – pensavo – diventerà un lazzaretto che regalerà, anche a me, la peste del nuovo millennio, quel giorno andai e per fortuna dormii fino alle sei del mattino. Un’insolita calma come sempre è calmo prima della tempesta. Alle sei del mattino quando pensavo di averla ormai scampata chiama il pronto soccorso, era Edvige, l’infermiera altissima, altera, diceva c’è uno venuto con otto poliziotti. Era già venuto cinque giorni fa, legato sedato poi ci avevo parlato l’avevo fatto sciogliere se n’era andato. Ora ritornava. Diceva il poliziotto che di continuo era lì intorno al Vaticano, per incontrare il papa, deve convincerlo, non si sa di cosa. Ci parlo. Gigantesco. Esaltato. Pazzo. Dice dio mi è venuto in sogno mi ha detto cosa fare in trenta minuti ho scritto centotrenta pagine che ho consegnato a un sacerdote del Vaticano, ho una missione, nessuno mi fermerà. Lei è un incapace, pensa di sapere quello che ho in testa, ma sono io che so leggere tutto quello che lei ha nella testa, lei sarà licenziato da questo posto, io riformerò gli ospedali, riformerò la polizia, riformerò lo stato, riformerò il mondo. Lo lascio fare. lo lascio sfogare. Lo lascio insultare. Lo lasco delirare. Poi gli dico. Per uno che ha visto dio, lei è poco gentile. Anche io ho visto dio, per questo la tratto con gentilezza. Perché lei è un figlio di dio. Io pure sono un figlio di dio. Lei deve essere comprensivo, con me. Non sono perfetto, come non lo è lei. Abbiamo entrambi visto dio, dovremmo essere entrambi più sereni. Io pure so quello che lei ha nella testa. Lo leggo. Come lei legge me io leggo lei. Ora lei farà queste analisi, prenderà questi farmaci che inietterò nelle vene. Farà un breve ricovero. Chi lo decide? Lo decido io. Con la grazia di dio.

E così è stato.

Finito l’intervento attraverso il lungo corridoio del pronto soccorso dove quella notte è entrato il primo paziente in questo nosocomio infettato di coronavirus, il virus è nell’aria, si sente, attraverso l’aria dove goccioline di Flügge invisibili orbitano come pianetini impazziti intorno alla mia scia sopra questi pianetini c’è questo virus che si considera il piccolo principe di questo suo pianetino detto Flügge, lui pensa di essere davvero un principe, lo sa di avere poche sequenze di DNA lo sa di essere poco meno che vivo eppure non immagina di essere diventato l’incubo di questi esseri viventi che si ritengono quasi divini, noi, gli umani, così intelligenti eppure adesso così spaventati, attraverso questa galassia di goccioline di Flügge nlasciate dal paziente infetto in isolamento eppure non contraggo l’infezione oppure sì, non lo saprò mai, non lo saprò mai perché gli operatori sanitari come me, anche in prima linea, se sono asintomatici e afebbrili non potranno mai fare il costoso tampone, test neppure sicurissimo ma meglio che niente, non siamo mica calciatori o politici noialtri, per avere il tampone. Insomma non mi infetto, ancora.

Passano i giorni. Ogni giorno arrivo nel nosocomio. L’Italia ha paura di morire per un virus. Il mondo ha paura dell’Italia. Ho il cercapersone. Il cercapersone suona. Non l’ho disinfettato. Mi lavo spesso le mani.
Adesso siamo già al 20 di marzo e tutti i giorni di questa settimana appena trascorsa e di quella precedente sono uscito di prima mattina, arrivato in ospedale mi sono cambiato, ho indossato divisa bianca camice e mascherina – io che mi fregiavo di essere un medico basagliano senza il camice mi sono ritrovato intabarrato come un chirurgo in sala operatoria – catapultato in prima linea in pronto soccorso a gestire gli arrivi di pazienti intossicati ubriachi agitati eccitati tagliati suicidati eccetera quel tipo di pazienti i meno pazienti perché vai a spiegare a loro che dovrebbero indossare la mascherina perché potrebbe esserci un virus infido eccetera c’è chi ti dice che il virus non esiste chi ti dice che l’ha inventato lui chi ti dice che lui è dio quindi immune dal virus chi ti dice che l’hanno messo in circolo gli americani anzi i cinesi anzi quelli dei vaccini anzi gli extraterrestri eccetera e non è detto che una di queste tesi non possa essere quella giusta, in ogni caso la mascherina non se la tiene e quindi fare attenzione a che non venga legato perché la pazienza degli operatori è al minimo e non vogliono rischiare di infettarsi e se quello non rispetta le regole si espone al rischio della contenzione e insomma tutta la settimana va avanti così.

