nuove religioni – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 23 Nov 2024 08:02:07 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Bella vita e magie altrui di Mr. Sorme, outsider https://www.carmillaonline.com/2021/01/09/bella-vita-e-magie-altrui-di-mr-sorme-outsider/ Sat, 09 Jan 2021 21:56:23 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64347 di Franco Pezzini

(Per i tipi Carbonio è apparso un mese fa, a firma di Colin Wilson, L’uomo senza ombra. Il diario sessuale di Gerard Sorme, trad. dall’inglese di Nicola Manuppelli, pp. 340, € 16,50, 2020, sequel di Riti notturni, proposto nel 2019.

Nel romanzo appare una figura modellata su Aleister Crowley: poco prima è uscito per Odoya, a cura del sottoscritto, Le nozze chimiche di Aleister Crowley. Itinerari letterari con la Grande Bestia, pp. 336, € 22, da cui si trae il contenuto dell’articolo che segue.

Come nei cartigli di avvertenze alimentari: [...]]]> di Franco Pezzini

(Per i tipi Carbonio è apparso un mese fa, a firma di Colin Wilson, L’uomo senza ombra. Il diario sessuale di Gerard Sorme, trad. dall’inglese di Nicola Manuppelli, pp. 340, € 16,50, 2020, sequel di Riti notturni, proposto nel 2019.

Nel romanzo appare una figura modellata su Aleister Crowley: poco prima è uscito per Odoya, a cura del sottoscritto, Le nozze chimiche di Aleister Crowley. Itinerari letterari con la Grande Bestia, pp. 336, € 22, da cui si trae il contenuto dell’articolo che segue.

Come nei cartigli di avvertenze alimentari: il testo sottostante può contenere spoiler).

Riassunto delle puntate precedenti. Londra, metà anni Cinquanta: il brillante, disinvolto outsider Gerard Sorme, controfigura molto virtuale dell’autore Colin Wilson (nel senso di incarnare adeguatamente quel tipo di insoddisfazione esistenzialistica di cui Wilson discetta nelle sue opere, a partire dal famoso The Outsider, 1956, e che lui stesso in qualche modo si porta dentro) ha conosciuto la vertigine di un incontro-svolta con il carismatico Austin Nunne, colto e raffinato omosessuale rivelatosi purtroppo l’assassino copycat di Whitechapel. Al di là della deriva criminale di Nunne, il dialogo con lui ha suggerito a Gerard come sia possibile vivere con una diversa intensità, con un’altra marcia esistenziale rispetto all’opacità di un quotidiano: e non sono le due donne tra i cui letti il Nostro si alterna – Gertrude e Caroline, giovane zia e disinibita nipote – a bastare in tal senso.

La vicenda è stata raccontata – magnificamente – nell’ambizioso e complesso romanzo Riti notturni (Ritual in the Dark, 1960), ma l’itinerario di Gerard era solo all’inizio: lo ritroviamo poco dopo in una seconda avventura, narrata stavolta in prima persona, in forma diaristica. In effetti, L’uomo senza ombra. Il diario sessuale di Gerard Sorme figura come vero e proprio diario del Nostro: il titolo originale è Man Without a Shadow. The Diary of an Existentialist, alludendo alla storia dell’uomo che ha ceduto la propria ombra al demonio in cambio di ricchezza (cfr. il romanzo Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso, 1814, e il racconto di E.T.A. Hoffmann “Die Geschichte vom verlorenen Spiegelbild” cioè “Storia del riflesso perduto”, 1815) e al senso di inautenticità vissuto dall’esistenzialista Sorme, che scrive il suo diario sessuale proprio per riconoscere se stesso, cannibalizzato dall’opacità ma deciso a resisterle:

 

Di solito mi sento quasi inesistente, come se non riuscissi neppure a far apparire la mia ombra alla luce del sole, come Pe­ter Schlemihl di Chamisso o l’uomo nel racconto di Hoffmann. Eppure, sto imparando a gettare un’ombra.

 

Ma in modo un tantino più esplicito questa nuova avventura sarà proposta negli USA come The Sex Diary of Gerard Sorme, da cui il sottotitolo italiano.

Coronato da una riflessione sul realismo esistenziale nella forma romanzo, questo testo del 1963 già respira un certo clima certificato tre anni dopo dalla definizione Swinging London: un’epoca in cui tensione sessuale, riscoperta del magico (si pensi alla Hammer) ed euforia sociale evocano un mix esplosivo. La retrodatazione degli eventi al 1956 non forza i dati sociologici, ma li prefigura: come Wilson ha proiettato a posteriori in Nunne l’ombra dello Sventratore nella suggestione di un certo tipo di estasi losca, così invece anticipa in silhouette e tensioni l’orizzonte Swinging London, illuminandone le radici antropologiche. E insieme, anche qui gioca su una proiezione a posteriori: liberato il campo da Nunne/Jack the Ripper, il personaggio che permette a Gerard di testare desideri e richiami a una diversa intensità di vita è il mago Caradoc Cunningham alter ego di Aleister Crowley: a portare in scena non solo un mix dei principali interessi di Wilson – filosofia, sesso, criminologia, occultismo – ma proprio la magia sessuale del profeta del Thelema. Wilson, birichino, vagheggia anzi inizialmente di proporre L’uomo senza ombra alla Olympia Press di Parigi, specializzata in libri “osceni”, ma la casa editrice con cui edita per un pubblico mainstream, la Arthur Barker Ltd., si accaparra il romanzo con appena lievi modifiche. Il che comunque costringe, per il tema hard, a passare da un’autorizzazione in tribunale e affrontare una successiva causa per oscenità (che però supera, il giudice stabilisce, bontà sua, che L’uomo senza ombra non è più osceno delle opere di Henry Miller o di Lady Chatterley).

Al di là della protesta iniziale in una nota introduttiva di Sorme a proposito di una profonda unità della vicenda, deve ammettere lui stesso che l’incontro con Cunningham divide nettamente il testo tra un prima e un dopo. Cioè una prima parte concentrata su idee e pratiche di Sorme in tema di sesso, dove lui analizza se stesso e le proprie pulsioni (del resto Wilson ha lavorato subito prima a un nuovo saggio della saga degli outsider, Origins of the Sexual Impulse, 1963); e una seconda parte dove il Nostro, dopo essersi imbattuto in una biblioteca pubblica in un “interesting book on the Faust legend”, si interfaccia con la magnetica figura del mago (ricordiamo che, proprio attraverso Faust, la studiosa Eliza Marian Butler, autrice di importanti monografie di storia della magia, era stata indotta a incontrare un Crowley ormai decaduto). Ma va detto che la seconda parte in fondo è consequenziale alla prima: i misteri del sesso affrontati nella prima raggiungono nella seconda una frontiera ulteriore.

È probabile che la vicenda da commedia da Wilson posta in scena – e che rende il romanzo molto godibile e divertente – ammicchi a teatrini letterari di precedenti comparsate di Crowley, per esempio al Mago di Maugham, dove Aleister figurava rivisto e corrotto nei panni di Haddo: la piccola comunità descritta in Londra evoca a tratti, in modo sghembo e grottesco, quella di Parigi dove Haddo impazza. A parte apparizioni un po’ defilate di Gertrude e Caroline, qui ritroviamo il pittore Oliver con la minorenne Christine per cui nutre una casta attrazione, e la tedesca Carlotte gestrice del precedente alloggio del Nostro; ma emergono anche figure nuove come la garbata Diana nuova fiamma di Gerard, il mite e distratto musicista Kirsten a cui la strappa, Madeleine con cui Caroline condivide l’alloggio e alcuni avversari di Cunningham.

L’incontro col mago è casuale, appunto in una biblioteca: libro alla mano, Sorme ha appena adocchiato una ragazza vestita di rosso (una – potremmo dire – ragazza scarlatta), ma lo sguardo è stornato dall’apparire di un uomo presso gli scaffali lì accanto, fitti di volumi su magia, fantasmi eccetera.

