OPG – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il manicomio che non vuole morire https://www.carmillaonline.com/2016/11/05/il-manicomio-che-non-vuole-morire/ Sat, 05 Nov 2016 22:30:26 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34116 di Piero Cipriano

opgEhi, dico a voi, laggiù in Sicilia, voi di Barcellona Pozzo di Gotto, lo sentite questo lamento di animale morente?

E a Secondigliano? Vi arriva questo rantolo cupo che non si decide a esalare l’ultimo fiato?

E a voialtri, poco più su, ad Aversa, non vi risuona nelle orecchie un grido straziante, come quello di un dinosauro che deve accettare di uscire dalla storia?

E a voi di Montelupo Fiorentino? La puzza, questa puzza di cadavere che ancora non è cadavere, di piaghe da corpo morente in decubito che tra poco saranno piaghe di corpo morto, la sentite [...]]]> di Piero Cipriano

opgEhi, dico a voi, laggiù in Sicilia, voi di Barcellona Pozzo di Gotto, lo sentite questo lamento di animale morente?

E a Secondigliano? Vi arriva questo rantolo cupo che non si decide a esalare l’ultimo fiato?

E a voialtri, poco più su, ad Aversa, non vi risuona nelle orecchie un grido straziante, come quello di un dinosauro che deve accettare di uscire dalla storia?

E a voi di Montelupo Fiorentino? La puzza, questa puzza di cadavere che ancora non è cadavere, di piaghe da corpo morente in decubito che tra poco saranno piaghe di corpo morto, la sentite questa puzza, o siete ancora troppo lontani?

La sentono, forse, quelli di Reggio Emilia, che pure loro ci avevano un mostro bifronte, un cane cerbero con due teste, un tirannosauro che hanno appena seppellito.

Di sicuro il lamento, l’agonia, il lento, ansimante respiro, la bradicardia di un cuore in affanno, e l’olezzo di carogna noi che siamo andati a Castiglione delle Stiviere la settimana scorsa li sentivamo, hai voglia se li sentivamo. Ma noi ci avevamo il naso affilato e le orecchie addestrate, ma noi perché siamo i killer di questi animali fuori dal tempo, fuori dalla storia, fuori dalla civiltà.

Eravamo lì, nel paese del manicomio che non si decide a morire. Che non decide a farsi una ragione, che gli tocca morire. Perché si era fatta la nomea d’essere il manicomio perfetto, l’aveva fatto credere e infine ci aveva creduto pure lui. Tutti fanno schifo, si diceva in giro, al mercato, alla posta, al bar, ovunque c’è la merda, uno solo è pulito, ed è a Castiglione delle Stiviere il manicomio bello. Ora che gli altri manicomi dei criminali colti da follia, o dei folli diventati criminali, ora che gli altri si sono arresi alla loro pericolosità, alla loro perniciosità, a Castiglione delle Stiviere c’è l’ultimo manicomio rimasto. Il manicomio che si credeva eterno, il manicomio che non vuole morire. Eppure deve morire. Perché noialtri, che siamo i killer, noialtri che ci siamo scelti il difficile mestiere di boia di questi luoghi infami, vogliamo agevolarne l’estinzione. Somministrare la giusta eutanasia a un luogo fuori tempo massimo. Ma questa bestia, questo mostro bifronte, questo cerbero mezzo carcere mezzo ospedale ci tiene a sopravvivere, e si sta legando all’ultimo simbolo della sua storia, capace di tenerlo in vita. Si sta legando alle fasce. Le fasce, con cui gli homines sacri che trasgrediscono vengono legati, da Ulisse in poi, le fasce sono la sineddoche del manicomio. Le fasce sono il manicomio. È per questo che noi, che ci proclamiamo i killer dei manicomi, combattiamo le fasce, perché esse sono il manicomio, per mezzo delle fasce il manicomio morente si è perfino trasferito nell’ospedale civile, che non è per niente civile se là dentro ci sono le fasce che, fornite di volontà propria, come fantasmi, agiscono. Si avvolgono. Atterriscono. Atterrano gli uomini. Li allettano, nel senso che clinicizzano, costringendoli in posizione clinica, gli homines sacri, i trasgressori, quegli uomini furibondi, o meglio, forsennati, come scrive Antonin Artaud, li mettono al letto in posizione cadaverica, cadaveri, mummie legate, l’avresti mai detto possibile che in un ospedale civile, dove devi provare a guarire, ti mettono a fare il morto?, e ti inoculano flebo e iniezioni obtorto collo, per aver trasgredito: chi per aver bevuto troppo alcol, chi per aver inalato troppa cocaina, chi per essere uscito fuori solco, de lirium, si dice, o aver preso a udire le voci, o aver ingoiato troppa bile nera sì da diventare cupi al punto che bisogna farla finita col mondo e col tempo. A queste e altre decine di trasgressione dal pensiero e dal comportamento comune la risposta dell’ospedale, e dei dottori che lo dirigono, e degli infermieri che obbediscono ai dottori, è nelle fasce.

