Nuclei Armati Proletari – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Le mele “marce” https://www.carmillaonline.com/2017/06/14/le-mele-marce/ Tue, 13 Jun 2017 22:02:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38842 di Fiorenzo Angoscini

Giorgio Panizzari, L’albero del peccato, Colibrì edizioni, Paderno Dugnano (Mi), marzo 2017, pp. 208, € 14,00

Quella condotta dall’autore in questa ricostruzione criminologica, economica, sociale e politica sul proletariato marginale ed extralegale, è una ricerca-contributo realizzata dall’interno, in presa diretta ed in prima persona. Per questo è necessario soffermarci sulla biografia di Panizzari e sulla genesi del suo lavoro.

Ragazzo di strada, potenziale ergastolano Giorgio Panizzari nasce e cresce in una delle ‘barriere’ operaie e popolari di Torino. Adolescente durante l’inizio degli anni ’60, quelli del boom economico, della seicento, della lavatrice, della televisione comprata a riscatto [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Giorgio Panizzari, L’albero del peccato, Colibrì edizioni, Paderno Dugnano (Mi), marzo 2017, pp. 208, € 14,00

Quella condotta dall’autore in questa ricostruzione criminologica, economica, sociale e politica sul proletariato marginale ed extralegale, è una ricerca-contributo realizzata dall’interno, in presa diretta ed in prima persona.
Per questo è necessario soffermarci sulla biografia di Panizzari e sulla genesi del suo lavoro.

Ragazzo di strada, potenziale ergastolano
Giorgio Panizzari nasce e cresce in una delle ‘barriere’ operaie e popolari di Torino. Adolescente durante l’inizio degli anni ’60, quelli del boom economico, della seicento, della lavatrice, della televisione comprata a riscatto e che funzionava con l’introduzione delle cento lire, come i jukebox, e quando esauriva la carica di tempo (decine di minuti) le trasmissioni si interrompevano, lo schermo diventava nero e se volevi continuare a ‘goderti’ lo spettacolo, dovevi introdurre nell’apposita fessura altre monete. Il fasullo benessere economico aveva beneficiato anche le fasce a reddito medio-basso della popolazione italiana. Ma non tutta.

Rimanevano esclusi i soliti, gli ultimi in tutti i sensi, i senza lavoro, i nuovi disoccupati, gli emarginati politici e sociali. O anche quelli che non volevano sottomettersi al giogo di un lavoro alienante, ripetitivo e che ritenevano inutile. Nascevano e crescevano le bande irregolari di quartiere (batterie o ‘batere‘)composte prevalentemente da giovani non ancora lavoratori garantiti, non più ‘scolarizzabili’ per loro rifiuto, anarchici nel senso di contrari ad ogni forma di potere costituito, ribelli refrattari ad ogni legge. Piccola malavita che ‘delinque’ per sopravvivere, alcuni dei suoi componenti anche perchè non volevano, e non sopportavano, l’idea di svolgere un lavoro in cattività. Panizzari è uno di questi nuovi proletari emarginati: un teppista di strada.

Compie scippi, furti e rapine. A 15 anni varca per la prima volta le soglie di un istituto punitivo: il carcere minorile Ferrante Aporti. Poi, il reparto di “Osservazione” adiacente alla Casa di Rieducazione e, successivamente, viene ospitato nella Casa Benefica per Giovani Derelitti a Pianezza, nella cintura periferica torinese. Da questa ‘benefica’ istituzione decide di fuggire, così, quando lo riacciuffano, viene classificato come “socialmente pericoloso” ed assegnato,”per motivi di sicurezza”, ad una Casa di Rieducazione: il correzionale di Bosco Marengo (To), il peggiore del nord Italia.

Tra scarcerazioni, evasioni e nuovi arresti, arriva all’età di 17 anni (giugno1967), quando lo arrestano nuovamente, affibbiandogli l’articolo 10: irrecuperabilità sociale. Questo gli evita l’internamento in una Casa di Rieducazione e lo rispediscono al “Ferrante Aporti”. Ma la sua “irascibilità” viene curata con l’invio al Centro di Osservazione Manicomiale delle Carceri “Le Nuove”. Appena compiuti i 18 anni (ottobre 1967) viene arrestato con l’accusa di furto in un deposito di pellicce e rinchiuso proprio a “Le Nuove”.

Nel reclusorio torinese conosce e stringe amicizia con Giuseppe Avattaneo, comandante ‘Caino‘ “ex Partigiano temutissimo da guardie e detenuti…Finita la Resistenza, ‘Caino’ l’aveva continuata per i fatti suoi, andando a scovare alcuni collaborazionisti, gente che aveva torturato Partigiani nella famigerata caserma di via Asti, e li aveva poi ‘giustiziati’ con l’aiuto di qualche altro Partigiano”.1 Dai 15 ai 20 anni, resta libero per non più di due anni.

Nell’aprile del ’69 è tra i protagonisti della prima grande protesta carceraria, quella di Torino-Le Nuove. Dopo la rivolta arrivano i trasferimenti in massa. Panizzari intervalla brevi soste in carceri ‘normali’, per poi essere inviato al Manicomio Criminale di Montelupo Fiorentino (Fi). Esce, ma nel 1970, a 21 anni, si costituisce volontariamente per chiarire che non era il responsabile della rapina e omicidio di un orefice. “E’ innocente, sostiene, e si difende vigorosamente. I giornali però lo hanno trasformato in un mostro. Il duello è impari. Da una parte la memoria di un agiato cuneese, dall’altra la presenza di un teppista, un balordo che comunque deve essere messo in grado di non nuocere. Per quattro anni Panizzari si batte, studia legge, imposta la sua difesa, raccoglie testimoni e testimonianze, accetta di essere sottoposto a test psicologici, sempre con la speranza che la società potrà così convincersi della sua verità. Ma per la società un criminale per di più intelligente è insopportabile, è una dimostrazione di colpevolezza”.2 La condanna è: ergastolo! “…dopo che mi ero volontariamente costituito per costrngermi a ‘confessare’ una rapina e un omicidio che non avevo commessi”.3

In appello e Cassazione la pena viene confermata. Panizzari inizia il suo peregrinare tra le varie carceri del ‘Bel paese’, da nord a sud e viceversa, isole comprese. In carcere incontra Adriano Sofri, Guido Viale, Pio Baldelli (‘vittime’ di manifestazioni di piazza e colpevoli di aver compiuti reati d’opinione), Agrippino Costa (‘liberiamo il compagno Costa, rubava quadri da vero artista‘ ), Fiorentino Conti (responsabile della commissione carceri di Lotta Continua). Ad Augusta (Sr) ‘politicizza’ il cappellano del carcere, Padre Giardina, “…un tipo simpaticissimo che accettava di fischiettare ‘Bandiera Rossa‘ in cambio di un salsicciotto e di un bicchiere di vino”.4

Si rapporta con i primi collettivi carcerari: interni (Le Pantere Rosa) ed esterni (I dannati della terra di LC e con i NAP). A Porto Azzurro ritrova il torinese Martino Zicchitella e conosce il ‘torinese’-immigrato Sante Notarnicola. Quando è in ‘cura’ (1974) presso il Manicomio Criminale di Aversa (Cs) lo raggiunge la triste notizia della morte di due suoi Compagni militanti dei Nuclei Armati Proletari, Luca Mantini e Giuseppe ‘Sergio’ Romeo, uccisi durante il tentativo di esproprio di una banca fiorentina pianificato dall’organizzazione.5

Partecipa a rivolte e tentate evasioni: la più ‘possibile’, comunque fallita, quella di Viterbo (maggio 1975, in pieno sequestro Di Gennaro, magistrato di Cassazione, della direzione generale degli istituti e pena del Ministero di Grazia e Giustizia) insieme ad altri due ‘nappisti’, Martino Zicchitella e Pietro Sofia. Quando, luglio 1977, viene ufficializzato il circuito delle carceri speciali, è già detenuto nell’isola dell’Asinara (Ss) dove era arrivato da Poggioreale (Napoli), in cui era stato appoggiato per il processo ai NAP, che gli frutterà la condanna a 16 anni e quattro mesi di reclusione in più.

Dopo il sequestro Moro (16 marzo 1978) è tra i militanti dei Nap, con i soli Pasquale Abatangelo e Domenico Delli Veneri, che aderiscono alle Brigate Rosse. A distanza di un anno anche quasi tutti gli altri militanti dei Nap entreranno nelle BR. Dopo la Settimana Rossa (19-26 agosto 1978 e 21-23 settembre 1978), il 2 ottobre 1979 iniziò la ‘Battaglia dell’Asinara’, “…una lotta che la stampa e i mezzi d’informazione ignorarono accuratamente ‘per ordini superiori’6 e quando i rapporti si deteriorarono sino, quasi, alla rottura, Giorgio Panizzari venne individuato e ‘nominato’ rappresentate dei detenuti per condurre la trattativa con le autorità. A questo proposito è significativa la versione di Pasquale Abatangelo;7…tentammo un riavvio della trattavia, ottenendo di parlare con il sostituto procuratore di Sassari, che era giunto precipitosamente sull’isola. Giovanni Mossa, così si chiamava il magistrato, fece la mossa di accettare il confronto, a condizione di incontrare un nostro delegato. Mandammo Giorgio Panizzari, che era abituato alle missioni impossibili”.

Ancora, sempre da ‘Correvo pensando ad Anna‘, parlando delle diverse caratteristiche e personalità dei detenuti politici e/o politicizzati, scrive “Non spiccavano intellettualmente come Giorgio Panizzari, che a Palmi sapeva tenere a bada brigatisti saccenti e pieni di boria”.
Panizzari, come riconosciuto dal suo Compagno, prima nei Nap, poi nelle Brigate Rosse, il teppista, emarginato e marginale, sapeva coniugare la ‘pratica con la grammatica’, era in grado di svolgere il ‘lavoro intellettuale e quello manuale’.