Iniziano a questo punto le chiamate telefoniche. Sono uno psichiatra più o meno conosciuto per la cosiddetta riluttanza ai manicomi. Qualcuno se ne ricorda e mi chiede lumi. Come ci comportiamo adesso che c’è il virus? C’è chi mi chiama al numero dell’ospedale chi mi chiama sui social chi perfino al telefonino ma come ha fatto ad avere il mio numero? Oppure mi chiama qualche paziente che ho avuto anni fa e che si ricorda di me adesso che è agli arresti sanitari.

Dottore, lei mi disse che correre era meglio degli antidepressivi, vivo in Campania, come faccio adesso che il governatore De Luca ci spara se usciamo?

La prima chiamata degna di nota però è quella di Caltabellotti, l’uomo che ricoverai perché voleva a tutti i costi parlare col papa. Dopo dimesso, il giorno in cui il papa uscì a spasso con la scorta per andare a baciare il Cristo degli appestati a cui chiese di salvare il mondo dal virus con la sua mano, mi chiama: è il dottor Cipriano? E’ proprio lei? Sicuro di essere lei? Non posso dirlo ad altri che a lei. Credo di essere io, parli pure. Era quello che volevo dire al papa, non ci sono riuscito ma lui mi ha ascoltato lo stesso. Ha fatto ciò che andava fatto, recarsi al Cristo degli appestati e chiedere la grazia, lui doveva farlo, adesso siamo salvi, il virus, almeno questo virus, non sarà lui che ci farà fuori. Per un po’ siamo al sicuro.

Attacco. Chi era? Fa la mia collega. Caltabellotti. Quello che avevo ricoverato. Dice che grazie a lui il papa ha capito e è andato a implorare la grazia di Cristo. Ora siamo salvi.

La mia collega fa: ma il papa ce l’aveva l’autorizzazione per uscire? Come dici? Ce l’aveva il comprovato motivo? Era un motivo di lavoro la sua uscita? Di salute? Di necessità? Perché è uscito? Beh, le dico, possiamo farlo entrare nei motivi di lavoro, se ci pensi esercitava il suo ministero, intercedeva con Dio per la nostra salvezza dal virus. Non l’ho convinta. Avrebbe secondo me fatto il TSO pure al papa.

Le chiamate poi sono continuate. Messe in fila, in sequenza, le chiamate telefoniche di questi giorni, casuali, sincroniche, compongono tante tessere di un puzzle che diventa narrazione. Teoria. Spiegazione. Soluzione. Vediamo un po’… chi ha chiamato.

Ah, dicevo, quel mio vecchio paziente fobico della Campania. Mi chiama per lamentarsi che in Campania questo governatore dal piglio autoritario si rammarica perché in Cina hanno i mezzi (repressivi che lui non ha) per governare l’epidemia. Dice che il governatore campano ha dichiarato in un video di voler fare un’ordinanza per impedire alla gente di muoversi per strada. Chi viene trovato a passeggiare o se ne sta seduto su una panchina dovrà stare in quarantena per quindici giorni e se non viene rispettata la quarantena avrà un processo penale.