Ma ecco che questo dinosauro che si ciba di questi homines sacri avvoltolati nelle fasce è tempo che muoia, e che non dia più il cattivo esempio all’ospedale civile, e per accompagnarlo a morire noi del Forum Salute Mentale, noi di Stop OPG, noi tecnici democratici, noi di Slegalo subito, siamo andati lì, nel paese dell’ultimo manicomio, a parlare di lui, a parlare di loro, delle loro pratiche. Io ci sono andato per raccontare il perché ho scritto certi libri che ho chiamato riluttanti, e mi sono fatto sostenere in questo racconto dal cantante degli orrori, dalla voce e dal corpo che muove il Teatro degli orrori, quel genio partigiano di Pierpaolo Capovilla, che a un certo punto si è trasformato (ne è stato proprio posseduto, direi, l’ho visto, e lo posso giurare) in Antonin Artaud (colui che scriveva di questa eterna lotta tra l’uomo forsennato e gli altri uomini), e poi c’era con noi Giovanni Rossi, il genius loci, lo psichiatra che in quei territori ha sempre combattuto le fasce, ha aperto i reparti, ha inventato la radio di chi sente le voci, ebbene, è stato proprio lui a svelare, a un certo punto, il segreto di Pulcinella che il manicomio giudiziario che non intende morire preservava gelosamente.

Ricordate, voi che avete letto Il manicomio chimico? Avevo scritto che nell’OPG perfetto di Castiglione delle Stiviere c’è una donna, con un ritardo mentale grave a quanto pare, che da dieci anni è costantemente legata, di giorno in carrozzina e di notte al letto. Quanto è pericolosa questa donna?

Bene. Capita che siccome Franco Corleone (nome perfetto per un necroforo gentile che ha dichiarato: anche a costo di avere le peggiori REMS, chiuderemo gli OPG), il commissario designato per il superamento degli OPG, deve aver chiesto, a tutte le REMS (dunque pure alla mega REMS di Castiglione, che il giorno dopo la data stabilita dalla legge 81 di chiusura degli OPG furbamente cambiò targa e si chiamò REMS) di censire, contare, e comunicare i propri numeri a proposito delle persone che vengono legate, ecco i dati.

Dalla Gazzetta di Mantova del 3 ottobre 2016, un estratto della relazione di Corleone: «Su 26 Rems, 17 dichiarano che non si sono verificati episodi di contenzione all’interno della struttura». «Un discorso a parte va fatto sul sistema polimodulare Rems Provvisorie di Castiglione, il quale ospita un numero di persone pari a 162 (di cui 110 definitivi e 52 provvisori). All’interno della struttura vengono effettuate regolarmente delle contenzioni. Nel periodo che va dall’1 aprile 2015 al 31 marzo 2016, si registrano 918 episodi che interessano 59 pazienti». Nella relazione Corleone sottolinea che «si tratta di un numero di contenzioni molto alto, ma ricorda che 742 sono rivolte ad una sola donna».

Bene. Anzi male. Malissimo. Ecco che allora Giovanni Rossi, il genius loci, il combattivo psichiatra in pensione ha formulato il suo j’accuse: è falso che questo fosse l’OPG modello, se queste sono le contenzioni che si fanno, se una sola donna è stata legata in un anno 742 volte, questo è il peggiore OPG, o REMS, che dir si voglia. Balbetta una sterile difesa uno psichiatra dell’OPG-REMS: non ho seguito la cosa, negli ultimi tempi, fa, però so che negli ultimi mesi le contenzioni sono scese a cinque o sei al mese. Dunque stiamo migliorando, voleva dire.

Ah! Delle due l’una. O ciò è vero, e allora significa che le mille contenzioni che avete fatto l’anno prima, o negli anni precedenti, erano tutti abusi. E quindi facciamo bene, noi che le fasce vogliamo farle sparire dai luoghi di cura, a sostenere che la contenzione va abolita. Oppure ciò non è vero.