Proprio nel carcere calabrese, il ‘balordo’ proveniente dalla barriera torinese, incrocia intellettuali e professorini con cui molti volevano regolare i conti: “Ma si riuscì a non ‘fare nessun conto’, nemmeno nei confronti dell’ineffabile Toni Negri, che di ‘storiacce’ alle spalle-e di conti da regolare-ne aveva parecchie e con molti già a quel tempo”,8 ma non è tenero nemmeno con l’antagonista del professore padovano, Alberto Franceschini (che prediceva a Negri la stessa fine di Horst Mahler, ex militante della Raf che era finito a collaborare con il ministero degli Interni…o che si sarebbe suicidato, incapace di affrontare il duro peso della galera) a quel tempo ‘suo’ Compagno: “A posteriori, verrebbe da dire che l’Oracolo Franceschini parlava anche di sé…” .9

Nel corso del 1981 le Brigate Rosse si scindono in Partito Guerriglia e Partito Comunista Combattente dopo uma battaglia furibonda, feroce, accanita e incanaglita all’interno dello ‘speciale’ di Palmi. Panizzari non aderì a nessuno dei due tronconi. “La mia personale posizione era da tempo quella che fu poi assunta dalla frazione ‘Partito Guerriglia’, ma non ritenevo assolutamente che la reale forza socio-politica e quella politico-militare del gruppo che andò poi sotto quella sigla potesse mai minimamente realizzare le tesi e i programmi politici che aveva fatto propri…Per paradosso furono proprio i compagni della frazione PCC, pur consapevoli delle mie posizioni assai diverse dalle loro, che mi chiesero di rimanere con loro anche da posizioni di minoranza , e che soprattutto non mi fecero mancare-come neppure io a loro-un rapporto di immutata stima e rispetto, anche in presenza della più aspra divergenza politica”.10

Ormai, Panizzari, è un cane sciolto, un senza partito. Come ultimo atto di militanza politica sintetizza le sue posizioni in ‘sei tesi’ (L’albero del peccato in nuce?) che divulga dentro e fuori dal carcere. Poi ritorna nell’alveo del solo personale, inizia una lotta contro il sistema martirizzando il proprio corpo. Nel 1983, mentre era ospitato nel penale di Potenza, si taglia la parte inferiore della lingua che gli provoca l’insensibilità permanente di una sua parte. Tornato a Palmi, per protestare contro le limitazioni della vita sociale cui era sottoposto (come tutti gli altri detenuti), nel novembre del 1984 si cuce la bocca e i genitali.

Proprio per la drammaticità e crudezza di tale iniziativa utilizziamo la sua testimonianza diretta: “Mi procurai un ago per suture chirurgiche e del filo biologico, e una sera mi cucii la bocca con quattro punti poco sopra le labbra; quindi mi cucii la pelle del cazzo alla sommità con altri tre punti. Poi ripresi la mia vita di sempre…mi ero cucito bocca e uccello per sperimentare e verificare una cosa della quale ero convinto: che sarebbe stata la stessa cosa!, che non avrei apprezzato alcuna differenza tra corpo cucito e corpo non cucito…Che la bocca l’avevo cucita in quanto fonte e organo principale della comunicazione linguistica, logico-razionale, e il cazzo quale fonte principe (ma non certo la sola) di una comunicazione del corpo, dei suoi sentire, dei suoi desideri…Questo sostenevo. E certo non solo (e non principalmente) per via della condizione carceraria di Palmi”.11

Nel 1993, dopo 23 anni di carcere continuativo, ottiene la semilibertà e il lavoro in una cooperativa informatica. Nuovamente arrestato con l’accusa di aver compiuto tre rapine in banca nell’area romana, viene assolto in Corte d’Appello, ma la semilibertà revocata non gli viene ‘restituita’, per protesta inizia uno sciopero della fame. Nel 1998 il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, gli concede la grazia parziale, richiesta per lui da altri.

Nel dicembre 2000 è nuovamente arrestato per una rapina alla filiale di Todi (Pg) del Monte dei Paschi di Siena. Attualmente è in semilibertà e torna a ‘pernottare’ nel carcere di Bollate (Mi).
Oltre a “L’albero del peccato” ha scritto “La danza degli aghi” (1986) “…il carcere è fatto per questo , per sorvegliare e punire quello che non è addomesticabile secondo le regole del tempo in cui ci è dato vivere” (Rosella Simone);12 la sua autobiografia, “Libero per interposto ergastolo” (1990), “Il sesso degli angeli. Nel labirinto della sessualità carceraria” (1991): “Dieci storie vere, tra mimetismo, sublimazione e dramma, di ordinaria follia carceraria, con al centro la grave, scabrosa, tormentosa deprivazione sessuo-affettiva dei detenuti. Omosessualità latente, masturbazione, autorepressione, alienazione: lo schizofrenico limbo dei “corpi del reato”, condannati anche e soprattutto a un’impossibile eterosessualità e a un’omosessualità comunque inibita e “vietata”. In appendice, un sondaggio tra i detenuti, e la drammatica vicenda di un carcerato transessuale“. (Centro di Documentazione Studi e Ricerca sulla Cultura Laica Piero Calamandrei).13

La pianta e i ‘frutti’ proibiti
Una prima versione, ridotta e parziale rispetto all’edizione attuale, di “L’albero del peccato” è stata pubblicata nel settembre 1983 a cura del Collettivo Rebelles di Parigi e stampato presso ‘L’ateliers graphiques’ di Bruxelles. La firma dell’autore era: Collettivo Prigionieri Comunisti delle Brigate Rosse. Sostanzialmente la quasi totalità dei militanti BR detenuti nel carcere di Palmi (Rc). Un ‘foglietto volante’, inserito all’interno del libro (sicuramente successivo alla stampa dello stesso, quasi come rettifica, preventiva o tardiva?) spiegava le ragioni, la natura ed indicava i tempi di realizzazione dello scritto. “Questo scritto esce a stampa a tre anni di distanza della sua stesura (che risale al dicembre ’80/gennaio ’81) e per iniziativa del Collettivo Rebelles a causa delle difficoltà frapposte dallo stato italiano alla sua pubblicazione”.

Precisava anche che: “Dal tempo della sua stesura ‘molta acqua è passata sotto i ponti’ sia per il movimento rivoluzionario sia per la controrivoluzione. Il centro dello scontro nel movimento rivoluzionario italiano attualmente si è spostato su temi diversi per molti aspetti da quelli trattati nel libro: la sua pubblicazione in questi mesi potrebbe addirittura essere sentita, a torto, come una presa di posizione del ‘Collettivo Rebelles’ a favore delle correnti ‘soggettiviste’ che si ostinano ancora a porre il proletariato prigioniero come soggetto centrale del movimento rivoluzionario o addirittura a costruire una immagine della società metropolitana a somiglianza di un grande penitenziario…Niente di più estraneo a noi di ciò”.

Da questa quasi presa di distanza dal contenuto del libro, si intuisce come la realizzazione, pubblicazione e diffusione sia stata ‘contrastata’, ed abbia incontrato, probabilmente, forte opposizione politica in campo ‘rivoluzionario’. Come sopra ricordato, nel corso del 1981, le Brigate Rosse si scindono in due tronconi: Partito Guerriglia, i cui principali esponenti e propugnatori sono Renato Curcio e Alberto Franceschini (a questa ‘corrente’, come ricorda Pasquale Abatangelo in “Correvo pensando ad Anna”, aderisce la quasi totalità dei militanti prigionieri); e Partito Comunista Combattente che ha come autorevoli referenti, tra gli altri, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti. Successivamente, alcuni ‘guerriglieri’, Pasquale Abatangelo tra loro, abbandonano la compagine ed aderiscono al PCC.

Tornando alle ‘giustificazioni’ accompagnatorie del Rebelles all’ “Albero”, si concludono così: “Riteniamo utile la sua pubblicazione come strumento per sostenere l’alleanza della classe operaia e dei suoi organismi rivoluzionari con le masse proletarie ‘emarginate’ delle metropoli imperialiste e con i popoli oppressi e sfruttati del Terzo Mondo”.
La struttura della pubblicazione è suddivisa in sei capitoli (tesi) ben definiti e argomentati: I) Le origini e le caratteristiche strutturali del proletariato extralegale; II) Le forme d’organizzazione, di lotta e di coscienza dell’extralegalità; III) Carcere e politica penitenziaria; IV) Carcere e movimento politico del proletariato prigioniero; V) Quattro tesi politiche; VI) Elementi di programma.

Di questo contributo teorico parla anche Pasquale Abatangelo:14Da Palmi era uscito un volume, intitolato ‘L’albero del peccato’, che riuniva i materiali di un lungo lavoro iniziato all’ Asinara (probabilmente si riferisce al cosiddetto “Documentone” e a quello che si considera la sua continuazione ed ampliamento: “L’Ape e il Comunista “ n.d.a.)15nel quale la trasformazione storica dei volti della criminalità veniva proposta come chiave interpretativa del destino del proletariato metropolitano”.

A questi elaborati si affiancano anche altri lavori d’area, intesa come Partito Guerriglia. Oltre al vero e proprio manifesto di fondazione16 il pezzo forte di appoggio è firmato da coloro che vengono considerati i due più autorevoli militanti prigionieri: Renato Curcio ed Alberto Franceschini. Il suo titolo è “Gocce di sole nella città degli spettri” che, dopo una premessa redazionale, una prefazione di Pio Baldelli, ha una pagina titolata ‘Prima di tutto‘ che riporta la citazione di Marx: “…dal tempo di Adamo l’albero del peccato è nello stesso tempo l’albero della conoscenza…17

Pasquale Abatangelo lo definisce “Una ulteriore spinta verso la ‘complessificazione’ del paradigma marxista in direzione di una più attenta considerazione degli elementi sovrastrutturali della lotta di classe18. Uniche voci fuori dal coro, rispetto alla corrente maggioritaria, Andrea Coi, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti delle Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente che con Politica e Rivoluzione19 rivolgono “…un’aspra critica, ispirata a un marxismo solido e ‘tradizionale’, delle tesi esposte da Curcio e Franceschini…” (P. Abatangelo, cit.).

L’edizione da poco pubblicata del testo di Panizzari, su iniziativa del Centro Studi Territoriali “Ddisa” di Lentini (Sr) e a cura del Centro d’Iniziativa ‘Luca Rossi’ di Milano che, nella premessa editoriale, ricorda come “una prima versione del libro, corrisponde grossomodo ai capitoli III e IV del presente volume”.
L’autore, nella premessa (redatta nel 2015, due anni prima della stampa effettiva) evidenzia queste caratteristiche relativamente alle sue riflessioni e ricerche, l’ elaborazione “si chiude nel 1989 ma la sua gestazione era durata una decina di anni tra enormi difficoltà…Il testo che segue ha quindi in primo luogo un valore di testimonianza…”. E anche se si ferma alla fine degli anni ottanta mantiene le proprie caratteristiche di interesse e peculiarità, originalità ed attualità. Quindi non un limite, anche se solo temporale, ma l’indicazione di un periodo che abbraccia il ‘peggiore’ decennio che ci sia toccato di attraversare.

Tratteggia, con cognizione di causa, le caratteristiche del ‘crimine’ così come si sono dipanate a partire dalla metà dell’ottocento, le sue modificazioni ed adattamento al mutamento dei tempi, nonché la sua evoluzione. Confronta le varie scuole di pensiero elaborate per contrastare il fenomeno della delinquenza. Dalle più ottuse e retrive fino a quelle ‘illuminate’, contemporanee al “sorgere delle idee socialiste” che ritenevano la delinquenza “…un sottoprodotto delle storture dell’industrializzazione e della degradazione che queste inducevano in alcune classi sociali…e il delinquente era una vittima della società”.

