neo-fascismo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dacci oggi il nostro fascismo quotidiano https://www.carmillaonline.com/2022/02/28/dacci-oggi-il-nostro-fascismo-quotidiano/ Sun, 27 Feb 2022 23:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=70638 di Walter Catalano

Valerio Renzi, Fascismo Mainstream, Fandango Libri, pp.185, euro 17,00 stampa.

«Cosa accadrà se non vinceranno i movimenti progressisti per la giustizia sociale e climatica? Se lo spazio vivibile sulla terrà sarà drasticamente ridotto? […] le idee tenute in circolazione dal Fascismo Mainstream potrebbero tornare utili per giustificare e armare nuovi stermini, fornendo l’infrastruttura ideologica alla sopravvivenza dei privilegiati» (p. 178). Con questa inquietante domanda, in una prospettiva apocalittica sempre più orribilmente presente al nostro orizzonte quotidiano, Valerio Renzi conclude il suo libro. Il fascismo mainstream, è un armamentario [...]]]> di Walter Catalano

Valerio Renzi, Fascismo Mainstream, Fandango Libri, pp.185, euro 17,00 stampa.

«Cosa accadrà se non vinceranno i movimenti progressisti per la giustizia sociale e climatica? Se lo spazio vivibile sulla terrà sarà drasticamente ridotto? […] le idee tenute in circolazione dal Fascismo Mainstream potrebbero tornare utili per giustificare e armare nuovi stermini, fornendo l’infrastruttura ideologica alla sopravvivenza dei privilegiati» (p. 178). Con questa inquietante domanda, in una prospettiva apocalittica sempre più orribilmente presente al nostro orizzonte quotidiano, Valerio Renzi conclude il suo libro. Il fascismo mainstream, è un armamentario di idee, atteggiamenti, fisime, visioni del mondo, eredità diretta di un fascismo storico mai rimosso, mai davvero sconfitto, sempre pronto a risorgere, non essendo purtroppo mai del tutto tramontato, per ripresentarsi – come un attrezzo lasciato in garage per recuperarlo nel momento del bisogno – nel caso una crisi più profonda e destabilizzante minacci il modello neoliberista. Il realismo capitalista – come direbbe Mark Fisher – è già pronto a riutilizzarlo, ancora una volta, a puntello della sopravvivenza del proprio sistema di potere: narrazione politica compatibile prima, instrumentum regni drastico ma efficace poi. Il fascismo quindi ora diventa mainstream, prodotto di massa: un’astuta cosmesi fatta di marketing e propaganda lo rende accettabile, innocuo, addirittura auspicabile.

Il “presidente patriota”, entità fantasmatica enfaticamente invocata da Giorgia Meloni durante la faticosa rielezione di Mattarella e accreditata sui media senza alcuna contestazione o sarcasmo per le dubbie connotazioni dell’aggettivo che la qualifica; le idiozie proferite dal beota Patrizio Bianchi, ministro della pubblica istruzione, in occasione della “giornata del ricordo”, avvalorando la vulgata neofascista delle foibe come strage anti-italiana perpetrata dai sanguinari comunisti titini senza contestualizzare se fosse stato meno sanguinario il precedente dominio italiano e fascista su Istria, Dalmazia, Slovenia e litorale croato, arrivando addirittura a equiparare, con scandalosa ignoranza della storia e offesa ad ogni buonsenso e buongusto, gli infoibamenti alla Shoah. Sono esempi recenti di un evidente e vergognoso lassismo istituzionale di forme e contenuti nei riguardi di temi e posizioni impresentabili nel pubblico dibattito solo pochi anni fa. Paradigmi del fascismo maintream, appunto.

Così come la migliore strategia del diavolo è farci credere che non esiste – almeno a quanto diceva Baudelaire – anche la candida accettazione che il fascismo sia un semplice fenomeno storico e regime politico concluso nel 1945 con la definitiva sconfitta militare e che pertanto, di conseguenza, ogni pregiudiziale antifascista sia un orpello inutile e arretrato da abbandonare senza nostalgie, è sempre stata la tattica vincente e il rassicurante alibi delle destre estreme, versione oggi condivisa ormai ben più largamente in differenti ambiti ideologici. In modo analogo la concomitante esecrazione di fascismo e comunismo, semplicisticamente equiparati senza alcun distinguo come sanguinari totalitarismi, è diventato il dogma ufficiale anche della Comunità Europea, un dogma quanto mai impreciso e superficiale pericolosamente foriero di equivoci sulla erogazione ideale di presunte credenziali democratiche.

Valerio Renzi vuole individuare i presupposti di questa deriva ancora in atto, rintracciando la genealogia di idee “che sono servite a formare un complesso ideologico inedito che mixa efficacemente le idee del passato con risposte adeguate al presente. Un complesso di idee che sembra poter esercitare una significativa egemonia nel senso comune del presente, superando gli angusti steccati di piccoli universi radicali dove questi discorsi hanno fermentato per lunghi decenni” (pag. 9). In altre parole questo fascismo del futuro è l’evoluzione del capitalismo del presente: non un’alternativa ma un epilogo possibile, uno dei gradienti, della crisi della globalizzazione neoliberista.