Gregorio da Pescara, non lo conosco, non so che problemi abbia, ha letto un paio dei miei libri, mi scrive: ma non gli basta la lezione delle carceri? Detenuti ammassati in spazi troppo stretti sedati da psicofarmaci e oppiacei – almeno metà dei detenuti assume psicofarmaci, il carcere, ha ragione lei dottore, è indistinguibile da un manicomio – che esplodono si ribellano protestano assaltano le medicherie si uccidono con psicofarmaci e metadone. Ebbene io lo so che tra poco esploderanno le case gli appartamenti i condominii i monolocali trasformati in carceri in arresti domiciliari in obbligo di dimora. Tra poco, per uscire di casa, le persone avranno il comprovato motivo di doversi recare al pronto soccorso da lei, dottore, per ricevere antidepressivi ansiolitici e stabilizzatori dell’umore. Di questo passo tutti salvi dal virus ma tutti schizzati e sotto psicofarmaci, alé.

Carmine da Reggio Calabria. Un grave ossessivo che lava le mani cinquanta volte al giorno, timori di contaminazione continua, l’ossessivo, si dice, ha il Thanatos costantemente conficcato nel cranio e si difende dalla costante incombenza della morte coi suoi rituali, tra tutti domina il lavarsi. Dice dottore! (con quella parlata calabra aspirata) finalmente non mi sento più malato, qui tutti si lavano le mani nessuno esce nessuno si tocca si stringe le mani non ho più bisogno di giustificarmi, per me questa è la normalità.

Paolo da Milano. Pure lui mi chiama al numero del reparto ospedaliero. Dice ho letto Agamben. Tutti danno addosso ad Agamben. Il povero Agamben. Ma che vi ha fatto Agamben. Pecore che non siete altro. Mentre parla vado sullo smartphone a leggere ciò che ha scritto Agamben, ha scritto che: “L’ondata di panico che ha paralizzato il paese mostra con evidenza che la nostra società non crede più in nulla se non nella nuda vita”.

Ovvio, dice Paolo, una società materialista che crede solo nella vita e non sa niente della morte, non s’è mai interrogata sul morire, ovvio si attacchi alla vita quand’anche fosse vivere vegetativamente e basta, chi se ne frega dei rapporti sociali delle amicizie dell’amore basta che non si crepi poi va bene stare tutta la vita dentro agli arresti sanitari. Neppure dei morti, aggiunge, ci deve importare, tanto sono morti, non servono più alla nostra nuda vita, se muoiono saranno seppelliti in una fossa, il funerale non si usa più, sei matto? Sarà pieno di untori. Nuda morte per nuda vita.

Mi ha incuriosito, appena attacca mi vado a leggere altro del filosofo che di questo passo sarà arrestato per terrorismo: “Non stupisce che per il virus si parli di guerra. I provvedimenti di emergenza ci obbligano di fatto a vivere in condizioni di coprifuoco. Ma una guerra con un nemico invisibile che può annidarsi in ciascun altro uomo è la più assurda delle guerre. È, in verità, una guerra civile. Il nemico non è fuori, è dentro di noi”.

Squilla di nuovo, è ancora lui. È impegnato? Posso dirle un’altra cosa? E continua, Paolo, il bipolare Paolo, anzi no, il ciclotimico Paolo, dice: Non stiamo combattendo un virus, dottore, qui stiamo combattendo noi stessi. Sa qual è la verità? La verità è che da un po’ tutti questi rituali ci avevano stufato ma non sapevamo come fare, il lavoro, la scuola, lo sport (soprattutto il calcio), le uscite, gli aperitivi, il cinema, il ristorante, le passeggiate, lo shopping, le amanti, gli amanti, i premi letterari, le presentazioni libresche, i festival, le sagre, le feste patronali, i carnevali, le olimpiadi, tutto, tutto, tutto questo assembramento di umanità, tutto questo obbligo di socialità, tutto questo consesso umano, tutte queste conoscenze, contatti, amicizie, like, tutto ci aveva strarotto i coglioni.