Individua, e segnala, la diversità di ‘classe’ del crimine: “La prostituzione patentata, il furto materiale diretto, il furto con effrazione, l’assassinio e il brigantaggio per le classi inferiori; mentre le abili spoliazioni, il furto indiretto e raffinato, lo sfruttamento sapiente del gregge umano, i tradimenti di alta tattica, le astuzie trascendenti, infine tutti i vizi e tutti i crimini ‘veramente lucrativi’, eleganti, che la legge è troppo ben educata per raggiungere, rimangono il monopolio delle classi superiori”.20
Gli esempi e le considerazioni non riguardano solo il suolo italico, ma abbracciano anche vecchio e nuovo continente.

Così come si ricordano i diversi approcci di criminologi, psicologi e sociologi ‘ante litteram’. Lo svilupparsi del fenomeno di proletariato marginale ed illegale è riconducibile ad alcuni fattori di sovrapproduzione capitalista: le guerre, l’incremento demografico, la disoccupazione, il sottolavoro, quello precario e non garantito (“Modi di produzione della criminalità”). Inoltre “la branca del lavoro extralegale, sotto la pressione dei ‘consumatori senza salario’ negli ultimi venticinque anni si è enormemente dilatata e complessificata”.

Panizzari, nell’analizzare questi mutamenti socio-economico-politici, utilizza gli strumenti classici del marxismo a cui affianca “un affrontamento franco, diretto, rigoroso”. Come direbbe una certa metodologia filologica21 una ricerca effettuata direttamente ‘sul campo’.
Così, maneggia Marx-Engels, Foucault, Marcuse, Lombroso e Beccaria nonché molti altri ‘esperti’, letterati, economisti, e scienziati del crimine. Ma, indirettamente, interpella anche i ‘complici’ di tante scorribande. E, il ‘corpus’ della sua inchiesta è focalizzato sul più debole e vulnerabile del proletariato marginale, quello imprigionato.

I capitoli centrali, non solo tipograficamente, sono dedicati all’individuazione e analisi di come si determinano queste ‘nuove’ figure sociali ed economiche: “Tempi e metodi del lavoro extralegale” (“…extralegale non è extrasociale, non è nemmeno asociale: è prodotto squisitamente sociale”), nonché alla descrizione (non edulcorata) della gran massa di ‘non salariati’ (nel senso classico di chi, lavoratore subalterno, riceve un salario in cambio di una prestazione, perlopiù manuale) incarcerata: “La frazione prigioniera del proletariato extralegale in Italia e i suoi lunghi anni settanta”.

Dopo aver passato in rassegna gli ultimi avvenimenti più politici (rivolte, lotte, tentate evasioni, spaccature ideologiche e divisioni, anche umane, dissociazioni e ‘pentimenti’) l’ultimo paragrafo di questa parte ha il significativo titolo “Ed è ancora mercato”. Che si conclude così: “…il 31 marzo 1988 il ministero della Giustizia informava che i detenuti in stato di detenzione effettiva ammontavano a 36.179, da che nel 1970 erano 35.000! E viene da rammentare i dati rilevati dalla Commissione d’indagine della Presidenza del Consiglio, che nel 1987 individuavano 8,3 milioni di persone povere…Evidentemente, nel corso del ‘secondo miracolo economico’ non tutti i cittadini sono stati miracolati! E nessuna politica penitenziaria, io credo, può surrogare i miracoli”.

All’interno del suo lavoro, Panizzari, delinea anche le caratteristiche particolari delle grandi organizzazioni criminali italiane nell’ambito dell’extralegalità, le“…’tre sorelle’ o, come recita la loro cultura orale, ‘tre cavalieri uniti da un patto di sangue’”: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra. Così come sottolinea la diversità di pentimento, rispetto ai ‘politici’, degli affiliati a queste ‘multinazionali del crimine’.

L’attuale edizione di “L’albero del peccato” si conclude con l’autore che ricorda tutta una serie di dinamiche e di ‘valori’ propri dell’ extralegale per rimarcare che “Chi è cresciuto nell’etica della strada, nei linguaggi gergali della notte, nei riti dei riformatori e degli interrogatori di polizia può ben dire di aver compiuto una prima liturgia iniziatica per l’appartenenza a pieno titolo a un certo mondo adulto”.


  1. Giorgio Panizzari, Libero per interposto ergastolo. Carcere minorile, riformatorio, manicomomio criminale, carcere speciale: dentro le gabbie della Repubblica, Kaos Edizioni, Milano, gennaio 1990  

  2. Archivio Franca Rame Dario Fo, Soccorso Rosso – 1969. Intervento di Franca Rame alla presentazione del libro di Giorgio Panizzari “La danza degli aghi”, 22.11.1986  

  3. G. Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  4. G. Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  5. Vedi https://www.carmillaonline.com/2017/05/17/ribelle-sociale-militante-comunista-senza-perdere-la-tenerezza/  

  6. G: Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  7. Pasquale Abatangelo, Correvo pensando ad Anna, Edizioni Dea, Firenze, marzo 2017  

  8. G. Panizzari, Libero per interposto ergastolo, cit.  

  9. G. Panizzari, cit.  

  10. G. Panizzari, cit.  

  11. G. Panizzari, cit.  

  12. Giorgio Panizzari, La danza degli aghi, Cooperativa Apache, Roma 1986 ed Edizioni Ddisa, Lentini (Sr) 2015  

  13. Giorgio Panizzari, Il sesso degli angeli. Nel labirinto della sessualità carceraria, Kaos Edizioni, 1991  

  14. P. Abatangelo, Correvo pensando ad Anna, cit.  

  15. Collettivo Prigionieri Comunisti delle Brigate Rosse, L’Ape e il Comunista, Carcere di Palmi 1980, Corrispondenza Internazionale, anno VI , nn. 16/17, Roma, dicembre 1980  

  16. Brigate Rosse-Partito della Guerriglia, Tesi di fondazione del partito, dicembre 1981, in Progetto Memoria, Le parole scritte, Roma, 1996  

  17. R. Curcio e A. Franceschini, Gocce di sole nella città degli spettri, Corrispondenza Internazionale, anno VII, supplemento ai nn. 20/22, Roma, dicembre 1982  

  18. P. Abatangelo, cit. 

  19. A. Coi, P. Gallinari, F. Piccioni, B. Seghetti, Politica e Rivoluzione, Giuseppe Maj Editore, Milano, dicembre 1983  

  20. da “La Phalange”, Parigi, 10 dicembre 1838  

  21. La filologia moderna si articola in due grandi direzioni: da una parte si tende a reperire, ricostruire e interpretare i testi (studio delle testimonianze verbali); e dall’altra a mettere in luce e interpretare fatti di ogni genere che giovino alla comprensione dei testi stessi: studio delle cose  

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Da ribelle sociale a militante comunista, senza perdere la tenerezza https://www.carmillaonline.com/2017/05/17/ribelle-sociale-militante-comunista-senza-perdere-la-tenerezza/ Tue, 16 May 2017 22:02:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38180 di Fiorenzo Angoscini

anna Pasquale Abatangelo, Correvo pensando ad Anna. Una storia degli anni settanta, Edizioni Dea, Firenze 2017, pag. 325, € 16,00

Parafrasando Bertolt Brecht, e forse forzandone un po’ l’interpretazione, risalta evidente come ‘il comunismo sia una cosa semplice, difficile a farsi’,1 considerazione adatta al racconto dell’esperienza di vita di Pasquale Abatangelo che finisce anche col coincidere con la storia della nascita, della breve durata e parabola discendente dei Nuclei Armati Proletari.

La storia di un ‘migrante di ritorno’, i cui nonni [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

anna Pasquale Abatangelo, Correvo pensando ad Anna. Una storia degli anni settanta, Edizioni Dea, Firenze 2017, pag. 325, € 16,00

Parafrasando Bertolt Brecht, e forse forzandone un po’ l’interpretazione, risalta evidente come ‘il comunismo sia una cosa semplice, difficile a farsi’,1 considerazione adatta al racconto dell’esperienza di vita di Pasquale Abatangelo che finisce anche col coincidere con la storia della nascita, della breve durata e parabola discendente dei Nuclei Armati Proletari.

La storia di un ‘migrante di ritorno’, i cui nonni erano stati costretti ad espatriare in Grecia dalla miseria dispensata a piene mani dalla monarchia sabauda, mentre i genitori (nati a Patrasso) sono stati tra le innumerevoli vittime di un regime criminale, colonialista ma straccione, con ambizioni imperiali frustrate.
Così, gli italiani di Grecia, gli skylofraghi : ‘cani italiani’, dovettero abbandonare la penisola ellenica, poiché “Vent’anni di politica aggressiva del fascismo, l’occupazione del paese e l’alleanza con i nazisti, non lasciava spazio a molti distinguo…La colpa della patria di origine macchiava ogni uomo e ogni donna di provenienza italiana. A causa del fascismo, questa gente perdette la dignità di cittadino, e ben presto anche le case e ogni bene posseduto”.

E’ impressionante constatare, ancor più nell’Italia immemore di oggi che ricopre di epiteti offensivi gli immigrati, come il disprezzo, la xenofobia e il razzismo nei confronti degli emigranti italiani siano stati comuni anche ad altri paesi occidentali: in Grecia erano ‘cani italiani’, in Belgio, quando i nostri connazionali andavano a farsi ‘gasare’ nelle miniere della Vallonia, sulle vetrine di bar, negozi ed esercizi pubblici, campeggiavano cartelli sui quali c’era scritto: ‘vietato l’ingresso ai cani e agli italiani’. Sempre nello stato artificiale belga, ma anche nella civilissima Svizzera, venivano apostrofati con un offensivo ‘italiani, cìngali’ (zingari). Aggiungendo, in questo caso, la discriminazione razziale a quella etnica .

La famiglia Abatangelo, di origini pugliesi, è così costretta a rientrare in Italia.
Sbarcati a Bari, sono trasferiti a Bologna “su un treno merci utilizzato per il trasporto degli animali…furono alloggiati come bestie nelle stalle per cavalli di una caserma militare…dopo sei mesi di permanenza a Bologna in quelle condizioni, intervenne un nuovo trasferimento…la destinazione risultò Firenze, in una vecchia caserma in disuso adibita a centro profughi”.
La famiglia Abatangelo, composta inizialmente da otto persone, cui si aggiungono Nicola e Pasquale (nati rispettivamente nel 1947 e nel 1950, a Firenze), è costretta a vivere per ben dieci anni (1946-1956) dentro un camerone “in coabitazione con altre sei famiglie, per un totale di una cinquantina di persone”.