 

Anche lui mi ha immediatamente incuriosito: un omone grasso, tra i trentacinque e i quarant’anni, con la testa completamente calva. Se fosse stato un attore, lo avrei scelto per interpretare lo scienziato pazzo. Anche lui ha fissato un paio di volte la ragazza in rosso; poi ha preso un libro ed è venuto a sedersi a pochi metri da me, dall’altra parte del tavolo. Mi sono accorto che mi fissava, ma ho finto di leggere. Dopo qualche minuto l’ho sentito mor­morare qualcosa sottovoce e ho sbirciato con cautela da sopra il mio libro. Aveva strani occhi rotondi dallo sguardo intenso e stava fissando la ragazza, che era tornata alla scrivania. All’improvviso ho provato una sensazione di tensione, come quando entri in una stanza dove ci sono due persone che si odiano, e lo percepisci bene anche se non le hai mai incontrate prima. Poi, un momento dopo, la ragazza si è avvicinata al nostro scaffale reggendo una pila di libri. L’uomo ha distolto gli occhi mentre lei veniva verso di noi, poi è tornato a fissarla non appena si è voltata. All’improvvi­so, lei si è guardata attorno, prima verso di me poi verso l’uomo dei libri di magia, con un’espressione sorpresa, come se uno di noi l’avesse colta in flagrante. E in quel momento è successa una cosa strana. La osservavo di nascosto, appoggiato allo schienale della sedia, con il mio libro sul tavolo. Lei ha fissato l’uomo ac­canto a me e si è fatta prima molto pallida, poi è arrossita. Lui non le aveva tolto gli occhi di dosso. La donna ha fatto un passo avanti, come se volesse colpirlo, poi si è fermata di colpo e si è voltata di nuovo. A questo punto l’uomo si è rivolto a lei: “Scusi, signorina, forse può aiutarmi”. Aveva una voce profonda, simile a quella di un attore, con una leggera pronuncia blesa. Si è alzato dirigendosi verso la ragazza; si è fermato a pochi centimetri da lei e le ha parlato a bassa voce. Ne ero affascinato, perché per qual­che motivo ero certo che la ragazza non lo conoscesse e che lui avesse notato in lei esattamente quello che avevo notato io: una specie di tensione sessuale. Era in piedi lì, di fronte a lei mentre le parlava, ma molto più vicino di quanto sarebbe lecito nel fare una domanda innocente a una bibliotecaria. La sua schiena era rivolta verso di me, in modo che non potessi vedere cosa stava succedendo, ma potevo giurare che le avesse messo una mano sul petto. Poi la ragazza ha detto, con una voce strana e tesa: “Si trova nella collezione speciale, signore, nel seminterrato. Se vuole venire da questa parte, glielo mostrerò”. Per un momento, l’uomo mi ha guardato, e il suo sguardo è stato inequivocabile come se mi avesse fatto l’occhiolino e mi avesse detto: “Vedi, l’ho fatto”. Mentre si allontanavano, le teneva una mano sulla schiena.

 

È abbastanza chiaro che si tratta di un ritratto di Crowley, e il richiamarlo nel contesto delle nuove eccitazioni in Inghilterra tra metà anni Cinquanta e Swinging London la dice lunga su un clima che vede incubare un po’ defilato – ma neanche troppo – il revival magico del Settanta.

Più avanti, Sorme dispensa qualche riferimento a nomi noti della bibliografia esoterica: cita “un paio di testi interessanti scritti da Montague Summers”, che gli forniscono occasione di riflettere sul peso del sesso nel caso di stregoneria del maggiore Thomas Weir di Edimburgo (anche se “Summers sembra essere uno scrittore dalla fantasia un po’ troppo sfrenata, che riesce a racchiudere più inesattezze in due paragrafi su Jack lo Squartatore di quante la maggior parte delle persone potrebbe accumularne in venti pagine”); e più avanti Là-bas di Huysmans, meditando su Gilles de Rais. E soltanto dove aver costruito così un set debitamente sulfureo fa ricomparire a una mostra di quadri dell’amico Oliver l’allegrone conosciuto in biblioteca la settimana prima: “I want to introduce you to a remarkable man”, se ne esce il pittore. “This is Caradoc Cunningham”.

 

Le prime impressioni che avevo avuto su Cunningham in biblioteca si sono rivelate corrette: è certamente uno degli uo­mini più strani che abbia mai incontrato. All’apparenza è una specie di attore: grande, piuttosto grasso, molto alto, calvo, uno sguardo quasi ipnotico in quegli occhi che sembrano rotondi. Sospetto che abbia escogitato un modo per gonfiare leggermente gli occhi e intensificare così questa impressione di forza di vo­lontà. Ha anche vari vezzi, come abbassare la voce e stringere gli occhi quando dice certe cose, per darsi un aspetto sinistro. Nel complesso, la prima impressione che ha fatto su di me è stata negativa: di un ciarlatano, un uomo senza autodisciplina. Ma dopo dieci minuti di conversazione, questa impressione svanisce completamente e sembra emanare un’energia tangibile e piutto­sto inquietante. Non c’è dubbio che la sua cultura sia davvero molto vasta, ma non se ne serve – come farebbe un ciarlatano – per impressionare. Ad esempio, abbiamo iniziato a discutere di Plotino e lui ha cominciato a citarlo in greco. Gli ho detto con impazienza che non conoscevo il greco e lui ha smesso imme­diatamente e non ha più pronunciato una sola parola in greco.

 

Via via Caradoc si rivela – guarda caso – un alpinista con trascorsi sui monti del Tibet; preoccupa l’amica di Sorme lì presente con il suo modo spiacevole di trasudare sesso, quasi la violasse senza avere contatto fisico; discetta di satanismo e occulto con lo scettico (ma non troppo) narrante; offre prove di chiaroveggenza; sostiene “di aver ucciso un mago in un ‘duello di magia’ mentre lui era a Marsiglia e l’avversario a Parigi”; irrita Sorme spiegando di credere in una libertà totale, il “Do what you will” di Blake, e il narrante obietta che

 

il “fa’ quello che vuoi” non è di certo utile; al contrario, è probabile che distrugga l’autodisciplina e annacqui ancor più la conoscenza. Ho citato come esempio Aleister Crowley. Ma si è scoperto che Crowley era stato un caro amico di Cunningham (come se non avessi potuto indovinarlo) e Cunningham si è immediatamente lanciato in sua difesa.

 

A proiettare/duplicare in modo perturbante l’icona di Crowley nel profilo di questo suo discepolo, appunto con un gioco analogo a quello condotto in Riti notturni tra Austin e lo Squartatore del 1888: è stato proprio da Crowley che il suo doppio Cunningham ha appreso i segreti della magia sessuale, e qui ne offre cenni. Sorme trova poi una decina di libri del nuovo conoscente alla Biblioteca del British Museum, quasi tutti di poesia, che giudica orrenda e datata (sembra un giudizio di Wilson sulla poesia di Crowley, che pure non era così male); e recupera anche una traduzione curata da Cunningham di “Abrahamelin the Mage”, cioè il Libro della Magia Sacra di Abramelin il Mago (un testo magico di autoiniziazione dallo straordinario successo nell’esoterismo moderno, che però era stato editato da Samuel Liddell MacGregor Mathers e non da Crowley, pur attento celebratore dei relativi rituali: licenza di Wilson). Lentamente Sorme inizia a maturare un’ammirazione per lui, “He is undoubtedly one of the most amazing men I have ever met”: in qualche modo il mago è uno step ulteriore nella sua ricerca d’intensità, rispetto all’outsider Austin del primo romanzo con cui condivide intelligenza, sensibilità e stranezza.

