mondo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 23 Nov 2024 08:02:07 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Santa Muerte Virale https://www.carmillaonline.com/2017/09/08/santa-muerte-virale/ Thu, 07 Sep 2017 22:00:32 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40290 di Fabrizio Lorusso

[Questo articolo è uscito sul quotidiano Il Manifesto (cartaceo) del 21 agosto 2017. Le foto sono di F. L. e sono state scattate a Tultitlán, nell’hinterland della capitale messicana, presso il santuario di Enriqueta Vargas, madre del defunto Comandante Pantera o Jonathan Legaria Vargas, alias Padrino Endoque. Solo fa eccezione la foto della custode del culto nel quartiere di Tepito, Enriqueta Romero]

Negli ultimi cinque anni José Ramírez ha fatto il fattorino, il cameriere e il venditore porta a porta. Ha anche lavorato come muratore indocumentado a Los Angeles. Di ritorno [...]]]> di Fabrizio Lorusso

[Questo articolo è uscito sul quotidiano Il Manifesto (cartaceo) del 21 agosto 2017. Le foto sono di F. L. e sono state scattate a Tultitlán, nell’hinterland della capitale messicana, presso il santuario di Enriqueta Vargas, madre del defunto Comandante Pantera o Jonathan Legaria Vargas, alias Padrino Endoque. Solo fa eccezione la foto della custode del culto nel quartiere di Tepito, Enriqueta Romero]

Negli ultimi cinque anni José Ramírez ha fatto il fattorino, il cameriere e il venditore porta a porta. Ha anche lavorato come muratore indocumentado a Los Angeles. Di ritorno in Messico ha provato a cercare lavoro ovunque, ma le porte restavano chiuse. Il Guanajuato, suo stato natale, è quello a maggior tasso d’emigrazione del Paese. José mi racconta la sua storia in un parcheggio del centro storico di León, capitale economica della regione, a 400 km da Città del Messico. Al collo porta un amuleto che raffigura la morte con un saio indosso, la falce in una mano e il mondo nell’altra.

«¿Estás con la Santa?», sei devoto della Santa? Chiedo. La sua risposta è una confessione: «Sì, conosco la Santa Muerte per degli amici che nel gabacho(negli Stati Uniti, ndr) la adoravano, ma all’inizio non m’interessava perché molti dicevano che è una narco-santa ed è vendicativa, se non fai come dice, ti castiga. Ora so che non è vero…».

Da un mese José ha un lavoro, seppur precario e malpagato. Fa il cassiere nel parcheggio in cui stiamo chiacchierando. «È stata la Santísima Muerte! Quando sono tornato, mio cugino mi ha regalato una sua immaginetta e le ho fatto anch’io un’offerta per trovare lavoro: mele, sigarette, birra e il mio biglietto da un dollaro della buena suerte», racconta.

Da secoli le devozioni popolari sono onnipresenti in Messico e periodicamente riemergono sotto nuove spoglie, mescolandosi al cattolicesimo con pratiche sincretiche. La Santa Muerte, che non va confusa con la coloratissima festa messicana del 1° novembre o Giorno dei Morti, è nota per i suoi tanti soprannomi: Flaquita (magrolina), Niña Blanca e Bonita (bimba bianca e carina) o Hermana (sorella).

La composizione sociale dei suoi cultori è variegata, ma in gran parte riflette le contraddizioni di una società dominata da un modello socioeconomico escludente. Le prostitute, i poliziotti, i tassisti, i membri delle comunità Lgbtq, i detenuti, gli abitanti di ghetti e periferie sono il nocciolo duro del popolo della Santa Muerte.

«L’immaginario della morte santificata viene a supplire alla mancanza di istituzioni affidabili e al rispetto dei diritti umani, sempre più compromesso nel Messico della guerra al narcotraffico, del neoliberismo economico e delle disuguaglianze imperanti», spiega al manifesto lo studioso di religioni Stefano Bigliardi.

Dall’altra parte tra i fan della Santa vi sono anche controverse figure pubbliche, come l’ex governatore dello stato di Oaxaca, Ulises Ruiz, noto per la repressione del movimento dei docenti nel 2006 che fece 25 morti, e l’ex capo della polizia investigativa Genaro García Luna, al centro di scandali connessi al narcotraffico.

«Insieme a San Giuda Taddeo, promosso dalla Chiesa come santo delle cause disperate, o a Jesús Malverde, che ha la fama di protettore dei narcos, la Muerte è uno dei cosiddetti “santi della crisi” e in Messico le crisi non finiscono mai, dunque il culto ha sempre più adepti», precisa Alfonso Hernández, cronista del barrio di Tepito, il quartiere orgoglioso e malfamato del centro storico di Città del Messico in cui la Flaquita è patrona indiscussa.

A Fine anni ’90 la stampa parlava della Santa Muerte raramente, solo per legarla a doppio filo coi narcos. In effetti nel rifugio del sequestratore Daniel Arizmendi, alias «Il Mozzaorecchie», e nella villa del narcotrafficante del cartello del Golfo, Gilberto García «El June», erano stati trovati altari della Flaquita. La Cia nel 2003 diffuse un rapporto che la definiva «Santa dei narcos» e l’Fbi, dieci anni dopo, ne parlava come ispiratrice di macabri rituali.

In realtà si tratta di un nuovo movimento religioso complesso e, secondo stime giornalistiche, sarebbero ben 10 milioni le persone che, come José, pur credendo in Dio e definendosi cattoliche, si sono allontanate dalla Chiesa per avvicinarsi alla Santa Muerte. «La Santa non giudica chi sei o cos’hai fatto, è democratica, non discrimina ricchi e poveri», dicono i seguaci.

