New York Times – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Cronaca di una sconfitta (nascosta sotto un cumulo di menzogne) https://www.carmillaonline.com/2021/11/24/cronaca-di-una-sconfitta-nascosta-sotto-un-cumulo-di-menzogne/ Wed, 24 Nov 2021 21:00:11 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=69228 di Sandro Moiso

“Nella inconcepibile finitezza dell’universo non vi è nulla di nuovo, nulla di differente. E’ una questione di statistica e ciò che può apparire eccezionale alla ristretta mente dell’uomo appare inevitabile all’infinito […]. Quel che sembra un fatto unico può essere un luogo comune. […] questo avvenimento inconsueto, queste impressionanti coincidenze di luogo, di possibilità, di corsi e ricorsi, tutto questo si può ripetere con straordinaria esattezza e precisione più e più volte sul pianeta di un sistema solare della Galassia che compie un solo movimento di rotazione ogni duecento [...]]]> di Sandro Moiso

“Nella inconcepibile finitezza dell’universo non vi è nulla di nuovo, nulla di differente. E’ una questione di statistica e ciò che può apparire eccezionale alla ristretta mente dell’uomo appare inevitabile all’infinito […]. Quel che sembra un fatto unico può essere un luogo comune. […] questo avvenimento inconsueto, queste impressionanti coincidenze di luogo, di possibilità, di corsi e ricorsi, tutto questo si può ripetere con straordinaria esattezza e precisione più e più volte sul pianeta di un sistema solare della Galassia che compie un solo movimento di rotazione ogni duecento milioni di anni e ne ha compiuti finora già nove. Vi sono stati mondi e culture, a non finire, ognuno forse sedotto dall’illusione orgogliosa di essere unico, insostituibile, irriproducibile. Ci sono stati uomini, a non finire, malati della stessa forma di megalomania da cui anche intere nazioni e mondi interi sono affetti. Ce ne saranno altri e altri ancora.” (Alfred Bester, L’uomo disintegrato, 1952)

Non vi può essere dubbio che la sconfitta, prima americana e subito dopo occidentale, in Afghanistan sia stata ancor più politica che militare. La precipitosa ritirata, che alcuni oggi vorrebbero descriverci come poco importante dal punto di vista degli interessi statunitensi, è avvenuta infatti principalmente a seguito di calcoli politici sbagliati e fiducia mal riposta nelle forze armate. Oltre che in una montagna di dollari spesi più per corrompere che per costruire una nazione.

La storia della guerra afghana, durata vent’anni, non è, però, soltanto la storia di una catastrofe militare, politica, sociale e culturale. E’ anche quella di un’enorme voragine, di un buco nero che non solo ha assorbito vite, soldati, mezzi e denaro, ma anche coscienze, illusioni, ideologie, concezioni e visioni del mondo e che ha contribuito a trasformare l’immaginario occidentale. Anche quello che si riteneva di “sinistra”, democratico o antagonista, se non marxista.

Una guerra sviluppatasi nel corso di un cambiamento tecnologico che si è fatto anche antropologico. Una svolta nella gestione dei dati e delle informazioni che, più che dar vita ad una quarta rivoluzione industriale, ha garantito al nostro avversario di sempre, l’imperialismo finanziario o il capitalismo dello sfruttamento integrale delle risorse del pianeta e della vita, una capacità di penetrazione nell’immaginario collettivo ed individuale prima inconcepibile. Arricchendo il già fin troppo condiviso ideale di progresso con le enormi bugie e falsità contenute nei vacui discorsi sui diritti umani e, da qualche tempo, sul green capitalism (come hanno ancora dimostrato il recente G20 tenutosi a Roma oppure la conferenza COP 26 di Glasgow).

Questo autentico lavaggio della coscienza collettiva, quasi si trattasse di riciclare denaro sporco, ha utilizzato strumenti nemmeno troppo complicati e neppure programmati in precedenza. Soltanto è avvenuto in un contesto in cui la soggettività è diventato un elemento assoluto e dirimente in qualsiasi contesto di discussione e dibattito. Mentre l’interesse collettivo si è pian piano trasferito a far da tappezzeria sbiadita nel salotto mediatico universale, che va dagli studi televisivi ai social presenti nei telefonini di ultima generazione, in cui siamo ormai immersi. Troppo spesso per semplice pigrizia e/o conformismo.

Così il lento movimento delle galassie sociali e delle differenti forme di produzione, destinate a scontrarsi inevitabilmente nel corso dei loro giganteschi movimenti, è stato sempre più nascosto da una miriade di individui “pensanti” che si comportano, nell’interpretare le proprie scelte e quelle altrui oppure le proprie irrinunciabili specificità, come coloro che rivendicarono fino a Galileo, e oltre, l’unicità dell’uomo e la centralità sua e del pianeta che gli è stato assegnato all’interno di un universo ridotto a pure funzione di contorno e sfondo.

D’altra parte, quando vent’anni or sono l’azione americana diede inizio al conflitto afghano, dopo aver preventivamente scacciato i sovietici da quegli stessi territori, con un’altra lunga e mai dichiarata guerra da cui sarebbero derivati sia la determinazione che la costituzione dei gruppi della galassia dell’islamismo radicale, da poco l’ultimo movimento occidentale antimperialista e internazionalista globale di un qualche peso era stato schiacciato e smembrato nelle strade di Genova, grazie non soltanto all’enorme apparato repressivo messo in atto in quei giorni, ma anche alle sue indubbie contraddizioni e agli errori di calcolo dei suoi leader.

I fatti del G8 di Genova, oltre tutto, avvennero poco prima che a Durban, in Sudafrica, dal 31 agosto all’8 settembre 2001, si svolgesse la Conferenza mondiale “contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza”. Iniziativa dell’ONU che, forse per la prima volta, vide i delegati degli Stati Uniti e di Israele ritirarsi dalla medesima in segno di rifiuto e opposizione alle risoluzioni prese dalla stessa.

Risoluzioni “morbide” che comunque individuavano nello stato di Israele il promotore dell’apartheid nei confronti dei palestinesi e, in secondo luogo e senza la richiesta di risarcimenti come invece era stato inizialmente previsto, nella schiavitù e nel razzismo un crimine perpetuato fin dal passato negli Stati Uniti (oltre che in altri contesti), ma che bastarono a suscitare lo scandalo tra i principali rappresentanti dell’imperialismo e del sionismo.