Per un po’ – continua, è in pieno trance apocalittico, lo lascio dire – continueremo nel virtuale, per un po’ anzi si accentuerà il consumo di internet dei social dei post dei like, poi, senza che il virtuale abbia una continuità reale nel mondo di fuori, senza che si possa toccare qualcuno, il gioco degli hikikomori, di questa umanità ridotta a una serie di monadi hikikomoriche, non reggerà a lungo. Inizierà la solitudine. Non rispondere a uno poi a un altro a un altro ancora. Finché il silenzio farà da prodromo alla follia. Tutti si ordineranno delle carabine con cui, dal nascosto del proprio balcone invece di cantare Azzurro o Fratelli d’Italia ogni tanto schioppetteranno all’untore potenziale che ancora osa uscire, passeggiare, correre, portare a spasso il cane. E dopo ancora, quando nessuno più uscirà, inizierà il tiro al piccione con fucili di precisione da una casa all’altra. Tutti prenderanno l’abitudine a non accendere le luci e a tenere basse le serrande e ordineranno porte antisfondamento e serrande a prova di pallottole. Il processo di autosegregazione, per i sopravvissuti, sarà completo. Fatto ciò, seguirà, senza più un nemico visibile fuori, l’accoltellamento del nemico interno: sgozzamenti, soffocamenti, precipitazioni, tra membri della stessa famiglia. Di cui ne resterà uno solo. A quel punto l’unico superstite di ogni famiglia, siccome neppure più le consegne a domicilio saranno possibili, dovrà per forza uscire, e le strade saranno popolate dai più feroci, i sopravvissuti che hanno già ucciso i propri famigliari, che vanno a caccia, sbronzi di furia omicida. La caccia è aperta. Il virus non ci ucciderà, dicevo, per infezione fisica, ma per infezione psichica.

Ogni tanto ricevo dei messaggi whatsapp o sms, molto laconici.

Dottore: ma lei che studia la psicologia delle masse, l’ha capito perché le persone ai balconi cantano l’inno di Mameli?

No. Forse perché il virus gli ha già dato alla testa? Ma non glielo dico.

Intanto oggi 20 marzo sono andato a correre, voglio farlo prima che inizi il divieto anche per correre. Entro nel parco degli acquedotti e non c’è anima viva. Un parco immenso di 240 ettari percorsi da nemmeno mezza dozzina di runner quasi-fuorilegge, tra cui io. I romani tutti in casa. Io allungo. Dieci chilometri di libertà. Riempio il mio cranio della dose di endorfine che mi è necessaria. Che mi spetta. Che mi merito. Con cui, da quarant’anni almeno, mi drogo. Endorfine da corsa che da vent’anni prescrivo alle persone depresse o ansiose o incazzate per non dar loro antidepressivi o ansiolitici o stabilizzatori dell’umore e quasi sempre funziona. Ora però, dice il ministro dello sport – uno che finora lo sport sembra averlo visto solo in televisione – se le persone continueranno a correre dovremo proibire pure la corsa. Nuda vita, ripeto: è nuda vita questa. Se polizia o carabinieri non mi prenderanno – sento l’altoparlante del grande fratello che ripete: restate a casa restate a casa restate a casa – sarò ancora un efficiente psichiatra del Servizio Sanitario Nazionale italiano. Capace di trattare con la giusta calma pazienza gentilezza empatia gli agitati o i depressi. Se dovesse andar male, se mi prenderanno, ci sarà un criminale in più e un medico in meno sul suolo italiano.

Ci penso, mentre corro, solitario come un appestato o un appestatore, sono ora più che mai dottor Jekyll e Mister Hyde. Al mattino sono uno degli angeli – stucchevole contentino con cui ci prendono per il culo, mentre ci espongono a rischi senza maschere adeguate e senza tamponi, noi no ai calciatori sì – che salvano persone, in prima linea intabarrato in un pronto soccorso. Di pomeriggio sono un demone untore che siccome corre in un parco immenso e desolato può ungere il mondo.

Mentre sto per rientrare nei miei arresti sanitari una delatrice mi indica, con quel dito secco, la riconosco, è lo stesso tipo antropologico, lo stesso archetipo di essere umano che prima se la prendeva coi migranti o coi rom ora deve per forza – sobillata dalla televisione – trovare un nuovo capro espiatorio, e in questo momento sono io, dice, indicandomi agli altri in fila, è andato a core’, nullo capischeno che nun devono core’. I guardiani della nostra nuova dittatura sanitaria. Faccio un esperimento. Metto questa frase su Facebook. Voglio vedere chi abbocca. Come si divide la mia bolla. Anche gli insospettabili mi biasimano. Perfino una collega di buon senso mi scrive: “Il diritto o meglio la libertà del runner di correre non è meno importante della mia di passeggiare o di quella degli anziani di uscire e camminare all’aperto. Se tutti ci sentissimo liberi di fare altrettanto starebbero tutti in strada. Invece tu puoi continuare a correre perché la maggioranza si sacrifica in nome di un interesse che dovrebbe prevalere e cioè quello per la collettività!”.

