Nutrimenti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 24 Apr 2025 16:16:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Julien Green, Vertigine https://www.carmillaonline.com/2017/04/23/julien-green-vertigine/ Sat, 22 Apr 2017 22:01:00 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37803 di Gioacchino Toni

green_vertigine_coverJulien Green, Vertigine, a cura di Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia, Nutrimenti, Roma, 2017, pp. 232, € 17,00

Julien Green (1900-1998), nato a Parigi da famiglia americana, è autore di racconti, drammi, saggi, romanzi. Fra i suoi romanzi più celebri, anche in Italia, ricordiamo Mont-Cinère (1926), Adrienne Mesurat (1927), Leviatan (1929; tradotto nel 1946 da Vittorio Sereni), Il visionario (1934), Varuna, (1940; uscito in Italia nel 1953 nella traduzione di Camillo Sbarbaro), Moira (1950). Di grande interesse la sua opera autobiografica, suddivisa in diversi volets, e la sterminata produzione [...]]]> di Gioacchino Toni

green_vertigine_coverJulien Green, Vertigine, a cura di Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia, Nutrimenti, Roma, 2017, pp. 232, € 17,00

Julien Green (1900-1998), nato a Parigi da famiglia americana, è autore di racconti, drammi, saggi, romanzi. Fra i suoi romanzi più celebri, anche in Italia, ricordiamo Mont-Cinère (1926), Adrienne Mesurat (1927), Leviatan (1929; tradotto nel 1946 da Vittorio Sereni), Il visionario (1934), Varuna, (1940; uscito in Italia nel 1953 nella traduzione di Camillo Sbarbaro), Moira (1950). Di grande interesse la sua opera autobiografica, suddivisa in diversi volets, e la sterminata produzione diaristica, che occupa ben sedici volumi.

Nel 2015 l’editore Andrea Palombi (Nutrimenti) e Filippo Tuena (all’epoca direttore della collana “Tusitala”) hanno affidato a Giuseppe Girimonti Greco la curatela della raccolta Viaggiatore in terra (il cui titolo deriva da quello del primo racconto, già uscito nel 1959 nella “Biblioteca delle Silerchie” del Saggiatore, nella traduzione di Leonardo Sinisgalli e con un’importante nota di Giacomo Debenedetti); per tradurre questi cinque racconti – tutti scritti o concepiti quando Green era poco più che ventenne, ma che presentano una certa varietà di tono e atmosfera: dalla ghost story al bozzetto naturalistico-melodrammatico – si è scelto di far dialogare due traduttori letterari ‘puri’ (il curatore e Francesca Scala) e due scrittori-traduttori (Ezio Sinigaglia e Filippo Tuena). In appendice figurano cinque ampie note ai testi firmate dai singoli traduttori.

Se questa prima esperienza di traduzione a più mani aveva offerto al lettore italiano la possibilità di apprezzare ben tre racconti ancora inediti nel nostro paese – Le chiavi della morte, Maggie Moonshine, Leviatano o L’inutile traversata (da non confondersi con il romanzo) –, interamente inedita in Italia è la raccolta di venti racconti Vertigine (titolo originale: Histoires de vertige), uscita, sempre per Nutrimenti, nel marzo di quest’anno. L’équipe di traduttori si è arricchita per l’occasione di una quinta voce, quella di Lorenza Di Lella, che si è fatta interprete dei testi più apertamente fantastico-meravigliosi della silloge. I testi di Vertigine appartengono a diverse stagioni (si va dagli anni Venti alla metà degli anni Cinquanta), il che spiega, anche qui, la varietà di toni e atmosfere; è tuttavia possibile individuare due filoni principali, all’interno della raccolta, che rimandano a due numerose famiglie di personaggi, peraltro tipicamente greeniani: i bambini tiranneggiati dagli adulti e le donne sole.

[I due curatori – Girimonti Greco e Sinigaglia – firmano una Nota ai testi che dà conto, in una serie di brevi paragrafi, dei temi, dei motivi ricorrenti, degli stilemi e delle personali ossessioni di Green, molte delle quali di matrice autobiografica. Presentiamo qui di seguito il paragrafo relativo alla Bella provinciale, preceduto da un breve estratto del racconto – Ringraziamo l’editore per la gentile concessione – ght]


La bella provinciale [estratto]

[…]