Finalmente gli Abatangelo, nel 1956, si trasferiscono “nelle nuove case popolari appositamente costruite per i profughi…erano appartamenti di quarantacinque metri quadrati suddivisi in tre vani, più il bagno…a noi che eravamo in dieci, toccarono due appartamenti sullo stesso pianerottolo, comunicanti attraverso un terrazzino”. Delle vere e proprie ‘case minime’, anche se non più un acquartieramento militare. L’indigenza, costringe nell’estate del 1957 la famiglia italo-greca ad inviare Pasquale in collegio, nella Pia Casa del Lavoro di via Montedomini, dove raggiunge Nicola.

Lo stabile era molto grande e accoglieva, se così si può dire, bambini, ragazzi, giovani adulti, anziani e vecchi piuttosto malandati, spesso ammalati e in punto di morte. In quel triste recipiente coabitavano figli di nessuno provenienti dagli orfanatrofi, figli di gente che viveva in povertà, e rottami alla fine della corsa, abbandonati semplicemente a se stessi. Insomma, tutti scarti”. Anticamera del carcere per i giovani, del cimitero per gli anziani. Questa la drammatica, impotente ma realistica testimonianza dell’autore che, in tale ‘limbo terreno’, ci rimane fino al conseguimento della licenza media, ormai quasi sedicenne.

E, non ancora sedicenne, Pasquale, subisce il primo arresto (insieme a Nicola e un cugino) con detenzione in carcere minorile. L’arresto, che ritiene ingiusto, immotivato, conseguenza di verbali manipolati, lo convince sempre più che non vuole inserirsi ‘nel ciclo della fatica e della disciplina sociale’.
In mezzo a tutti questi repentini sconvolgimenti incontra Anna, il suo amore. E racconta lo svolgersi del loro complesso e complicato (fughe, arresti, evasioni, latitanza, militanza politica, carceri speciali con rivolte, pestaggi, isolamento, mancati colloqui dopo giorni di viaggio e chilometri percorsi, oppure solo attraverso un citofono, separati, lei e spesso anche i bambini, da un muro di vetro), ma solido rapporto, che ha attraversato quasi mezzo secolo. Descrive i loro sentimenti, gli affetti, la rabbia e il dolore.

Fuori dai confini del recinto perbenista compie i primi furti e rapine, a beneficio ed ‘uso personale’. Arrestato, incontra in carcere un militante della sinistra rivoluzionaria, Luca Mantini, esponente fiorentino di Lotta Continua, che lo ‘aiuta’ ad andare ancora oltre, a coniugare la ribellione con la lotta e condividere gli ideali autentici di solidarietà, uguaglianza e giustizia.

Con Mantini che, abbandonata LC costituisce il Comitato George Jackson, organizzando iniziative di sostegno ai carcerati, inizia ad individuare come ‘complice’ quella consistente parte di proletariato marginale che popola le galere e che ha promosso e sviluppato il movimento di lotta nelle carceri di fine anni sessanta, inizio settanta, nel quale affondano le proprie radici e prendono le mosse i Nuclei Armati Proletari. Proprio in un periodo in cui anche soggetti diversi dagli extra-legali, iniziano a conoscere personalmente la durezza del carcere, conseguenza del ciclo di lotte del ’68-’69. Studenti, operai, insegnanti varcano i cancelli dei vari penitenziari a seguito di scontri con la polizia durante manifestazioni di piazza, occupazioni di scuole ed università, azioni di antifascismo militante e solidarietà internazionalista.

anna1 Molte organizzazioni della sinistra extraparlamentare costituiscono sezioni specifiche che si occupano della questione carceraria. La più attiva e conosciuta è senz’altro quella di LC, che dedica sulla sua stampa periodica una rubrica fissa: ‘I dannati della terra’ . Nel giugno 1972 pubblica un libro, Liberare tutti i dannati della terra, che “raccoglie documenti, lettere, cronache scritte da detenuti che hanno mantenuto un collegamento politico costante con i nuclei esterni di intervento nelle carceri di Lotta Continua”. Un anno più tardi diffonde Ci siamo presi la libertà di lottare. Il movimento di massa dei detenuti da gennaio a settembre ‘73.2

Sempre in quegli inizi di anni settanta, riferendoci solo ad autori italiani, sono pubblicati lavori specifici e mirati, realizzati da un giornalista autore indipendente, da un sociologo ex carcerato ed ex fascista3 ‘riconvertito’ in carcere alla militanza di sinistra e da una militante politica attiva. L’ “Inchiesta sulle carceri” di Emilio Sanna, trasposizione scritta di una trasmissione televisiva, Dentro il carcere, sul sistema carcerario italiano, trasmessa in tre puntate dal secondo canale Rai4 . Giulio Salierno, con Aldo Ricci, realizza poi un’inchiesta sulle carceri italiane, riconosciuta come punto di riferimento nella sociologia della pena in Italia5 . Il solo Salierno realizza infine uno studio sul sottoproletariato “per un approccio politico e metodologico al problema dell’alleanza tra classe operaia e ‘Lumpenproletariat’” e si premura di specificare: “Questo lavoro non è e non vuole avere alcuna pretesa esaustiva, né rappresentare un’ analisi conclusiva sul problema del sottoproletariato-la cui stessa definizione è tutta da valutare e verificare-ma semplicemente costituire un apporto , uno stimolo, un contributo alla discussione e allo studio dello stesso”.6

Chiudiamo questa finestra editoriale con la ricerca di Irene Invernizzi, Il carcere come scuola di rivoluzione, significativamente dedicata ‘Ai martiri di Attica’,7 che precisa: “Se l’organizzazione e la stesura di questo libro sono mie, la sua elaborazione è frutto del lavoro collettivo di un gruppo di militanti di Lotta Continua che, a partire dalla primavera 1971, si sono posti il problema del carcere come oggetto d’intervento politico, e naturalmente di molti detenuti coi quali siamo entrati in contatto”. 8

anna 2 Abatangelo, entrato in galera ‘delinquente’, ne esce con una coscienza politica grazie al movimento che si è sviluppato dentro ed intorno ad essa. Ed è così che nell’estate del 1974 decide, insieme ad alcuni compagni fiorentini del ‘George Jackson’ di aderire ai NAP. Un’organizzazione ancora embrionale ma già presente a Napoli e Roma. Al 2 ottobre data la prima azione pubblica dei neo costituiti ‘Nuclei’: un’automobile, munita di altoparlante, diffonde un audio-messaggio davanti, rispettivamente, le carceri di Napoli, Milano e Roma-Rebibbia. Al termine della registrazione le automobili si distruggono esplodendo. Qualche giorno dopo si tenta la stessa azione alle Murate di Firenze. Per un guasto tecnico non va a buon fine.

Ma è il 29 ottobre che si registra il vero e proprio ‘battesimo del fuoco’. Per reperire il denaro necessario ad acquistare una grossa partita di armi si decide di praticare un ‘esproprio proletario’ ad una banca. Vari motivi e situazioni imprevedibili costringono i nappisti a dirottare l’azione su un istituto di credito diverso da quello individuato e studiato. La scelta cade sulla Cassa di Risparmio di Firenze, agenzia di Piazza Leon Battista Alberti, conosciuta proprio da Pasquale Abatangelo perché rapinata qualche anno prima.

Nel suo libro, Abatangelo, si sofferma sul tragico epilogo del tentato esproprio: “La rapina di Piazza Alberti e la morte di Luca Mantini e di Sergio Romeo destarono una enorme sensazione tra l’opinione pubblica e nel movimento rivoluzionario. Erano i primi morti della guerriglia italiana dopo Giangiacomo Feltrinelli, e la dinamica dei fatti indusse molti ad ipotizzare un agguato dei carabinieri nei nostri confronti. Ma è chiaro che non si verificò niente del genere. La verità è che molto dipese dal caso e dalla nostra cocciutaggine…Ma bisogna avere il coraggio di riconoscere gli errori e di guardare in faccia le cose. Peccammo di frettolosità sia nella riunione plenaria, sia sul terreno di azione. La partita di armi era sicuramente importante, ma non abbastanza da autorizzare una rapina priva di inchiesta seria ed approfondita…E non cademmo in un agguato”.

Rosso, giornale dentro il movimento, nel suo speciale ‘Contro la repressione’, del marzo-aprile 75, aveva dedicato una ricostruzione (pagg. 68-73) ricca di fotografie, disegni, schizzi ed ipotesi ‘fantasiose’ forzando molto anche il titolo: “L’agguato di Firenze”. Adesso, Pasquale Abatangelo, sgombra il campo da equivoci ed immaginazioni, ristabilendo una volta per tutte la verità dei fatti.

anna 3 I NAP sono stati un’organizzazione armata originale e particolare, una miscela interessante di militanti politici ed ex ‘delinquenti’-proletari prigionieri-emarginati, con due (principalmente) centri logistico-operativi: quello di Firenze, al centro nord, e quello di Napoli, al sud. La durata della loro attività, relativamente breve, inizia nell’ottobre ’74 e termina, approssimativamente, nel luglio ’77 con l’uccisione di Antonino Lo Muscio a Roma, ex proletario prigioniero e figlio di una famiglia comunista del Pci. La loro azione politico-militare è costellata, come testimonia e chiarisce Abatangelo, da volontarismo, pressapochismo, improvvisazione e disorganizzazione. Ciò è confermato dalle numerose azioni fallite, oppure finite tragicamente, nonché l’elevato tributo di sangue in termini di vite umane sacrificate: Luca e Annamaria Mantini, Sergio Romeo, Giovanni Taras, Martino Zicchitella,9 Vito Principe, Tonino Lo Muscio, Alberto Buonoconto .

Pasquale Abatangelo ha sperimentato, suo malgrado, tutti i vari gradi di reclusione: dal collegio al super carcere con contorno di articolo 90 e ‘braccetti della morte’. In prigione, dove è rimasto rinchiuso continuativamente per più di 20 anni, è diventato comunista, ha patito il dolore delle separazioni politiche dai suoi compagni.