In entrambi i casi il manicomio, l’ultimo manicomio rimasto, deve morire.


gazzettaMa andiamo un poco indietro nel tempo, e proviamo a fare una rapida storia di questo istituto, per chi non sa come sono andate le cose e come stanno, adesso.

1978. La legge 180 chiude, ovvero abolisce i manicomi civili, quasi uno per provincia ce n’erano, quasi un centinaio, in Italia.

Il Codice Penale però non cambia, con la legge 180, e il doppio binario rimane, e una persona che compie un reato in presenza di un disturbo mentale non trova il dipartimento di salute mentale, ma neppure il carcere, perché gli tocca questo luogo ibrido, né carcere né ospedale, e però tutt’e due, il peggio di un manicomio e di un carcere insieme. Un posto in cui entri folle e ne esci morto.
Perché? Perché il giudice affida a uno psichiatra (dica il perito…) la decisione: è folle?, allora è incapace di intendere di volere, può ripetere il reato essendo folle?, allora è socialmente pericoloso. E dunque niente processo, che il folle reo non è in grado di comprendere, e niente possibilità di difendersi, e niente condanna (magari era uno schiaffo il reato, e la condanna sarebbe stata poca cosa, una bagattella), ma solo internamento, in OPG. Però questa cosa si trasformava in un ergastolo, la pericolosità sociale veniva ribadita, di controllo in controllo, sovente per paura, talvolta per infingardia (valeva più che mai il motto di Basaglia: quando il malato mentale è internato il medico mentale si sente libero, quando il malato mentale è libero è il medico mentale a sentirsi internato, ovvero a sentirsi in pericolo, in pericolo di essere condannato; dunque per scongiurare il pericolo per sé, il medico mentale conferma la pericolosità sociale al malato, che resta internato, sine die, ergastolo bianco lo si chiama, un ergastolo anche quando il reato è minimo, giacché solo pochi sono i reati efferati, per la verità).

Così siamo andati avanti per quasi trent’anni, dopo la legge 180 del 1978, con questi manicomi giudiziari, gli ex manicomi criminali, il primo dei quali fu istituito ad Aversa, nel 1876, molto prima della legge 36 del 1904 che regolava i manicomi civili.

Negli anni 2000 alcune sentenze della Corte Costituzionale (253/2003, 367/2004) stabiliscono che è più importante la cura della custodia, e dunque il ricovero in OPG costituisce una disuguaglianza di trattamento rispetto a ciò che prevede la 180: il trattamento territoriale. Ecco, con queste sentenze il Codice Penale avrebbe potuto essere eroso, eppure (la solita infingardia, il solito timore) furono poco utilizzate.

Nel 2008 il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 aprile stabilisce il trasferimento delle competenze per gli OPG dalla sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale.

Sempre nel 2008 il Consiglio d’Europa, in seguito a una visita effettuata nell’OPG di Aversa, denuncia le condizioni di degrado di questo istituto. Ciò dà il destro al Senato per istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta per valutare l’efficienza del Sistema sanitario nazionale, la presiedeva Ignazio Marino. Marino dà luogo a ispezioni a sorpresa presso i sei OPG, evidenziando, nella maggior parte di loro, tali fatiscenze e orrori, da far pronunciare all’allora presidente Napolitano la più volte ripetuta (non bellissima) frase: «Istituti indegni di un paese appena civile» (bastava dire istituti indegni, senza aggiungere nient’altro, no?). Sempre da allora si cominciò a ripetere questa cosa: che la maggior parte erano reati bagatellari, che si trasformavano in ergastoli bianchi.

A quel punto, 2011, in seguito a un convegno del Forum Salute Mentale tenutosi ad Aversa proprio, nasce Stop Opg, sotto il cui impulso, lentamente (ma nemmeno tanto) scaturiscono delle leggi (legge 9/2012, legge 52/2013), che di volta in volta propongono una data per la chiusura degli OPG, che poi viene prorogata. Finché la legge 81, del 2014, stabilisce che gli OPG, inderogabilmente, chiudano il 31 marzo del 2015.

É lì che, scaltramente, l’OPG che si riteneva modello (neppure Marino gli mosse critica alcuna, pure il videomaker che fece il video sostenne che era un luogo bello), Castiglione delle Stiviere, si giocò l’ultima carta per non morire. Il giorno dopo, 1 aprile 2015, cambiò targa, et voilà, ora mi chiamo REMS. Altro che gattopardo.