Vediamo così Cunningham praticare la meditazione indossando “un’ampia tunica gialla”, e teorizzare l’organizzazione, su una piccola isola di sua proprietà al largo della costa della Sardegna (non insomma la Sicilia di Cefalù), di una comune organizzata su

 

princìpi completamente anarchici […] Tutto sarebbe condiviso, comprese le donne. Mettere­mo in atto il precetto di Rabelais: “Fai quello che vuoi”. Finora il suo problema era stato la mancanza di denaro, ma la pittura di Oliver e l’invenzione di Kirsten probabilmente ci avrebbero fornito i soldi necessari. Non appena si fosse sparsa la voce dell’e­sistenza della nostra comunità, avremmo attirato grandi artisti da tutto il mondo e le signore facoltose avrebbero fatto a gara per poterci finanziare.

 

Peccato che il mago inizi anche a pensare di allargarsi sulla piccola rendita di Sorme, con vaghi cenni a “capi” in Oriente – dai quali trarrebbe i suoi “poteri” – pronti ad appoggiare l’impresa… Se poi mostra buon fiuto su ciò che l’irrequieto Sorme desidera davvero dalla vita (“Un modo per intensificare la mia coscienza di dieci volte; un modo di vivere più completo”), in rapporto alle riflessioni di Cunningham il giudizio di Sorme è netto:

 

per quanto possa essere un ciarlatano, ha innegabilmente alcune in­tuizioni profonde e qualche conoscenza insolita della psicologia, che non può avere appreso in Inghilterra (respingo la possibilità che sia frutto della sua mente; sebbene sia intelligente, non mi sembra un pensatore creativo).

 

Una valutazione di Wilson che, almeno all’epoca, possiamo riferire a Crowley.

Cunningham inizia Sorme anche alle droghe, pontifica su come prolungare l’orgasmo, gli infligge la lettura del Libro di Abramelin che in realtà non lo colpisce, ma intanto iniziano a emergere pagine del suo passato… Quando Frederick Wise, “un’autorità nel mondo delle sette eretiche […] un curioso vecchio con una zazzera di capelli bianchi e un gozzo terribile che gli dà l’aspetto di un rospo” apprende che Sorme rischia di finire sotto l’influenza dello strano conoscente, risponde: “C’è solo una cosa che posso dire con certezza su Cunningham. […] È uno dei pochi uomini davvero malvagi che abbia mai incontrato. Stia lontano da lui”. Anzi Cunningham sarebbe destinato a un futuro di perenne insuccesso, per avere infranto i suoi giuramenti di usare la magia soltanto per il vero bene: una chiave suggestiva – difficile dire quanto credibile – se riferita alle sfortune di Crowley, ma che ben si coniuga con il mito da tabloid di quest’ultimo. Wilson non cade nella trappola dell’“uomo più malvagio del mondo” – e neanche nella scandalizzata ostilità del primo biografo della Bestia (1951), John Symonds – ma attraverso le voci dei nemici di Cunningham mette in scena un teatrino che ai suoi tempi si nutriva ancora di un’immagine di Crowley da giornali popolari. Misurandosi con la complessità di un profilo spiazzante riconducibile alla genia degli outsider: dove in fondo sesso & magia si rivelano sistemi per potenziare l’esperienza esistenziale. Riflette Sorme:

 

Di una cosa sono certo: l’energia sessuale è quanto di più vicino alla magia – al soprannaturale – che gli esseri umani abbiano mai sperimentato. Merita uno studio continuo e attento. Nessuno studio è così redditizio per il filosofo. Nell’energia sessuale può osservare lo scopo dell’universo in azione.

 

Nell’era del politicamente corretto, l’enfant terrible Wilson riesce ancora a essere urticante: in qualche caso, è vero, per posizioni sul rapporto tra sessi obiettivamente superate, ma più spesso per la spregiudicata disinvoltura con cui analizza le proprie pulsioni e i propri sogni.

Nella girandola di avvenimenti successivi, rituali sovreccitati con sostanze tossiche, andirivieni sessuali con più giovani donne, richiami a Sade e a Varney il vampiro, ricordi delle avventure pregresse del mago, beghe tra occultisti (compare anche tal Doughty, doppione di Mathers, opportunamente “in a Scots kilt” come l’ex-amico di Crowley amava paludarsi), discussioni su argomenti esoterici di vario tipo, manipolazioni tentate da Cunningham ai danni di tutti i personaggi, irruzioni di giornalisti o di polizia, si offre comunque spazio anche al Crowley autentico. Sorme intende infatti inserire nel testo che sta scrivendo – Metodi e tecniche di autoinganno, sorta di calco dei volumi dello stesso Wilson – un capitolo sui ciarlatani, e collocherebbe lì il vecchio Aleister:

 

Cunningham lo conosceva bene negli anni Trenta ed è dell’opinione che Crowley possedesse sicuramente certi poteri, sebbene la maggior parte della sua magia fosse suggestione. Que­sta è la cosa che mi sorprende di Cunningham: che possa essere così distaccato e scettico sulla magia e poi credere alle cose più assurde. Ha criticato il fatto che secondo me serve una buona dose di cecità mentale per ingoiare le stravaganze di Cagliostro. “Mio caro ragazzo, non ti serve la credulità per interessarti all’oc­culto. Si parte da molto meno. Ti basta sapere che sei annoiato e sentirti legato mani e piedi – e tutti concordano su questo. L’unica altra cosa che devi accettare è che esistono davvero dei grandi poteri nell’universo, al di fuori di te, e che in rari momen­ti puoi metterti in contatto con loro e sentirti come un dio. Non appena inizi a studiare i metodi per stabilire un contatto, ecco che la magia comincia a interessarti”.

 

Senza svelare troppo su un romanzo godibilissimo anzitutto per come è narrato, si può rivelare che il mago maneggione finisce col fuggire oltre Atlantico: dove un finale beffardo gli attribuisce una sorte – di fondatore di una nuova religione, sostenuto da varie “società Cunningham” – simile a quella del suo maestro Crowley. Ad anticipare idealmente non solo il contesto torbido del terzo romanzo su Sorme, The God of the Labyrinth (in USA The Hedonists), 1970, di futura riproposizione per Carbonio – la ricerca del protagonista non poteva esaurirsi nelle buffe vicende qui descritte – ma altre più dirette apparizioni di Crowley in successive opere di Wilson.

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Sex and the Magic: il Dumas d’America (II) (Victoriana 28/2) https://www.carmillaonline.com/2019/10/05/sex-and-the-magic-il-dumas-damerica-ii-victoriana-28-2/ Sat, 05 Oct 2019 21:07:16 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=55154 di Franco Pezzini

I riti erotici della papessa Naglowska

Una delle caratteristiche dell’impegno esoterico di Paschal Beverly Randolph (cfr. la puntata precedente) è l’estrema prolificità editoriale, sia col proprio nome che con pseudonimi – Griffin Lee, Count de St. Leon – o persino in forma anonima. A parte l’attività sulle riviste – collaborazioni col “Journal of Progress and Spiritual Telegraph”, cura editoriale di “Leader” (Boston) e “Messenger of Light” (New York) – il Dumas d’America pubblica nel corso della sua vita una gran quantità di volumi, appunto una cinquantina di [...]]]> di Franco Pezzini

I riti erotici della papessa Naglowska

Una delle caratteristiche dell’impegno esoterico di Paschal Beverly Randolph (cfr. la puntata precedente) è l’estrema prolificità editoriale, sia col proprio nome che con pseudonimi – Griffin Lee, Count de St. Leon – o persino in forma anonima. A parte l’attività sulle riviste – collaborazioni col “Journal of Progress and Spiritual Telegraph”, cura editoriale di “Leader” (Boston) e “Messenger of Light” (New York) – il Dumas d’America pubblica nel corso della sua vita una gran quantità di volumi, appunto una cinquantina di opere tra saggistica e narrativa, che trovano una certa circolazione. Alcune delle quali fondamentali per capire il suo pensiero, e in qualche caso (soprattutto i romanzi) tali da poter essere apprezzabilmente proposte anche in traduzione.