Sarà tra i tre militanti dei NAP, che considerata esaurita l’esperienza nappista, aderiranno inizialmente alle Brigate Rosse: oltre a lui, Domenico Delli Veneri e Giorgio Panizzari. Poi, anche altri militanti, attueranno la stessa scelta. In carcere ha studiato. Testi ideologici e di teoria politica, ma anche letteratura e poesia. Ha maturato la capacità critica e la più difficile pratica dell’autocritica. Quando le BR si ‘spaccano’, come quasi tutti i militanti detenuti (tranne poche eccezioni: Gallinari, Piccioni, Seghetti e alcuni altri del Partito Comunista Combattente) aderisce al Partito Guerriglia, ma è in grado di capire, dopo alcune azioni ed iniziative ‘esagerate’ compiute dai suoi compagni di ‘corrente’, che “il partito della guerra sociale totale” non fa per lui : “… il caso di Giorgio Soldati, ucciso a Cuneo nel dicembre del 1981, e quello di Ennio Di Rocco, strangolato a Trani nel luglio del 1982, erano roba nostra, e sembravano fatti apposta per generare dubbi e repulsione tra gli stessi fautori del rigore rivoluzionario… 10 Quanto ai deboli, le punizioni erano un dovere, avevo condannato tante volte, ma volevo continuare a giudicare con equilibrio, e anche con quello spicchio di umanità…E poi un avvenimento incredibile, il 21 ottobre a Torino venne eseguita una rapina in banca, nel corso della quale il nucleo operativo del Partito Guerriglia uccise a freddo due agenti della Mondialpol in servizio di guardia alla filiale, al solo scopo di dare risalto a un comunicato in cui si accusava infondatamente di tradimento Natalia Ligas…i nuovi metodi della ‘comunicazione sociale trasgressiva’…Cosa c’entrava tutto questo con l’obbrobrio di Torino?11

Abatangelo, quando necessario, ha saputo essere duro, ma non ha mai perso la tenerezza. ‘Proletario semplice’, in carcere ha incontrato i comunisti ed ha abbracciato il comunismo, si è ‘alfabetizzato’ teoricamente ed ideologicamente, ma non ha mai sopportato i “preti rossi e i professorini saccenti”. Con un’istantanea nitida, non mossa, e senza bisogno di didascalia, individua con precisione le ‘mosche cocchiere’ o, se preferite, i ‘grilli parlanti’ di una certa intellighenzia presuntuosa: i sofistici teorici. “Ma le ’moltitudini’ e l’ ‘impero’ erano parole troppo fragili e acquose per sostenere l’urto della risposta del potere”. Per contro, ha espresso affetto, stima umana e politica nei confronti del comunista di Reggio Emilia: Prospero Gallinari, ed ha apprezzato “la sua umanità, la sua umiltà, e soprattutto lo spessore della sua incrollabile identità comunista”.

anna 5 Nelle ultime pagine della sua testimonianza ricorda chi gli è sempre stato vicino, i ‘complici’ dei primi furti e rapine, i componenti delle bande di ‘malavitosi’ che già combattevano il potere costituito ed arrogante. Ci sono ‘i dannati della terra’, i primi compagni che ha incontrato, quelli con cui ha iniziato a pensare come distruggere il mostro, con i quali ha costituito i NAP. E ci sono anche i compagni con cui ha condiviso la militanza nelle Brigate Rosse, dalle ‘prime’, monolitiche ed autorevoli, ai mille rivoli in cui si sono divise e dissolte. C’è il ricordo dei ‘suoi’ morti. Ancora una volta senza separare il rapporto politico da quello personale. Soprattutto c’è l’attaccamento e l’amore, oltre che per i figli, per le sue donne, Anna “che c’è sempre stata e che ha cresciuto i nostri figli” e per sua madre, “la profuga greca che ci ha partorito nella caserma di via della Scala”. E in questa definizione non c’è razzismo linguistico, né differenziazione, distacco o superiorità, bensì il riconoscimento delle maggiori umiliazioni e discriminazioni subite proprio per la sua condizione di ‘migrante di ritorno’. La propria forza e dignità.

NAP: bibliografia essenziale
Per la storia politica dei Nap: origini, sviluppo, attività e processi, sono molto interessanti e ben documentate due pubblicazioni, entrambe riconducibili alla rivista CONTROinformazione. La prima, anche in termini cronologici (anno 1976) di pubblicazione, realizzata dalla redazione della rivista (il contributo maggiore è stato fornito da uno dei componenti, Ermanno Gallo) si intitola semplicemente NUCLEI ARMATI PROLETARI, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione. Nella prima parte si mettono a confronto le opinioni (Marxismo e marginalità) diverse e divergenti dei principali ideologi marxisti-leninisti, da Marx ed Engels che stigmatizzano e disprezzano politicamente “Il sottoproletariato, un’accozzaglia di istinti senza storia”, al possibilista Lenin “Il sottoproletariato, un possibile soldato della insurrezione proletaria”, fino al pragmatico-realista Mao Tse Tung “Il sottoproletariato, una componente di classe che esige una rigorosa direzione strategica”, per arrivare agli studiosi moderni del sottoproletariato: Frantz Fanon de I dannati della terra 12 e George Jackson13 e dello ‘Schiavo nero: una bomba innescata contro il fascismo imperialista’. La seconda parte contempla l’ ‘Intervista ai compagni dei Nap’, la cronistoria dell’attività, le azioni, le morti, gli arresti, le biografie di alcuni militanti ‘caduti’. Il ‘quaderno’ si conclude con la proposizione del ‘Comunicato N° 1 nel processo ai NAP iniziato a Napoli il 22 novembre 1976’. L’Unità, nella sua edizione del 30 maggio 1977 (pag. 3) gli ‘dedicò’ una velenosa recensione a firma Duccio Trombadori: “L’arsenale ‘teorico’ dei NAP”, con un occhiello esagerato: ‘Dietro le imprese criminali che hanno colpito il nostro paese’, ed un sommario improbabile, ma di stupefacente fantasia: “Una delirante prospettiva che affida ruoli di avanguardia rivoluzionaria a figure sociali di emarginati, di ‘non garantiti’, di detenuti – Il carcere come luogo privilegiato di formazione e di lotta per ‘portare l’attacco al cuore dello stato’ – I punti di contatto con l’area dell’ ‘autonomia’“. L’altra pubblicazione, edita come supplemento della rivista, è un giornale formato lenzuolo che titola “Sud, proletari in rivolta. Facciamo diventare il processo ai compagni dei N.A.P. base di partenza di un dibattito sulla lotta armata”, realizzato in concomitanza con l’apertura del processo di Napoli.

Così come il ciclo di lotte dentro/contro il carcere di inizio anni settanta aveva stimolato la strutturazione di apposite commissioni in seno alla sinistra ‘estrema’, con conseguente produzione di opuscoli, libri, rubriche giornalistiche attinenti la situazione carceraria; gli arresti di massa conseguenti allo svilupparsi e radicarsi di organizzazioni combattenti verso la metà degli stessi anni, e l’istituzione delle carceri speciali, hanno determinato la realizzazione e diffusione di numerosi ciclostilati, bollettini, riviste, numeri monografici contro l’istituzione totale per antonomasia. Ne ricordiamo alcune. Già nell’estate del 1975 a Milano viene dato alle stampe un bollettino con periodicità incostante: ‘Solidarietà Militante’. Informazioni del Comitato Internazionale di Difesa dei Detenuti Politici in Europa. Nell’inverno 1976 iniziano le pubblicazioni ‘Carcere Informazione’- a cura del Centro di Documentazione di Pistoia fino al n. 16; i nn. 17 e 18 appaiono come supplemento a Stampa Alternativa, così come il n. 19-20 (feb.-mar. ’79) in coedizione con ‘Senza Galere’- nonché ‘Carcere Oggi…e per conoscenza al Ministro di Grazia e Giustizia’ del Soccorso Rosso Milanese. A Livorno, il Collettivo Anarchico ‘Niente più sbarre’ edita il ciclostilato omonimo che, nell’ ultimo numero rintracciato (gennaio 1979) si trasforma in Bollettino del collettivo Anarchico di Livorno. A Torino, il comitato ‘Controsbarre’ diffonde il ‘Bollettino di informazione carceraria’, che poi (nov.-dic. 1977) pubblicherà ‘chiamiamo comunista…una società Senza Galere’, giornale del proletariato comunista detenuto. Numero monografico è ‘Carcere e lotta di classe’, del maggio 1976, ciclostilato in collaborazione tra la sezione torinese del Comitato Internazionale Difesa Detenuti Politici in Europa, Soccorso Rosso Milanese e ‘Solidarietà Militante’ di Trento. Ultimi due riferimenti: nel novembre 1976, a cura del Soccorso Rosso Milanese, viene stampato, per le Edizioni Ghisoni, “non bastano le galere per tenerci chiusi…” e, nell’ottobre 1978, Speciale Asinara. La settimana rossa. 19-26 agosto, 21-23 settembre 1978, Edizioni Anarchismo, Catania. Agli inizi degli anni ottanta iniziano, a Milano, le pubblicazioni de “Il Bollettino” del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione.

I NAP. Storia politica dei Nuclei Armati Proletari e requisitoria del Tribunale di Napoli, a cura del Soccorso Rosso Napoletano, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1976
CHI PROCESSA CHI! Non si può processare la rivoluzione, Collettivo di Controinformazione Napoletano, Napoli, s.i.d.
Criminalizzazione e lotta armata, Quaderni d’informazione politica 1, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, s.i.d.
Processo allo stato, Quaderni d’informazione politica 2. Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1977
Processo alla rivoluzione. La parola ai NAP, Quaderni d’informazione politica 3, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1978
Alessandro Silj, “Mai più senza fucile!”, Alle origini dei NAP e delle BR, Vallecchi, Firenze, 1977
Franca Rame, Non parlarmi degli archi, parlami delle tue galere, Alberto Buonoconto 7.8.1953/20.12.1980, F.R. Edizioni, Milano, 1984
Rossella Ferrigno, Nuclei Armati Proletari. Carceri, protesta, lotta armata, La Città del Sole, Napoli, 2008
Roberto Silvi, La memoria e l’oblio, Colibrì edizioni, Milano, 2009
Valerio Lucarelli, Vorrei che il futuro fosse oggi. Nuclei Armati Proletari. Ribellione, rivolta e lotta armata, Ancora del Mediterraneo, s.i.l., 2010


  1. Bertolt Brecht, “Lode del comunismo” (1933) in “Poesie e canzoni”, Einaudi, Torino, 1975  

  2. a cura della Commissione carceri di Lotta Continua, Edizioni Lotta Continua, novembre 1973  

  3. Giulio Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista, Einaudi,Torino, 1976  

  4. Emilio Sanna, Inchiesta sulle carceri, De Donato, Bari, luglio 1970  

  5. Aldo Ricci, Giulio Salierno, Il carcere in Italia, Einaudi, Torino, 1971  

  6. Giulio Salierno, Il sottoproletariato in Italia. Per un approccio politico e metodologico al problema dell’alleanza tra classe operaia e ‘Lumpenproletariat’, Edizioni Samonà e Savelli, Roma, 1972  