Attraversò il cortile come in sogno e sospinse una porta dai vetri multicolori. Sulle scale l’aspettava l’odore umido e austero che ben conosceva, un odore di convento sotto il quale trapelava il profumo ingenuo del vaso di garofani che stava sul davanzale di una finestra. Stéphanie si chiedeva talvolta se non fosse per via di quelle scale che veniva a trovare Marcelline, o di quel cortile che pure le metteva voglia di morire. Ma oggi veniva a trovare Marcelline per lei stessa, perché aveva qualcosa da dirle e qualcosa da ascoltare da lei. Ma che cosa, dunque? Stéphanie avrebbe preferito non darsi una risposta: si affidava all’ispirazione, avrebbe deciso sul momento… ma salendo i lunghi gradini che si dispiegavano come un ventaglio aperto a metà si figurò la noia delle frasi che sarebbe stato necessario scambiarsi. Rimpianse allora di non potersi attardare per le scale, sedersi su un gradino e andarsene dopo aver continuato a fantasticare ancora un po’; ma Marcelline ormai l’aspettava e non avrebbe capito, e c’era inoltre quella strana angoscia la cui morsa già si allentava un poco a così breve distanza dalla persona irrequieta e positiva che, a dieci metri da lei, dietro un paio di pareti e di porte, stava disponendo in un piatto i biscotti da offrirle, e progettando nel frattempo le sue astute domande.

[…]

Oltrepassarono insieme le tenebre di un ingresso dove si inciampava in pile di scatoloni e si trovarono quindi al centro di una stanza le cui finestre oscurate da tende di tulle giallo lasciavano filtrare una luce incerta. Nell’angolo più oscuro un divano di reps nascondeva come vergognandosene le sue forme di dubbio gusto, affiancato a destra da un tavolo con i piedi a zampa di rospo e a sinistra da una bassa poltrona, che una mente calcolatrice aveva piazzato là come opere di fortificazione. Si disegnava così una specie di rettangolo, in un intento che Marcelline credeva segreto ma la cui evidenza saltava agli occhi anche dei più ingenui.


La bella provinciale [Nota al testo]

Julien_Green_1929_Come di consueto, alla fine di questo racconto rimane al lettore una curiosità insoddisfatta, una domanda formulata fin dalla prima pagina e cui nessuno ha dato risposta: perché è in lutto, in lutto stretto, Stéphanie? Tuttavia si deve riconoscere che non ha nessuna importanza saperlo. Quel che conta è che la narrazione colga “la bella rossa” a una svolta decisiva della sua vita. Che abbia perso prematuramente il marito o che sia in lutto, com’è assai più probabile, per la morte del padre, Stéphanie si trova ad avere più libertà di quanta ne avesse prima. A differenza di quello stuolo di donne abbandonate alla loro solitudine che costituiscono forse la popolazione di personaggi più numerosa di Vertigine, Stéphanie è ancora padrona del proprio destino. La chiave del racconto sembra situarsi in quell’immagine di sofferenza che il finestrino del taxi, come uno specchio di fortuna, le rimanda all’improvviso. È in quel momento che Stéphanie capisce l’importanza della sua scelta di andare a trovare Marcelline, la sola persona con cui possa parlare, la sola a cui possa rivelare il nome dell’uomo che è entrato da poco nella sua vita (e il fatto che si chiami Fabien, come il ragazzo dalla “bellezza pagana” spiato nella sua stanza dal cuginetto innamorato molte pagine prima, può risultare – a seconda delle sensibilità – più spiegabile o più inquietante se si pensa che i due racconti sono stati scritti a una sola settimana di distanza l’uno dall’altro: il 22 settembre 1944 quello, il 29 questo). Così Stéphanie va da Marcelline a chiedere consiglio, e ci va come andrebbe da uno psicanalista: attraversa un cortile gonfio di ricordi, sale rampe di scale dagli odori ben noti, sente placarsi l’angoscia al semplice pensiero delle “astute domande” che le saranno rivolte e, nello stesso tempo, è insofferente dei noiosi preliminari che l’aspettano. Poi, entrata in casa, viene accompagnata al “quadrilatero”, protetto da adeguate “opere di fortificazione”, all’interno del quale Marcelline esercita le sue “doti strategiche” (pp. 190-191). In un curioso ma efficace capovolgimento, se non dei ruoli, delle posizioni relative, la paziente Stéphanie siede in poltrona mentre l’analista Marcelline si allunga “come una nuotatrice nelle profondità del divano”, che ben rappresentano quelle dell’inconscio altrui. I toni insolitamente umoristici della seconda parte del racconto e soprattutto del finale si direbbero di buon auspicio per il futuro della bella provinciale.