Il contesto generale del problema viene introdotto seguendo le analisi di Mark Fisher sulle modalità di certi prodotti culturali segno preciso dei tempi: l’ossessione per il revival culturale, per il remake cinematografico, la retromania musicale definita da Simon Reynolds e la contemporanea scomparsa pressochè totale della letteratura di fantascienza, l’estetica postmoderna centrata sull’amalgama di ingredienti conosciuti più che su elementi inediti, sono l’evidente manifestazione di un’“impossibilità di rottura con il presente”, di un’incapacità di “invenzione del nuovo”. La fine della storia profetizzata da Francis Fukuyama è divenuta realtà ma con qualche correzione: se non esiste orizzonte fuori dal capitalismo, la crisi economica e l’incepparsi della globalizzazione, nella prospettiva incombente dei cambiamenti climatici, hanno introiettato questa linea terminale nell’intimo di ogni singolo individuo, entro il margine della sua prospettiva spicciola. La dittatura del presente non ci fa guardare oltre il domani e lo Stato non è più arbitro del mercato – come nel liberismo classico – ma suo braccio armato per garantire la tenuta del sistema produttivo ed i rapporti di forza all’interno di esso. La recente gestione della crisi pandemica ne è un esempio lampante.

Il fascismo è l’ideologia più adatta a garantire la sopravvivenza individuale piccolo borghese in un sistema fondato sul continuo replicarsi e acuirsi delle diseguaglianze – di classe, di genere, di etnia – un neodarwinismo sociale in cui è sempre possibile trovare sotto di sè qualcuno su cui sfogare le proprie frustrazioni. Con la disgregazione della solidarietà di classe, l’abbassamento della conflittualità sindacale e sociale, l’allenamento all’individualismo proprietario e alla competizione, l’egemonia neoliberista sulle società occidentali ha preparato il terreno al fascismo mainstream,  e questo potrebbe essere il prodromo di quello sterminismo, basato su scarsità e diseguaglianza, che Peter Frase individua nel suo saggio Quattro modelli di futuro (Treccani 2019) – testo di riferimento di Renzi nelle conclusioni del suo libro – mettendo in relazione gli esiti di due processi storici in corso, crescita tecnologica e crisi climatica. L’automazione – nel più fosco dei quattro scenari prospettati dal ricercatore neosocialista – renderà inutili al benessere dei proprietari le masse di non proprietari divenuti superflui ai processi di produzione, mentre i cambiamenti climatici ridurranno drasticamente le risorse a disposizione: la riedizione del fascismo, più probabilmente nella declinazione nazista potrebbe essere una soluzione efficace, anzi la soluzione finale.

In attesa di questo fulgido futuro, il fascismo mainstream procede incontrastato. La Religione laica Antifascista dello Stato, cioè «discorsi, idee, simboli, liturgie che hanno ancorato la nascita o il consolidamento delle democrazie liberali dopo la Seconda guerra mondiale» (p. 31) riuscendo per decenni a mantenere in «uno stato di minorità morale e politica i movimenti con una filiazione diretta con il fascismo e nazismo», è definitivamente tramontato. Il predominio incontrastato delle lobbies bancarie in Europa ha svilito le premesse socialiste e democratiche delle costituzioni europee. Ormai “le costituzioni antifasciste non sono di nessun ostacolo al dispiegarsi del capitale, anzi rimangono al loro posto come una sorta di feticcio sacralizzato a giustificazione e sanzione delle ingiustizie del presente” (pag. 33). Come icasticamente sottolinea Renzi, la Religione Antifascista di Stato ora è un’ideologia conservatrice, “è diventata la foglia di fico morale per l’inconsistenza della democrazia liberale, per l’impotenza di un sistema politico ormai esautorato dal capitalismo finanziario” (pag. 34).

In parallelo con il mito della Religione Antifascista di Stato anche la Shoah è stata istituzionalizzata nel Giorno della memoria, ma “la completa sussunzione del portato della Shoah dalle retoriche di uno Stato che perpetua ingiustizie e si fa garante di un ordine sociale mondiale segnato da spaventose disuguaglianze, l’ha trasformata in un insignificante vuoto. Così, di fronte alle parole della liturgia, gli studenti sbadigliano, trasgrediscono tracciando croci celtiche e svastiche sul banco.” (pag. 48) La banalizzazione e l’annacquamento della Shoah divenuta sottogenere spettacolare e narrativo di successo perpetuato in spesso mediocri e storicamente inattendibili film, libri, serie televisive, ecc. (a cominciare dal pessimo La vita è bella di Roberto Benigni in cui, addirittura, sono gli americani e non i sovietici a liberare Auschwitz, ma altrimenti niente Oscar…) fa da contraltare alla sua sacralizzazione in dogma e ideologia: trasgredirlo vuol dire delegittimare ciò che il dogma legittima. L’intoccabilità dello stato di Israele, per esempio, anche quando questo mette in campo politiche di apartheid e pulizia etnica contro i palestinesi.

Un altro tassello del mosaico è l’estinzione della destra moderata o la radicalizzazione della destra di governo. Processo iniziato in Italia al principio degli anni ’90 con la “discesa in campo” di Berlusconi e, archiviando definitivamente il cordone sanitario repubblicano dell’”arco costituzionale”, la sua successiva alleanza con i postfascisti culminata nel 2008 con il Popolo della libertà, nella condivisione di un’agenda comune fatta di anticomunismo fuori tempo, deregulation del mercato del lavoro, e difesa dei ceti sociali medio alti. Il declino di Forza Italia porterà in seguito l’allargamento dell’elettorato alla Lega, sotto il ducetto Salvini, e agli eredi del MSI, Fratelli d’Italia. Berlusconi ha saldato le frange moderate superstiti dello yuppismo craxiano degli ’80, sostenitrici di libero mercato e atlantismo, con i propagatori del bagaglio ideologico neofascista – centrato su ossessione securitaria e antiimmigrazione – sdogananandolo e postideologizzandolo. E proprio i custodi della Religione Antifascista – ad esempio Luciano Violante nel discorso alla Camera del 1996 – e le forze postcomuniste avviate al loro “ravvedimento”, hanno legittimato l’operazione cosmetica del congresso di Fiuggi e la “riconciliazione nazionale”. Ma se gli ex comunisti dismettono il proprio patrimonio ideologico e culturale, gli ex fascisti adattano il loro al nuovo mercato politico. Se la sinistra perde l’”egemonia culturale” archiviando il conflitto sociale e di classe e arroccandosi sulla difesa della legalità, dello statu quo e dell’autonomia del potere giudiziario, la destra abbandona le remore moderate e costituzionali per accogliere spregiudicatamente ideologia e cultura di forze fino ad allora confinate ai margini dell’orizzonte democratico.