Nemmeno due settimane dopo le torri gemelle sarebbero crollate sotto l’effetto di un attacco terroristico che più che in Afghanistan avrebbe trovato supporto, come dimostrano i documenti appena, e solo parzialmente, desecretati dal Federal Bureau of Investigation (qui), nei servizi segreti e nei funzionari sauditi presenti sul territorio americano. Ancora ventisei giorni e, il 7 ottobre, sarebbe iniziato l’attacco americano contro l’Afghanistan e il governo degli studenti coranici (talebani).

A distanza di vent’anni si possono dunque fare considerazioni di varia natura e peso sull’ipocrisia che, allora come oggi, ha governato e governa ancora l’informazione politico-mediatica sull’argomento. La prima considerazione da fare, però, riguarda la scarsa mobilitazione contro la guerra che si ebbe fin da subito, di qua e di là dell’Atlantico; a differenza di quanto era avvenuto all’inizio degli anni Novanta in occasione della guerra del Golfo, che vide svilupparsi una forte opposizione alla stessa sia negli Stati Uniti, che in Europa e anche qui in Italia.

L’uso reiterato delle immagini del crollo delle Twin Towers aveva invece contribuito a creare un clima di sgomento e di paura che, soprattutto negli Stati Uniti e subito dopo nel resto dell’Occidente ricco, sicuro e perbenista, tagliò le gambe anche a chi in precedenza aveva manifestato contro la guerra.

La “guerra in casa” faceva paura, non c’è dubbio, e costringeva, tramite una politica della paura e della sbandierata minaccia ai “nostri” diritti, a far sì che una parte consistente della popolazione, senza alcuna differenziazione politica e/o sociale, finisse per parteggiare per gli interessi statunitensi e occidentali, ritenuti come propri.

Non era più l’anticomunismo degli anni Sessanta e Settanta a mobilitare una parte consistente dell’opinione pubblica a favore dell’intervento militare, ma la lesa maestà del diritto occidentale di dominare il mondo, anche attraverso la favola dei diritti e della libertà individuale. Narrazione trascinatasi fino ai nostri giorni, caratterizzati da una confusione ideologica e da un’ipocrisia che non ha quasi eguali nella Storia.

Un libro di Craig Whitlock, appena dato alle stampe da Newton Compton1, si occupa di far piazza pulita delle menzogne che giustificarono quell’entrata in guerra e che hanno continuato a giustificarne la continuazione nei successivi vent’anni. Con almeno tre presidenti direttamente coinvolti nella sua narrazione: George Bush Jr., Barack Obama e Donald Trump.

Craig Whitlock è un giornalista investigativo del «Washington Post», e se questo non dovesse ricordare nulla al lettore distratto sarà utile ricordargli che il «Washington Post» è proprio quel giornale che nel 1972 rivelò, nonostante le minacce presidenziali e degli uomini degli apparati a lui più vicini, lo scandalo Watergate, che portò alla richiesta di impeachment per lo stesso presidente Richard “Tricky” Nixon e alle sue dimissioni a seguito della scoperta, a partire dall’hotel Watergate di Washington, di intercettazioni condotte in segreto contro i rappresentanti del Partito Democratico ad opera di uomini legati al Partito Repubblicano e in particolare al “Comitato per la rielezione” del presidente Nixon.

Scandalo che, in qualche modo, oscurò a livello mediatico e d’opinione quello aperto poco tempo prima dalla pubblicazione sul «New York Times» dei cosiddetti Pentagon Papers, uno studio sugli errori compiuti dal Pentagono e dal governo statunitense in Vietnam, che era stato commissionato dall’8° Segretario della Difesa statunitense Robert McNamara (in carica dal 21 gennaio 1961, sotto la presidenza di John Kennedy, al 29 febbraio 1968, sotto quella di Lyndon Johnson). Però, più che uno studio sugli errori, i Pentagon Papers, rivelati all’epoca oltre che dal «New York Times» anche dal «Washington Post», si erano trasformati in una denuncia delle menzogne messe in campo dal governo per giustificare una guerra destinata inevitabilmente alla sconfitta (oltre che a danneggiare gravemente la popolazione, l’ambiente e l’economia del Vietnam).

Non per nulla il testo di Whitlock si intitola, nell’edizione originale americana pubblicata quest’anno, Afghan Papers, proprio per richiamare alla memoria un’esperienza cui si ispira il lavoro del giornalista statunitense. Lavoro iniziato nel 2016, quando il presidente Obama, allo scadere del suo secondo mandato, non aveva ancora mantenuto le promesse di vittoria e di ritiro delle truppe precedentemente fatte. Cosa che ha permesso a Whitlock di affermare:

A quel punto io potevo vantare un’esperienza di quasi sette anni come reporter di punte del «Washington Post» nella copertura di notizie del Pentagono e dell’esercito degli Stati Uniti.
[…] Prima di ciò, ero stato per sei anni il corrispondente estero oltreoceano del «Washington Post»; avevo scritto di al-Qaeda e dei suoi affiliati terroristi in Afghanistan, Pakistan, Medio Oriente, Nord Africa e Europa.
Come molti giornalisti, sapevo che l’Afghanistan era un totale disastro. Disprezzavo le vuote dichiarazioni dell’esercito americano, in base alle quali sembrava che i progressi fossero costanti e che si fosse sulla strada giusta2.

Operazione, quella afghana, che nonostante il vasto consenso pubblico, dovuto alle motivazioni riassunte all’inizio di questo articolo, fin dall’inizio presentò qualche ombra per chi intendeva comprenderne a fondo ragioni, motivazioni, finalità e strategie reali, se è vero che, come afferma ancora Whitlock:

Due settimane dopo gli attacchi dell’11 settembre, mentre gli Stati Uniti si preparavano alla guerra in Afghannistan, un giornalista pose una domanda ben precisa al segretario della Difesa Donald Rumsfeld: i funzionari americani mentono ai media sulle operazioni militari per fuorviare il nemico?
[…] Il segretario della Difesa parafrasò una citazione del primo ministro britannico Winston Churchill: «In tempo di guerra, la verità è così preziosa che dovrebbe sempre essere assistita da una guardia del corpo di bugie». […] Sembrò che Rumsfeld stesse giustificando la pratica di diffondere bugie in tempo di guerra, ma poi cambiò rotta e insistette che lui non sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere. «La risposta alla sua domanda è no, non credo che sia possibile», dichiarò «Non ricordo di aver mai mentito alla stampa. Non ho intenzione di farlo e direi di non aver alcun motivo di farlo. Esistono decine di modi di sottrarsi a una situazione in cui si sarebbe obbligati a mentire, e io non lo faccio»3.