Secondo l’antropologa messicana Katia Perdigón le sue origini sono da ricercare nei rituali che gli indios facevano utilizzando i dipinti raffiguranti lo scheletro della morte, portati nelle Americhe dagli spagnoli durante la conquista. Poi a metà Novecento riappare nei testi dell’antropologo Oscar Lewis come culto semiclandestino delle famiglie povere nel rione di Tepito (nella foto Enriqueta “Queta” Romero a Tepito).

Dopo decenni di bassifondi il culto è infine esploso pubblicamente nel 2001, quando la signora Enriqueta Romero, sempre a Tepito, espose una statua della Muerte di quasi due metri sul balcone di casa. Da allora il flusso di devoti, giornalisti e curiosi non s’è più fermato, si sono cominciati a celebrare i rosari mensili per le strade e gli altari si sono moltiplicati dentro e fuori dal Messico.

«Il culto va sempre più forte, ho molti piani in mente, so che saremo il gruppo più grande, presente in tutto il mondo, la gente sa che siamo onesti», afferma Enriqueta Vargas, leader di Santa Muerte Internacional a Tultitlán, nell’hinterland di Città del Messico (nella foto la statua di 22 metri eretta da suo figlia prima d’essere assassinato). La sua organizzazione nacque nel 2007 grazie al figlio, Jonhatan Legaria, il quale, prima di morire assassinato brutalmente, eresse una statua della Santa di 22 metri. Oggi la madrina, come la chiamano i devoti, è il personaggio più mediatico del culto e sta creando una rete di altari tra Usa e Messico. La Santa Muerte s’è globalizzata sia per la migrazione di milioni di latinos negli Usa sia per la sua “viralità” sul web e i social network. Oltre che sul web la Santa arriva in Europa sulla pelle dei devoti. Ormai la sua figura è un must tra i tatuatori anche in Italia dove è richiesta nella versione delicata di maschera della Catrina o aggressiva di “morte nera” o “angelo di luce”.

Nelle periferie messicane, ma anche a Genova e Milano, oltre che per moda o per devozione, il tatuaggio della Santa è ritenuto essere un simbolo d’appartenenza per compagnie e gang come le centroamericane MS13 e M-18. Le sue pagine e community su Facebook, veri e propri santuari virtuali, hanno centinaia e spesso decine di migliaia di aderenti. Infine, serie tv come Breaking Bad o Dexter e film come Le belve di Oliver Stone, El Infierno di Luis Estrada e Per una vita migliore con Demian Bichir l’hanno trasformata in un’icona pop. Ad ogni modo ancora non esiste una Chiesa o una religione della Santa Muerte, la quale finora ha scacciato con la sua falce i tentativi di addomesticamento e di sfruttamento commerciale, così come le gerarchie e le etichette che cercano di inquadrarla.

Blog dell’autore sul tema: Santa Muerte Patrona

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Messico Invisibile: Orme della Memoria per i Desaparecidos https://www.carmillaonline.com/2016/07/05/messico-invisibile-orme-della-memoria-per-i-desaparecidos/ Mon, 04 Jul 2016 22:00:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=31713 di Fabrizio Lorusso

orme della memoria huellas messico italia[A questo link invito a seguire il progetto Orme della Memoria e il cammino della mostra, che sarà in Italia da aprile 2017 (Firenze 18-23 aprile, Roma 19-30 aprile, Verona 1-15 maggio, Venezia 16-30 maggio, Torino 1-12 giugno, Padova 15-30 giugno), dedicata agli oltre 30mila desparecidos in Messico. A fine post e come giusta conclusione segnalo il trailer dell’ottimo documentario Cielito rebelde: Voci del Messico resistente di Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri. Il testo seguente è estratto dal libro di [...]]]> di Fabrizio Lorusso

orme della memoria huellas messico italia[A questo link invito a seguire il progetto Orme della Memoria e il cammino della mostra, che sarà in Italia da aprile 2017 (Firenze 18-23 aprile, Roma 19-30 aprile, Verona 1-15 maggio, Venezia 16-30 maggio, Torino 1-12 giugno, Padova 15-30 giugno), dedicata agli oltre 30mila desparecidos in Messico. A fine post e come giusta conclusione segnalo il trailer dell’ottimo documentario Cielito rebelde: Voci del Messico resistente di Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri. Il testo seguente è estratto dal libro di Fabrizio Lorusso, Messico Invisibile: Voci e Pensieri dall’Ombelico della Luna**, prologo di Alessandra Riccio, Ed. Arcoiris, 2016, € 15, pp. 356]

Mezza primavera 2016. Il laboratorio di Alfredo López Casanova, attivista e scultore messicano, è un piccolo museo con opere e narrazioni che catturano il visitatore. Siamo nel cuore antico di Città del Messico, dove il frastuono delle strade trafficate trova pace e, smorzato negli androni e nei patii interni delle case di ringhiera, diventa silenzio. Qui la memoria può lasciare le sue tracce. Il progetto Orme della Memoria è nato in questo spazio nei suoi aspetti materiali, ma spiritualmente è sorto ed è cresciuto per le strade, nelle dimore, nei cortei e nelle famiglie che sono testimoni delle sparizioni forzate in Messico.