  7. Carcere dello Stato di New York dove a seguito dell’assassinio, avvenuto il 21 agosto nel carcere di San Quintino, di George Jackson militante del Black Panther Party, il 9 settembre 1971 scoppiò una rivolta che fu per sedata con l’intervento di 500 militi delle varie polizie USA, che causarono 40 vittime e 200 feriti. Mentre molti dei rivoltosi sopravvissuti vennero picchiati e torturati  

  8. Irene Invernizzi, Il carcere come scuola di rivoluzione, Einaudi, Torino, 1973  

  9. Memoriale redatto da Martino Zicchitella, Anarchismo, Anno II- n. 10/11, Edizioni La Fiaccola, 1976  

  10. Soldati e Di Rocco, torturati selvaggiamente avevano ‘parlato’ ma poi ritrattato. Erano in ‘sezione’ con i non pentiti, né dissociati, nda  

  11. Sulla costituzione del Partito Guerriglia, sul suo manifesto di fondazione, sugli altri elaborati prodotti in carcere: ‘Il documentone’, ‘L’ape e il comunista’, ’Forzare l’orizzonte’, ‘La volpe e l’uva’, ‘Gocce di sole nella città degli spettri’, ‘Wkhy’, ‘Politica e rivoluzione’, torneremo più diffusamente nel prossimo articolo, quello che prende le mosse dalla riproposizione, ampliata e riveduta da Giorgio Panizzari, di ‘L’albero del peccato’  

  12. Franzt Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino, 1962  

  13. I fratelli di Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson, Einaudi, Torino, 1971; G. Jackson, Col sangue agli occhi. Il ‘fascismo americano’ e altri scritti, Einaudi, Torino, 1972. Il libro porta questa significativa dedica: “Ai giovani comunisti. Ai loro padri. D’ora in poi criticheremo l’ingiustizia con le armi”  

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Le emozioni del cuore, la freddezza della ragione, la realtà dei fatti. https://www.carmillaonline.com/2017/04/26/le-emozioni-del-cuore-la-d-della-ragione-la-realta-dei-fatti/ Tue, 25 Apr 2017 22:01:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37787 di Fiorenzo Angoscini

brigate rosse Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’, Volume I, DeriveApprodi, Roma, febbraio 2017, pagg. 550, € 28,00

Il lavoro di Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, si distingue per la vasta mole di documenti consultati. I molti materiali analizzati e di diversi archivi. La lettura delle relazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, lo studio degli atti giudiziari, delle indagini e varie perizie attinenti i numerosi processi relativi al sequestro e soppressione dell’esponente democristiano. La disponibilità di inediti colloqui con militanti protagonisti dell’ esperienza armata, della guerriglia diffusa, [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

brigate rosse Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’, Volume I, DeriveApprodi, Roma, febbraio 2017, pagg. 550, € 28,00

Il lavoro di Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, si distingue per la vasta mole di documenti consultati. I molti materiali analizzati e di diversi archivi. La lettura delle relazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, lo studio degli atti giudiziari, delle indagini e varie perizie attinenti i numerosi processi relativi al sequestro e soppressione dell’esponente democristiano. La disponibilità di inediti colloqui con militanti protagonisti dell’ esperienza armata, della guerriglia diffusa, della lotta nelle carceri e le stragi compiute all’interno di alcune di esse: Le Murate ed Alessandria; nonché per i nuovi dettagli evidenziati, la segnalazione (ricordi, memorie) di particolari rimossi. La smentita di una recente dietrologia complottista con presenze ‘multiple, diverse ed eterogenee durante le fasi dell’azione in via Fani. Le deposizioni di testimoni oculari che smentiscono se stessi, motociclette con a bordo ignoti sparatori fantasma ed altro ancora.
Inoltre la loro ricostruzione favorisce il recupero e il riordino della memoria.
Quella colletiva e quella individuale: la nostra, di ognuno di noi.

Gli autori hanno dei significativi ‘precedenti’ relativamente agli argomenti trattati nel libro di recente pubblicazione.
Clementi, dieci anni fa, ha realizzato una “Storia delle Brigate Rosse”;1 anni prima aveva dato alle stampe uno studio che potremmo definire correlato al piano ‘Victor’, ossia come neutralizzare umanamente, politicamente, personalmente e mentalmente il presidente del Consiglio Nazionale DC qualora fosse stato liberato.2
Il piano da attuare in caso di morte dell’ostaggio, era stato denominato ‘Mike’.
Più semplice, prevedeva di informare tutta una serie di figure istituzionali, giudiziarie e politiche, isolamento immediato del luogo di ritrovamento del corpo, interdizione dello stesso ai famigliari, l’istituzione di un efficiente servizio d’ordine davanti lo studio e l’abitazione di Moro, fornire in forma dubitativa le informazioni a stampa e tv.

Persichetti, con Oreste Scalzone, ha scritto “Il nemico inconfessabile”3 e, quasi quotidianamente, su ‘Insorgenze.net’ conduce una sistematica azione di puntigliosa smentita e rettifica di notizie…false e tendenziose. Relativamente ad avvenimenti e fatti riconducibili alla lotta armata e suoi militanti, alla repressione, tortura, ‘omicidi’ di stato, alla politica e alla cultura.

Infine, Santalena, ha elaborato una tesi dottorato di ricerca all’Università di Grenoble su, “La gauche révolutionnaire et la question carcérale : une approche des années 70 italiennes” (8 dicembre 2014) con capitoli espliciti: “Dalle prigioni fasciste, alle prigioni in rivolta (1969-1973)”; “Dalla riforma alla controriforma: tra repressione, lotta armata ed evasione (1974-1977)”; “Le prigioni al centro del conflitto: tra lotta armata e gestione dell’emergenza antiterrorismo (1977-1987)”.

Dettagli e particolari
Addentrandosi nella lettura si incontrano alcuni dettagli, o particolari, che se non sconosciuti, sono sicuramente poco noti. Così, si apprende che, la mattina del 9 maggio 1978, lo spazio dove verrà ritrovata in via Caetani (a metà strada tra la sede nazionale della Dc e quella del Pci) la Renault 4 di colore amaranto con all’interno il corpo senza vita di Moro, era stato occupato la sera prima da Bruno Seghetti che vi aveva parcheggiato la sua vettura personale, una Renault 6 di colore verde. Questo per evitare intoppi o inconvenienti dell’ultimo minuto. Così facendo si era sicuri che il luogo prescelto per posizionare la macchina servita per l’ultimo trasferimento, e successivo ritrovamento del corpo senza vita del parlamentare democristiano non sarebbe stato ostacolato dalla presenza di altri veicoli inopportunamente parcheggiati al suo posto.

Un’altra questione poco considerata è l’azione svolta da Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, quando è nominato difensore d’ufficio dal presidente della Corte d’Assise di Torino che deve condurre il giudizio (maggio 1976) contro il cosiddetto ‘nucleo storico’ (definizione sempre rifiutata dagli imputati) dell’organizzazione comunista combattente, dopo che i militanti delle BR avevano ricusato i propri avvocati di fiducia, diffidato la corte di nominarne d’ufficio ed erano, momentaneamente, riusciti a far vacillare i meccanismi classici dell’ordinamento giudiziario, rivendicando il diritto all’autodifesa, per condurre il cosiddetto ‘processo guerriglia’4 e far ‘saltare’ il dibattimento.

br-processo Nonostante l’accettazione delle superiori ragioni di stato, delegando la difesa tecnica ad altri otto avvocati dell’ordine torinese, il presidente della corporazione forense, approfittando del rinvio al 16 settembre 1976 – in attesa di un pronunciamento della Cassazione per redimere un conflitto di competenza territoriale tra Torino e Milano – al riparo da clamori mediatici, si fece promotore della proposta di promulgazione di una ‘leggina’ (come la definì in una missiva indirizzata al presidente del Consiglio nazionale forense) ad hoc che permettesse agli imputati che lo desiderassero di difendersi da soli.

Sempre durante il tentativo di costituire la corte per poter svolgere il processo, oltre alla nomina di ‘difensori tecnici’, si incontrarono notevoli difficoltà nell’individuare i giudici popolari, per la rinuncia ad accettare di molti di essi.
Per superare questo ostacolo scesero in campo i massimi dirigenti del Pci torinese, Giuliano Ferrara in testa, coadiuvato ufficiosamente da due magistrati della procura, Luciano Violante e Gian Carlo Caselli che, secondo il parlamentare ed esponente del Pci torinese Saverio Vertone, “Partecipava alle riunioni del comitato federale. Forse, ma non ne sono certo, prendeva anche la parola alle riunioni di segreteria…” Mentre l’elefantino (pseudonimo di G. Ferrara) partecipò ad “alcune riunioni con giurati del maxi-processo contro i brigatisti per convincerli a non rinunciare all’incarico” (M. Caprara).

Sempre Ferrara, rivendicava il merito al Pci di aver realizzato, e diffuso, il famigerato questionario contro il terrorismo che, alla domanda n. 5, invitava alla delazione.
…poi naturalmente offrivamo una mano, al di là della mano che dava lo Stato. Lo Stato offriva una sua protezione, noi potevamo aggiungere anche la nostra. (…) Per esempio case. Chiedevamo: ‘Dicci quali sono i tuoi problemi, se hai paura. Sappi che noi ci siamo”.
Tramite un suo ‘autorevole’ dirigente, G. Ferrara, il Pci si faceva Stato.

Prima delle Brigate Rosse e le militanze nel Pci
Già subito dopo la Liberazione si sono strutturati gruppi od organizzazioni Comuniste che praticavano la lotta armata. In diverse forme e modi. Dal Movimento Resistenza Partigiana-Movimento di Unità Proletaria di Carlo Andreoni, di cui, però, vanno chiarite alcune ambigue striature; alla “IX Divisione Stella Rossa Brigata clandestina ‘808’ “ di Armando Valpreda,5 presidente dell’Anpi di Asti, tra i promotori dell’ insurrezione di Santa Libera,6 fino a quel gruppo di bravi ragazzi che si ritrovavano presso la Casa del Popolo di Lambrate (Mi) per costituire la ‘Volante Rossa’.7 Per giungere a quei militanti emiliani (clandestini ed apparentemente senza organizzazione unificante) che hanno costellato le province reggiana, modenese, ferrarese e bolognese di numerosi fatti d’armi, principalmente eliminazione di fascisti e loro complici.

In anni più vicini al secondo biennio rosso italiano (1968-1969) ci sono esperienze di resistenza ed attacco armato che potremmo definire propedeutiche alla più significativa (per durata, numero di militanti ed azioni) organizzazione che ha ‘imbracciato il fucile’ e che viene ‘raccontata’ nel libro.
Il gruppo torinese costituito da Piero Cavallero, Danilo Crepaldi, Sante Notarnicola,8 Adriano Rovoletto, tutti militanti del Pci operaista delle ‘Barriere’ proletarie di Torino. “Già nel 1959 abbiamo compiuto la prima azione e siamo andati avanti fino al 1967, momento del nostro arresto. Piero era il coordinatore delle sezioni Pci della ‘Barriera di Milano’ , una circoscrizione popolare con circa 70.000 abitanti. Io, ero stato segretario dell’organizzazione giovanile del partito (Fgci) a Biella e contavamo circa 3.000 iscritti. Agli inizi degli anni sessanta avevamo capito che non eravamo più sintonizzati con il ‘partito’. Troppo ingessato, conformista e non più ‘rivoluzionario’9 .