Attraverso l’analisi di migliaia di documenti, interviste, memoir e anni di lavoro, Whitlock ha invece portato in piena luce e dimostrato col suo lavoro (in parte già pubblicato in una serie di articoli del «Washington Post») l’enorme cumulo di menzogne con cui il governo e l’esercito degli Stati Uniti hanno coperto una disfatta politico-militare con pochi altri precedenti nella loro storia (e in quella dell’Occidente).

Dodici giorni dopo le dichiarazioni di Donal Rumsfeld, il 7 ottobre 2001: «quando l’esercito americano iniziò a bombardare l’Afghanistan, nessuno poteva immaginare che quella missione si sarebbe trasformata nella guerra più lunga della storia americana, più lunga della Prima e della Seconda guerra mondiale e di quella del Vietnam messe insieme»4.

Guerra in cui, secondo la ricostruzione di Whitlock e le interviste rilasciate da militari e funzionari di ogni livello e grado: «A sorpresa, i generali al comando hanno ammesso di essere scesi sul campo senza una vera e propria strategia o un piano», come ha dichiarato il generale dell’esercito Dan McNeill, due volte comandante delle forze armate statunitensi durante l’amministrazione Bush. «Semplicemente non esisteva»5.

Come ha ancora aggiunto il generale britannico David Richards, a capo delle forze USA e NATO dal 2006 al 2007: «Non c’era una strategia coerente a lungo termine. Abbiamo provato a tracciare un approccio coerente a lungo termine, una vera e propria strategia, ma ci siamo ritrovati con una serie di tattiche slegate.» Oppure, come ha ammesso Richard Boucher, il principale diplomatico per l’Asia meridionale e centrale dell’amministrazione Bush: «Non sapevamo cosa stessimo facendo.» Mentre il tenente generale dell’esercito Douglas Lute, lo zar della guerra della Casa Bianca sotto le amministrazioni Bush e Obama, gli faceva eco affermando: «Non avevamo la più pallida idea di quello che stavamo facendo»6.

La costruzione di una nazione “moderna”, i diritti delle donne, la formazione di un esercito regolare e di una polizia, oltre che di un’amministrazione non corrotta non sono state altro che vuote promesse e menzogne per giustificare una guerra che, oltre alle centinaia di migliaia di vittime tra la popolazione civile, ha causato 2300 morti e 21.000 feriti, senza contare il numero infinito di traumi psicologici, tra i 775.000 soldati statunitensi che hanno prestato servizio in Afghanistan. Un prezzo altissimo per ciò che, alla fin fine si è rivelato come il più costoso perseguimento di un chimerico nulla della Storia.

I leader politici contrari al ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan si richiamano spesso alla necessità di difendere i progressi fatti in questi anni. Vediamoli rapidamente.
A parte un lieve calo del tasso di analfabetismo (dal 68% del 2001 al 62% di oggi) e un modestissimo miglioramento della condizione femminile (limitato alle aree urbane maggiori), attribuibili al lavoro delle organizzazioni internazionali e delle ONG, non alla NATO), l’Afganistan ha ancora oggi il tasso più elevato al mondo di mortalità infantile (su mille nati, 113 decessi entro il primo anno di vita), tra le più basse aspettative di vita del pianeta (51 anni, terzultimo prima di Ciad e Guinea Bissau) ed è ancora uno dei Paesi più poveri del mondo (207° su 230 per ricchezza procapite). Politicamente, il regime integralista islamico afgano (fondato sulla sharìa e guidato da ex signori della guerra dell’Alleanza del Nord espressione della minoranza tagica) è tra i più inefficienti e corrotti al mondo ed è lontanissimo dallo standard minimo di una Stato di diritto democratico: censura, repressione del dissenso e tortura sono la norma7.

Basterebbe poi soltanto citare la tanto sbandierata guerra alla produzione di oppio, nei suoi dati reali, per verificare come il cumulo di menzogne sia stato enorme sia durante che ancora oggi, a guerra finita:

A questo si aggiunge il sistematico coinvolgimento di tutte le autorità governative, da quelle periferiche e a quelle centrali, nel business della droga (oppio ed eroina) rifiorito dal 2001 con effetti devastati non solo nello stesso Afganistan (in dieci anni la tossicodipendenza è aumentata del 650% e oggi riguarda un afgano adulto su 12, con conseguente esplosione dell’Aids) ma anche in Occidente, compresa l’Italia, dove l’eroina proveniente dall’Afganistan si sta diffondendo tra i giovanissimi provocando un numero di vittime che non si vedeva dagli anni ’808.

Come ha confermato anche, in un articolo recente, il quotidiano francese «Le Figaro»:

c’è un’area in cui i talebani avevano sorpreso positivamente: il mullah Omar, leader supremo dei talebani, aveva imposto un divieto totale alla coltivazione del papavero da oppio nei territori sotto il loro controllo, cioè oltre il 90% del paese e il 95% della superficie coltivata dalla coltivazione del papavero. Nel maggio 2001, i talebani avevano praticamente eliminato la produzione di oppio, facendola scendere a 185 tonnellate dalle 4600 tonnellate del 1998. Questo residuo era concentrato nei territori del nord-est del paese sotto il controllo dell’Alleanza del Nord, nemici dei talebani. Tuttavia, per una sinistra ironia, durante i 20 anni della presenza americana, la produzione e il traffico di oppio sono stati ricostituiti9.

Infine, visto che se ne è fatto un gran parlare ad agosto e settembre di quest’anno, non occorre dimenticare che: «La cartina al tornasole dei “progressi” portati dalla presenza occidentale in Afghanistan è il crescente numero di afgani che cerca rifugio all’estero: in Europa negli ultimi anni, tra i richiedenti asilo gli afgani sono i più numerosi dopo i siriani»10. E questo non soltanto negli ultimi mesi, come i media embedded vorrebbero far credere, ma per tutto il corso della guerra. Senza contare che molti profughi fuggiti in Pakistan hanno iniziato, dopo la ritirata occidentale, a rientrare in Afghanistan.

Sceneggiata oltre più vergognosa se si considera che, dopo gli alti lai e guaiti espressi dai media politically correct a favore dei profughi nelle prime settimane post-ritirata, l’Europa e l’Occidente intero sono ritornati ad essere quelli dei muri anti-profughi e migranti. Le lacrime di coccodrillo durano poco, come già dimostrarono le disavventure dei profughi vietnamiti negli Stati Uniti dopo il 197511. Ben accolti in quanto “collaborazionisti” agli inizi, ma poi rifiutati come immigrati e stranieri subito dopo.