Questo porta alla progressiva e sempre più sfacciata irruzione nel linguaggio dei media di modelli razzisti, xenofobi, classisti, sciovinisti e degli stereotipi di genere, spacciati come istanze liberatorie da una presunta dittatura del politicamente corretto. Termini come “pensiero unico”, cancel culture, ecc. stigmatizzano ogni tentativo di arginare la deriva verso il ripristino di schematismi linguistici e mentali volti alla giustificazione e all’esaltazione della diseguaglianza e dell’esclusione delle minoranze non privilegiate.

Nel passaggio dal neofascismo al fascismo mainstream svolge un ruolo cruciale l’opera della nouvelle droite di Alain de Benoist e del Grece (Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne), quel cosiddetto “gramscismo di destra” che vede nella – come dicono loro – “metapolitica” la riproposizione del vecchio bagaglio di idee della destra nostalgica, tradizionalista e fascista in una versione post-ideologica più digeribile, mescolando elementi caratteristici della sinistra, ad esempio l’ambientalismo, con altri propri alla destra radicale, come il comunitarismo, nell’ipotetica intenzione – anche questa attributo del fascismo storico – di andare oltre e al di là della destra e della sinistra.

In quest’ottica viene superato il “mito incapacitante del tradizionalismo” di vecchie icone del radicalismo di destra, feticci per necrofili come il “barone” Julius Evola, per riproporne l’essenza aggiornata in altra forma: così il razzismo biologico e la sua trasposizione pseudo-filosofica evoliana, il razzismo “spirituale”, diventa “differenzialismo”, cioè un razzismo culturale, spacciato per relativismo radicale, in cui del Blut und Boden nazista, sia il “suolo” a prevalere sul “sangue”. Non più razze inferiori biologicamente, untermenschen con i quali l’Herrenvolk non si deve imbastardire, ma razze diverse, con bisogni e desideri diversi, che non vanno assimilate ma “aiutate a casa loro”. Il vero razzismo dunque, diventa per i neo-destri l’universalismo – cristiano prima e liberale dopo – che annienta i particolarismi e le identità nella globalizzazione. Grazie a questi sotterfugi dialettici i vecchi “soldati politici” in rivolta contro il mondo moderno, gli uomini in piedi fra le rovine mentre il Kali Yuga imperversa e si consuma, hanno accalappiato nuove soggettività politiche da rappresentare: “le classi medie frustrate dalla crisi della globalizzazione, i maschi spaventati dall’emancipazione femminile, i proletari terrorizzati dal cadere ancora più in basso nella catena della gerarchia produttiva globale”.

Il libro di Renzi dopo aver così ben chiarito le modalità attraverso cui il fascismo, da Berlusconi a Salvini, da Trump a Bolsonaro, si è insinuato all’interno delle democrazie odierne, arrivando a governarle intrinsecamente – un fascismo, se così possiamo dire “recessivo”, come una malattia genetica impiantata nel nostro DNA – denuncia la concreta minaccia, quando le condizioni saranno mature  secondo l’apocalittica prognosi delle ultime pagine, che, se nessuna forza alternativa interverrà a invertire questo processo, possa diventare “dominante” in modo permanente e soprattutto infaustamente terminale.

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Chi è STATO ? https://www.carmillaonline.com/2018/12/12/chi-e-stato/ Tue, 11 Dec 2018 23:01:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=49762 di Fiorenzo Angoscini

Saverio Ferrari, 12 Dicembre 1969. La strage di piazza Fontana. La ‘madre’ di tutte le stragi, a cura de L’Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre, Milano, dicembre 2018, pag. 39 (s.i.p.)

La ‘madre’ di tutte le stragi, ma anche strage di Stato, come ricorda il dossier nelle sue pagine. Così come La Strage di Stato è anche stata intitolata la prima pubblicazione di controinformazione sull’eccidio alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano. Strage di Stato perché, eseguita da fascisti (vedi sentenze), ha visto la connivenza attiva degli apparati dello stato. Gianadelio Maletti, ex capo del reparto D (controspionaggio) del [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Saverio Ferrari, 12 Dicembre 1969. La strage di piazza Fontana. La ‘madre’ di tutte le stragi, a cura de L’Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre, Milano, dicembre 2018, pag. 39 (s.i.p.)

La ‘madre’ di tutte le stragi, ma anche strage di Stato, come ricorda il dossier nelle sue pagine.
Così come La Strage di Stato è anche stata intitolata la prima pubblicazione di controinformazione sull’eccidio alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano.
Strage di Stato perché, eseguita da fascisti (vedi sentenze), ha visto la connivenza attiva degli apparati dello stato. Gianadelio Maletti, ex capo del reparto D (controspionaggio) del Sid, è stato condannato, in via definitiva, a un anno di carcere per falso ideologico in atto pubblico; il coordinatore del Nucleo Operativo Diretto (NOD) alle dirette dipendenze del Reparto D, Antonio Labruna, a dieci mesi di reclusione.