Julien Green, Vertigine – Traduzione di Lorenza Di Lella, Giuseppe Girimonti Greco, Francesca Scala, Ezio Sinigaglia, Filippo Tuena

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Racconti dell’Apocalisse ventura https://www.carmillaonline.com/2013/05/11/recensioni-sturm/ Sat, 11 May 2013 01:47:48 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=5153 di Roberto Sturm

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Capita spesso di sentire famosi accademici trattare la narrativa di genere come letteratura minore e, successivamente, sentirli sperticarsi di elogi verso lo scrittore di turno che raggiunge le vette delle classifiche con best seller di questo tipo. Capita anche che scrittori consolidati, considerati veri e propri maestri, si cimentino anch’essi coi generi. Di esempi se ne potrebbero fare diversi, mi limito a citare due romanzi che mi è capitato di leggere recentemente: La stella di Ratner, di Don De Lillo, e Nel paese delle ultime cose, di Paul Auster; di certo non due nomi da poco. Le case editrici [...]]]> di Roberto Sturm

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Capita spesso di sentire famosi accademici trattare la narrativa di genere come letteratura minore e, successivamente, sentirli sperticarsi di elogi verso lo scrittore di turno che raggiunge le vette delle classifiche con best seller di questo tipo. Capita anche che scrittori consolidati, considerati veri e propri maestri, si cimentino anch’essi coi generi. Di esempi se ne potrebbero fare diversi, mi limito a citare due romanzi che mi è capitato di leggere recentemente: La stella di Ratner, di Don De Lillo, e Nel paese delle ultime cose, di Paul Auster; di certo non due nomi da poco. Le case editrici si guardano bene dall’etichettare i testi – questi come quelli di altri autori – perché sembra che i critici e buona parte dei lettori, in questi casi, storcano decisamente il naso. Se, al contrario e come accade spessissimo, l’appartenenza viene taciuta pare che tutti siano più contenti e ben disposti.

Essendo stato amante della fantascienza per tanti anni, personalmente noto di più le incursioni verso questo genere rispetto ad altre e il fil rouge che unisce i due romanzi di cui voglio parlarvi è proprio il loro legame con questa narrativa.Ci sono libri che segnano le esistenze di noi lettori. Non necessariamente capolavori ma romanzi che, in qualche modo, toccano le nostre corde più intime e suscitano emozioni che proviamo di rado. Ognuno ha i suoi, dipende dai gusti e dalla sensibilità personale, e Le effemeridi di Stéphanie Hochet per me è uno di questi.

Il governo britannico ha annunciato che il 21 marzo 2013 l’uomo scomparirà dalla faccia della terra. Non è dato sapere perché e come, ma la consapevolezza della fine pervade tutti. All’inizio il caos viene tenuto sotto controllo da apposite ordinanze: infatti non è la reazione collettiva, disperata o terrorizzata, che interessa alla trentottenne scrittrice francese, bensì il cambiamento dei sentimenti di un gruppo di persone che, pur vivendo a distanza, hanno un grado di parentela che li lega. A questo punto non posso fare a meno di citare Ballard: la descrizione della trasformazione del paesaggio interiore (la sua teorizzazione dell’inner space) dei personaggi di fronte al mutamento delle condizioni esterne e alla ribellione degli elementi naturali rimane uno dei capisaldi della narrativa dell’autore inglese. Sono dei primi anni Sessanta i quattro romanzi che formano la tetralogia degli elementi (Vento dal nulla, Deserto d’acqua, Terra bruciata e Foresta di cristallo) e che rappresentano il punto più alto della prima parte della carriera dello scrittore tra i più innovativi del secolo scorso. Risulta abbastanza spontaneo, credo, accostare la psicogeografia dei sentimenti dei protagonisti de Le effemeridi ai paesaggi interiori dei protagonisti ballardiani.