Da qualche anno è possibile accedere comodamente online a un certo numero di questi testi, per non parlare di una buona saggistica di lingua inglese che sovviene al lungo silenzio sull’autore da parte degli storici dell’esoterismo lamentato nel 1994 da Joscelyn Godwin. Studi come The Hermetic Brotherhood of Luxor: Initiatic and Historical Documents of an Order of Practical Occultism a firma dello stesso Godwin, di Christian Chanel e John Patrick Deveney (Weiser, 1995, in Italia per Mediterranee, La Fratellanza Ermetica di Luxor. Storia, rituali iniziatici e istruzioni di occultismo pratico, 2008) o Magia Sexualis: Sex, Magic, and Liberation in Modern Western Esotericism di Hugh B. Urban (University of California Press, 2006) – per fare solo due esempi tra i tanti, in larghissima parte non tradotti in italiano –, offrono pagine preziose. Ma fondamentale è la biografia Paschal Beverly Randolph: A Nineteenth-Century Black American Spiritualist, Rosicrucian, and Sex Magician di John Patrick Deveney e Franklin Rosemont (State University of New York Press, 1996), a tutt’oggi – per quanto mi risulta – l’unica in circolazione.

In Italia, paradossalmente o forse non troppo, non è apparso nessuno dei testi principali a firma di Randolph, ma solo un’operetta tecnico-occultistica a lui attribuita con parecchia prudenza, Magia sexualis: e che tuttavia merita un esame per i nessi con altre figure del sottomondo magico e l’impatto su un immaginario anche molto più vicino a noi. Ci concediamo dunque una digressione, passando dall’Ottocento americano al Novecento del Vecchio Mondo.

Roma, 1920: nella città ancora – per poco – prefascista arriva una figura molto particolare. Non certo per l’aspetto: è una piccola donna bionda prossima ai quaranta, a suo modo graziosa ma poco appariscente. A colpire chi le parli sono piuttosto la lingua (francese, ma in realtà ne conosce varie), gli occhi profondi d’un azzurro duro e la personalità che dietro quell’azzurro sembra di cogliere – vivacità, determinazione. Forse non si avverte ancora il magnetismo che la connoterà anni dopo, è ancora nel matraccio di qualche trasformazione interiore. O forse sì, ma attende di prendere una forma più definita.

Maria è russa di San Pietroburgo, di famiglia aristocratica: si dice – uno dei tanti si dice di questa storia – che il padre generale Dimitri de Naglowski governatore della provincia di Kazan sia stato avvelenato nel 1890 durante una partita a scacchi da un fantasioso nichilista, e la madre è morta cinque anni più tardi. Ma col resto dei parenti Maria ha rotto in nome dell’amore per un partner non titolato ed ebreo, il violoncellista Moïse Hopenko conosciuto nel sottobosco artistico di San Pietroburgo. Trasferitisi prima a Berlino e poi a Ginevra, si sono sposati, hanno combinato tre figli – Alexandre, Esther Marie e André – e conosciuto crescenti tensioni nel rapporto con le due diverse realtà di origine: portatrici oltretutto di concretissime ricadute pratiche, come la perdita degli aiuti della comunità russa per l’iscrizione dei figli alla sinagoga. Verso il 1910 Moïse, ardente sionista, se n’è andato in Palestina, mollando Maria (che, incinta di André, rifiutava di seguirlo) per trasferirsi a dirigere il primo conservatorio musicale ebraico; e lei ha dovuto cavarsela col proprio lavoro d’insegnante in scuole private e poi di giornalista, facendosi notare per la verve tagliente delle sue posizioni. Al tempo sono ancora un mix radicale di nazionalismo e socialismo rivoluzionario (del resto ha un fratello bolscevico, Aleksandr Dimitrievich Naglovskij), e le sue idee sulla donna appaiono per ora molto conservatrici: avrà il tempo di cambiarle. Il risultato dei suoi articoli è una breve incarcerazione con l’accusa di spionaggio, e alla fine l’abbandono della Svizzera.

Per cui – appunto – arriva a Roma, dove riprende quel che sa fare, insegnamento e giornalismo (un impiego al giornale “L’Italia”, 1921-26): e all’inizio si trova sorvegliata perché vive con il fratello, incaricato d’affari di Mosca. Ma, pare sulla base di un interesse per l’occulto sviluppato già in Svizzera, s’imbatte anche nel giro degli esoteristi locali, in particolare i futuri fondatori del Gruppo di Ur: un sottomondo di aspiranti maghi, esoteristi e nostalgici del paganesimo imperiale – gente che sogna di coltivare le forze magiche dell’individuo e insieme di condizionare occultamente la politica – che a dispetto di un certo grigiore merita conoscere, per capire uno dei vari bacini ideali di un neofascismo molto più tardo. E infatti, tra loro, Maria fa conoscenza via via approfondita con un pittore dadaista poco più che ventenne che diverrà ideologo di estrema destra, il futuro “barone” Julius Evola. Ma lui, che sgomita per entrare nella nostra storia e vi avrà una piccola parte, ci interessa poco: pensiamo a lei.

Maria de Naglowska (1883-1936) poi detta La Sophiale è appunto una figura particolare. Una delle varie ispirate, teosofe e papesse che tra Otto e Novecento realtà e letteratura vedono affluire dall’Oriente a dispensare rivelazioni in caffè e salotti bramosi di misteri più o meno esotici: una linea che dalla celebre, bonaria Madame Blavatsky, storica fondatrice della Società Teosofica, porta fino alla fittizia principessa Assja Chotokalungin de L’Angelo della finestra d’occidente di Gustav Meyrink (e Alfred Schmid Noerr), 1927, capace addirittura di tornare dalla morte quale vampiro dell’anima per tentare il protagonista. Maria de Naglowska mostra idealmente tratti dell’una e dell’altra.

È discusso se in Russia Maria avesse già avuto contatti diretti con un sottomondo di mistici un po’ estremi. È persino possibile che già negli anni dell’istruzione – forse nel collegio dove ha studiato pedagogia – venissero notate sue doti particolari, medianiche o comunque visionarie: qualcuno le ha vaticinato una futura missione o le ha concesso una qualche iniziazione? Difficile dire. In ogni caso è almeno col primo soggiorno romano che si trova a diretto contatto con ambienti dell’esoterismo: e per quanto le posizioni lì siano distanti da quelle che lei maturerà, è possibile che le suscitino alcune domande. Alcune provocazioni, forse.

Nel 1926 Maria lascia Roma per Alessandria d’Egitto, dove il figlio Alexandre si è fatto una posizione e riunisce la famiglia (meno Moïse, risposato – pare in regime di bigamia – con la pianista ebrea ucraina Lina Krishevski). Una riunione solo temporanea, la figlia si sposa e presto la famiglia si dividerà di nuovo. Ma la novità è che nella città dei caffè, di Kavafis e degli affari Maria – che continua con le collaborazioni giornalistiche – aderisce alla Società Teosofica e inizia a tenere conferenze presso la sezione locale: visto che è la città dell’antica Ipazia e dei maestri gnostici, la cosa potrebbe sembrarle un segno. Nel 1928 un occultista francese di passaggio le profetizzerebbe anzi che lascerà presto l’Egitto per Roma, arriverà poi a Parigi per trascorrervi un pessimo periodo iniziale, ma lì infine le giungerà tra le mani un prezioso documento: e questo farà la sua fortuna, mondana e spirituale.

In effetti Maria torna a Roma nel luglio 1929, per restarvi due mesi, pare in rovinose condizioni economiche: ma visto che narrerà l’episodio delle profezia solo dopo l’apparente adempiersi a Parigi, occorre prenderlo con una certa cautela. Anche più dubbio è un altro suo racconto tardivo riguardante il secondo soggiorno romano: a proposito cioè del fatidico incontro con un fantomatico monaco, nello stesso momento dell’intronizzazione oppure dell’elezione di Pio XI da parte del Conclave (così si esprimerà in occasioni diverse: ma Pio XI, eletto papa nel 1922, diviene il primo sovrano del nuovo Stato di Città del Vaticano dal 7 giugno 1929, non in luglio quando lei riferisce d’esser tornata). Questo monaco, scalzo e col suo povero saio addosso, ma dal nome conosciuto e venerato dalla Chiesa cattolica – così lei si esprime –, le consegnerebbe un biglietto con l’immagine di un triangolo, trasmettendole non per bocca umana, non attraverso libri la “tradizione boreale”: quella cioè (in ipotesi) a monte dell’itinerario magico che farà di Maria de Naglowska uno dei nomi di maggiore provocazione dell’occultismo novecentesco.