Senza dimenticare il balletto di bugie, reticenze e “non ricordo” organizzato dai capi responsabili del Sid, dal presidente della repubblica dell’epoca, dal presidente del consiglio, ministri vari, a proposito dell’identità, ed appartenenza ai diversi ‘servizi’, di agenti segreti camuffati da giornalisti: Guido Giannettini (Il Secolo d’Italia, Il Roma, Il Giornale d’Italia), Mino Pecorelli (Osservatorio Politico), Mario Tedeschi (Il Borghese), Giorgio Zicari (Corriere della Sera), Giorgio Torchia (Il Tempo) Guido Paglia1 (Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giornale d’Italia, Il Giornale). E tutti i depistaggi connessi alle loro attività e “conoscenze”. Nonché a quelle di fascisti e bombaroli. Ai loro ruoli e…’gradi’. Così come certo giornalismo spazzatura ha sempre auspicato le soluzioni di forza. Il settimanale Epoca (gruppo Mondadori) l’11 dicembre 1969, manda il fascicolo in edicola con copertina tricolore ed un perentorio titolo: Senza peli sulla lingua, senza conformismi, CHE COSA PUO’ ACCADERE IN ITALIA. La stessa rivista, nel mese di luglio 1964, erano i giorni del cosiddetto Piano Solo,2 golpe orchestrato dal Sifar (servizio segreto militare del periodo) di De Lorenzo con il beneplacito del presidente della Repubblica Antonio Segni, con sospetta tempestività era ‘uscita’ con un edizione speciale e, già allora, copertina tricolore con all’interno ‘testina’ fotografica del Presidente. Il titolo, ancora più esplicito: L’ITALIA CHE LAVORA chiede al capo dello stato un GOVERNO ENERGICO E COMPETENTE che affronti subito con responsabilità la crisi economica e il malessere morale che avvelena la nazione. Un incredibile ‘fiuto’ per i tentativi di colpo di stato e gli avvenimenti che li precedono, stragi comprese.

La sera stessa di quel venerdì nero,

il commissario Luigi Calabresi dell’ufficio politico (l’attuale Digos, nda) della Questura di Milano, conversando con Giampaolo Pansa, inviato de La Stampa, esternò subito la propria convinzione che le responsabilità dovessero essere addebitate ai gruppuscoli di estrema sinistra. ‘Estremismo, ma estremismo di sinistra-disse-è in questo settore che noi dobbiamo puntare. Estremismo di sinistra…Anarchici, ‘cinesi’ operaisti. (p. 9)
Eppure, già il 13 dicembre, il Sid era in possesso di informazioni assai precise sugli autori della strage, al punto da indicare, in una nota, Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino quali responsabili degli attentati di Roma, eseguiti su ordine di Yves Guérin Serac (al secolo Yves Guillou, nda) e Robert Leroy. (p.10)

I due, ex appartenenti all’ Organisation Armée Secretè (OAS), organizzazione paramilitare clandestina francese che operò, soprattutto, durante la guerra d’Algeria, erano gli “animatori dell’Aginter Presse, una finta agenzia di stampa, con sede a Lisbona, in realtà una delle centrali dell’estrema destra adibita a ‘operazioni coperte’, legata ai servizi segreti portoghesi e statunitensi”. (p. 10)

Ma, nel documento ‘segreto’ 3 n.36369/AC di prot. OGGETTO: Attentati terroristici a Milano e a Roma, redatto definitivamente, dopo aggiunte e rimaneggiamenti, il 17 dicembre 1969, Serac e Guillou, da nazisti già appartenenti alle Waffen-SS, vengono camuffati e definiti pericolosi anarchici.
Solo l’11 aprile 1970, con un altro documento interno del Sid, riacquistano le loro reali sembianze: “Sia Guérin Serac, sia Leroy non sono anarchici, ma appartengono ad un’organizzazione anticomunista. Si suggerisce di tacere questa notizia alla pubblica sicurezza e ai carabinieri” (neretto nostro).

La pubblicazione è un agile e comodo ‘bigino’ (depurato dalla sua accezione negativa) che permette, a chi conosce la vicenda, di ricordare particolari dimenticati o sottovalutati, mentre per i neofiti è un utile strumento di conoscenza ed approfondimento.
Si ricordano gli attentati del 15 aprile a Padova (ufficio del rettore università), del 25 aprile (Fiera di Milano ed Ufficio Cambi della stazione Centrale), quelli del 8-9 agosto sui treni: Caserta, Pescara, Chiari (Bs) e quello, per fortuna fallito, alla scuola slovena di Trieste (4 ottobre).
Il sodalizo tra fascisti, militari italiani e golpisti colonnelli greci che si consolida e si organizza, tanto che il settimanale inglese “The Observer” scrive: “Un gruppo di elementi di estrema destra e di ufficiali sta tramando in Italia un colpo di stato militare, con l’incoraggiamento e l’appoggio del governo greco e del suo primo ministro, l’ex-colonnello Giorgio Papadopulos”.