Entrando nel vivo dell’azione, Tara e Patty sono amanti e si trasferiscono da Glasgow a un cascinale di campagna per curare un allevamento di cani, incroci di razze superiori, che sembrano essere i soli esseri che sopravviveranno all’uomo. È un’attività che svolgono di nascosto perché messa fuorilegge. C’è un sentimento limpido e intenso tra le due che sarà ulteriormente rinsaldato dalla tragedia imminente. Neanche l’arrivo di Alice, un’ex amante di Tara, e quello della sua piccola nipote, Ludivine, scalfirà una passione che dà un senso compiuto all’esistenza delle due donne. Tara, intanto, continua a lavorare in un bordello (il “club”), dove gli uomini più potenti e in vista della città scozzese ricercano la sottomissione, la sofferenza fisica e la perdita di ogni dignità, come se avessero bisogno di scontare le loro colpe prima della fine. E in questo, Tara è la più brava di tutte. Simon Black, suo cugino, vive a Londra e un cancro alla gola gli riserva pochi mesi di vita. L’annuncio dell’apocalisse prossima lo riporta nella stessa condizione degli altri, ed è una forza ritrovata e una rinnovata voglia di vivere che gli permettono di conoscere la splendida Ecuador, la donna con cui vivrà un amore coinvolgente ed estraniante. Simon trascorre buona parte del suo tempo a dipingere in un magazzino e a passare da un lavoro saltuario all’altro per sbarcare il lunario. È la sofferenza la sua ossessione: i ritratti di giovani nigeriani sfigurati dalla lebbra sono i primi quadri che riesce a vendere. Fino a quando, visitando una mostra, la carne dipinta da Rembrandt non fissa la sua mente verso un grido che dovrebbe racchiudere, nel momento della distorsione dei tessuti, tutto il terrore del mondo. Dopo diversi tentativi infruttuosi con se stesso, costruisce un dispositivo adatto allo scopo con dei fili d’acciaio ed Ecuador sarà la sua modella definitiva. Incontriamo poi a Parigi Sophie – sorella di Alice e madre di Ludivine – il cui amore per la figlia si esaspera ancor di più dopo l’Annuncio. Ed è per il bene della piccola che accetta di arrendersi alle sue richieste di andare a trovare l’adorata zia in Scozia salvo, poi, ritrovarsi nella disperazione più assoluta nel momento in cui prevedibilmente, considerata la fine sempre più vicina, gli aerei non decollano più.

Lo stile della Hochet è musicale ma essenziale, ti porta dentro la storia con la maestria degli scrittori più esperti non lasciando niente al caso. Nessuna parola è fuori posto e l’intreccio narrativo, a capitoli alternati, ha una struttura robusta e studiata. La capacità introspettiva del testo ci presenta i personaggi senza filtri ma con una loro personalità ben definita. I loro sentimenti sono a nudo, come sarebbero i nostri, probabilmente, in prossimità di una fine collettiva. Un romanzo pre–apocalittico sui generis, che rifugge dalla facile spettacolarizzazione di una trama avventurosa ma sonda l’intimo delle persone con lucida precisione.

st1302Con La caduta, di Giovanni Cocco, entriamo dalla porta principale in un’opera prima portentosa. Dotato di una forte personalità, il romanzo ci rimanda alla letteratura americana di fine secolo: durante la lettura non ho potuto fare a meno di pensare al De Lillo di Underworld per la struttura robusta e ben congegnata dell’impianto narrativo.  Stile fresco e incisivo, l’autore parte da avvenimenti realmente accaduti che hanno inciso e incidono sulla nostra storia attuale (le rivolte in Medio Oriente, l’uragano Katrina a New Orleans, gli attentati alla metropolitana di Londra, l’elezione di Ratzinger, l’annuncio della morte di Bin Laden, l’esplosione delle rivolte nelle banlieue di Parigi, la strage di Anders Breivik in Norvegia, la crisi economica in Grecia, e altro ancora), per narrare la caduta dell’Occidente in un futuro molto prossimo. La trama, infatti, con uno slittamento distopico ci porta fino al 2014. L’autore non ha dubbi, e identifica nel potere economico il grande colpevole: lo sfruttamento sul lavoro, le compagnie di assicurazione, le banche, le guerre etniche al soldo dei grandi interessi finanziari e delle lobby.

Giovanni Cocco si aiuta, e molto bene, anche con storie personali e vissuti quotidiani che si intrecciano con gli accadimenti reali e danno ancor di più il senso di una vita faticosa, da affrontare con la scarsità di strumenti adatti che ci vengono forniti. L’autore sembra volerci suggerire che le difficoltà a cui siamo sottoposti giornalmente altro non fanno parte che di una strategia politica globale, organizzata per tenere la gente comune al di fuori delle stanze decisionali del potere. Che se non è un punto di vista nuovo, di sicuro è trattato con molta originalità e con ampio respiro. La narrativa di Cocco è impietosa e non fa sconti a nessuno. La consapevolezza dei propri mezzi fa sì che riesca nell’impresa di creare un romanzo ambizioso, primo di successivi tre episodi, come annunciato nella nota finale, che riesce a far convivere ottima letteratura, citazioni bibliche e una struttura simile a un ciclo pittorico. L’autore non cade mai, infatti, nella trappola di voler dimostrare al lettore la propria bravura e, di conseguenza, non si perde mai in sterili esercizi di stile. Un difetto, purtroppo, assai frequente anche con nomi famosi, ma che la maturità artistica di questo esordiente riesce ad evitare.

Le effemeridi, di Stéphanie Hochet, Edizioni La linea, Bologna 2013, pp. 160, € 14,00 e La caduta, di Giovanni Cocco, Nutrimenti, Roma 2013, pp.223, € 16,00

 

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