La legge 81 non risolve il problema, si disse. A che ci serve trasformare il grande OPG nella piccola Residenza per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza (REMS)? Fare un travaso, una transumanza di internati dal grande al piccolo contenitore? Confermare, ancora una volta, l’eterogenesi dei fini che sempre caratterizza il mondo della psichiatria? (1793, Philip Pinel separa il manicomio dal carcere, vuol dare dignità di malato al folle, e però lo trasferisce in una prigione camuffata da ospedale; 1978, Franco Basaglia distrugge il manicomio dopo due secoli, e però la manicomialità che non vuole morire si trasferisce altrove, in luoghi più piccoli: SPDC, case di cura, comunità, posti dove si lega e si seda e si chiude): adesso, transumare gli internati dall’OPG alla REMS? Può darsi. Il rischio è consistente. Però un paio di cose buone questa legge le ha: stabilisce che la durata della misura di sicurezza non possa superare il massimo della pena edittale, per esempio, per cui non più proroghe sine die, non più ergastoli bianchi. E impedisce i ricoveri in REMS, in attesa di accertamenti diagnostici, così che le REMS non diverranno, come gli OPG, il bidone di scarico dei Dipartimenti di Salute Mentale per i loro indesiderati.

Ciò in attesa di svecchiare questo Codice Penale, figlio del fascista Codice Rocco, eliminando gli articoli 88 e 89, che consentono di stabilire la incapacità di intendere e di volere. Ma chi, davvero è incapace di intendere e di volere? Ci avete mai parlato coi 1400 internato degli OPG (tanti erano fino al 2011), o con gli attuali 600 rimasti nelle REMS? Vi sembrano dei vegetali, forse? Suvvia.

Ecco, questa, per sommi capi, è la storia. Questi dinosauri stanno crepando, uno dopo l’altro, prima l’ha fatto Secondigliano, a Napoli, poi Reggio Emilia, e dopo Aversa, a Montelupo Fiorentino rimangono 15 persone internate, e 22 a Barcellona Pozzo di Gotto, quindi sono alla fine, solo Castiglione, dicevo, tiene duro, con la sua maxi REMS che trappola ancora circa 160 persone.

Ma creperà, ah se creperà.

 


[Il pezzo di Piero Cipriano si riferisce al convengo tenutosi a Castiglione delle Stiviere il 14-15 ottobre 2016 nell’ambito della Campagna nazionale per l’abolizione della contenzioneght]

]]>
Macchina diagnostica, agenzie della salute sovranazionali e campagna per l’abolizione delle fasce di contenzione https://www.carmillaonline.com/2016/10/04/macchina-diagnostica-agenzie-della-salute-sovranazionali-campagna-labolizione-delle-fasce-contenzione/ Tue, 04 Oct 2016 21:30:15 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=33600 di Gioacchino Toni

Conversazione con Piero Cipriano, “psichiatra riluttante”

pillola[ght] Dopo aver raccontato il manicomio fisico con La fabbrica della cura mentale (Elèuthera, 2013), con Il manicomio chimico (Elèuthera, 2015) [su Carmilla] hai ricostruito come si è giunti all’era della psichiatria chimica in cui il manicomio è somministrato al paziente attraverso gli psicofarmaci. Nell’ultimo libro, La società dei devianti (Elèuthera, 2016) [su Carmilla], ti soffermi soprattutto sull’aspetto diagnostico indicandolo come macchina in grado di conferire identità e destino all’individuo.

Leggendo la tua ricostruzione della storia del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders fino al DSM-5, manuale [...]]]> di Gioacchino Toni

Conversazione con Piero Cipriano, “psichiatra riluttante”

pillola[ght] Dopo aver raccontato il manicomio fisico con La fabbrica della cura mentale (Elèuthera, 2013), con Il manicomio chimico (Elèuthera, 2015) [su Carmilla] hai ricostruito come si è giunti all’era della psichiatria chimica in cui il manicomio è somministrato al paziente attraverso gli psicofarmaci. Nell’ultimo libro, La società dei devianti (Elèuthera, 2016) [su Carmilla], ti soffermi soprattutto sull’aspetto diagnostico indicandolo come macchina in grado di conferire identità e destino all’individuo.