L’elenco delle menzogne politiche e mediatiche potrebbe continuare all’infinito. Basti qui soltanto sottolineare che anche Donald Trump, il presidente che in maniera del tutto opportunistica ha finito col patteggiare il ritiro, poi portato a termine dall’amministrazione Biden, di fronte alla resistenza pashtun e all’avanzata talebana che in un solo anno (dal 2015 al 2016) aveva finito col passare dal 28% al 43% del territorio controllato, nell’ambito della missione di combattimento Freedom’s Sentinel, aveva deciso l’invio di ulteriori 3.500 soldati in modo da far sì che il numero complessivo delle truppe americane in Afghanistan raggiungesse i 14.500 uomini.

Va inoltre considerata la presenza di circa 23.500 contractors alle dipendenze del Pentagono (di cui 9.400 americani) impiegati a supporto delle operazioni e delle strutture militari statunitensi nel Paese, tra i quai 1.700 paramilitari (di cui 450 americani).
Tra le ipotesi allo studio dell’amministrazione Trump per il nuovo ‘surge’ c’è quella di ricorrere all’invio, invece che di truppe regolari, di un vero e proprio esercito di contractors dipendenti di compagnie militari private (PMC) da impiegare, per conto del Pentagono, in operazioni di combattimento, così da poter disporre di ‘boots on the ground’ in numero illimitato e di non dover sostenere il costo politico di ulteriori perdite di fronte a un’opinione pubblica americana stanca di questa guerra infinita12.

Menzogne sulla guerra, menzogne sul ritiro, menzogne sul e del dopoguerra.
Tornando così al testo di Withlock occorre sottolineare come, proprio all’inizio, l’autore ricordi come:

Soltanto una stampa libera e senza freni può rivalare in modo efficace i raggiri di un governo. E tra le responsabilità di una stampa libera c’è il dovere d’impedire a qualsiasi istituzione del governo di ingannare il popolo e mandarlo in terre lontane a morire di febbre, pallottole e granate straniere.
Il 30 giugno 1971, il giudice della Corte Suprema Hugo L. Black ha espresso un’opinione in tal senso nel caso New York Times Co. Contro gli Stati Uniti, noto anche come il caso Pentagon Papers. Con una votazione di sei a tre, la Corte ha stabilito che il governo degli Stati Uniti non poteva proibire al «New York Times» o al «Washington Post» i segreti del dipartimento della Difesa sulla guerra del Vietnam13.

Ancora una volta il richiamo è ai Pentagon Papers che, all’epoca della loro pubblicazione suscitarono anche l’attenzione di una delle menti più lucide del ‘900, Hannah Arendt, che sugli stessi scrisse, nel 1971, Lying in Politics. Reflections on the Pentagon Papers, una conferenza trasformata poi in un articolo pubblicato nel 1972 nella «New York Review of Books»14. Il cui tema centrale, più che la disastrosa campagna militare asiatica condotta dagli Stati Uniti, era costituito dall’uso della menzogna in politica. Era la stessa Arendt ad affermarlo:

I Pentagon Papers – ovvero il nome con cui la Storia del processo decisionale statunitense sulla politica in Vietnam in quarantasette volumi (commissionata dal segretario alla difesa Robert McNamara nel giugno del 1967 e completata un anno e mezzo dopo) è divenuta familiare fin dal giugno 1971, quando il «New York Times» pubblicò questo resoconto top secret e accuratamente dettagliato, sul ruolo che svolsero gli Stati Uniti in Indocina tra la seconda guerra mondiale e il maggio del 1968 – raccontano storie diverse e offrono differenti lezioni a lettori differenti. Alcuni sostengono di aver compreso solo ora come il Vietnam fosse il “logico” prodotto della Guerra fredda e dell’ideologia anticomunista, altri, invece, affermano che questa è un’opportunità unica per comprendere i processi decisionali del governo, ma la maggior parte dei lettori, tuttavia, concordano che la questione centrale sollevata dai Papers è l’inganno. Ad ogni modo, è abbastanza ovvio che questa fosse la questione di gran lunga più importante nella mente dei giornalisti che hanno collazionato i Pentagon Papers per il «New York Times» […] Il celebre vuoto di credibilità che ci ha accompagnato per sei lunghi anni si è improvvisamente trasformato in un abisso15.

Menzogna in politica che sempre dovrebbe suscitare scandalo e riprovazione, ma che, soprattutto nell’italietta bigotta e opportunista di ogni colore, sempre più sembra essere accettata come necessaria e inevitabile, soprattutto da quella che vorrebbe ancora definirsi come “sinistra democratica”. Al contrario, invece, nello scritto della Harendt, che dovrebbe ben essere tenuto a mente da chi questo sistema vorrebbe davvero e radicalmente cambiare, si sottolinea come la “politica della menzogna” sia stata destinata principalmente, se non esclusivamente, ad uso interno e alla propaganda nazionale.

Ancor più interessante è il fatto che la stragrande maggioranza delle decisioni di questa disastrosa impresa sono stata prese con la piena consapevolezza che, verosimilmente, esse non avrebbero potuto venir attuate: perciò gli obiettivi dovevano mutare continuamente. Dapprima ci sono gli obiettivi annunciati pubblicamente – «vedere il popolo del Vietnam del Sud in grado di determinare il proprio futuro» o «assistere il paese nel suo tentativo di aver ragione della cospirazione comunista» oppure ancora il contenimento della Cina e il tentativo di evitare l’effetto domino, o lo sforzo di proteggere la reputazione dell’America in quanto «garante delle posizioni anti-sovversione».
[…] A partire dal 1965 la nozione di vittoria netta passò in secondo piano e l’obbiettivo divenne «convincere il nemico che non è in grado di vincere», Dal momento che il nemico non se ne convinceva, fece la comparsa il nuovo obbiettivo: «evitare una sconfitta umiliante» – come se la caratteristica principale della sconfitta in guerra fosse la semplice umiliazione. I Pentagon Papers riportano la paura ossessiva dell’impatto che avrebbe avuto una sconfitta, non sul benessere della nazione, ma «sulla reputazione degli Stati Uniti e del loro Presidente». Perciò, poco tempo dopo, nel corso di molti dibattiti riguardo l’impiego di truppe di terra contro il Vietnam del Nord, l’argomento principale non fu la paura della sconfitta e la preoccupazione circa la sorte dei soldati in caso di ritirata ma, «una volta che le truppe statunitensi sono sul territorio, sarà difficile farle ritirare senza dover ammettere la sconfitta»16.