Si è ipotizzato il contatto con un ex monaco della Chiesa Mariavita polacca, gruppo eretico che traghettava nel culto generose dosi di libertinaggio, ma è più probabile che in realtà si tratti di un mito di fondazione e che la figura richiami simbolicamente quel Terzo Termine della Trinità di cui Maria poi tanto parlerà. I dettagli rimandano del resto all’immaginario dei gruppi neognostici con cui Maria verrà a contatto a Parigi e a quello della cosiddetta Confraternita dei Polari di stampo rosacrociano e sinarchico. D’altra parte non si può neppure escludere che dall’incontro casuale con uno degli infiniti religiosi in giro per Roma – che magari le ha passato un santino macchiato d’inchiostro, certi episodi nascono anche così – qualcosa sia scattato nella testa di Maria e nella forma dei suoi desideri. Uno degli aspetti affascinanti della sua figura sta nella disinvoltura con cui si ridisegna davanti agli interlocutori e forse a se stessa: molto difficile orizzontarsi tra sparate piuttosto incomprensibili (in particolare quando non le vedremmo necessarie), possibili fraintendimenti degli interlocutori ai suoi discorsi elusivi, verità psichiche e simboliche che avrebbero potuto interessare Jung. Difficile stringere su dati precisi, anche quando in apparenza li offre.

Tanto più che in seguito racconterà altri strani episodi. Il fatto per esempio che a Roma – probabilmente già nel primo soggiorno – pur non essendo ancora iniziata a misteri superiori, sarebbe riuscita a far fecondare per vie magiche una donna, attraverso una complicata cerimonia, ma senza che venisse sfiorata fisicamente. L’episodio, narrato da lei al solito giornalista divertito degli anni parigini, resta troppo vago per potervi attribuire anche solo un valore simbolico (si perdoni il gioco di parole) pregnante: ma sembra indicativo del suo modo di proporsi.

Comunque Maria parte dall’Urbe per Parigi – dove sarebbe stata chiamata da una casa editrice francese per un lavoro – e vi arriva il 3 settembre 1929: ottiene però solo il permesso di soggiorno (non di lavoro, forse è stata preceduta da cattive informazioni delle autorità svizzere), si trova in miseria e per quattro mesi resta persino senza alloggio. Ma lentamente le cose ingranano e nell’ottobre 1930 nasce “La Flèche – Organe d’Action Magique”, una testata per cui impegna in carta e stampa buona parte del suo (poco) denaro. È lei a scrivere la massa degli articoli, ma collaborano anche vari esoteristi (tra i quali il solito Evola), e qualche conoscenza di Maria con contributi anche un po’ off-topic; ne usciranno diciotto numeri dal varo al 1933. La vera svolta però è un’altra, un po’ di tempo dopo, e qui di nuovo si tratta di decodificare un suo racconto piuttosto confuso: in un incrocio trafficato della Ville Lumière qualcuno le piazzerebbe in mano un volantino, su un progetto di pubblicazione di un volume Magia sexualis in edizione extralusso. E chi sarebbe l’autore del testo? Nientemeno che il nostro Dumas d’America, Paschal Beverly Randolph…

Torneremo più avanti sullo specifico di questa vicenda, che vede Maria recuperare il manoscritto presuntamente di Randolph, portarlo all’editore Robert Télin scelto con un’operazione magica – così racconta lei, in realtà vedremo che emerge un’altra versione o forse due – e varare la pubblicazione in chiave molto più economica. Il successo dell’operazione in un sottobosco parigino di curiosi del magico e devoti del pruriginoso la conduce ad affermarsi come esperta di magia sessuale. E sull’onda di rivista e volume nasce la figura pubblica della Sophiale: carismatica ierofante in una Montparnasse di artisti e intellettuali; mistica dalle venature sulfuree (si definirà “una donna satanica”, anche se vedremo che il termine va rettamente inteso), con fughe nell’estremo che piacciono agli ascoltatori surrealisti; conferenziera su temi occulti, dove appunto sesso e magia vanno a braccetto.

Lei parla a platee di crescente ampiezza, e in margine agli incontri alcuni spettatori passano nella sala accanto per iniziazioni sataniche. Altri riti, vedremo, sono un tantino più estremi.

Per i suoi seminari passano Breton, Man Ray, forse William Seabrook: e l’entusiasta Pluquet, architetto e collaboratore di Le Corbusier, ravviserebbe un’influenza del pensiero della Sophiale persino sul lavoro di quest’ultimo. Va detto che a bazzicare gli incontri sono in moltissimi casi semplici curiosi; ma non è semplice comprendere il livello di simpatia perché a distanza di anni parecchi dei frequentatori faranno il possibile per far dimenticare ogni propria familiarità con lei, con un imbarazzo persino comico. Evola sarà uno di questi casi.

Il passo successivo è la fondazione a Parigi di una società occulta con alcuni discepoli (il devotissimo e acritico Marc Pluquet poi suo biografo, lo scrittore Claude Lablatinière in arte Claude d’Ygé, il pittore Camille Bryen…), la Confrerie de la Flèche d’Or, che naturalmente è Maria a guidare e dura dal 1932 al 1935.

Ma Maria non si limita a parlare e scrivere articoli. Lascia anche alcune opere più ampie, non enormi ma di approccio non semplicissimo, dalla novella semi-autobiografica Le Rite Sacré de l’Amour Magique (1932) al trattato La Lumière du Sexe (1932) – previsto come guida rituale per gli iniziandi della Confraternita – al famigerato Le mystère de la pendaison (1933), per un tipo di pratica iniziatica estrema che qualcuno ritiene responsabile di almeno un morto. Con costernazione genuina della sophiale, si vocifera, e relativi problemi di ordine pubblico. Certo quel rito di ascensione alla montagna satanica, che a sentir Maria condurrebbe a straordinari miglioramenti spirituali (ma che ci si permette di sconsigliare caldamente) assomiglia in modo un po’ losco a quelli patrocinati dalla satanica Helen Vaughan tra le pieghe corrotte della Londra vittoriana in The Great God Pan di Arthur Machen (1894). O a certe fantasie di Félicien Rops.

Inevitabile comunque che La Sophiale attiri l’attenzione dei giornali, ed è in particolare un articolo di Stéphane Pizzella della rivista “Voilà” con tanto di fotografie – molto suggestive – che la rende improvvisamente celebre. Continua a essere poco appariscente: piccolina, molto pulita, non truccata, capelli corti biondocenere lisciati con cura, camicetta accollata assolutamente decorosa, modi ineccepibili. Parla con garbo, a volte con ironia, e gesticola poco: solo gli occhi azzurri, durissimi ma profondi, capaci d’illuminarsi all’improvviso, effettivamente colpiscono. E gli intervistatori restano spiazzati dal fatto che una simile, sobria figuretta, tanto lontana dagli stereotipi della profetessa come della Menade, passi tanto tempo a riflettere di una roba come la magia sessuale.