Leggendo la tua ricostruzione della storia del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders fino al DSM-5, manuale diagnostico sostanziale accettato e applicato acriticamente a livello mondiale, si ha la netta impressione di avere a che fare con l’ennesimo pacchetto normativo che si impone sull’umanità dettato da agenzie internazionali (come la World Health Organization) o da lobby che finiscono, di fatto, per dettar legge a livello internazionale (come l’American Psychiatric Association). Si tratta di agenzie che impongono a livello globale una precisa visione del mondo, in questo caso inerente alla salute/malattia degli individui, in strettissimi rapporti con un altro potentato sovranazionale: la lobby dell’industria farmaceutica.

Insomma, al lungo elenco di agenzie economiche e politiche internazionali che determinano la nostra vita – International Monetary Fund, World Bank, Goldman Sachs, European Union, United Nations, European Central Bank ecc. -, possiamo aggiungere anche agenzie ed associazioni come la World Health Organization e l’American Psychiatric Association con la loro bibbia diagnostica… Cosa ne pensi?

[pc] Sì, direi che è così. Una serie di etichette, da quelle mediche a quelle psichiatriche a quelle giudiziarie a quelle sociologiche, determinano una sequenza di percorsi terapeutici, rieducativi, riabilitativi, punitivi, espulsivi, a cui è sempre più difficile sottrarsi. Una società nosografica, che per forza di cose poi diventa società terapeutica: siamo anormali, dobbiamo curarci. Come? Coi farmaci, per lo più. Eccoci dunque in questa era della farmacocrazia.

[ght] Nel tuo La società dei devianti si parla dell’urgenza di intraprendere una campagna per l’abolizione delle fasce di contenzione. Tale campagna, oltre che a fare pressione sui politici affinché si arrivi all’abolizione di tale pratica, deve necessariamente raggiungere l’opinione pubblica mettendola al corrente della pratica della contenzione e di quanto sia ancora diffuso il ricorso ad essa. Informare l’opinione pubblica comporta un’estensione della responsabilità; un’opinione pubblica sensibilizzata a proposito del ricorso a tale pratica costrittiva dovrebbe sentirsi in dovere di farsi carico della questione. La difficoltà maggiore mi sembra quella di individuare le modalità con cui raggiungere la gente comune in una realtà che vede i media interessati a tutto ciò che riguarda il disagio mentale solo quando ad esso è possibile imputare qualche forma di violenza particolarmente cruenta. Non di rado nel trattare tali episodi i media danno voce a una sempre meno celata “nostalgia di manicomio”. Sicuramente scriverne è importante e da questo punto di vista la tua “Trilogia della riluttanza” può essere considerata un ottimo contributo alla denuncia ed all’informazione così come tutte le iniziative di presentazione dei libri può essere utile a sensibilizzare l’opinione pubblica. Cos’altro si può fare di concreto, a tuo avviso, per supportare la campagna contro la contenzione?

[pc] Bella domanda. Che mi fai proprio in un momento in cui questa campagna, per slegare i cristi in croce legati nei luoghi non solo della psichiatria ma dell’intera medicina, un po’ langue, boccheggia, stenta. Perché stenta? Perché lo sapevamo che era un’iniziativa difficile, lunga, piena d’insidie, e che chi, come me, si esponeva (sono uno psichiatra che è contrario alle fasce e ne chiede l’abolizione, che tuttavia continua a lavorare in un reparto dove vengono, anche se sempre di meno, ancora adoperate), rischiava molto. Perché le fasce sono economiche. Sono comode. Sono facili, semplici. Non comportano il difficile esercizio del pensiero (per dirla con Hannah Arendt). Non comportano mettersi più di tanto in discussione. Basta un po’ di rimozione, o l’abitudine, abituarsi alla pratica, anche a torturare il torturatore in fondo si abitua (leggersi Notturno cileno o Stella distante, di Bolaño, per esempio), dopo essere stato opportunamente inziato. Difficile è sbarazzarsi delle fasce e domandarsi: e ora?, come faccio a relazionarmi con quest’uomo, o questa donna, o questo adolescente, o questo vecchio, o questo cocainomane, o questo ubriaco, che si agita, che mi aggredisce? Lì è la sfida. Invece ci addestrano a fare i legatori. Leghiamo l’umanità! E dopo averla legata (e torno alla tua domanda di prima) con le etichette diagnostiche che t’incanalano per sempre in percorsi obbligati, dopo averla legata con molecole che ti gessano i pensieri, te li paralizzano, o viceversa ti esaltano innaturalmente le emozioni, dopo averla legata con contenitori e luoghi d’ogni sorta, se tutto ciò non basta, per i più indomiti recalcitranti riluttanti, ecco il legamento più primitivo, e però più sicuro: le fasce.