Letti in tralice i commenti della Harendt ci rivelano tutta la debolezza e l’insicurezza dell’operare americano non solo in Vietnam, ma anche in Afghanistan. Più in profondità rivelano, però, anche tutta la prosopopea di un modo di produzione, e dei suoi governi, nel mantenere posizioni che non siano umilianti per il proprio operato (dalle guerre ai piani per il contrasto delle pandemie oppure per fermare il cambiamento climatico). Paura di un’umiliazione che in un sol colpo potrebbe rivelare non soltanto la fanfaronaggine capitalistica e occidentale, delle sue presunte capacità gestionali, militari, politiche, tecniche e scientifiche, ma anche dei poveri di spirito cospirazionisti che nel vedere in ogni azione governativa un “complotto” non contribuiscono ad altro che a ridare credibilità e forza ad un sistema intimamente anarchico e fallimentare.

Una galassia giunta ormai al termine del suo ciclo che, per ora, soltanto l’inerzia continua a far ruotare in prossimità dell’autentico buco nero che ha contribuito a creare con il suo sovrapporre menzogne, violenza, falsità e irresponsabile volontà di dominio su una materia di per sé ribelle, indocile e irriducibile alla sua volontà.

In questo sistema, cui il maquillage esperto di rappresentanti dei media ed intellettuali da strapazzo tende a dare ogni volta un aspetto diverso e “più consapevole”, in realtà a dominare, oltre alla brama di profitto e appropriazione privata, sono infatti il caso e l’ignoranza, anche ai livelli più elevati di governo, sia al centro che alla periferia dell’impero.

Nel caso della guerra in Vietnam, ci troviamo di fronte, oltre che a falsità e confusione, ad una ignoranza dello sfondo storico di riferimento davvero stupefacente e assolutamente onesto: non solo i decision-makers sembravano ignorare tutti le ben note vicende della rivoluzione cinese e la decennale rottura tra Mosca e Pechino che l’aveva preceduta, ma «nessuno al vertice era al corrente o considerava importante che i vietnamiti avessero combattuto contro invasori stranieri per almeno duemila anni» o che parlare del Vietnam come di una «piccola nazione arretrata» priva di interesse per le nazioni «civilizzate», opinione sfortunatamente condivisa anche da coloro che criticano la guerra, è in aperta contraddizione con l’antica e altamente sviluppata cultura della regione. Ciò di cui il Vietnam è privo non è certo “la cultura”, ma l’importanza strategica […] di un terreno adatto a moderni eserciti meccanizzati e di obbiettivi significativi per l’aviazione. Ciò che ha provocato la sconfitta delle politiche statunitensi e del loro intervento armato non sono state solo le paludi […] ma il volontario e deliberato disprezzo per tutti i fattori storici, politici e geografici, per più di venticinque anni17.

Le stesse parole si potrebbero ripetere esattamente per i think tank che hanno pianificato e condotto così disastrosamente la guerra afghana, ma anche per qualsiasi altra fallimentare strategia capitalistica, presente e passata, compresa la pianificazione sovietica di età staliniana.
Ci si rende così conto, allora, che la politica della paura affonda le proprie radici nella paura del fallimento insito nel cuore del colosso capitalista, che vivo può rimanere soltanto se i suoi potenziali avversari sono convinti della sua forza e capacità di previsione e organizzazione.

Così, come affermava la Arendt in chiusura del suo saggio: «Da questa storia si può concludere che quanto più successo ottiene il bugiardo, quante più persone egli ha convinto, tanto più probabile è che egli stesso finisca per credere alle proprie bugie»18. Purtroppo la trasformazione antropotecnologica, di cui si parlava all’inizio, non ha fatto altro che rafforzare tali narrazioni, false e invasive, contribuendo a renderle ancora più pervasive sia a livello di immaginario individuale che politico (qui su Carmilla).

A chi resiste, in questo autentico deserto di macerie ideologiche, politiche, etiche, militari ed economiche rappresentato dal capitalismo attuale, non resta che continuare a denunciare non solo le intenzioni e le falsità dei suoi aperti sostenitori, ma anche quelle ancora troppo spesso riferibili al campo del socialismo irrazionale degli imbecilli, già destinati alla sconfitta poiché, anche involontariamente, continuano ad operare nello stesso campo semantico e con le stesse logiche “rovesciate” dell'”avversario”. Logiche che, invece, non potranno essere soltanto “rovesciate di segno”, ma che dovranno essere annullate una volta per tutte, per permettere a ben altre galassie sociali di formarsi e vivere per un altro ciclo di tempo all’interno dell’infinito moto dell’universo.


  1. Craig Whitlock, Dossier Afghanistan. La storia della guerra attraverso i documenti Top Secret, Newton Compton Editori, Roma 2021, pp. 350, 12,00 euro  

  2. Craig Whitlock, Dossier Afghanistan. La storia della guerra attraverso i documenti Top Secret, Newton Compton Editori, Roma 2021, p. 9  

  3. C. Whitlock, op. cit., p. 7  

  4. Ibidem, p. 8  

  5. Ibid., p. 11  

  6. Tutte le citazioni si trovano a p. 12 del testo di Whitlock  

  7. MILEX. Osservatorio sulle spese militari italiane (a cura di), AFGHANISTAN. Sedici anni dopo, 2017, p. 11  

  8. Ivi  

  9. Bernard Frahi, “Come gli occidentali hanno permesso all’Afghanistan di diventare di nuovo il paese della droga”, «Le Figaro», 24 agosto 2021  

  10. MILEX, Afghanistan. Sedici anni dopo, op. cit, p. 11  

  11. Ben rappresentate in un film del 1985: Alamo Bay di Louis Malle  

  12. MILEX, op. cit., p.7  

  13. C. Wuitlock, op. cit., p. 6  

  14. Tradotto in Italia come: Hannah Arendt, La menzogna in politica. Riflessioni sui “Pentagon Papers”, Casa Editrice Marietti, Milano 2006  

  15. H. Arendt, La menzogna in politica, Casa Editrice Marietti, Milano 2006, p. 7  

  16. H. Arendt, op. cit., pp. 27-29  

  17. Ibidem, p. 59  

  18. Ibid, p. 63  

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Ufo: le conferme del Pentagono sul New York Times https://www.carmillaonline.com/2018/02/04/ufo-le-conferme-del-pentagono-sul-new-york-times/ Sat, 03 Feb 2018 23:01:20 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=43082 di Maverick

Talvolta i media locali sono fonti di notizie insolite snobbate dai fratelli maggiori. Compaiono perchè interessano direttamente il territorio o perchè non hanno trovato spazio altrove. I media locali sono anche i meno monitorati, almeno sull’immediato, e difficilmente controllabili. E’ stato Metro, un piccolo ma diffuso quotidiano a distribuzione gratuita nelle metropolitane a riportare notizie che solo quattro giorni prima avevano trovano un clamoroso spazio sul New York Times e su un blog di qualche prestigio.