Parlando, usa parole semplici: ma è il suo impianto teorico a risultare ingarbugliato, a voce (riportano testimoni perplessi) come negli scritti. L’inizio non sembra particolarmente complicato od originale: il primato del divenire sull’essere e l’identificazione (con caratteri analoghi a idee di un po’ tutto l’occultismo francese dell’Ottocento) della terza persona della Trinità, lo Spirito Santo, con il divino femminile. All’ebraismo come religione del Padre, inteso con carattere androgino, e al cristianesimo come religione del Figlio, con carattere maschile, seguirebbe insomma la nuova era del Terzo Termine di natura femminile, associato al sesso: da cui la necessità delle tecniche di magia sessuale, per riconciliare le forze della luce e dell’oscurità attraverso l’unione dei due poli sessuali, e il potere di trasformazione spirituale del sesso. Ma arriva il difficile. Nell’essere umano esisterebbero due componenti indipendenti e complementari, il Corpo che è Dio/la Vita e la Ragione associata a Satana, che contro Dio protesta continuamente: e la loro necessaria relazione dialettica, la lotta contro Dio che è dovere e insieme calvario di Satana, e la conseguente lotta di lui contro il Figlio, condurrebbe a una sintesi identificabile nel Terzo Termine, lo Spirito Santo. Però, per Maria, Satana non è una potenza malefica, rappresentando piuttosto l’elemento purificatore del polo negativo; alla donna, polo positivo, sarebbe sufficiente l’iniziazione divina.

Satana avrebbe poi due dimensioni, maschile e femminile. Il satanismo maschile (ma forse dovremmo dire la dimensione satanica maschile, per non confondere con l’accezione cultista di satanismo) tenderebbe a negare ogni verità legata alla dinamica vitale, ponendosi come separazione e come No opposto al Sì: è immortale anche se determina continuamente la morte, però è necessario, perché senza lotta (opponendo Cielo e Terra, gli Elohim del Sì e del No confermano il contrasto come base dell’Unico che è e che noi siamo) e senza Morte, la Vita non esisterebbe.

Ma in Satana ci sarebbe anche un lato femminile, di cui normalmente non si parla perché fin dall’Origine la parola gli fu negata: normalmente tace perché è il Guardiano della Soglia, quello che si oppone al fallo solare per impedire la fecondazione, e senza questa opposizione la Vita non sarebbe. Solo talvolta Dio gli restituisce la parola, nelle fasi critiche di fine di un’epoca: e l’esprimersi del satanismo femminile (Satana-Donna, Satana-Madre Divina) segna una nuova fase, tutto cambia, la separazione cessa di esistere, i contrari si fondono e la Vita trionfa. Richiamandosi alla promessa biblica, La Sophiale spiega che lei schiaccia appunto la testa del Serpente, il satanismo maschile, e proclama il trionfo della vergine solare per bocca del satanismo femminile. Tutto questo – e parecchio altro, non è questa la sede per iniziare i lettori – si declina poi in una serie di rituali e pratiche sessuali (ritenzione del seme, sua assimilazione e altre, fino alla citata pendaison); e il primo compito della sacerdotessa sarebbe mettersi al centro di un gruppo di uomini e donne animati da desiderio sessuale, captarne le emanazioni e usarle magicamente, in particolare nei grandi riti del Terzo Termine. Un quadro meno eccitante del previsto, commenta qualche linguaccia, a fronte dell’età un tantino matura delle signore coinvolte.

La riflessione teologica di cui sopra conduce a un mutamento anche nelle posizioni politiche di Maria. Un articolo su “La Flèche” dal tema Il “bolscevismo” è compatibile con la dottrina del Terzo Termine della trinità? sottolinea l’abisso tra le due letture della realtà (15 febbraio 1933, n. 15) contestando la concezione sessuale del bolscevismo che difenderebbe il piacere fine a se stesso; e in seguito la Nostra si allontanerà ancora, verso suggestioni teocratiche nel segno della sua peculiare interpretazione trinitaria. Le sue accuse colpiscono anche i nazisti e lo stesso ebraismo nell’atteggiamento dei suoi fedeli verso le partner cristiane: dove non è difficile cogliere qualcosa della sua storia personale. Non entriamo qui peraltro nella complessa questione del rapporti di Maria col mondo ebraico.

Aiutata economicamente dal figlio André che negli anni ha fatto la spola tra lei e il padre, Maria vive in una spoglia cameretta all’Hotel de la Paix, al 225 di boulevard Raspail, dove talora riceve ospiti seduta compostamente sul letto, in un sentore di castità assoluta. Ma la sua base operativa sono caffè e brasserie: prima “La Rotonde”, mitico punto di ritrovo degli artisti di Montparnasse, poi nello stesso quartiere “La Coupole”, il caffè degli occultisti che brulica di stranieri, altro luogo leggendario della cultura parigina (inaugurato nel 1927, bazzicato da gente come Cocteau, Joséphine Baker, Man Ray, Georges Braque, Picasso e tanti altri), comunque locali dove attira abbastanza interessati da garantirsi moderate consumazioni a spese dalla direzione. La si incontra a un tavolino con una tazza di cappuccino davanti, una brioche oppure un panino (di necessità mangia poco) e una quantità di carte e trafiletti di giornale, mentre medita a occhi socchiusi, scrive oppure – la sera – intrattiene fumando un pubblico variegato. Oltretutto, con l’antica formazione da giovane aristocratica, è in grado di intrattenere gli interlocutori in un certo numero di lingue. Riceve anche all’American Hotel (15, rue Bréa) e ogni giorno si ritira alla chiesa di Notre-Dame des Champs nel cuore di Montparnasse – cioè proprio nell’area dove è certa debba avvenire il passaggio dal Secondo al Terzo Termine – per pratiche di meditazione. Come lei spiega, le chiese cristiane, votate al Secondo Termine della Trinità, permettono di assorbire la forza da lui lasciata: e suggerisce anche una particolare tecnica.

Frequentatissimi sono poi gli incontri del mercoledì al vicino Studio Raspail (36, rue Vavin), più noto come cinema: ed è lì che in una saletta conferenze il 5 febbraio 1835 riesce finalmente a celebrare il rito-chiave del suo culto, quella Messa d’Oro in cui rivivere liturgicamente il calvario di Satana. In quel rito tre uomini dovrebbero compiere un concreto rito sessuale con quattro donne, ma sembra non venga mai celebrato: in questa versione preliminare, l’elemento sessuale è reso in forma solo simbolica. Tranquillizzati dal tenore più morigerato, vediamo di che si tratta.

L’arredo della sala consiste in un paio di quadri illustrativi delle idee di Maria, un altare lievemente rialzato e un seggio dove La Sophiale è assisa abbigliata d’oro e coronata: e di fronte, in penombra e con le spalle al pubblico, si ergono i due iniziandi. Uno recita il poema liturgico, poi la sacerdotessa offre loro del vino che benedice dopo un canto corale, annunciando che la forza trasformatrice che è in lei si unisce al principio virile dei due; e la fase successiva la vede proiettare sui fedeli quell’energia sessuale (con grande emozione di alcuni in sala). Poi la sacerdotessa si adagia sull’altare, uno degli iniziandi recita la dichiarazione dell’ammesso al battesimo del Terzo Termine della Trinità, i due bevono il vino e gettano ritualmente a terra le coppe vuote. Quindi il figlio della celebrante – sempre André, che a differenza degli altri resterà un po’ all’ombra del ricordo della madre –  illumina la sala, Maria si rialza e provvede a lavare i piedi degli iniziati aggiungendo una speciale magnetizzazione perché il cammino nel pantano del mondo non nuoccia; infine li asciuga, torna a sedere sullo scranno e annuncia per ognuno dei due la promozione al grado di Spazzino (in senso interiore – la traduzione che a volte si trova, Scopatore, rischia d’essere fraintesa), “Che il coraggio sia con lui”… e a ciascuno consegna la relativa patente. Al termine di questo rito a metà tra reinvenzione liturgica e film di Jean Rollin (ma molto scenografico, i testimoni trovano esteticamente bellissime le sue celebrazioni) dichiara che, con quei primi due iniziati, la religione del Terzo Termine della Trinità è effettivamente costituita. Poi tutti raggiungono “La Coupole” per festeggiare…

Evola stigmatizzerà infastidito ne La metafisica del sesso l’intenzione di Maria di scandalizzare a tutti i costi i lettori con richiami satanici; ma il Satana di Maria non ha nulla in comune con quello biblico e quello della vulgata, e neppure con quello del satanismo coevo. E per capire qualcosa del pensiero naglowskiano dobbiamo tenere presenti vari elementi.