Le fasce, come gli altri legamenti che le precedono, sono entrate ormai nel nostro immaginario, nelle prassi, in ospedale, tra gli addetti ai lavori, medici infermieri ausiliari psicologi ma anche tra i famigliari, ne troverai pochi che si scandalizzino. Lo scandalo, al contrario, lo procuriamo noi che proponiamo l’abolizione delle fasce. Siamo noi, i medici infermieri psicologi che contestano i legamenti a essere scandalosi, e dunque pericolosi, con questa nostra iniziativa velleitaria. La follia è pericolosa, il matto è da legare, e anche solo proporre l’eliminazione di questo millenario strumento per gestire la follia è scandaloso, ed è pericoloso.
Per questo la campagna per abolire la contenzione si profila come un modo per continuare a contestare la manicomialità. Mettendo in discussione, stavolta, non solo il manicomio civile o quello giudiziario, ma proprio l’ospedale generale, l’intera medicina dunque. Per cui, cosa si può fare?, mi domandi.

87oreRicominciamo con varie iniziative, a ottobre, per esempio, un convegno a Castiglione delle Stiviere, per andare a stanare questa pratica proprio nell’OPG perfetto (anche se ora si è trasformato in una mega REMS), talmente perfetto che si legano agevolmente gli internati, anzi, vi è internata una donna che da una decina d’anni è costantemente legata, di giorno in carrozzina e di notte al letto. Coinvolgere persone che possano raccontare questa battaglia fuori dallo specifico degli addetti ai lavori. Persone della società dello spettacolo, per dirla alla Debord, per esempio Pierpaolo Capovilla, del Teatro degli Orrori, che si sta spendendo molto su questo tema, e ne canta nei suoi dischi, o Paolo Virzì, che nel suo ultimo film descrive bene cosa succede a chi entra nella morsa del circuito psichiatrico, e ci mostra Michaela Ramazzotti legata al letto. Ma servirebbero altri, come loro. Che realizzino altre opere esplicite, film come 87 ore, per esempio, dove viene mostrata la lenta agonia del maestro Mastrogiovanni legato a un letto per quattro giorni fino a morire, ecco, questo è un documento che bisognerebbe proiettare nelle scuole. Cose così, insomma.

[ght] Questa campagna contro le fasce di contenzione deve fare i conti con una società sempre più cinica e propensa a delegare la soluzione di tutto ciò che individua come “problema” a comodi “specialisti” di turno. Cogliere i devianti come problema comporta facilmente la concessione di una sorta di “delega in bianco” in favore di ogni pratica volta a toglierli dalla vita sociale. Da questo punto di vista, evitata ad arte una terminologia troppo esplicita, la segregazione in luoghi separati e il ricorso a forme di contenzione tutto sommato possono anche non essere viste con ostilità dall’attuale opinione pubblica. Una volta etichettati come devianti, saranno gli “esperti”, i “tecnici”, a farsi carico del “problema-devianti”. Farmaco o non farmaco, cinghia o non cinghia, l’importante è lavarsene le mani una volta che il problema viene rimosso dalla vita pubblica. Ripensando alla battaglia di Franco Basaglia e Franca Ongaro viene da pensare che se da un certo punto di vista la società degli anni ’60 e ’70 non era poi tanto più “aperta” mentalmente rispetto all’attuale, è anche vero che proprio in quel periodo si stavano aprendo “brecce di libertà” all’interno della cultura e della società italiana che oggi onestamente è difficile individuare. Cosa ne pensi?