DSC_0726 mejor (Small)La maggior parte dei casi di desaparición è legata a qualche tipo di omissione, azione o complicità commessa dalle autorità. Secondo i dati ufficiali sono più di 27.000 le persone scomparse nel Paese e oltre 150.000 i morti attribuibili al conflitto interno dell’ultimo decennio. Solo nel governo di Peña Nieto, tra il dicembre 2012 e il marzo 2016, si contano più di 60.000 omicidi. Si tratta di un fenomeno di violenza esplosivo e complesso che comprende ed eccede la cosiddetta “guerra alle droghe” o “narcoguerra”, dichiarata dall’allora presidente Felipe Calderón nel 2006. In realtà la strage dei morti ammazzati, dei femminicidi e dei desaparecidos, siano essi messicani, centro o sudamericani, rispecchia molteplici tensioni sociali, disuguaglianze e problematiche irrisolvibili nel breve periodo, anche perché frutto di un modello economico e sociale escludente e traumatico. Un modello di stato minimo, anzi infimo, e nettamente business oriented, che nel contesto messicano e latinoamericano crea il terreno ideale per il proliferare delle “imprese criminali” regionali e globali.

Le scarpe di chi cerca i propri cari desaparecidos possono trasformarsi in messaggeri di speranza e di denunce. Per questo Alfredo, che concepisce l’incisione e l’arte come mezzi per il cambiamento sociale, s’è dedicato a incidere sulle suole delle loro scarpe i nomi, i ricordi e le date di chi è scomparso e a stampare su carta le loro orme. Il progetto, concepito per diventare collettivo e itinerante, comincia a girare il Messico e, si spera, il mondo nel mese di maggio 2016. Settanta paia di scarpe riempiono il Museo della Memoria Indomita nel centro della capitale messicano e si preparano per un lungo viaggio.

Com’è nato il progetto “Orme della Memoria”?

Dal contatto con le famiglie dei desaparecidos. Da alcuni anni seguo alcune famiglie, ancora prima che nascesse il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità del poeta Javier Sicilia, nel 2011. Proprio nel mezzo di questa sterile, fottuta e non pianificata guerra iniziata da Felipe Calderón, che forse era vincolato a un gruppo per sconfiggerne un altro.

DSC_0823 (2) nivel (Small)Il 10 maggio 2010 ho partecipato al corteo annuale del 10 maggio, Festa o Giorno della Mamma, che è un corteo nazionale molto importante in cui convergono a Città del Messico i familiari dei desaparecidos di tutto il Paese. Faceva un caldo tremendo, stavamo camminando e mi sono messo a pensare a come risuonavano i passi delle persone. Si sentivano slogan e canzoni, alternati ai silenzi. Ed era quando i passi si sentivano di più. C’erano gruppi organizzati e gente sola, tutti con dei desaparecidos da rivendicare. Ho pensato allora a tutte queste scarpe che fuggono e che registrano tutto il contenuto di chi le porta, denuncia e non si stanca di cercare i propri cari. Ho iniziato a osservare la parte posteriore delle loro scarpe che è sempre molto consumata e ho visto che le scarpe erano elementi dell’identità delle persone e della loro regione di provenienza: da Tijuana a Guerrero, da Oaxaca a Monterrey, l’unica cosa che hanno in comune è il dramma della sparizione forzata.

Cosa hai fatto dopo?

Dovevo parlarne con qualcuno di fiducia e mi sono rivolto a Lety Hidalgo affinché mi prestasse delle scarpe vecchie che non usava. Lei è di Monterrey e cerca suo figlio Roy. Mi ha dato le scarpe, ora le apprezzo molto, con affetto. Quindi ho elaborato io un testo perché conosco il caso. L’idea era di mettere su una scarpa i dati della persona, per esempio: “Io mi chiamo Lety Hidalgo e cerco mio figlio”. Sull’altra dice: “Roy è stato fatto sparire l’11 gennaio 2011”. Nello specifico è stato tecnicamente difficile incidere sul materiale di queste scarpe, quindi alla fine ho deciso di aggiungere linoleum e la scritta è venuta in rilievo e così l’ho stampata su un foglio.

Dopo mi sono arrivate le scarpe di Luz Helena Montalvo, del Coahuila. Al loro interno c’era una lettera indirizzata al suo figlio scomparso. Era la chiave. Ho preso una parte del testo, oltre ai dati di base, e l’ho incisa, poi ho chiesto a Luz Helena il permesso di caricare la stampa sulla pagina Facebook del progetto e da lì i contatti si sono moltiplicati. Hanno iniziato a scrivere perfino dal Cile, dall’Argentina, dall’Uruguay.

E dopo questa fase sperimentale?

A metà del 2014 mi sono arrivate altre scarpe su cui potevo incidere più facilmente, anche senza aggiungere linoleum. Facebook è servito a diffondere il progetto e la rete di relazioni s’è allargata anche grazie a gruppi organizzati come FUNDEC, Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Coahuila, FUNDENL, Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Nuevo León, e altre. Non era ancora scoppiato il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa. Molti di questi gruppi sono stati legati al Movimento per la Pace di Javier Sicilia e grazie a questo siamo entrati in contatto. Mi sono accorto che per vari motivi ciascun familiare aveva messo via un paio di scarpe a cui era affezionato. Tere Vera è una di loro, cerca sua sorella Minerva che è scomparsa a Matías Romero, Oaxaca, il 29 aprile 2006, cioè molto prima della dichiarazione della cosiddetta “guerra al narcotraffico”. Lei camminava da sola, non c’era nessun movimento a cui unirsi.

DSC_0761 (2) (Small)Quindi non c’erano organizzazioni fino a poco tempo fa?

L’unico precedente che io ricordo di persone organizzate per la ricerca dei desaparecidos è Eureka, intorno alla figura di Rosario Ibarra de Piedra e quindi agli anni ‘70, e i gruppi del Guerrero, legati a quel periodo storico e alla figura di Tita Radilla, figlia di Rosendo Radilla Pacheco, vittima di sequestro politico per cui il Messico è stato condannato internazionalmente.