Per quanto formata nell’ortodossia della Chiesa russa, Maria viene da un mondo che rimprovera da sempre all’Occidente l’eccesso di misura in materia spirituale: un mondo dove la mistica conosce esperienze spesso estreme, dove l’idea di aggregare il Femminile alla Trinità ha assunto forme diverse (per esempio promuovendo la Sophia/Sapienza a Quarta Persona), dove il Grande Santo flirta talora con il Grande Peccatore – fino a espressioni spiazzanti, orgiastiche o comunque da noi considerabili oltre le righe di qualunque spiritualità presentabile. Si discute se Maria attinga all’esperienza dei Chlysty, una strana setta russa che immette in un esagitato misticismo cristiano elementi orgiastici pagani; o se abbia conosciuto Rasputin (come sostiene, ma negando di esserne stata ispirata) o magari Gurdjieff (a Parigi negli stessi anni, potrebbe aver ispirato alcune sue idee). Ma anche a prescindere da influssi diretti di singoli iniziatori dell’est, nel suo strano gnosticismo fai-da-te sembra di cogliere l’eredità di un più vasto e sfuggente panorama di sincretismi da oriente e di filoni eretici dei grandi monoteismi.

D’altra parte si è ipotizzato con qualche buon motivo che alla base delle idee di magia sessuale dell’autrice possa riconoscersi un più puntuale rapporto con gruppi neognostici francesi: e in particolare il riciclaggio di idee del clandestino Cenacle d’Astarté fondato nel 1920, che vedeva nella Donna Divina proprio la terza ipostasi dell’Assoluto e aveva come simbolo un sesso femminile (riprodotto in forma molto astratta, un triangolo col vertice in basso da cui spunta una rosa) simile a quello offertole dal fantomatico monaco a Roma. Lo stesso epiteto gnosticheggiante La Sophiale potrebbe venire da lì. Visto che la Ville Lumière brulica al tempo di occultisti ed esoteristi e che oltretutto tra il 1932 e il 1934 vi è esploso il caso “satanico” de L’Eletta del Dragone (edito 1929, presunto memoriale di una dark lady, Clotilde Bersone, agli alti gradi dell’altrettanto presunto massonismo satanico e in realtà divertente feuilleton) è probabile che il sistema di Maria sia una sorta di patchwork di molti spunti, cuciti col filo di peculiari provocazioni d’ambiente. Se c’è una vera Eletta del Dragone, come argomenta Massimo Introvigne con un po’ di ironia, è in fondo proprio lei.

Sulla base per esempio di articoli del 1931-32, Vittorio Fincati – lo studioso che, con Introvigne, in Italia si è forse più occupato di Maria – ipotizza anzi che, come la Confraternita dei Polari e altri occultisti d’epoca, anche la Nostra fosse in attesa di un’epifania fatale per l’anno di fuoco 1933: qualcosa che potrebbe inquadrare tutta la sua opera, forse sulla base di un evento medianico-evocatorio consumatosi in Egitto – come già avvenuto a Crowley – o piuttosto in Russia al tempo della sua gioventù. Il non verificarsi della crisi mondiale apocalittica diffonderà nei gruppi perplessità o sollievo: ma considerando che proprio nel 1933 Hitler arriva alla Cancelleria, si potrebbe sospettare un fraintendimento sulla natura dell’epifania. Maria comunque vede l’ascesa al potere di Hitler come evento apocalittico, la venuta dell’Angelo della Morte, grave per tutti ma soprattutto per gli ebrei: lo scrive su “La Flèche” proprio nel fatale 1933.

Ma accanto o piuttosto insieme a tentativi di spiegare il pensiero naglowskiano nel segno dell’antropologia religiosa, devono probabilmente ravvisarsi altre chiavi. Senza azzardare psicanalismi superficialotti (il profilo di Maria resta troppo sfuggente per presumere di analizzarlo in termini credibili), i suoi rituali francamente estremi pongono almeno qualche domanda sul suo personale orizzonte di fantasie. Ora, a parte l’influsso di sessuologi eccentrici come Camille Spiess, altre sue letture risultano ben più imbarazzanti: e in particolare i testi (li traduce lei in francese?) dell’austriaca istriana Edith Cadivec, una dominatrix in realtà non semplice estrosa sessuale ma vera e propria criminale, responsabile di violenze su minori, processata nel 1924, e sulla quale la Nostra espone invece su “La Flèche” un giudizio spiacevolmente elogiativo. Fincati potrebbe aver ragione nel ravvisarvi un nesso con alcune fantasie sadiche di Maria, che pure è tutt’altra persona da Cadivec. Nel contesto di una vita tanto provata, a monte delle trovate rituali naglowskiane si può insomma ipotizzare sensatamente anche una sghemba dimensione di personalissime pulsioni: fantasie come di là da uno spioncino, et de hoc satis. Dopo la morte di lei, del resto, sua figlia farà piazza pulita di almeno una valigia di materiali imbarazzanti.

Ma oltre a questi due fronti – le agenzie culturali di formazione e le tortuosità di un mondo interiore – si può serenamente considerarne un terzo, più pragmatico. La vita di Maria è tutta una battaglia contro difficoltà spaventose, anzitutto economiche ma anche di sradicamento, di lotta per i propri affetti, di apertura di spazi che una donna intelligente, talentuosa e fantasiosa non trova soddisfatti in professioni sottopagate ed entro limiti sociali angusti. L’identità che si costruisce permette forse di vedere se stessa in un modo diverso: un’autofiction dove ricomporre frammenti di sé e insieme raccogliere attenzione, stima e devozione che le erano state rifiutate. Certo, Maria non lucra, e la sua vita è così costretta nella guaina che si è costruita da trovarsi vincolata a uno stile di vita povero e per certi versi ascetico. Ciò che spiegherebbe anche il suo continuo ravvisare miracolosi segni confermativi in eventi in sé banali, e persino il suo raccontare versioni aggiustate della propria esistenza o vere e proprie panzane. Del resto, nella sua lettura del Genesi, Dio/Vita ha creato Verità & Menzogna, Origine & Apparenza, e solo così la vita andrebbe avanti, dialetticamente: la sola Verità la annienterebbe, la sola Apparenza la bloccherebbe. A quel punto, le verità aggiustate avrebbero un senso.

Maria gioca anche, plausibilmente, con ciò che gli interlocutori vogliono leggere nelle sue parole. È probabile che le frasi ambigue da lei usate (il suo stile è francamente elusivo) vengano “chiarificate” alla meglio dai giornalisti che devono riassumerle. Il fatto che sostenga di essere d’origine polacca, e che la sua famiglia avesse un castello nei Carpazi distrutto durante la Grande guerra (ad ascriverla idealmente alle Indie d’Europa come una vampira letteraria?), non sembra proprio risponda a verità, ma potrebbe anche costituire la sintesi di mezze frasi un po’ vaghe e un po’ fraintese dal giornalista. Che abbia ricevuto un’iniziazione fin da ragazzina e conosciuto Rasputin non è dimostrato, ma non appare così implausibile – e vai a sapere cosa le informazioni implichino in concreto. La storia poi di aver impalmato un tal signor Naglowski, ricco polacco, col quale sarebbe vissuta nel Caucaso, è chiaramente una balla: ma su pagine desolanti come quella del suo matrimonio è anche più comprensibile che Maria preferisca glissare, inventare, riscrivere.

Insomma, impossibile far di lei un santino, perché pesanti dosi di ambiguità le restano addosso: ma è intrigante cercare di capire una figura storica che non agisce come noi avremmo fatto e i cui frequentatori – salvo qualche devoto – a un certo punto si sono defilati in massa. Coi chiaroscuri e i misteri di una vita come in palcoscenico, Maria sarebbe un grande personaggio teatrale: o eventualmente da film, a recuperare non le scene erotiche (che potrebbero serenamente restare implicite) ma i dialoghi sfuggenti nei caffè degli artisti, i rapporti con un mondo che sta sfarinandosi verso la tragedia o il gioco delle sue espressioni – concentrata, ostinata, delusa, furbetta – di fronte agli intervistatori. O a recuperare, ancora, episodi come quello che segue, dove la parte hard (diciamo così) è velata dal buio.