Un’altra compagine di militanti iscritti al Pci, sezione “Rino Mandoli” di Ponte Carrega a Genova, che ha intravisto ‘l’ora del fucile’, è quella che volgarmente e mediaticamente è stata battezzata XXII Ottobre, attiva a Genova dal 22 ottobre 1969 (data di costituzione) al 26 marzo 1971, giorno della rapina al fattorino dello Iacp. In realtà, colui che è indicato come uno dei fondatori della pattuglia di nuovi partigiani, Mario Rossi, anche se con reticenze, distinguo e cautele, afferma: “Condividendo la posizione dei Gap, diventammo in pratica il gruppo Gap di Genova come c’erano già a Milano e Trento. Però, l’ho detto e lo ripeto ancora, siamo sempre stati autonomi rispetto alle altre formazioni che si stavano formando o che erano già attive altrove”.10
.
L’esperienza di Rossi, e la lettura del libro di Clementi-Persichetti-Santalena, ci offrono l’occasione di approfondire anche un altro aspetto, relativo a militanti delle prime formazioni armate, ma anche delle Brigate Rosse: la loro provenienza, l’appartenenza e l’agire politico.
Nella testimonianza raccolta da Donatella Alfonso (giornalista de “La Repubblica”) Rossi ribadisce,
Io, di fatto, mi sento ancora un militante del Pci degli anni Sessanta…In quegli anni lì ti capitava di frequentare il Partito soprattutto sul posto di lavoro, nelle sezioni di fabbrica, perché sentivi il polso dell’operaio che era quello che ti insegnava a lavorare e poi pensare…(Noi) ci eravamo tutti forgiati anche con il 30 giugno del ’60, quando Genova ha respinto il congresso del Msi. Lì c’eravamo tutti e l’ultima volta che ho visto davvero il Partito comunista in piazza è stato quel giorno, con i partigiani e i portuali con il gancio in mano”.

Nella ricostruzione delle sue scelte politiche, svela anche un particolare emblematico, “…un altro fatto che non ho mai raccontato per non mettere in imbarazzo nessuno, ma io ho continuato ad avere la tessera del Pci: finché non è morto, un vecchio compagno di Genova me l’ha rinnovata tutti gli anni, anche quando ero in carcere…Sembra assurdo, ma io non sono mai stato espulso dal Partito comunista”.

feltrinelli Queste due organizzazioni ‘minori’ e precedenti al dispiegarsi delle BR e di altre formazioni con struttura nazionale anche se con diffusione a macchia di leopardo (Nuclei Armati Proletari e Prima Linea) insieme ai Gruppi d’ Azione Partigiana costituiti da Giangiacomo Feltrinelli (operativi a Trento, Milano e Genova, i cui militanti in maggioranza, e sostanzialmente, sono confluiti nelle Brigate Rosse dopo la morte dell’editore,14 marzo 1972) sono stati un insieme di più ‘iscritti’ al Partito (Nelle inchieste sui Gap sono stati indagati G.B. Lazagna, Marisa e Vittorio Togliatti, nipoti del Migliore, ed altri ancora molto ‘vicini’ al Pci) che si sono mossi collettivamente, ma ci sono anche sintomatiche individualità o compagni semi-organizzati, con contatti personali. L’editore milanese presta la sua pistola (una Colt Cobra) a Monika Ertl, nome di battaglia ‘Imilla’, quando il primo aprile 1971, ad Amburgo, uccide Roberto Quintanilla Pereira, rappresentante del governo boliviana in Germania e boia di Ernesto Che Guevara.11

Clementi e coautori ricordano il caso di Maria Elena Angeloni, la zia di Carlo Giuliani, dilaniata – insieme al militante cipriota Georgios Christou Tsdikouris – dall’auto bomba che stava indirizzando verso l’ambasciata statunitense di Atene (2 settembre 1970) ed iscritta alla sezione 25 Aprile del Pci milanese. “Ai funerali di Elena, a Milano, per la Resistenza greca c’è Melina Mercouri. Ci sono i compagni, gli amici, i militanti del Pci. A titolo individuale. Il Partito non c’è. Anche se ufficialmente sostiene la Resistenza. Il segretario della sezione 25 aprile viene costretto dalla Federazione a strappare la matrice della tessera di Elena”.12

Un altro esempio evidenziato in “Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’” è quello di Angelo Basone, operaio alle presse di Mirafiori, delegato sindacale e dirigente della sezione di fabbrica del Pci, mai espulso dal partito, inserito nella lista dei 61 operai da licenziare e militante noto e riconosciuto dell’organizzazione con la stella a cinque punte. Condannato per partecipazione a banda armata, prigioniero politico nelle carceri speciali.

Quelle sopra ricordate sono le biografie politiche di alcuni militanti comunisti (militanti del Pci) che hanno intrapreso la lotta armata. Militanti politici a tutto tondo, che partecipavano all’attività di sezione, contribuivano al dibattito durante le riunioni, intervenivano ai congressi di partito, organizzavano manifestazioni e comizi, redigevano e distribuivano volantini, diffondevano la stampa: il quotidiano ‘L’Unità’, i settimanali ‘Vie Nuove’ e ‘Noi Donne’. Non giocavano a fare i soldatini.

La più significativa, probabilmente, è la coerente traiettoria disegnata da Prospero Gallinari. Già militante, a Reggio Emilia, dell’ organizzazione giovanile del Pci, dal 1968 con doppia tessera, anche quella del Partito13 quando ne viene espulso (1969) per indisciplina, partecipa alle riunioni del ‘Collettivo Politico Operai-Studenti’, detto ‘Gruppo dell’appartamento’ (poi CPM-Sinistra Proletaria di Re). Dopo un’infelice (così la definisce nella sua autobiografia) esperienza (1971-1972) nel Superclan di Corrado Simioni, aderisce ufficialmente alle Brigate Rosse, divenendone uno dei militanti più rappresentativi.

Mario Moretti, quando Gallinari muore, lo ricorda così: “Il nome di battaglia di Prospero era Giuseppe e non è certo per caso. Se l’era scelto con molta ironia ma per un vecchio comunista quel nome vuol dire qualcosa. Prospero è uno dei compagni di fiducia e di linea, è lui che guida la battaglia politica con Morucci nella colonna romana. Prospero è il marxismo-leninismo, tutto quel che ci succede, ascese e cadute, lui lo legge alla luce del rapporto tra partito e masse, avanguardia e masse. Pensa che è là che manchiamo. Viene dall’esperienza emiliana, per lui il partito è tutto, la coerenza politica è tutto, e ha un senso morale fortissimo. Ognuno vive la sconfitta in maniera diversa… per lui, se le cose tornano sui paradigmi marxisti-leninisti va bene, e di lì non si muove neanche se gli spari. Quando le Br si esauriscono, spera in una continuità in qualcosa che non siano le Br. Il che a mio parere non ha senso, e gliel’ho detto, pur con il grande rispetto che ho per lui. Prospero è uno di quelli con cui mi intendevo, è d’acciaio, proprio d’acciaio, è fatto così, è un vecchio contadino del Pci. Prospero è importantissimo. Ciao, Prospero”.14

Anche Andrea Colombo,15 in altra prospettiva ed ottica, gli rende gli onori della Politica: “Prospero Gallinari era una persona meravigliosa. Molti lo sanno ma temo che pochi lo scriveranno. Invece è bene che sia detto. Era generoso, altruista, coraggioso. Era uno di quelli di cui si dice ‘col cuore grande’…Era un uomo d’altri tempi. Un militante comunista di quelli che per due secoli hanno fatto la storia. Un partigiano nato per caso a guerra finita. Da ragazzo si faceva chilometri a piedi per andarsi a leggere l’Unità nel bar del paese più vicino alla fattoria in cui era cresciuto. Da uomo fatto era ancora quel ragazzo. Con noi, ragazzi di movimento, che negli anni ’70 il Pci lo odiavamo e lo combattevamo aveva pochissimo a che spartire. ‘Io – mi ha detto una volta – sono sempre stato un militante del Partito comunista italiano e, anche se ti sembrerà strano, in tutte le organizzazioni di cui ho fatto parte ho sempre rappresentato l’ala moderata’ “.

La costituzione delle BR
Gli artefici di questo primo volume, a cui altri ne seguiranno, hanno ricostruito dettagliatamente come, e quando, si è costituita la prima, e più importante, organizzazione armata italiana del dopoguerra con un’ ampia ramificazione su quasi tutto il territorio nazionale. Quali sono stati gli organismi, collettivi e comitati politici che hanno contribuito alla sua fondazione. Più sopra abbiamo sottolineato come questo lavoro sia di aiuto e stimolo al recupero della memoria, anche per questo motivo lo consideriamo un testo utile e fondamentale.

Da Trento, un apporto sostanziale lo hanno fornito Margherita Cagol e Renato Curcio che, poi, con Mauro Rostagno (Movimento per una Università Negativa) sono ‘migrati’ a Verona, per poter aver un respiro politico maggiore, dove hanno collaborato con il ‘Centro d’informazione’ che pubblicava la rivista ‘Lavoro Politico’ diretta da Walter Peruzzi. Successivamente, quasi tutta la redazione aderì al Partito Comunista d’Italia, che poi si scisse in ‘linea nera’ e ‘linea rossa’.

Curcio e ‘Mara’ aderirono a quest’ultima, fino a quando, agosto 1969, ne vennero espulsi insieme a Peruzzi ed al ‘trentino’ Duccio Berio. Da Verona si trasferiscono a Milano, ed incontrarono i Compagni del Collettivo Politico Metropolitano (poi Sinistra Proletaria), i Compagni dei Cub Pirelli, Alfa, Sit-Siemens, Marelli, nonche i componenti dei Gruppi di Studio della Sit e della Ibm. Quest’ultimo, qualche anno dopo, realizza un importante lavoro di ricerca sulla multinazionale statunitenese: “IBM, capitale imperialistico e proletariato moderno”.16 Ma anche nei quartieri della cintura periferica ci sono realtà ‘autonome’ che iniziano una certa critica politica: comizi volanti, diffusione di materiale di propaganda e militare, prevalentemente incendio di automobili di capetti e fascisti.