Ma c’è molta gente che ha casi in famiglia e non è vincolata a nessun gruppo, non sa cosa fare e allora parte da sola nella ricerche. Tere con queste scarpe che ho qui e che ha consumato, cucito e ricucito fino a non poterne più, ha camminato per tutto lo stato di Veracruz e Oaxaca da sola, fermandosi a dormire in casa di sconosciuti, nelle chiese o dovunque potesse per cercare sua sorella. Lei mi disse: “Guarda, avevo queste scarpe, non so perché dal 2006, te le do perché questo progetto ha molto a che vedere con esse”. E così potrei raccontarti altri casi. Qui ci sono quelle di Araceli Rodríguez che dice: “Guarda, ti consegno i miei stivali da carovana”, cioè quelli che hanno marciato nella carovana di Javier Sicilia nel Nord del Messico nel 2011. Anche María Rueda mi ha dato le sue scarpe della carovana, le chiamano così.

A che epoche si riferiscono le storie?

Il progetto non è limitato ad alcune date, ma ha camminato da solo e in questo camino ti trovi con persone con casi d’ogni epoca, anche degli anni ’70. Alejandra Cartagena è figlia di Leticia Galarza Campos, scomparsa a Città del Messico nel 1978. Era il periodo delle sparizioni forzate ai danni dei militanti del movimento guerrigliero Liga Comunista 23 de Septiembre.

Ci sono le scarpe di Celia. Suo marito è scomparso nel 1974 e io sapevo il suo nome: Jacob. Ma non sapevo un altro dettaglio finché lei non m’ha inviato uno scritto per inciderlo sulle suole in cui dice che lui era un maestro diplomato alla scuola normale di Ayotzinapa: “Mi chiamo Celia Piedra Hernández, cerco mio marito, Jacob Nájera Hernández, vittima di sparizione forzata a San Jerónimo de Juárez, Guerrero, dal 2 settembre 1974, maestro diplomato alla Normale di Ayotzinapa, con queste scarpe non smetterò di cercarti, ti amiamo con il cuore che è il motore della nostra ricerca”.

Chi scrive il testo per le suole?

Quando, all’inizio del progetto, mi arriva il testo di Luz Helena dentro una scarpa, capisco che lì c’è già tutto: l’oggetto o la scarpa e il contenuto da registrare che loro mi mandano e non elaboro io. Preferisco così, anche se è molto doloroso per loro scriverlo. Dunque questa è la prima lettera, dell’8 maggio 2014: “Sono Luz Helena Montalvo, madre dell’architetto Daniel Roberto Dávila Montalvo, scomparso il 23 giugno 2009 a Torreón, Coahuila, all’età di 27 anni. Daniel è padre di una bimba e un bimbo che lo aspettano con ansia, quando l’han portato via si sono portati via la vita, per noi non c’è nessun progetto di vita, non c’è allegria, per me che sono sua madre c’è solo il camminare, il cercare, cercarlo nella speranza di trovarlo e riportarlo a casa. Dany, continuo a cercarti, manchi ai tuoi genitori e fratelli, a tua moglie, ai tuoi figli, ai nonni, agli zii, ai cognati e ai cugini, ti rivogliamo con noi e ci manchi molto. Tua madre”.

C’è un tema centrale nelle lettere che ricevi?

Ci sono sempre tutti i dati delle persone, ma ho pensato che le lettere dovesse contenere anche qualcosa sul tema della ricerca e dell’incontro. Cosa ti dicono le parole ricerca e incontro? Questo chiedo loro e mi scrivono qualcosa. Ognuno si libera e mette quello che vuole, cose semplici o elaborate e intime.

“Io mi chiamoYolanda Oropeza, cerco il mio figlioletto Roberto Oropeza Villa che è scomparso a Piedras Negras, Coahuila, il 21 marzo 2009. Camminare per me è un respiro di speranza per poterlo trovare un giorno”. E’ un testo semplice e diretto, ma ce ne sono altri più complessi perché col tempo le famiglie costruiscono narrazioni diverse.

“Melchor Flores Landa, cerco mio figlio, Juan Melchor Flores Hernández, vittima di sparizione forzata. I fatti sono avvenuti a Monterrey il 25 febbraio 2009. Melchor, detto Cow-boy Galattico”, questa è la parte essenziale, ma poi continua emotivamente: “Figlio mio, ti cerco da 7 anni e non mi sono ancora stancato, continuerò a cercarti finché Dio me lo permetterà e le mi forze e il mio corpo resistano, ovunque tu sia ti mando tutto il mio amore di padre, ti amo e ho bisogno di te”.

Qual è la tua relazione con le persone che ti spediscono le loro lettere e le scarpe?

E’ molto importante per me, è un simbolo di fiducia, significa che il progetto vale la pena e che loro condividono qualcosa che fa molto male. Il progetto sta diventando collettivo e bisogna essere più rispettosi e attenti. Ho incontrato personalmente quasi tutti i proprietari delle scarpe e, quando non è stato possibile, me li hanno lasciati da qualche parte, ma cerco sempre di vederli e parlarci prima o poi. Quando ci troviamo mi parlano del loro caso e spesso scrivono il messaggio subito dopo. Meglio avere una relazione personale. Per esempio c’è una lettera con foto che viene dalla frontiera nord, da Mexicali. Un’amica me l’ha consegnata e non li ho conosciuti direttamente: “Pierre Meza López, scomparso il 14 agosto 2006 a Mexicali. Seguirò sempre le tue orme fino a trovarti, fino alla fine del mondo, mi manchi molto, ho molto bisogno di te, ti amerò sempre, tua mamma Imelda”. Quello che resta inciso alla fine sono i dati essenziali e poi una parte più personale, emotiva, che si prende dalla lettera o che quasi sempre riguarda la ricerca e l’incontro, anche se non sempre gli suggerisco io queste parole. Ma queste finiscono per apparire, in un modo o nell’altro, e la speranza di trovarli è costante.