A proposito dell’attivismo di certi ambienti militari e accoliti vari, è da ricordare quanto pubblicato, nel settembre 1970 (nove mesi dopo Piazza Fontana, ma sicuramente pensato e redatto prima) dalla rivista di informazione militare “Interconair Aviazione Marina”, che all’interno del suo numero 70, allega un dossier dal titolo perentorio: Le ultime 100 ore di libertà in Italia. Simulando tutta una serie di situazioni, per gli estensori, drammatiche e catastrofiche: manifestazioni e scontri di piazza, tra cui si evidenzia, giovedì 24 giugno 1971 a Bologna durante un comizio sindacale, lo scoppio di una bomba:

ore 10,30 – Grande manifestazione unitaria nelle principali vie cittadine del capoluogo, che, con tutta la regione Emilia-Romagna ha proclamato lo sciopero generale.
In particolare, a Bologna, ai dimostranti si sono aggiunti operai metalmeccanici lombardi, anch’essi in sciopero e attivisti laziali, fatti appositamente giungere con numerosi pullman e con i treni dalle centrali sindacali. Si teme che elementi “filo-cinesi” si siano infiltrati tra la folla che si sta radunando in Piazza Maggiore. Il Prefetto di Bologna ha ricevuto ordine dal Ministero dell’Interno di cercare di non far degenerare la manifestazione in scontro aperto ma di “tallonare” comunque da vicino i manifestanti senza dare troppo nell’occhio con uno spiegamento di forze troppo appariscente. In Emilia sono stati fatti affluire comunque alcuni reparti celeri di Pubblica Sicurezza e alcuni reparti mobili di Carabinieri per ogni evenienza si tratta di reparti del I V Btg. Mo ile da Padova in rinforzo al V Btg. Mobile di stanza nella città). Verso le ore 11, la folla radunatasi in Piazza Maggiore, dove è previsto che alcuni oratori prenda no la parola, é enorme. E’ a questo punto che avviene il fattaccio. Improvvisamente in mezzo alla folla, mentre il primo oratore sta per iniziare il suo discorso, si sente un terribile boato e si alza una colonna di fumo: é esplosa una bomba! La folla per un attimo rimane immobile poi é il panico, é la strage: calcoli successivamente accertati valutano in 36 i morti in seguito all’esplosione e in 71 i morti calpestati dalla folla che, impazzita, é in fuga verso qualsiasi direzione. La confusione é enorme: gli stessi sindacalisti sono rimasti come impietriti sulla tribunetta e passano preziosi minuti prima che si pensi a qualche azione di soccorso. Ai loro piedi decine di persone rantolano e si disperano, cercando gli amici e i colleghi. La piazza comunque tende a vuotarsi perché si temono ulteriori esplosioni. Dopo circa mezz’ora, i feriti, moltissimi, incominciano ad essere portati agli ospedali. Alcuni, meno gravi, alle poche farmacie che non hanno abbassato le saracinesche. Molti feriti presentano gravi contusioni causate dalla folla che li ha calpestati.4

La lunga citazione si è resa necessaria per evidenziare le analogie con quanto avviene, il 28 maggio 1974 a Brescia, durante un comizio al termine di uno sciopero generale indetto contro il fascismo dai sindacati confederali. Alle 10,12 di quel martedì maledetto, in Piazza della Loggia esplode un ordigno che, complessivamente, causerà la morte di 8 persone e il ferimento di un centinaio di manifestanti.

L’Unità del 25 ottobre 1970, a pagina 7, titola: Invasione Sovietica con l’aiuto Vaticano!, con questo occhiello: “Provocatorio libello apparso su una rivista di ‘esperti’ militari”, ed un ancora più duro sommario: “La ricostruzione delle ‘ultime 100 ore di libertà in Italia’ in una pubblicazione diffusa tra le nostre forze armate-Il lunghissimo e ridicolo (?) testo è presentato come ‘molto meno fantascientifico di quanto si possa ritenere’-Preoccupanti analogie con un discorso del ministro della difesa Tanassi5 e con un discorso dell’ammiraglio Birindelli6 – L’esaltazione del Psu7 ”.
La pubblicazione evidenzia l’arruolamento dei fascisti “soldati politici” che si richiamavano al motto nazista delle SS italiane: “Il nostro onore si chiama fedeltà”. In realtà si dimostrarono fedeli soprattutto alle ‘rimesse’ economiche che ricevevano dai vari servizi, interni ed internazionali e che, come cagnolini fedeli, scodinzolavano a comando per i loro padroni.

Il pamphlet evidenzia la predisposizione informatoria in particolare di Ordine Nuovo, ma anche Avanguardia Nazionale8 .
“Risultò che non un solo esponente di questa organizzazione fosse estraneo a rapporti di dipendenza dai servizi segreti italiani e statunitensi, a partire da Pino Rauti strettissimo collaboratore dell’ammiraglio Henke, capo del Sifar prima e del Sid poi, dal 1966 al 1970”. (p.34)
E snocciola i nomi degli “spioni patrioti”: oltre agli inflazionati Giovanni Ventura e Franco Freda, troviamo Massimiliano Fachini, Delfo Zorzi, Nico Azzi9 (per sua stessa ammissione), Gianni Casalini e Maurizio Tramonte, la fonte “Tritone”, condannato definitivamente all’ergastolo per la strage di Brescia. Tutti informatori tricolorati.

“Almeno quattro infine le pedine all’interno di Ordine Nuovo ‘dirette’ dai servizi Usa: Carlo Digilio, Marcello Soffiati, il professor Lino Franco e Sergio Minetto”. (p. 34)
Un occhio d’attenzione lo riserva anche agli infiltrati. Mario Merlino e Salvatore Ippolito (“un agente di pubblica sicurezza appositamente infiltrato dalla Questura di Roma”), Stefano Serpieri (in Grecia con Merlino, partecipi, con altri squadristi, alla gita premio alla “scuola quadri” dei colonnelli) ed Enrico Rovelli10 la ‘gola profonda’ della delazione. Denominazione in codice, forse anche per disprezzo, Anna Bolena, l’adultera ed incestuosa seconda moglie di Enrico VIII, proprio per questo condannata alla decapitazione.