[pc] Sottoscrivo ciò che dici. Ci siamo tutti rassegnati e consegnati al potere/sapere degli psichiatri, che nell’arte della manomissione delle parole, per dirla con Carofiglio, sono dei veri talenti. Hanno suddiviso il grande contenitore della follia in più di trecento partizioni, come a dire che oggi nessuno più è folle, ma nessuno più può dirsi del tutto normale, tutti noi abbiamo almeno due tre diagnosi possibili, ormai. Diagnosi che accettiamo passivamente, supinamente. Anzi, siamo a tal punto acritici che talvolta ci presentiamo e ci raccontiamo con quella diagnosi, io sono un borderline, io sono un bipolare, poco ci manca che le mettiamo perfino nel nostro biglietto da visita: Mario Rossi, depresso. Le diagnosi psichiatriche ristrutturano la nostra identità, un po’ come accade per i segni zodiacali, con la differenza che i segni zodiacali lasciano il beneficio del dubbio (non è roba scientifica, per quanto suggestiva), le diagnosi psichiatriche invece non lasciano dubbi, perché sono opera di scienziati della mente (è scienza, insomma).

contenzioneMa pure rispetto ai loro luoghi, gli psichiatri hanno messo in gioco il meglio della loro semantica: i manicomi non esistono? Perfetto. Vuol dire che la manicomialità la distribuiremo in altri contenitori più piccoli, meno appariscenti, che chiameremo soprattutto con acronimi: SPDC, CSM, CT, OPG, REMS, eccetera. I ricoveri ad infinitum non sono più possibili? Non c’è problema. Esiste un gioco dell’oca della cronicità per cui realizzo l’internamento circolare: dieci giorni in SPDC, un mese in Casa di Cura che ora si chiama STIPT, sei mesi in CT. Compi un reato ma sei deviante? Un anno in REMS, e poi ricominci il giro, magari ripassando dal SPDC.

[ght] Nel tuo La società dei devianti ragioni sui comportamenti che possono adottare gli operatori psichiatrici nella pratica quotidiana al fine di evitare trattamenti disumani nei confronti dei devianti. Inviti, ad esempio, a praticare un colloquio continuo con i pazienti, a portarli fuori dai luoghi di ricovero, a revocare i TSO, a sciogliere i legati ed a ridurre i farmaci. Attraverso tali comportamenti, sostieni, sarebbe più facile convincere i giovani operatori del settore, i pazienti e i loro famigliari che esistono altri modi per affrontare i disturbi mentali. Naturalmente gli operatori, così come le famiglie dei pazienti, si trovano a vivere in un mondo in cui l’aspetto produttivo, con i suoi ritmi sempre più infernali e dilatati nel tempo e nello spazio, sottrae buona parte del tempo e delle energie che possono essere dedicate a chi è in difficoltà. La stanchezza psicofisica degli operatori e dei familiari di certo si riversa negativamente su chi è in difficoltà. Non credi che nel mondo degli operatori psichiatrici una campagna finalizzata a un trattamento “più umano” dei pazienti debba intrecciarsi a rivendicazioni di tipo sindacale volte a rendere il lavoro meno sfiancante? Mi riferisco al numero di operatori impiegati in rapporto ai pazienti, ai turni di lavoro ecc.

[pc] Assolutamente sì. Lavoro in un reparto dove ci sono minimo dodici persone ricoverate. Tre infermieri non bastano, non possono bastare. Però il numero fa la differenza, ovviamente. Se già con tre-infermieri-che-non-vogliono-legare è possibile non legare le persone, per mia esperienza, figuriamoci con sei (se quei sei vogliono non legare). E’ ovvio che se invece ti trovi con infermieri-che-vogliono-legare, anche con dodici (potendoti dunque permettere un rapporto uno a uno) leghi le persone, non si sfugge. Discorso a parte per i medici. I medici sono coloro che, in fin dei conti, decidono se legare o non legare. I medici, per mia esperienza, più sono e meno decidono. O meglio, più sono e meno sono coraggiosi, e più si nascondono dietro le fasce. E più legano. Ma perché legano? Non lo so. A me pare che la maggior parte dei medici abbiano più dimestichezza con i libri, con le diagnosi, con i farmaci, con le molecole, che con le persone in carne e ossa. Sarà per la lunga formazione a cui sono stati sottoposti, formazione medica che invece di avvicinarli alle persone li allontana, che in qualche modo li disumanizza, apprendistato che gli fa perdere di vista la persona, che li addestra quasi esclusivamente allo studio del caso (clinico), caso (clinico) che diventa cosa. Oggetto. E qui torna attuale Franca Ongaro Basaglia quando ci ricorda che la medicina si forma sul corpo morto, e il medico impara a conoscere l’uomo vivo (malato) studiando il cadavere nelle aule di anatomia patologica, e memore di questo debito tende, il medico, sempre, a ricondurre l’uomo vivo (malato), a corpo morto, disteso sul letto d’ospedale, allettato, clinico, esanime, o coi farmaci o con le fasce.

]]>