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DSC_0815 (2) nivel (Small)Priscila ha un fratello, Juan Chávez, scomparso l’8 settembre 1978: “Sono Priscila Chávez e cerco mio fratello. Sopportando e pellegrinando, stanca di tanto camminare per un fratello che tanto amo, continuerà sempre a lottare fino a trovarlo insieme agli oltre 500 desaparecidos”. Lei sta citando la cifra che si conosceva ai tempi della guerra sucia [guerra sporca dello Stato e dei militari contro i movimenti di protesta, guerriglieri e sociali in generale]. Ci sono varie persone che scrivono e dicono che stanno cercando tutti gli altri, non solo i loro cari. A volte, parlando delle scarpe, ho chiesto ai genitori se qualcosa era cambiato in loro a partire dalla scomparsa di loro figlio. Vari dicono di sì, perché hanno camminato tantissimo nei cortei, nelle procure, nei ministeri, nelle fosse e nelle ricerche. E hanno cambiato il loro modo di vestire, per cui portano scarpe più comode, con le suole resistenti e flessibili, per andare avanti a camminare.

Com’è nato il nome “Orme della Memoria”?

E’ stato facile perché qui ci sono memorie, scarpe, incisioni, prove di fatti, passi e orme, e allora così siamo arrivati al titolo.

In che lingue è tradotta la página Facebook?

All’inizio facevo una foto e riproducevo il testo, coi dati e le frasi die familiari, delle scarpe su una pagina Facebook in spagnolo più o meno una volta alla settimana. Strada facendo ho conosciuto una studentessa inglese che faceva la tesi su questo tema e s’è offerta di tradurre in inglese la pagina. Altri amici qui in Messico hanno fatto lo stesso per l’italiano. Poi sono nate le pagine in tedesco e in giapponese, data una forte relazione che mantengo con i collettivi “Bordamos por la Paz” (Tessiamo per la Pace). Loro hanno un collettivo in Giappone. Stesso discorso per la versione francese, c’è un’amica che collabora dal Québec. L’idea è che ci sia un impatto fuori dal Messico.

Per ora le orme sono verdi, ma in futuro di che altri colori le farete?

Nel progetto Bordamos por la Paz abbiamo cominciato a tessere in rosso per raffigurare tutti gli omicidi che ci sono nel Paese. Poi, sul tema dei desaparecidos, i familiari hanno preferito il verde che simboleggia la speranza di ritrovarli vivi. Il verde s’è consolidato e molti gruppi l’hanno adottato. Comunque ci saranno due altri colori. Il nero nasce perché arrivano scarpe relative a casi particolari, come questo: “Io sono María Helena, mamma di José Saúl Ugalde Vega, desaparecido il 14 settembre 2015 a Queretaro. Con queste scarpe sono andata fuori a cercarti tutti i giorni, sono stati giorni disperati, senza dormire e mangiare, sperando di trovarti. Il 4 dicembre 2015 hanno trovato i tuoi resti, ti amo figlio e non ti dimenticheremo mai”. Come segnale di lutto dobbiamo inciderli in nero. Può essere perché sono stati ritrovati i resti della persona o i membri della famiglia che i occupavano delle ricerche sono morti. Alcuni a volte muoiono cercando, s’ammalano, perché quando avviene la sparizione davvero solo loro sanno quanto forte è il dolore, l’ansia e la disperazione. Questo causa malattie. Useremo anche il rosso perché molti di quelli che seguono le ricerche sono stati assassinati, come nel caso di Nepo, Nepomuceno Moreno. Lui aveva detto in faccia all’ex presidente Calderón, una settimana prima che lo ammazzassero, che aveva ricevuto minacce perché cercava suo figlio. A Calderón non fregò nulla e Nepo fu assassinato. Qui ho 5 o 6 casi di familiari che sono finiti così per aver continuato le ricerche.

Ci sono altri casi che puoi condividere?

Ho conosciuto Lucía Vaca, moglie di Alfonso Moreno, al corteo nazionale del maggio 2014. Avevamo amici in comune. Alfonso mi ha parlato del caso di loro figlio, Alejandro, e mi ha dato un paio di scarpe per il progetto, le prime da uomo. Il secondo paio è stato quello di don Margarito, che mi ha dato i suoi sandali. Sono stato ad Ayotzinapa, ci siamo conosciuti perché eravamo seduti vicini sull’autobus e mi ha detto di avere le scarpe che ha usato quando, insieme agli altri genitori dei 43 studenti scomparsi, è andato a cercarli fuori dalla città di Iguala. E fu quella volta che rinvennero molti altri corpi e fosse clandestine, per cui nacque il movimento degli Altri Desaparecidos de Iguala (Los Otros Desaparecidos de Iguala). Molti di loro, nella maggior parte dei casi, posseggono solo le scarpe che portano. Il mese dopo ci siamo visti in manifestazione a Città del Messico e abbiamo fatto uno scambio di scarpe: gli ho dato dei sandali nuovi in cambio dei suoi vecchi. Ora hanno questo testo stampato: “Io Margarito Ramírez cerco mio figlio che si chiama Carlos Iván Ramírez Villareal, studente della normale di Ayotzinapa. Lo hanno fatto sparire i poliziotti, insieme a 42 dei suoi compagni, a Iguala, il 26 settembre 2014”.

Allora qui c’è tutto il Paese, raccolto nelle scarpe delle famiglie che sono alla ricerca dei loro cari, perché ho paia che vengono da Tijuana e dal Guerrero, da Oaxaca e dal Chiapas. E’ sintomatico che ne arrivino di più dai luoghi in cui il conflitto è più presente, ci sono tantissime scarpe del Tamaulipas, di Tijuana o di Veracruz e del Guerrero. E’ un termometro del conflitto.