Ci sono anche altre curiosità, se non si trattasse di avvenimenti collegati alla tragedia che ha sconvolto le nostre vite11 , in particolare quelle dei parenti degli assassinati, compresa la diciottesima vittima della strage del 12 dicembre 1979: Giuseppe Pino Pinelli. Come il mistero delle quattro bombe milanesi di quella drammatica giornata; i depistaggi padovani relativi all’acquisto dei timer e delle borse usati per confezionare e depositare gli ordigni, nonché il boicottaggio e trasferimento di un commissario di polizia in organico alla questura di Padova e di un giudice in servizio al tribunale di Treviso.
Il sigillo politico e l’individuazione degli autori del massacro: “La corresponsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura in ordine ai fatti del 12.12.1969 appare sufficientemente dimostrata”. Tra le motivazioni Corte di assise di appello di Milano del 13 aprile 2004. Ribadita dalle motivazioni della Cassazione depositate il 10 giugno 2005: “Freda e Ventura erano certamente colpevoli anche se ormai questo ‘approdo’ non poteva ‘provocare effetti giuridici di sorta nei confronti di costoro’ in quanto ‘irrevocabilmente’ assolti dalla Corte di assise di appello di Bari”. (p. 35)
Mentre i parenti delle vittime, sempre da questi pronunciamenti, erano condannati a pagare le spese legali. Oltre al danno, anche le beffe…

Il quaderno di “memoria attiva” si conclude, al contrario del libro La Strage di Stato,12 che si apriva così, con la “misteriosa” scomparsa (e successivo ritrovamento del cadavere) di Armando Calzolari, tesoriere del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese.

Soprattutto quest’ultimo avvenimento, come le molte altre vicende e segnalazioni ricordate, invito a leggere nell’utile pro-memoria antifascista, che fa il paio con un’altra recente produzione dell’Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre (costola di Varese) incentrato sull’attività del gruppo neonazista dei Dodici Raggi13 .
Entrambe queste due produzioni di informazione e lotta antifascista si possono reperire in edizione cartacea, alle iniziative organizzate, o a cui partecipano, i ricercatori dell’Osservatorio.
In formato Pdf sulla pagina Facebook dello stesso.
“Il fascismo non è il contrario del comunismo, ma della democrazia”.


  1. http://www.osservatorionuovedestre.net/?s=Guido+Paglia  

  2. Prevedeva l’arresto e il trasferimento, con ponte aereo in campi di prigionia appositamente allestiti in Sardegna, di 157.000 cittadini schedati e 800 esponenti di sinistra  

  3. L’originale è riprodotto a p. 242 di, G. Fuga-E. Maltini, Pinelli. La finestra è ancora aperta, Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano (Mi), seconda edizione, novembre 2017  

  4. Questo manuale delle sovversione andrebbe riprodotto e letto per intero. In pratica è una previsione, meglio una predizione di quanto avverrà. Lo riprenderemo in occasione di una riflessione sulla strage di Brescia  

  5. Più volte segretario nazionale del Psu-Psdi. Condannato per lo scandalo Lookheed, vedi https://www.carmillaonline.com/2017/04/26/le-emozioni-del-cuore-la-d-della-ragione-la-realta-dei-fatti/  

  6. Presidente e deputato del Movimento Sociale Italiano  

  7. Fondato nel luglio 1969 da una scissione del Psi, nel 1971 divenne Psdi  

  8. http://www.osservatorionuovedestre.net/?s=avanguardia+nazionale  

  9. Condannato a 13 anni di reclusione per l’ attentato al treno Torino-Roma del 7 aprile 1973. Si ferì alle gambe mentre stava preparando l’innesco di due saponette di tritolo militare da mezzo chilo l’una nella toilette, dopo aver lasciato in giro, lui e i suoi camerati, un po’ di copie di Lotta Continua, tanto per far capire dove si dovessero cercare i colpevoli. Altri due anni di carcere li ha guadagnati per l’assassinio del poliziotto Antonio Marino, Milano 12 aprile 1973  

  10. Vedi: La Spia, p. 128 in Fuga-Maltini, cit. n. 4  

  11. Vedi: https://www.carmillaonline.com/2017/12/12/le-false-verita/  

  12. AAVV, La strage di Stato. Controinchiesta, la Nuova Sinistra-Samonà e Savelli, Roma, giugno 1970. Il lavoro, coordinato dal giornalista Marco Ligini e dall’ avvocato Eduardo Di Giovanni, era stato condotto da un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare. A settembre 1970 era giunto alla quarta edizione, una al mese, e 60.000 copie vendute in quattro mesi. Sempre Samonà e Savelli ne ha realizzato una ristampa anastatica nel 1977, mentre l’ultima ristampa che ho rintracciato, a cura del settimanale Avvenimenti, è del dicembre 1993  

  13. A cura dell’ Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre di Varese, I bravi ragazzi della provincia prealpina di Varese. I neonazisti: i Do.Ra. di Varese, Varese, novembre 2018  

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CasaPound tra autorappresentazione e realtà https://www.carmillaonline.com/2018/07/03/casapound-e-dintroni/ Mon, 02 Jul 2018 22:01:23 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46737 di Giovanni Iozzoli

Elia Rosati, CasaPound Italia. I fascisti del terzo millennio, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018, pp. 226, € 18,00

Nella fase storica che l’Europa sta attraversando, con il rischio che una destra radicale e identitaria conquisti una egemonia di massa nel continente, sono quanto mai necessarie le analisi sulle forme soggettive e le subculture che tali destre esprimono concretamente. E rispondendo a tale necessità, Elia Rosati, ricercatore da anni impegnato nell’indagare questi mondi in crescita, costruisce un testo rigoroso e documentato su CasaPound, la formazione neo fascista più spregiudicata e innovativa del [...]]]> di Giovanni Iozzoli