Qui capisco che non ce la faremo. Ha ragione Agamben. In nome della nuda vita siamo disponibili a farci espropriare di tutto, tra poco anche dell’aria.

Le prove tecniche di dittatura sanitaria stanno andando benissimo. Non abbiamo speranza di farcela.

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Il manicomio che non vuole morire https://www.carmillaonline.com/2016/11/05/il-manicomio-che-non-vuole-morire/ Sat, 05 Nov 2016 22:30:26 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34116 di Piero Cipriano

opgEhi, dico a voi, laggiù in Sicilia, voi di Barcellona Pozzo di Gotto, lo sentite questo lamento di animale morente?

E a Secondigliano? Vi arriva questo rantolo cupo che non si decide a esalare l’ultimo fiato?

E a voialtri, poco più su, ad Aversa, non vi risuona nelle orecchie un grido straziante, come quello di un dinosauro che deve accettare di uscire dalla storia?

E a voi di Montelupo Fiorentino? La puzza, questa puzza di cadavere che ancora non è cadavere, di piaghe da corpo morente in decubito che tra poco saranno piaghe di corpo morto, la sentite [...]]]> di Piero Cipriano

opgEhi, dico a voi, laggiù in Sicilia, voi di Barcellona Pozzo di Gotto, lo sentite questo lamento di animale morente?

E a Secondigliano? Vi arriva questo rantolo cupo che non si decide a esalare l’ultimo fiato?

E a voialtri, poco più su, ad Aversa, non vi risuona nelle orecchie un grido straziante, come quello di un dinosauro che deve accettare di uscire dalla storia?

E a voi di Montelupo Fiorentino? La puzza, questa puzza di cadavere che ancora non è cadavere, di piaghe da corpo morente in decubito che tra poco saranno piaghe di corpo morto, la sentite questa puzza, o siete ancora troppo lontani?

La sentono, forse, quelli di Reggio Emilia, che pure loro ci avevano un mostro bifronte, un cane cerbero con due teste, un tirannosauro che hanno appena seppellito.

Di sicuro il lamento, l’agonia, il lento, ansimante respiro, la bradicardia di un cuore in affanno, e l’olezzo di carogna noi che siamo andati a Castiglione delle Stiviere la settimana scorsa li sentivamo, hai voglia se li sentivamo. Ma noi ci avevamo il naso affilato e le orecchie addestrate, ma noi perché siamo i killer di questi animali fuori dal tempo, fuori dalla storia, fuori dalla civiltà.