Ne arrivano dall’estero?

Al riguardo è successo qualcosa d’imprevisto. Così come ne sono arrivate del periodo della guerra sporca in Messico, ne hanno mandate alcune dall’Argentina. Ne ho un paio di un bambino, Camilo, figlio di Paula Mónaco, che ha 5 anni e ha cominciato a chiedere insistentemente dove erano i suoi nonni. Paula le ha cominciato a spiegare. Sai, là le famiglie non nascondono le cose e cercano un modo di spiegare. Lei ha detto al bambino che li stavano ancora cercando. I genitori di Paula sono spariti durante la dittatura. Le scarpe dicono: “Mi chiamo Camilo Tovar Mónaco, cerco i miei nonni, Esther Felipe y Luis Carlos Mónaco, sono scomparsi a Villa María, Córdoba, Argentina, l’11 gennaio 1978. Io chiedo a mia mamma, Paula, quando troveremo i suoi genitori. Lei dice che non lo sa, ma che continueremo a cercarli. Quando torneranno, correrò ad abbracciarli perché sono i miei nonni”.

Poi mi sono arrivate due paia dal Guatemala e due dall’Honduras. Le reti sociali aiutano molto. E’ venuta una compagna dell’associazione Hijos México e ha portato delle scarpe del periodo della guerra degli anni ’80 in Guatemala. Ho fatto un intercambio anche con una mamma durante la Carovana delle Madri Centroamericane che è passata dal Messico recentemente e altre mi sono arrivate da Ana Enamorado, una signora dell’Honduras che è rimasta in Messico per cercare suo figlio, desaparecido nello stato del Jalisco. Forse ne manderanno altre da El Salvador e dalla Colombia. Si chiude una fase e la prima esposizione è per il 9 maggio al Museo de la Memoria Indómita di Città del Messico.

Come proseguirà il progetto?

In futuro dovrà essere aperto e collettivo, non importa chi farà le incisioni e il resto. Ora è finita la fase sperimentale e tecnica. Da solo non potrei continuare. Per adesso è già collettivo nella misura in cui esistono 5 pagine-specchio tradotte in varie lingue e varie persone che ci si dedicano. Poi alcuni compagni in Messico si sono fatti coinvolgere in vari modi ed è così, necessariamente, che potremo procedere a creare maggiore visibilità sulla sparizione forzata in Messico.

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In che senso?

Stiamo sperimentando il ritorno di uno stato di terrore, di uno Stato repressore e di una strategia mediatica, specialmente delle TV, che influisce sull’elezione di un presidente e instaura una visione idilliaca del Paese. La paura è stata impiantata nella società e fa sì che la maggior parte della gente entri in una fase di negazione, cioè che neghi quello che succede qui e, quando poi gli succede qualcosa, solo allora arriva la botta. E dunque s’impedisce che, in una situazione così drammatiche come questa, con oltre 30.000 desaparecidos e 150.000 morti, la gente si mobiliti e protesti. Se sono trentamila i desaparecidos, dovresti avere là fuori per le strade a manifestare, fisse, a dir poco 30 o 60mila persone, una o due per ogni famiglia con vittime. E invece non è così, non ci si mobilita. I gruppi di familiari fanno quello che possono, cercano almeno di unirsi a livello nazionale per avere più forza, soprattutto per quanto concerne l’iniziativa di Legge sulla Sparizione Forzata che si discute in parlamento. Un paese come questo non ha una legislazione adeguata su questa materia ed è un’altra tragedia…

DSC_0829 (Small)Infatti, si susseguono le condanne internazionali contro il Messico per il disprezzo imperante dei diritti umani. Si fanno addirittura in leggi come quella appena approvata nel Estado de México, detta Ley Atenco o Ley Eruviel (dal nome del governatore Eruviel Ávila), che ampliano molto le facoltà della polizia, anche senza previa consultazione del potere politico, nell’uso della “forza letale” contro i manifestanti. Oppure c’è il caso dell’approvazione del regolamento dell’articolo 29 della Costituzione che dà al presidente più possibilità di decretare lo “stato d’eccezione” e la sospensione delle garanzie individuali, anche in presenza di presunte emergenze economico-sociali.

Ciò conferma che si va all’indietro, verso uno Stato più autoritario. E stiamo parlando di un Paese con un narco-governo, dobbiamo dirlo chiaramente. Una gran quantità di desaparecidos, come successe nel caso emblematico dei 43 di Ayotzinapa ma anche in tanti altri in Messico, sono presi e consegnati ai narcotrafficanti da diversi corpi della polizia, includendo i federali e i militari. Lì c’è una situazione per cui non sai dove comincia la relazione di complicità tra narcos e governo. Stiamo vedendo un deterioramento tale da poter parlare di un narco-governo.

Perché vengono fatti sparire?

E’ molto assurdo. Molti casi sono assurdi. Tere Vera cerca sua sorella che era andata a tagliarsi i capelli e non è più tornata. Non chiedono soldi né riscatti alla famiglia. Al figlio di Lety l’hanno costretto a uscire di casa a mezzanotte, poco prima d’andare a dormire. Arriva la polizia, o personaggi vestiti da poliziotti, di nero, lo prendono per portarlo in questura e perché, dicono, hanno bisogno d’informazioni, ma poi non si sa niente di lui, sparito. Il marito di Ixchel nello stato del Coahuila. Vanno a prenderselo all’alba, gli dicono che vogliono precisazioni su un caso qualunque e non fa più ritorno a casa. Con i ragazzi di Ayotzinapa abbiamo visto un altro caso di coinvolgimento diretto delle autorità.