Metro del 20 dicembre scorso, sotto il titolo “Il Top Gun e l’Ufo su San Diego” – “No, non veniva dalla Terra…”, [...]]]> di Maverick

Talvolta i media locali sono fonti di notizie insolite snobbate dai fratelli maggiori. Compaiono perchè interessano direttamente il territorio o perchè non hanno trovato spazio altrove. I media locali sono anche i meno monitorati, almeno sull’immediato, e difficilmente controllabili. E’ stato Metro, un piccolo ma diffuso quotidiano a distribuzione gratuita nelle metropolitane a riportare notizie che solo quattro giorni prima avevano trovano un clamoroso spazio sul New York Times e su un blog di qualche prestigio.

Metro del 20 dicembre scorso, sotto il titolo “Il Top Gun e l’Ufo su San Diego” – “No, non veniva dalla Terra…”, riferiva un caso di incontro ravvicinato del 14 Novembre 2004 tra un FA/18 SuperHornet della Marina e un oggetto non identificato sull’oceano al largo di San Diego, California, con tanto di immagini della rilevazione radar. Il pilota David Fravor, che comandava una squadriglia in esercitazione, ricevette l’ordine via radio di accertare la presenza di oggetti volanti che “scendevano da una quota di 24.000 m fino a 6.000 m e poi scomparivano”. Si trattava, vista la presenza della squadriglia in zona, di andare a controllare da vicino. Lo fecero in due, Favor e il Tenente Jim Slaight. “Era bianco e aveva la forma di una mentina – dichiara Fravor – delle stesse dimensioni di un Hornet, lungo 12 metri ma senza ali, fluttuante vicino all’acqua”… mentre mi avvicinavo ha accelerato ed è scomparso. Più veloce di qualsiasi cosa abbia mai visto…”.

La seconda parte dell’articolo è ancora più intrigante. Si dice che questa notizia e le relative immagini sono in possesso del Pentagono e “rientrano nel programma denominato Advanced Aviation Threat Identification operativo tra il 2007 e il 2012”. La fonte è l’ex ufficiale dell’intelligence Luis Elizondo, ex responsabile di una non meglio specificata Ufo Division. Due affermazioni che lasciano stupefatti: non hanno sempre detto che dai tempi del Progetto Blue Book (metà anni Cinquanta) i militari non si sono mai più occupati di Ufo? Già da tempo si sa che non era vero ma non per ammissione ufficiale del Pentagono, e si sa anche che ogni branch di intelligence militare e civile americana ha sempre monitorato, gestito e intorbidato l’informazione sul fenomeno.1

A naso, comunque, le notizie erano intriganti e dovevo saperne di più. Quale era la fonte di Metro? Un po’ di ricerca ed ecco la terza notizia interessante (con gli Ufo non si finisce mai di stupirsi…): quattro giorni prima, il 16 Dicembre 2017, ben tre articoli pubblicati in contemporanea negli Usa: due sul New York Times e uno sul blog Politico, uno con contatti stabili con gli ambienti militari. Tutti sul caso degli avvistamenti del 2004 e delle dichiarazioni di Elizondo.I due del NYT firmati dagli stessi tre nomi, uno dei quali quello di Leslie Kean, giornalista investigativa già nota per il suo interesse attivo sull’argomento Ufo. I titoli: “2 Navy Airmen and an Object That ‘Accelerated Like Nothing I’ve Ever Seen” e ” Glowing Auras and ‘Black Money’: The Pentagon’s Mysterious U.F.O. Program”. Su Politico si rincara la dose: The Pentagon’s secret search for Ufos.

Il primo articolo contiene più dettagli sull’incontro nei cieli. Per esempio, apprendiamo che Fravor viene informato dall’operatore di controllo che da due settimane vengono rilevati velivoli misteriosi che appaiono sui radar in arrivo da un’altezza di 24.000 m, picchiano a velocità “impossibile” da sopportare per un essere umano (stimata in almeno 20.000 miglia all’ora) verso l’oceano dove si fermano per lunghi minuti dopodichè o spariscono dai radar o ripartono velocissimi verso l’alto e si perdono. Prestazioni che sfidano la fisica conosciuta. Fravor e Straight eseguono e si avvicinano all’oggetto. In mare c’è una strana risacca intorno a qualcosa di semisommerso e 15 m sopra la superficie vedono il velivolo che si muove a scatti irregolari. Fravor inizia una lenta discesa circolare di avvicinamento e l’oggetto comincia a dirigersi verso di lui poi “accelera come non ho mai visto e poi sfreccia via nel cielo” scomparendo dai radar ma riapparendo a 60 miglia di distanza nel punto di ritrovo dei due F18 che stavano ancora 40 miglia indietro. Al ritorno sulla Nimitz, dopo il debrief con i superiori, Fravor commenta con tipica prosa da top gun: “Non so cosa ho visto. Non aveva nè piume nè ali, nè rotori e ci ha surclassato. Voglio pilotarne uno”. Con l’articolo il NYT pubblica il video della gun camera del F18 fornito dal Pentagono a documentazione dell'”incontro”. Rimane la curiosità per quell’oggetto semisommerso che provoca risacca in alto mare.

Nel secondo articolo del NYT, oltre a mostrare un secondo filmato dalla gun camera del F18 (lo stesso di Fravor o in altra circostanza?)2 si affrontano significativamente argomenti importanti per la comprensione della portata del fenomeno Ufo: il monitoraggio da parte degli apparati di intellligence e militari e i sistemi di finanziamento clandestino di cui si fa riferimento apertamente anche nei titoli: black money, soldi in nero: ulteriori conferme di quanto da tempo documentato e affermato dai più seri ricercatori indipendenti. Apprendiamo che il programma Advanced Aviation Threat Identification (Identificazione delle minacce da aviazione avanzata) di cui era responsabile fino al 4 Ottobre 2017 Luis Elizondo, è un programma “non riconosciuto”, parti del quale rimangono segrete, che traeva risorsa finanziaria (22 milioni di dollari) dai 600 milioni annuali dichiarati ufficialmente, apparentemente terminato nel 2012 ma confermato al Times come ancora operativo da “outsiders”, anonimi esterni.3