Elia Rosati, CasaPound Italia. I fascisti del terzo millennio, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018, pp. 226, € 18,00

Nella fase storica che l’Europa sta attraversando, con il rischio che una destra radicale e identitaria conquisti una egemonia di massa nel continente, sono quanto mai necessarie le analisi sulle forme soggettive e le subculture che tali destre esprimono concretamente. E rispondendo a tale necessità, Elia Rosati, ricercatore da anni impegnato nell’indagare questi mondi in crescita, costruisce un testo rigoroso e documentato su CasaPound, la formazione neo fascista più spregiudicata e innovativa del panorama italiano. Un libro che si unisce a una bibliografia già importante, avendo CasaPound negli anni messo al centro della sua autorappresentazione mediatica, una pretesa “diversità” che ha provocato attenzioni (e adesioni) che vanno oltre il perimetro tradizionale del ghetto neofascista italiano. Politica dell’immagine, del mito, del simbolo, ma non solo: Rosati interroga le radici profonde di questa fenomenologia nera e si imbatte in aspetti e ambienti tradizionalmente conosciuti, ma anche in suggestioni inedite.

Il bacino ideologico e territoriale di CasaPound, è il verminaio neo-fascista romano che, dal dopoguerra, non ha mai smesso di produrre generazioni di nuova militanza. In questo ambiente, sul finire degli anni ’70, si produce un area di “rottura” rispetto al consueto mondo missino, che porterà esisti e ricadute organizzative assai diverse: lo spontaneismo armato, Terza Posizione, i campi Hobbit, la Nuova Destra di Tarchi. Tutte queste variegate esperienze sono accomunate dal tentativo attribuirsi uno statuto di discontinuità, rispetto alla stagione delle collusioni con gli apparati di Stato, nonché un’aura “sociale e ribelle”.

Con una battuta potremmo dire che se i giovani di destra si erano persi con loro grande rammarico il Sessantotto, finendo per sgomberare a bastonate (con la polizia) gli studenti che occupavano le università, sicuramente non intendevano perdersi l’impatto giovanile dirompente del Settantasette, creandosene uno loro. A essere protagonista fu l’idea di “uscire dal ghetto”, dotandosi di un nuovo immaginario in vista della costruzione di un progetto comunitario, partendo da un curioso miscuglio di innovazione e tradizione, aspirazioni a crearsi un un futuro liberato dalle ipoteche a nostalgie e richiami a personaggi e miti tutti interni agli anni Venti e Trenta, rozzezze xenofobe e afflati terzomondisti. Alla base di questo nuovo essere e stare insieme da fascisti, c’era la rivendicazione della propria differenza antropologica, di una irriducibilità al mondo massificato, all’industria culturale dominante, al comune modo di essere giovani (p. 27).

Queste spinte innovative, negli anni della leadership rautiana, attraverseranno anche il mondo propriamente missino, con le incursioni nel campo ambientalista, culturale e un rinnovato attivismo studentesco.
Questo humus di identità e prassi – residui spontaneisti degli anni 70, differenzialismo culturale, neofascismo tradizionale romano – è già vivo e pronto quando l’MSI si scioglie in AN. E sarà questo il passaggio storico che libererà queste energie e darà vita a nuove esperienze – dalla Fiamma Tricolore, a Meridiano Zero, al Movimento Politico Occidentale – e, più tardi, anche al grumo organizzato che porta a CasaPound. Quest’ultimo si distinguerà come il filone che riesce a tenere meglio insieme le memorie dei “vecchi camerati” anni ’70, le nuove esigenze di socialità alternativa, il bisogno di svincolarsi dai residui partitici della destra italiana, le rivendicazioni di giustizia sociale. E non è solo la piazza romana, a dare il suo contributo.

Centrale, da questo punto di vista, sarà la zona del varesotto, dove venne messo in piedi uno stabile momento annuale di riflessione teorico-militante “Università d’estate”, e dove già dal 1989 esisteva uno spazio sociale di destra […] Sarà proprio qui a Varese con Rainaldo Graziani, che due giovani camerati romani, orfani del Movimento Politico Occidentale, apriranno un pub alla metà degli anni 90: uno di loro ha appena abbandonato l’esercito, ha circa 22 anni e si chiama Gianluca Iannone. Nello stesso Nord Italia vi era poi una prolifica scena nazirock anche di respiro internazionale (p. 35)

In questo primo “ambiente di prova” c’è tutta la futura evoluzione di CasaPound: l’uso dei temi, fino ad allora tradizionalmente appannaggio della sinistra, degli spazi sociali, l’importanza della musica come vettore identitario, un complesso e ridondante bagaglio simbolico che negli anni tenderà ad allargarsi e assorbire figure e culture sempre più variegate. E naturalmente il rapporto con alcuni “fratelli maggiori” destinati a fornire il pedigree e gli strumenti teorici – centrale, in questa fase, sarà il ruolo di Gabriele Adinolfi, intellettuale eretico, tra i fondatori di Terza Posizione, ambiguissima formazione sedicente rivoluzionaria, ma sempre a un passo da trame e collusioni.
In questa fase convulsa e feconda per la destra italiana, Gabriele Adinolfi si pone in modo spietatamente critico sulla eredità post-missina anni ’90, si augura una catarsi della estrema destra italiana e trova nei ragazzi del gruppo di Iannone, una base di ascolto malleabile e attiva. Rosati riporta brani di un suo famoso documento “rifondativo”:

investire culturalmente e simbolicamente le elites; costruire strutture lobbistiche e quindi politiche, che consentano di mantenere aperti luoghi di incarnazione di un’Idea del mondo e di garantire spazi di libertà e di socialità comuni; realizzare localizzazioni che, salvaguardando tradizioni etniche e culturali, favoriscano produzione e autonomia, in chiara prospettiva imperiale. […] Una miscela tra le linee strategiche e metodologiche più note. Una centralità leninista che agisca gramscianamente nella società e paracaduti commandos con mentalità trozkista nelle cittadelle del potere. […] Per modello organizzativo e per vocazione politica diciamo che la soluzione sta in una sintesi sta tra Avanguardia Nazionale, Autonomia Operaia e la Novelle Droite […] La visibilità deve persistere nella vita d’ambiente (concerti, pub, punti vendita); deve moltiplicarsi negli ambiti giovanili (licei, università); deve modificarsi pienamente nell’interventismo sociale laddove sigle trasversali e rapporti dialettici e non fanatici sono premianti. Senza contare una serena e ingegnosa aggressività comunicativa (p. 52)

Non si può dire che i ragazzi di CasaPound non abbiano seguito alla lettera, nel corso degli anni, queste indicazioni, spregiudicate ed efficaci: astute capacità mimetiche, trasversalismo, entrismo nelle formazioni politiche tradizionali, nonché la capacità di assumere e rovesciare le tematiche proprie del campo antagonista “nemico”.

Dal pub al partito politico nazionale il passo è stato lungo ma sempre, seguendo lo spartito originario, meditato e calibrato. Dietro la melassa “arditista-futurista”, dietro la demagogia del riscatto nazionale e dell’eroismo “antiborghese”, la pratica è stata sempre la stessa: occupare spazi, valorizzare le tematiche sociali, mettere in campo lucrose iniziative economiche (dalla musica allo style fashion…) e infine evocare visibilità in ogni modo. Questo “vitalismo” si fonde con un opportunistica propensione all’inciucio politico con quel mondo di destra e centrodestra che a parole si vorrebbe azzerare e rifondare (vedi il rapporto strategico con il sindaco Alemanno, che regala “ai ragazzi” un palazzo nel cuore di Roma…), fino al trasversalismo più cinico: invitare nella loro sede i “giornalisti di regime” e gli intellettuali “prezzolati”, pur di far parlare di sé e legittimarsi come interlocutori “culturali”.

La sinistra di movimento è sembrata spiazzata da questo avversario, che ne mimava le movenze e talvolta riusciva a occupare i suoi terreni di iniziativa: questo almeno fino al 2008, quando – dopo gli scontri di Piazza Navona – i due campi, fascista e antifascista, tornano a delinearsi con chiarezza agli occhi di tutti, anche di quelli che avevano scioccamente dato credito alle allusioni “nè destra né sinistra” che CasaPound aveva sapientemente diffuso negli anni. Da allora la celebre definizione di “fascisti del terzo millennio” sarà assunta senza più infingimenti, come una bandiera di orgogliosa rivendicazione identitaria – e del resto il retroterra organizzativo, a quel punto, è già abbastanza consolidato e irreversibile.

Se per un lungo periodo le tematiche sociali hanno prevalso nel discorsi di CasaPound, negli ultimi anni l’appello contro “l’invasione extracomunitaria” ha assorbito ogni altra spinta.
Più o meno tra il 2006 e il 2007:

Da via Napoleone III cominciarono ad aumentare nettamente gli accenti xenofobi. Il “mercato della paura” attraeva per il suo potenziale di consenso e le posizioni razziste, volutamente tenute in secondo piano da CasaPound, potevano ora essere più spendibili politicamente (p. 47)

Troppo attrattiva l’idea di farsi accreditare come il “sindacato degli italiani”. Troppo facile spostare il tiro dalla lotta “contro le banche e l’usura” , ai centri di prima accoglienza e i campi rom.

Il lavoro di Rosati si presenta esaustivo e completo, arrivando praticamente fino ai giorni nostri: il flop elettorale del 4 marzo non sembra abbia smontato un dispositivo politico-ideologico, che ormai pare consolidato e con cui l’antifascismo italiano dovrà fare i conti nei prossimi anni. E qui qualche considerazione finale viene spontanea. Quello che è necessario, in questa fase, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, è smontare i miti “rivoluzionari” di cui si adornano queste congreghe: la generazione dei padri (quella di Franco Freda e Carlo Digilio) fu organica ai corpi dello Stato, alla Nato e allo stragismo; quella dei fratelli maggiori (Fiore e Fioravanti) fu pesantemente invischiata con i servizi e le pagine più oscure della storia italiana; e oggi i “ragazzi di Iannone” godono di ampi margini di agibilità e tutela da parte di diverse questure, in mille episodi di piazza, nonostante siano formalmente una formazione anticostituzionale. Destarono scalpore i passaggi di una relazione semestrale dei servizi segreti, di un paio di anni fa, che descrivevano CasaPound quasi come una innocua sezione boy-scout dedita al volontariato, nonostante lo stragista Casseri, le violenze diffuse, nonché i consolidati rapporti con il milieu criminale di Ostia e il sottobosco affaristico e delinquenziale capitolino – che da Gennaro Mokbel a Carminati ha sempre allungato le sue zampe sulla città, a caccia più di soldi che di “riscatto nazionale”.
Leggere, documentarsi, studiare, conoscere la Storia e le storie, può diventare, in questa fase critica, una preziosa risorsa antifascista.

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