Ci sono tante ipotesi. Nel caso del figlio di Alfonso Moreno, per esempio, lui è un tecnico delle telecomunicazioni. Ci sono casi di ingegneri e altri professionisti che sono rapiti e quindi si crede che i narcos li sta usando per e comunicazioni, la costruzioni di tunnel e altre questioni tecniche. Ma in altri casi pare non ci sia logica, è l’assurdo.

I casi degli anni ’70 ricadevano nella logica del nemico politico che bisognava annichilire. Questi esistono anche oggi. Per esempio il “Tio”, Teodulfo Torres Soriano, un attivista che nel giorno dell’insediamento del presidente Peña Nieto si trova affianco a Juan Francisco Kuykendall. E’ il primo dicembre 2012. Il Tío filma, nei pressi del palazzo del Parlamento, come un proiettile di gomma viene sparato dalla polizia e rompe la scatola cranica di Kuykendall. Questo di vede, si vede il proiettile sparato, soprattutto se si congela il fotogramma. E’ quindi una documento di prima mano della repressione e della responsabilità della polizia federale nell’accaduto. Il ferito fu portato in ospedale e rimase in coma per un anno. Il Tío è un testimone oculare e viene fatto sparire. E’ una desaparición politica simile a quelle di 40 anni fa, perché Teodulfo aveva in mano un’informazione precisa e chiara di un abuso indiscutibile della polizia. La PGR, la procura o Procuraduría General de la República, ha chiesto il video al Tío e gli ha dato 5 giorni per consegnarlo. Ma in questi pochi giorni ecco che Teodulfo sparisce. Per fortuna è riuscito a dare il video ad altre persone o oggi possiamo vederlo su internet. L’evidenza mostra che sono stati apparati dello Stato a farlo sparire, non si vede nessun’altra spiegazione. E’ il primo desaparecido politico del governo di Enrique Peña Nieto. L’80% dei desaparecidos non aveva nessuna affiliazione politica, non sono militante di nessuna organizzazione. Sono professionisti o lavoratori senza appartenenze specifiche, come Alejandro Moreno, il figlio di Alfonso. Ma capiamo anche che spariscono perché c’è una strategia di spopolamento forzato di molte regioni in cui ci sono acqua, risorse naturali o minerarie. Questa è un’altra ipotesi, ma in fin dei conti pare evidente perché è vero che si registrano spopolamenti e spoliazioni come in una guerra di sterminio.

Puoi spiegarlo meglio?

DSC_0754 nivel (Small)Ci sono persone che a partire dal loro caso individuale hanno compreso che si tratta di un problema strutturale e, quando affrontano il tema, cominciano a parlare alla prima persona plurale, come un collettivo, e non più in prima persona. Ed è proprio per segnalare che tutte le vittime del Paese sono di ognuno di noi. Se noi sovrapponiamo la mappa geografica del Paese con le regioni dove ci sono più desaparecidos, vedremo che stiamo assistendo alla fase più acuto di saccheggio d’argento dall’epoca coloniale e, quando non sono le risorse naturali, sono i centri di resistenza come Atenco, il Chiapas o Oaxaca a catalizzare l’attenzione. Cioè, dove ci sono zone in resistenza sociale, questa deve essere debilitata, e dove ci sono risorse naturali, per esempio lo shale gas, bisogna spopolare, sfollare. Quindi, come si fa? Instaurando uno stato del terrore con la sparizione forzata, cioè una strategia perversa, peggiore dell’assassinio o della prigione.

Che esempi hai trovato al riguardo?

Ne ho uno del gruppo de Los Otros Desaparecidos de Iguala. “Mi chiamo Mario Vergara, cerco mio fratello Tomás, è stato sequestrato e fatto scomparire a Huitzuco, in Guerrero, il 5 luglio 2012. Ho imparato a cercare in fosse clandestine, ma chiedo a Dio di non farmi incontrare mio fratello in un orribile buco, cammino anche per ritrovarlo vivo”. E di un familiare di un ragazzo di Ayotzinapa. “Sono Margarita Zacarías, mamma di Miguel Ángel Mendoza Zacarías, studente della normale di Ayotzinapa, in Guerrero, è scomparso il 26 settembre a Iguala, insieme a 42 dei suoi compagni. Figlio mio, voglio dirti che ho camminato tanto cercandoti e non ce l’ho fatta, ma voglio che tu sappia che non riposerò fino ad ottenerlo, anche se dovesse costarmi la vita”.

Di una madre honduregna che sta qui in Messico: “Sono Priscila Rodríguez Cartagena, vengo dall’Honduras camminando fino al Messico, cercando mia figlia, e seguirò le orme fino a trovarla. Yesenia Marlén Gaitán è sparita il 10 febbraio a Nuevo Laredo, in Tamaulipas, quando si dirigeva verso gli Stati Uniti”.

Una è del gruppo Hijos México. E’ stato difficile incidere, la scarpa è arrivata tutta rotta. E’ del periodo della guerra sporca, lei non ha conosciuto suo padre, perché è scomparso quando sua mamma era incinta: “Sono figlia di Rafael Ramírez Duarte, desaparecido politico dal giugno del 1977. Seguire le tue orme è voler toccare i tuoi piedi coi miei, come il gioco della tana dei conigli tiepida che c’hanno rubato, papà, Tania”.

Ci sono bambini che ti inviano le loro scarpe?

Sì. Una frase di un bimbo riflette tenerezza e semplicità e dice molto di una regione, per esempio il Michoacán, che sta al centro della narcoguerra. “Sono Leonel Orozco García, ho 8 anni. Mio papà Moisés Orozco è stato catturato-fatto sparire il 22 maggio 2012 ad Apatzingán, in Michoacán. Cerco mio papà per trovarlo perché è mio papà, e gli vogliamo tanto bene”.