Il programma segreto
Il programma, si racconta, e qui tutto si intreccia, era stato avviato nel 2008 su richiesta del senatore Democratico del Nevada Harry Reid che lo volle assegnato alla Bigelow Aerospace di proprietà di Robert Bigelow un amico miliardario del senatore a lui unito da un intenso interesse per il feniomeno Ufo di cui avrebbe fornito ampia documentazione a seguito del contratto col Pentagono. Successivi sponsor politici del programma, su raccomandazione di Reid, sono stati due altri senatori, Ted Stevens, Repubblicano dell’Alaska e Daniel K. Inouye, Democratico delle Hawai,4 membri di rilievo – riferisce sempre il Times – di una sottocommissione di spese per la Difesa, entrambi deceduti di recente. Sotto la direzione della Bigelow, si è costruito un deposito per stoccare i materiali recuperati da Ufo precipitati o abbattuti, e si sono raccolte testimonianze di provenienza prevalentemente militare, video, filmati, audio, ma anche test su civili che avrebbero denunciato disturbi fisici a seguito di incontri con gli oggetti. Dalla Bigelow, la gestione del programma sarebbe poi passata direttamente al Pentagono. Da Bigelow vengono citate dichiarazioni in cui lamenta la troppa segretezza sull’argomento Ufo negli Usa paragonata alla maggiore apertura di altri Paesi quali Belgio, Francia, Inghilterra e Cile,5 ma soprattutto Russia e Cina dove se ne occupano “vaste organizzazioni”.

Sempre più interessante. Salta fuori un nome che abbiamo già incontrato più volte trattando di ricerche segrete, quello di Hal Puthoff, un top scienziato specializzato in propulsione aviospaziale ma non solo. Puthoff chiarisce al Times di aver lavorato come contractor al programma AATI e fa lo gnorri sui risultati conseguiti fingendo di saperne meno di quanto già dimostrato in altre occasioni: “Siamo alla stesso punto di come si troverebbe Leonardo da Vinci se gli avessero dato in mano un telecomando di apertura di un garage: prima di tutto cercherebbe di capire cosa sia quello strano oggetto di plastica ma non potrebbe sapere niente dell’elettromagnetismo che ne regola le funzioni”.6

E c’è di più: veniamo informati che proprio Puthoff insieme a Elizondo e a Christopher K. Mellons, un ex sottosegretario alla Difesa e ex Capo dello staff della Commissione Intelligence del Senato, hanno varato un’ iniziativa commerciale denominata To the Stars, Academy of Arts and Science che si propone di continuare la ricerca per la quale richiedere finanziamenti. Il fenomeno Ufo non è solo il più grande segreto dell’umanità (sempre meno però) ma anche una grande fonte di profitto per grandi e piccini. Quale miglior conferma della consistenza reale del fenomeno?

Il blog Politico ribadisce gli stessi contenuti del NYT enfatizzando la segretezza della ricerca nel settore e aggiunge qualche altro dettaglio: il nome del quarto socio, Tom DeLonge, ex chitarrista dei Blink 82, coinvolto per il suo profondo interesse per il fenomeno Ufo, il quale afferma che “To the Stars ha mobilitato un team di cervelli di grande esperienza provenienti dal mondo dell’intelligence, Cia compresa, che hanno operato per decenni nell’ombra della massima segretezza” . Da artista, DeLonge sostiene di voler “lavorare per portare allo scoperto le incredibili innovazioni della scienza e fornire ai cittadini del mondo la conoscenza che potrà trasformare l’umanità”. Con l’appoggio – rivela ancora De Longe – di collaboratori di alto livello come Chris Mellon, un ex alto dirigente Cia, e un ex direttore dei sistemi avanzati alla Skunk Works, la supersegreta branch della Lockeed Martin, massima corporation del settore aviospaziale.7

E’ insomma una miniera di novità e di conferme questa raffica di articoli-rivelazione. La prima in ordine di importanza, se ce n’era ancora bisogno è la conferma che del fenomeno Ufo ormai si parla quasi apertamente. E’ un segreto di Pulcinella “non riconosciuto” a cui manca solo l’ ufficialità. E dà da mangiare a tanti. Un mercato nutrito, almeno negli Usa, da fondi neri su programmi supersegreti appaltati e subappaltati a contractors privati di vario livello (laboratori, aziende, corporation, università, ecc) e quindi parcellizzati al massimo per impedirne la visione d’insieme. E chissà da cos’altro.

La seconda conferma è che anche diversi altri paesi, tra cui le superpotenze Cina e Russia, sono attivi nella ricerca e nel monitoraggio tramite Ufo Desks (anche in Italia, qui non nominata, ce n’è uno presso il Ministero della Difesa).8 Ci sono testimonianze accreditate che indicano che la Russia, già da quando era Urss, si occupi molto degli aspetti extrasensoriali ed extradimensionali del fenomeno. Poi, da quanto emerge da fonti diverse, ci aggiungerei anche l’Iran.

Terza conferma: esistono reperti, “leghe metalliche e altri materiali recuperati da Uap (Unidentified Aerial Phenomena. Sta per Ufo, tanto per non dirlo apertamente) abbattuti o precipitati”. I ricercatori indipendenti lo dicono da anni e hanno sovente riportato testimonianze in merito; a partire dal Roswell crash del 1947. Ci sarebbe da fare un titolone ma il NYT smorza e lo fa dire da Elizondo. Meglio non esagerare. Stesso discorso per gli “effetti psicofisici su individui che hanno avuto/subito un incontro ravvicinato con gli oggetti”: la casistica è ampia a partire dalla testimonianza diretta degli avieri Larry Warren e John Burroughs protagonisti loro malgrado dell’incidente alla base Nato di Rendlesham Forest, in Inghiltera nel dicembre 1980, un caso definito “la Roswell europea”. Per non parlare del rapporto del Ministero della Difesa britannico denominato Project Condign completato nel Marzo 20009 che tratta ampiamente quella materia.

Infine, le parole di Tom De Longe danno un’altra conferma di quanto sostengono da tempo testimoni e ricercatori cioè della possibilità di applicare a scopi civili la tecnologia, o almeno i processi tecnologici, ricavata dai reperti Ufo per ” fornire ai cittadini del mondo la conoscenza che potrà trasformare l’umanità”. Che è poi probabilmente la prima e più importante spiegazione del perdurante segreto. Quelle tecnologie ci farebbero superare la necessità dei carburanti fossili e porterebbero vantaggi incalcolabili per l’umanità producendo energia non inquinante e da fonte infinita, come lo spazio.

Curiosa la mancanza di reazione ufficiale alla divulgazione di queste notizie. Si pensi cosa succederebbe se un bombardiere russo Bear o un analogo cinese fossero stati avvistati a cento miglia dalla costa californiana: probabilmente gli americani andrebbero fuori di testa. Invece, in caso di Ufo, velivoli dalle prestazioni “oltre il conosciuto”, nessuna reazione. Come se fosse meglio non agitare troppo le acque ma si può ben presumere che nel background ci sia stata agitazione.