Eravamo lì, nel paese del manicomio che non si decide a morire. Che non decide a farsi una ragione, che gli tocca morire. Perché si era fatta la nomea d’essere il manicomio perfetto, l’aveva fatto credere e infine ci aveva creduto pure lui. Tutti fanno schifo, si diceva in giro, al mercato, alla posta, al bar, ovunque c’è la merda, uno solo è pulito, ed è a Castiglione delle Stiviere il manicomio bello. Ora che gli altri manicomi dei criminali colti da follia, o dei folli diventati criminali, ora che gli altri si sono arresi alla loro pericolosità, alla loro perniciosità, a Castiglione delle Stiviere c’è l’ultimo manicomio rimasto. Il manicomio che si credeva eterno, il manicomio che non vuole morire. Eppure deve morire. Perché noialtri, che siamo i killer, noialtri che ci siamo scelti il difficile mestiere di boia di questi luoghi infami, vogliamo agevolarne l’estinzione. Somministrare la giusta eutanasia a un luogo fuori tempo massimo. Ma questa bestia, questo mostro bifronte, questo cerbero mezzo carcere mezzo ospedale ci tiene a sopravvivere, e si sta legando all’ultimo simbolo della sua storia, capace di tenerlo in vita. Si sta legando alle fasce. Le fasce, con cui gli homines sacri che trasgrediscono vengono legati, da Ulisse in poi, le fasce sono la sineddoche del manicomio. Le fasce sono il manicomio. È per questo che noi, che ci proclamiamo i killer dei manicomi, combattiamo le fasce, perché esse sono il manicomio, per mezzo delle fasce il manicomio morente si è perfino trasferito nell’ospedale civile, che non è per niente civile se là dentro ci sono le fasce che, fornite di volontà propria, come fantasmi, agiscono. Si avvolgono. Atterriscono. Atterrano gli uomini. Li allettano, nel senso che clinicizzano, costringendoli in posizione clinica, gli homines sacri, i trasgressori, quegli uomini furibondi, o meglio, forsennati, come scrive Antonin Artaud, li mettono al letto in posizione cadaverica, cadaveri, mummie legate, l’avresti mai detto possibile che in un ospedale civile, dove devi provare a guarire, ti mettono a fare il morto?, e ti inoculano flebo e iniezioni obtorto collo, per aver trasgredito: chi per aver bevuto troppo alcol, chi per aver inalato troppa cocaina, chi per essere uscito fuori solco, de lirium, si dice, o aver preso a udire le voci, o aver ingoiato troppa bile nera sì da diventare cupi al punto che bisogna farla finita col mondo e col tempo. A queste e altre decine di trasgressione dal pensiero e dal comportamento comune la risposta dell’ospedale, e dei dottori che lo dirigono, e degli infermieri che obbediscono ai dottori, è nelle fasce.

Ma ecco che questo dinosauro che si ciba di questi homines sacri avvoltolati nelle fasce è tempo che muoia, e che non dia più il cattivo esempio all’ospedale civile, e per accompagnarlo a morire noi del Forum Salute Mentale, noi di Stop OPG, noi tecnici democratici, noi di Slegalo subito, siamo andati lì, nel paese dell’ultimo manicomio, a parlare di lui, a parlare di loro, delle loro pratiche. Io ci sono andato per raccontare il perché ho scritto certi libri che ho chiamato riluttanti, e mi sono fatto sostenere in questo racconto dal cantante degli orrori, dalla voce e dal corpo che muove il Teatro degli orrori, quel genio partigiano di Pierpaolo Capovilla, che a un certo punto si è trasformato (ne è stato proprio posseduto, direi, l’ho visto, e lo posso giurare) in Antonin Artaud (colui che scriveva di questa eterna lotta tra l’uomo forsennato e gli altri uomini), e poi c’era con noi Giovanni Rossi, il genius loci, lo psichiatra che in quei territori ha sempre combattuto le fasce, ha aperto i reparti, ha inventato la radio di chi sente le voci, ebbene, è stato proprio lui a svelare, a un certo punto, il segreto di Pulcinella che il manicomio giudiziario che non intende morire preservava gelosamente.

Ricordate, voi che avete letto Il manicomio chimico? Avevo scritto che nell’OPG perfetto di Castiglione delle Stiviere c’è una donna, con un ritardo mentale grave a quanto pare, che da dieci anni è costantemente legata, di giorno in carrozzina e di notte al letto. Quanto è pericolosa questa donna?

Bene. Capita che siccome Franco Corleone (nome perfetto per un necroforo gentile che ha dichiarato: anche a costo di avere le peggiori REMS, chiuderemo gli OPG), il commissario designato per il superamento degli OPG, deve aver chiesto, a tutte le REMS (dunque pure alla mega REMS di Castiglione, che il giorno dopo la data stabilita dalla legge 81 di chiusura degli OPG furbamente cambiò targa e si chiamò REMS) di censire, contare, e comunicare i propri numeri a proposito delle persone che vengono legate, ecco i dati.