Particolarmente radicato, nel quartiere Lorenteggio-Giambellino, il “Gruppo Proletario Luglio ’60” comunista autonomo. Animatori e aderenti a questo organismo sono tutti (un centinaio) ex militanti iscritti alla sezione Pci di quartiere, intitolata al partigiano ‘Giancarlo Battaglia’. Come partigiani sono il militante storico del rione: Gino Montemezzani, uno dei pochi maoisti ad avere incontrato personalmente Mao Tse Tung,17 e Giacomo ‘Lupo’ Cattaneo, successivamente combattente comunista nelle Brigate Rosse. Del comitato “Luglio ’60” fanno parte anche i nove fratelli Morlacchi,18 figli di una ‘famiglia comunista’. In sei saranno perseguitati per costituzione e partecipazione a banda armata: le BR. Pierino, oltre ad essere uno dei promotori dell’organizzazione è stato anche nel primo comitato esecutivo con Curcio, Cagol e Moretti.

A Reggio Emilia, la gran parte dei componenti il ‘Collettivo Politico Operai-Studenti’ provenivano dal Pci e dalla Fgci, ed insieme agli organismi sopra ricordati, oltre ad un gruppo di compagni di Borgomanero (No) e uno del comprensorio Lodi-Casalpusterlengo (allora provincia di Milano) si ritrovarono a dibattere e discutere, a fine dicembre 1969 presso la locanda ‘Stella Maris’ di Chiavari (Ge) e, poi, al ‘congresso di fondazione’ in quel seminario-convegno di tre giorni che si svolse presso la trattoria ‘Da Gianni’, frazione Costaferrata, zona appenninica della provincia reggiana nell’agosto 1970. Così, sostanzialmente, si costituirono le Brigate Rosse.

Memoria ed oblio
Spesso si ripete che la memoria è un ingranaggio collettivo. Ma è anche uno strumento ‘sovversivo’. I tre ricercatori, autori di questa complessa ricostruzione umana, storico e politica ci forniscono l’occasione per coniugare le due azioni. Gli episodi, all’interno di questo primo volume, sono numerosi, alcuni ci hanno colpito particolarmente. Ricordiamo quelli che ci sembra abbiamo una maggior valenza politica.

Quello di maggior spessore e ‘peso’, in tutti i sensi, è relativo al famigerato (vale la pena ribadirlo) scandalo Lockheed. Gli autori lo ricordano19 con precisione. “Lo scandalo Lockheed era nato dalle rivelazioni della Commissione d’inchiesta statunitense guidata dal senatore Frank Church, secondo le quali la compagnia Lockheed aveva pagato tangenti in molti paesi per vendere la produzione bellica agli eserciti nazionali. Per quanto riguardava l’Italia, si trattava di tangenti per l’acquisto di 14 aerei C-130 comprati dal governo italiano tra il 1972 e il 1974, di aerei F-104S e di carri armati Leopard. Accanto a Gui (Ministro degli Interni e moroteo, nda) fu coinvolto anche il ministro della Difesa Mario Tanassi mentre, sempre secondo le rivelazioni statunitensi, dietro alcuni nomi in codice (Antelope Cobbler e Pun) si nascondeva un ex presidente del consiglio…Il nome in codice ‘Antelope’, secondo le rivelazioni americane, indicava un presidente del Consiglio negli anni dal 1965 al 1970, coinvolgendo dunque, oltre a Moro (1963-1968), il governo cosiddetto balneare di Giovanni Leone (giugno-novembre 1968) e quello di Mariano Rumor (dicembre 1968-luglio 1970). I tre smentirono ogni coinvolgimento e il 29 aprile l’ambasciatore statunitense notò che, nel farlo, avevano dato l’impressione di ritenersi colpevoli a vicenda”.

Repubblica Moro Dal momento che non condividiamo, né abbracciamo, nessun tipo di teoria complottista e dietrologica, specifichiamo subito che non attribuiamo a nessuno dei citati colpe precise, però ricordiamo…E ricordiamo che giovedì 16 marzo 1978, il giorno del rapimento Moro, sulla prima pagina del quotidiano “La Repubblica” c’era questo ‘box’: “Antelope Cobbler è Aldo Moro?” che rimandava ad un articolo interno: “Antelope Cobbler? Semplicissimo Aldo Moro, presidente della DC”.

Non ci dilunghiamo oltre perché non è necessario. Rileviamo che la notizia poteva essere approfondita, verificata, confermata, smentita. Come tutta la vicenda delle cosiddette ‘bare volanti’, così erano anche chiamati i Lockheed F-104, che si concluse con le condanne dei ‘soli’ Tanassi (Psdi), del suo segretario personale, dei rappresentanti italiani della Lockheed e dell’allora presidente di Finmeccanica (a partecipazione statale). Non sappiamo come finì la falsa (?) accusa del quotidiano diretto da Eugenio Scalfari contro Moro.

Con la loro ricostruzione, Clementi, Persichetti, Santalena, ci aiutano a rideterminare i tempi e modi con cui sono state istituite le carceri speciali, la ‘settimana rossa’ dell’Asinara, le battaglie di Pianosa e Saluzzo, lo sciopero della fame di Nuoro, proprio per superare e smantellare le fortezze disumane: Kampi. La costruzione ed inaugurazione del primo super-carcere femminile: quello di Voghera e la manifestazione-con cariche bestiali e tante botte ai partecipanti-del luglio 1983, per la sua neutralizzazione. La ‘mano libera’ concessa a Carlo Alberto Dalla Chiesa e al suo nucleo speciale antiterrorismo. L’introduzione dell’uso sistematico della tortura contro gli arrestati per farli parlare.
Già dal 1975, con Alberto Buonoconto, poi Enrico Triaca, Cesare Di Lenardo, Paola Maturi, Sandro Padula, Emanuela Frascella, purtroppo tanti altri.

E proprio all’istituzionalizzazione di questa pratica crudele e ai molti casi riscontrati, gli autori di ‘Brigate Rosse’ dedicheranno approfondimenti ed adeguato spazio nei prossimi volumi. Senza tralasciare il sequestro D’Urso, Dozier e dei quattro rapimenti della ‘campagna di primavera’: Cirillo, Taliercio, Sandrucci e Peci. Non trascurando la nascita del Partito Guerriglia, del distacco della Walter Alasia, dell’annuncio della ritirata strategica e della fine di un’esperienza.
Così come il massacro di via Fracchia a Genova e l’esecuzione di Roberto Serafini e Walter Pezzoli a Milano.
“La storia continua”.20

N. B. Questo è il primo di tre contributi relativi a lotta armata, carcere, proletariato extra legale, realizzati prendendo spunto da altrettante recenti pubblicazioni. Oltre a questa di Clementi-Persichetti-Santalena, le prossime saranno l’autobiografia di Pasquale Abatangelo “Correvo pensando ad Anna”, e “L’albero del peccato”, pubblicato, grazie a Giorgio Panizzari, aggiornato e notevolmente ampliato rispetto all’edizione del 1983, diffusa a firma ‘Collettivo prigionieri comunisti delle Brigate Rosse’. (F.A.)


  1. Marco Clementi, Storia delle Brigate Rosse, Odradek Edizioni, Roma, 2007  

  2. Marco Clementi, La ‘pazzia’ di Aldo Moro, Odradek Edizioni, Roma, 2001  

  3. Paolo Persichetti-Oreste Scalzone, Il nemico inconfessabile. Sovversione sociale, lotta armata e stato di emergenza in Italia dagli anni settanta ad oggi, Odradek Edizioni, Roma, 1999  

  4. Jacques M. Verges, Strategia del processo politico, Einaudi, Torino, 1969  

  5. Nel saggio di Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’ insurrezione partigiana. Agosto 1946, il leader degli insorti, ‘Armando’, “…insieme ad alcuni compagni, costituì, dopo la liberazione, un gruppo clandestino denominato ‘808’ in onore di un potente esplosivo e che, di fronte al progressivo atteggiamento di clemenza dei giudici nei confronti dei fascisti, decise di assumersi il compito di fare giustizia.”  

  6. Alice Diacono, L’insurrezione partigiana di Santa Libera (agosto 1946) e il difficile passaggio dal fascismo alla democrazia, anno accademico 2009-2010; Giovanni Rocca (Primo), Un esercito di straccioni al servizio della libertà, Art pro Arte, Canelli (Cn), 1984; Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’insurrezione partigiana. Agosto 1946, Edizioni Gruppo Abele, Torino, marzo 1995; Giovanni Gerbi, I giorni di Santa Libera, otto puntate su “ L’eco del lunedì”, settimanale di Asti, ottobre-novembre 1995; Marco Rossi, Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane dopo la Liberazione. 1945-1947, Edizioni Zero in condotta, Milano, 2009; Claudia Piermarini, I soldati del popolo. Arditi, partigiani e ribelli: dalle occupazioni del biennio 1919-20 alle gesta della Volante Rossa, storia eretica delle rivoluzioni mancate in Italia, Red Star Press, Roma, giugno 2013  

  7. Cesare Bermani, La Volante Rossa. Storia e mito di ‘un gruppo di bravi ragazzi’, Colibrì Edizioni, Milano, 2009; Carlo Guerriero-Fausto Rondelli, La Volante Rossa, Datanews, Roma, 1996; Massimo Recchioni, Ultimi fuochi di Resistenza. Storia di un combattente della Volante Rossa, DeriveApprodi, Roma, 2009; M. Recchioni, Il tenente Alvaro, la Volante Rossa e i rifugiati politici italiani in Cecoslovacchia, DeriveApprodi, Roma, 2011; Francesco Trento, La guerra non era finita. I partigiani della Volante Rossa, Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2014  

  8. Sante Notarnicola, L’evasione impossibile, Feltrinelli, 1972  

  9. Da una conversazione con Sante Notarnicola, 14 aprile 2017  

  10. Donatella Alfonso, Animali di periferia. Le origini del terrorismo tra golpe e resistenza tradita. La storia inedita della banda XXII Ottobre, Castelvecchi Rx, Roma, 2012  

  11. Jurgen Schreiber, La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl, casa editrice Nutrimenti, Roma, 2011  

  12. Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, DeriveApprodi, Roma, 2015  

  13. Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, Bompiani Overlook, Milano, 2006  

  14. Mario Moretti, Per Prospero, 14 gennaio 2013  

  15. Gli Altri online, 14 gennaio 2013  

  16. Sapere Edizioni, Milano, 1973  

  17. Gino Montemezzani, Come stai compagno Mao?, Edizioni LiberEtà, Roma, 2006  

  18. Manolo Morlacchi, La fuga in avanti. La rivoluzione è un fiore che non muore, Agenzia X, Milano, 2007  

  19. nn.14 e 15, pag. 149  

  20. P. Gallinari, Un contadino nella metropoli, cit.  

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