Questo break di notizie simultanee solleva qualche domanda:
Che succede al New York Times? Perchè ha pubblicato due articoli sull’argomento Ufo offrendo addirittura con la simultaneità un’evidenza senza precedenti?
Si sa che il NYT, insieme al Washington Post e Cnn, è la voce dell’establishment cioè degli ambienti più potenti della società americana, l’ espressione assoluta del mainstream, alfiere di un tipico atteggiamento di progressismo prudente e conformista, di fatto custode “illuminato” di un composto ma irremovibile status quo. E’ generalmente accurato e onesto ma non certo dedicato a sollecitare radicalizzazioni o a scaldare l’opinione pubblica con inutili verità. Ha anzi, su temi sensibili, una lunga tradizione di collaborazione con gli ambienti militari e dell’intelligence (come evitarla se vuoi dare notizie di primo piano?): si pensi alla sua frenetica falsa campagna sulle armi di distruzione di massa dell’Iraq, alle fake news su Siria, Libia, Ucraina e, nel 1947, sul falso reperto di Roswell (il pallone metereologico…) che diede l’inizio al cover up sul fenomeno Ufo.

Richard Dolan, uno dei più seri ricercatori della comunità ufologica, azzarda una spiegazione: la notizia di questi “incontri” del 2004, filmati inclusi, era già stata oggetto della conferenza stampa al National Press Center di Washington tenuta in Ottobre dal team di To the Stars di fronte a un pubblico di scienziati, del sottobosco politico-militare e di personale dell’intelligence. Anche se il tema esplicito non erano gli Ufo ma il lancio della nuova iniziativa, tutti sapevano che di quello si trattava in realtà e l’evento ebbe grande rilievo anche per il livello dell’audience e del personale coinvolto nell’impresa. Non poteva passare totalmente sotto silenzio. E’ dunque possibile che la pubblicazione delle notizie sul NYT sia un’operazione di “controllo del danno” in cui viene offerto un buon boccone ma forse non “intero”cosi da evitare rischiosi seguiti, “una ferita da cauterizzare”. Si contiene la notizia principale sperando di non dover aggiungere altro. Se cosi fosse, sarebbe improbabile che non ci sia altro.10

Prime conclusioni
1. Il segreto è sempre meno segreto. Per le più diverse motivazioni: per protagonismo, per convenienza (è il caso della To the Stars), per presa di coscienza individuale, per rivalsa professionale. E’ segno che le maglie della rete si allargano man mano che i soggetti interessati all’enorme flusso di denaro si moltiplicano. Un processo che mette a repentaglio la sicurezza delle principali fonti e dei principali fruitori, annidati nelle pieghe del complesso militare-industriale e dei cartelli dell’energia.

2. Le multiple conferme della potenzialità delle applicazioni civili ricavabili dalle tecnologie segrete apre ulteriormente il campo ad una critica ambientalista circostanziata e aggiornata. Se quanto si afferma fosse vero, ci troveremmo almeno cento anni avanti rispetto alle briciole della conclamata green economy. La politica, soprattutto quella dal basso, e la cultura dovrebbero cominciare ad occuparsi di quanto sta emergendo senza le paure del ridicolo che decenni di disinformazione organizzata e finanziata anche tramite le organizzazioni “scettiche”, hanno instillato. Se di Ufo parlano i politici, gli scienziati, le spie, i militari, i Ceo delle maggiori industrie aerospaziali, gli astronauti, perchè non possiamo parlarne noi? Il fenomeno Ufo è un argomento eversivo, potenzialmente capace di provocare i massimi rivolgimenti politico-economici a livello globale. Lo si può affrontare in nome della Verità mettendo in discussione in primo luogo le politiche e gli apparati della “sicurezza nazionale”, il vaso di Pandora dei più efferati segreti del Potere. Può valerne la pena se ci si rende conto che il progresso che ci è negato e la conseguente arretratezza tecno-scientifica non possono che assecondare i piani di dominio sull’umanità di un capitalismo sempre più selvaggio.


  1. Bruce Maccabee, The Fbi Cia Ufo Connection, Dolan Press 2014, e anche Leslie Kean, Ufos. Generals, pilots and government officials go on the record, Harmony Books 2010  

  2. Ancora più interessante perchè ha il sonoro con i dialoghi tra due piloti uno dei quali a un certo punto dice “Ce n’è un’intera flotta!”  

  3. Elizondo anche afferma che il programma continua a esistere e che è diretto da un suo successore di cui non può ovviamente fare il nome  

  4. Inouye era personalmente interessato perchè aveva condiviso un avvistamento durante il suo servizio militare  

  5. Paesi in cui sono attivi Ufo Desks riconosciuti o monitoraggi permane  

  6. Fisico teoretico e sperimentale con un curriculum che comprende General Electric, Stanford University, Sri International e , non casualmente, periodi di consulenza alla Nsa, e alla Cia su un programma segreto di “remote viewing”, cioè di sviluppo di facoltà extrasensoriali per “vedere” in luoghi distanti ed extradimensionali. Puthoff fonda nel 1985 l’Institute for Advanced Studies (Iasa) a Austin, Texas che si occupa di ricerca su argomenti correlati alla generazione di energia e alla propulsione spaziale, ricevendo fondi da “donatori anonimi”. Per molti anni Puthoff ha avuto autorizzazioni governative di accesso ad alti livelli di sicurezza . E’ adepto di Scientology. Un nome che ritorna sovente, un personaggio oscuro, al top dell’ambiente scientifico, coinvolto pienamente nei segreti che avvolgono la ricerca occulta sul fenomeno Ufo, il suo utilizzo compartimentato, e che forse riveste anche un ruolo più alto di gestione  

  7. Ricordo che fu un ex Ceo della Skunk Works, ora deceduto, Ben R. Rich, protagonista il 23 Marzo 1993 di una sconcertante dichiarazione in conferenza alla Engineering Alumni Association della Università di California a Los Angeles:: “Abbiamo già i mezzi per viaggiare verso le stelle. ma queste tecnologie sono rinchiuse nei progetti segreti e ci vorrebbe un miracolo per farle emergere a beneficio dell’umanità. Qualsiasi cosa possiate immaginare, noi sappiamo come farlo…”  

  8. Si chiama Reparto Generale Sicurezza dell’Aeronautica Militare, operativo dal 1998. v. Roberto Pinotti, Oggetti Volanti non identificati. Nuovo rapporto su avvistamenti e ricerche in Italia, Oscar Mondadori, 2003. pag. 387  

  9. http://ufoevidence.org/topics/projectcondign.htm  

  10. www.richarddolanpress.com The Pentagon and Ufos. Assessing the revelations. 1.1.2018  

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