Dalla Gazzetta di Mantova del 3 ottobre 2016, un estratto della relazione di Corleone: «Su 26 Rems, 17 dichiarano che non si sono verificati episodi di contenzione all’interno della struttura». «Un discorso a parte va fatto sul sistema polimodulare Rems Provvisorie di Castiglione, il quale ospita un numero di persone pari a 162 (di cui 110 definitivi e 52 provvisori). All’interno della struttura vengono effettuate regolarmente delle contenzioni. Nel periodo che va dall’1 aprile 2015 al 31 marzo 2016, si registrano 918 episodi che interessano 59 pazienti». Nella relazione Corleone sottolinea che «si tratta di un numero di contenzioni molto alto, ma ricorda che 742 sono rivolte ad una sola donna».

Bene. Anzi male. Malissimo. Ecco che allora Giovanni Rossi, il genius loci, il combattivo psichiatra in pensione ha formulato il suo j’accuse: è falso che questo fosse l’OPG modello, se queste sono le contenzioni che si fanno, se una sola donna è stata legata in un anno 742 volte, questo è il peggiore OPG, o REMS, che dir si voglia. Balbetta una sterile difesa uno psichiatra dell’OPG-REMS: non ho seguito la cosa, negli ultimi tempi, fa, però so che negli ultimi mesi le contenzioni sono scese a cinque o sei al mese. Dunque stiamo migliorando, voleva dire.

Ah! Delle due l’una. O ciò è vero, e allora significa che le mille contenzioni che avete fatto l’anno prima, o negli anni precedenti, erano tutti abusi. E quindi facciamo bene, noi che le fasce vogliamo farle sparire dai luoghi di cura, a sostenere che la contenzione va abolita. Oppure ciò non è vero.

In entrambi i casi il manicomio, l’ultimo manicomio rimasto, deve morire.


gazzettaMa andiamo un poco indietro nel tempo, e proviamo a fare una rapida storia di questo istituto, per chi non sa come sono andate le cose e come stanno, adesso.

1978. La legge 180 chiude, ovvero abolisce i manicomi civili, quasi uno per provincia ce n’erano, quasi un centinaio, in Italia.

Il Codice Penale però non cambia, con la legge 180, e il doppio binario rimane, e una persona che compie un reato in presenza di un disturbo mentale non trova il dipartimento di salute mentale, ma neppure il carcere, perché gli tocca questo luogo ibrido, né carcere né ospedale, e però tutt’e due, il peggio di un manicomio e di un carcere insieme. Un posto in cui entri folle e ne esci morto.
Perché? Perché il giudice affida a uno psichiatra (dica il perito…) la decisione: è folle?, allora è incapace di intendere di volere, può ripetere il reato essendo folle?, allora è socialmente pericoloso. E dunque niente processo, che il folle reo non è in grado di comprendere, e niente possibilità di difendersi, e niente condanna (magari era uno schiaffo il reato, e la condanna sarebbe stata poca cosa, una bagattella), ma solo internamento, in OPG. Però questa cosa si trasformava in un ergastolo, la pericolosità sociale veniva ribadita, di controllo in controllo, sovente per paura, talvolta per infingardia (valeva più che mai il motto di Basaglia: quando il malato mentale è internato il medico mentale si sente libero, quando il malato mentale è libero è il medico mentale a sentirsi internato, ovvero a sentirsi in pericolo, in pericolo di essere condannato; dunque per scongiurare il pericolo per sé, il medico mentale conferma la pericolosità sociale al malato, che resta internato, sine die, ergastolo bianco lo si chiama, un ergastolo anche quando il reato è minimo, giacché solo pochi sono i reati efferati, per la verità).

Così siamo andati avanti per quasi trent’anni, dopo la legge 180 del 1978, con questi manicomi giudiziari, gli ex manicomi criminali, il primo dei quali fu istituito ad Aversa, nel 1876, molto prima della legge 36 del 1904 che regolava i manicomi civili.

Negli anni 2000 alcune sentenze della Corte Costituzionale (253/2003, 367/2004) stabiliscono che è più importante la cura della custodia, e dunque il ricovero in OPG costituisce una disuguaglianza di trattamento rispetto a ciò che prevede la 180: il trattamento territoriale. Ecco, con queste sentenze il Codice Penale avrebbe potuto essere eroso, eppure (la solita infingardia, il solito timore) furono poco utilizzate.

Nel 2008 il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 aprile stabilisce il trasferimento delle competenze per gli OPG dalla sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale.