Tra le persone che a Parigi aprono le porte a Maria c’è l’americana Gladys (probabilmente uno pseudonimo), attratta pare più dagli aspetti pruriginosi che da quelli disinteressatamente magici. Con Maria e un malassortito gruppo di discepoli, il giornalista testimone raggiunge lo studio di Gladys e della sua amica Liliana, boulevard Edgar-Quinet: e lì tra arredi in baudelairismo Kitsch, Champagne ed etere dietilico, dovrebbe svolgersi un rito sessuale. Maria acconsente a bere: lo Champagne fortificherebbe i nervi, agevolando la comunicazione coi piani invisibili, ma a differenza dei compagni si bagna appena le labbra. Quindi passano alla celebrazione. Formano la catena, si concentrano come riescono dato il grado d’etile, il giornalista trova l’atmosfera poco seria ma La Sophiale sembra voler raccogliere tutti i fluidi circolanti nello studio. Dopo una mezz’oretta, attraendo verso di sé Liliana e ammonendo sulla pericolosità del momento, prende a gesticolare attorno alla testa di lei: quindi ansima di vedere la sfera, la colonna luminosa e qualcuno afferma di scorgere una testa di fuoco. A quel punto Maria si spoglia, restando in sottoveste rossa – niente di erotico, sottolinea il giornalista – e si corica a terra ponendo la testa tra i piedi di Liliana: salvo poi balzare in piedi con un grido selvaggio spegnendo la luce. A rischiarare lo studio ora buio, resta solo un treppiede con carboni ardenti e grani d’incenso: e in quelle tenebre, salvo La Sophiale che assorbe le energie come una spugna, i partecipanti si dedicano a ben altro tipo di estasi. Quando però il giorno dopo Maria incontra il giornalista, gli chiede se abbia trovato impressionante la testa di fuoco condensata tra le sue mani, e pronta a rispondere alle sue domande… Ovviamente quello è costretto ad ammetter di non aver visto né colonne luminose né teste di fuoco, ma la stranita Maria gli sembra del tutto in buona fede. Sta facendo la commedia? Ha vissuto tutto in forma di autoipnosi? Ha semplicemente visto – magari con occhi tutti interiori – qualcosa che altri non vedono? Ovvio che per noi resti estremamente difficile interpretare il suo personaggio; e tanto più perché il devoto biografo Marc Pluquet crede letteralmente a tutto ciò che lei dice.

Il fatto è che, con il suo carisma e il suo stile di semplicità che potrebbe flirtare con la recita, Maria affascina, aprendosi spazi in un mondo che resta patriarcale anche tra gli esoteristi (in quanto donna, i giudizi su di lei saranno sempre più duri e sprezzanti che su colleghi maschi intenti in simili pratiche): e il suo épater le bourgeois le permette di fare il pieno di pubblico, di attrarre spiriti inquieti, di giocare – diciamolo pure – anche sulle fregole degli interlocutori. Sia o meno suo amante per un periodo (qualcuno lo dice, non è importante) Evola che farà tanto il disinvolto in materia sessuale sarà però cautissimo nel raccontare quanto abbia collaborato con lei, marcando distanza nei resoconti: ma se al tempo fosse stato tanto infastidito, l’atteggiamento sarebbe stato diverso. Certo nella versione virilista di Evola – virilista fino alla caricatura – l’idea di una papessa del sesso, con un’autorità non intimidita dal falloforo tantrico, resta radicalmente indigeribile.

Potremmo aggiungere ancora un tassello. A saldare il quadro sfuggente di cui sopra potrebbe essere in fondo un ulteriore elemento d’epoca, il gusto della provocazione surrealista: per Maria non tanto a livello di adesione teorica, quanto di partecipazione a un clima dove i surrealisti (che bazzicano, ricordiamolo, i suoi incontri) esaltano proprio figure femminili estreme ed eccessive, femmine folli dai sadici riti o o dagli occhi perduti in estasi strane. La teologia di Maria sembra uscita da Une semaine de bonté, e del resto la sua influenza sul surrealismo, il suo posto nella galleria del surrealismo femminile verranno rimarcati anche a distanza di parecchio tempo in studi artistici.

Per non parlare della ripresa delle sue provocazioni in chiave musicale: un legato con ricadute anche recentissime, perché Maria continua a intrigare. Penso alla canzone La Sophiale de Montparnasse di Devis Granziera, leader del progetto musicale Teatro Satanico, e forte della straordinaria voce di Laura Agerli, nel bell’album Friends & Fiends (2016) che raccoglie tracce ispirate o dedicate a personaggi “forti” (molto vari, da Ulrike Meinhof a Leonarda Cianciulli). Oppure a María de Naglowska (“Un pedestal se erige eterno / sobre la piedra negra / que porta tu pecho hoy / que porta tu pecho hoy / y la lucha / te a María…”) nel progetto solista Niebla di Esteban M, musicista, cantautore, compositore e produttore argentino (2018).

L’età della Sophiale dura fino al 1936. Quell’anno una sua conferenza sul coito magico suscita un’incriminazione per oltraggio alla pubblica decenza: a sollevarla è un privato, tal capitano di corvetta Guibaud, sentitosi personalmente offeso – c’è gente così – davanti al manifestino del dibattito in una bacheca del Club du Fauburg (dove Marie si è spostata, la saletta dello Studio Raspail non basta più per gli ascoltatori). Il sensibile Guibaud vince in primo grado ma perderà in appello.

Però nell’aria c’è qualcosa di ben più serio: e sulle soglie di quell’anno Maria, sembra in seguito a un sogno in cui avrebbe presentito anche la propria morte, profetizza la rovina del Secondo Conflitto. Fino a quel punto gli uomini sarebbero liberi di scegliere la Luce o le Tenebre, ma nel ’36 le due correnti contrarie – destinate a contribuire con il loro scontro a una trasformazione più ampia – raggiungerebbero una forza tale da imprimere invincibilmente un corso alle singole vite: e la guerra si imporrà come inevitabile. Auspicando la salvezza per il popolo francese, ma già certa che oltre i confini il combattimento sarà atroce, La Sophiale esorta a formare una schiera che offra al mondo desolato futuro la Parola vivificante del Terzo Termine… Poi saluta i discepoli spiegando che la sua missione è conclusa, passerà parecchio tempo prima che il suo magistero venga apprezzato; e si trasferisce presso la figlia a Zurigo. Il motivo – qualcuno ipotizza, pensando al caso Guibaud – potrebbe essere diverso, il timore di essere arrestata per reati contro la morale; ma tendo a credere di più che colga in sé qualcosa che non va. E infatti se non è nel 1936 che scoppia la Seconda Guerra Mondiale (ma inizia la guerra civile spagnola, che ne è un po’ l’anticamera), è pur vero che l’ultimo combattimento per Maria si consuma quell’anno: il 17 aprile muore infatti a Zurigo a soli 53 anni. La voce di una sua scomparsa a Parigi durante la Seconda Guerra Mondiale, eventualmente deportata dai tedeschi per l’antico matrimonio con un ebreo, è insomma l’ennesima leggenda.

Come da lei profetizzato, le sue opere trovano circolazione piuttosto limitata fino ad anni recenti, quando (2011-12) verranno tradotte per la prima volta in inglese da Donald Traxler per Inner Traditions. Ma il testo che la fa maggiormente conoscere, sia pure non come autrice ma traduttrice ed esperta della materia, paradossalmente è il primo: quel Magie sexualis comparso nel 1931 per i tipi Robert Télin, e la cui storia merita un discorso a parte.

(2 – continua)

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