Sempre nel 2008 il Consiglio d’Europa, in seguito a una visita effettuata nell’OPG di Aversa, denuncia le condizioni di degrado di questo istituto. Ciò dà il destro al Senato per istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta per valutare l’efficienza del Sistema sanitario nazionale, la presiedeva Ignazio Marino. Marino dà luogo a ispezioni a sorpresa presso i sei OPG, evidenziando, nella maggior parte di loro, tali fatiscenze e orrori, da far pronunciare all’allora presidente Napolitano la più volte ripetuta (non bellissima) frase: «Istituti indegni di un paese appena civile» (bastava dire istituti indegni, senza aggiungere nient’altro, no?). Sempre da allora si cominciò a ripetere questa cosa: che la maggior parte erano reati bagatellari, che si trasformavano in ergastoli bianchi.

A quel punto, 2011, in seguito a un convegno del Forum Salute Mentale tenutosi ad Aversa proprio, nasce Stop Opg, sotto il cui impulso, lentamente (ma nemmeno tanto) scaturiscono delle leggi (legge 9/2012, legge 52/2013), che di volta in volta propongono una data per la chiusura degli OPG, che poi viene prorogata. Finché la legge 81, del 2014, stabilisce che gli OPG, inderogabilmente, chiudano il 31 marzo del 2015.

É lì che, scaltramente, l’OPG che si riteneva modello (neppure Marino gli mosse critica alcuna, pure il videomaker che fece il video sostenne che era un luogo bello), Castiglione delle Stiviere, si giocò l’ultima carta per non morire. Il giorno dopo, 1 aprile 2015, cambiò targa, et voilà, ora mi chiamo REMS. Altro che gattopardo.

La legge 81 non risolve il problema, si disse. A che ci serve trasformare il grande OPG nella piccola Residenza per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza (REMS)? Fare un travaso, una transumanza di internati dal grande al piccolo contenitore? Confermare, ancora una volta, l’eterogenesi dei fini che sempre caratterizza il mondo della psichiatria? (1793, Philip Pinel separa il manicomio dal carcere, vuol dare dignità di malato al folle, e però lo trasferisce in una prigione camuffata da ospedale; 1978, Franco Basaglia distrugge il manicomio dopo due secoli, e però la manicomialità che non vuole morire si trasferisce altrove, in luoghi più piccoli: SPDC, case di cura, comunità, posti dove si lega e si seda e si chiude): adesso, transumare gli internati dall’OPG alla REMS? Può darsi. Il rischio è consistente. Però un paio di cose buone questa legge le ha: stabilisce che la durata della misura di sicurezza non possa superare il massimo della pena edittale, per esempio, per cui non più proroghe sine die, non più ergastoli bianchi. E impedisce i ricoveri in REMS, in attesa di accertamenti diagnostici, così che le REMS non diverranno, come gli OPG, il bidone di scarico dei Dipartimenti di Salute Mentale per i loro indesiderati.

Ciò in attesa di svecchiare questo Codice Penale, figlio del fascista Codice Rocco, eliminando gli articoli 88 e 89, che consentono di stabilire la incapacità di intendere e di volere. Ma chi, davvero è incapace di intendere e di volere? Ci avete mai parlato coi 1400 internato degli OPG (tanti erano fino al 2011), o con gli attuali 600 rimasti nelle REMS? Vi sembrano dei vegetali, forse? Suvvia.

Ecco, questa, per sommi capi, è la storia. Questi dinosauri stanno crepando, uno dopo l’altro, prima l’ha fatto Secondigliano, a Napoli, poi Reggio Emilia, e dopo Aversa, a Montelupo Fiorentino rimangono 15 persone internate, e 22 a Barcellona Pozzo di Gotto, quindi sono alla fine, solo Castiglione, dicevo, tiene duro, con la sua maxi REMS che trappola ancora circa 160 persone.

Ma creperà, ah se creperà.

 


[Il pezzo di Piero Cipriano si riferisce al convengo tenutosi a Castiglione delle Stiviere il 14-15 ottobre 2016 nell’ambito della Campagna nazionale per l’abolizione della contenzioneght]

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