Un altro bambino è figlio di uno studente di Ayotzinapa. “Io mi chiamo José Ángel Abraham de la Cruz, ho 9 anni e sto cercando mio papà, Adán Abraham, studente della normale di Ayotzinapa, desaparecido il 26 settembre 2014 a Iguala, in Guerrero. Per questo mi trovo ora qui a Città del Messico, esigendo la presentazione con vita di mio papà e dei suoi 42 compagni”. Miguelito non aveva altro che queste scarpe e, siccome è cresciuto e non ha niente di niente, le scarpe ormai gli andavano strette. Ho chiesto permesso a suo fratello e a sua zia, lo abbiamo portato a comprare delle scarpe nuove. Tanto ai genitori dei 43 come agli altri desaparecidos che non hanno niente di più di quello che portano addosso io chiedo le scarpe per fare uno scambio e gli consegno un paio nuovo.

Quante scarpe hai inciso fino ad ora?

Abbiamo circa 70 paia di scarpe, ma ne stanno arrivando altre. Saranno esposte qui a Città del Messico per un po’ e poi si sposteranno secondo un percorso logico, verso nord, ma anche dove la gente e i gruppi organizzati vorranno. Potrebbero arrivare all’estero, negli USA e in altri posti, perché l’idea è di denunciare la situazione. Mi sono arrivate le scarpe di un familiare di quello che è noto come il primo desaparecido del Paese nel 1969, che era legato alla guerriglia di Genaro Vázquez. Da lì si arriva fino ad oggi con un paio di scarpe che è del 2015. Se mi inviano una scarpa di una moglie che cerca un marito o un figlio che magari è un militare, non lo scarto. Non escludo nulla, perché l’idea è mostrare l’intero paese, per cui le ragioni delle sparizioni sono molteplici in tanti luoghi diversi.

Allora abbiamo incluso il figlio di Araceli Rodríguez, che è della Polizia Federale, o il papà di Nadim Reyes, Edmundo, che è rivendicato come militante desaparecido dall’EPR (Ejército Popular Revolucionario, gruppo guerrigliero dello stato di Guerrero). C’è di tutto, è il Paese: scompaiono militanti politici e contadini, studenti e perfino soldati o poliziotti, e non mi hanno ancora mandato il caso di un giornalista, ma ce ne sono. E’ una gran tragedia. Sono donne sole, figli orfani e tutta una strategia di Stato che rappresenta un filo conduttore. Per esempio nel caso di Araceli Rodríguez c’è una denuncia e un’ipotesi chiara secondo cui i capi della polizia federale hanno mandato suo figlio, Luis Ángel León Rodríguez, con altri cinque e un autista a occupare una cittadina. Che è successo lì? E’ il novembre 2009. Li mandano a un paesino in un giorno di riposo, non lavorativo, in un’automobile non di servizio, che è stata chiesta a terzi e non è della polizia, senza armi né uniformi. E così gli danno l’ordine di occupare il paesino. Poi tutti spariscono. Quello che sta succedendo è un disastro, una guerra non detta. Se paragoni cosi come l’Afghanistan o l’Iraq o altri ancora vedrai che qui ci sono bilanci peggiori, in un Paese che teoricamente non è in guerra.

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Userai anche altri oggetti?

Per Orme della Memoria non ho voluto le scarpe dei desaparecidos perché già è stato fatto molto con gli oggetti dei desaparecidos e mi interessa la parte vitale, la parte di chi cerca, di chi più ha indagato e di chi sta lavorando in questo periodo alla Legge sulle sparizioni forzate. Chi farà uscire questo paese dal disastro sono i familiari perché vogliono cercare i loro figli e stanno scoprendo le ragioni del deterioramento, quindi vogliono denunciare e cambiare il Paese. Lo spirito collettivo del progetto può potenziarlo affinché non si centri su una persona sola e prosegua indefinitamente.


** Cos’è Messico Invisibile?

Il libro riunisce reportage, interviste e saggi sul Messico attuale che è diventato il centro dei traffici degli stupefacenti consumati negli Stati Uniti e in Europa: marijuana, cocaina, eroina, metanfetamine. In 10 anni la “guerra alle droghe” ha fatto oltre 150mila morti, 30mila desaparecidos e migliaia di femminicidi nel Paese. La crisi dei diritti umani colpisce specialmente giornalisti e attivisti che lavorano sotto minaccia del crimine organizzato, spesso indistinguibile dalle autorità. Messico invisibile spiega l’evoluzione dei narco-cartelli, le vicende del boss Joaquín “El Chapo” Guzmán e il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, sequestrati da poliziotti e narcos a Iguala la notte del 26 settembre 2014 e, ad oggi, ancora desaparecidos. L’autore dà spazio a storie silenziate, invisibili, come quelle delle donne della prima casa di riposo al mondo per ex prostitute o di chi s’organizza per cercare i propri cari desaparecidos, e critica le narrazioni tossiche sui “cervelli in fuga” e sul neoliberalismo, il sistema culturale ed economico che fa da cornice alla conflitto messicano. Nuovi studi sul culto popolare della Santa Muerte, sugli italiani all’estero e sui legami tra l’amianto e il “filantrocapitalismo” in America Latina completano il testo. Alla fine di ogni capitolo sono raccolte le voci, con interviste a Don Ciotti, fondatore di Libera, Alfredo López Casanova, ideatore di Orme della Memoria per i desaparecidos, agli scrittori Alberto Prunetti, Pino Cacucci e Roberto Saviano, al difensore dei diritti umani Francisco Cerezo, al pittore partigiano Luciano Valentinotti e a Xitlali Miranda, coordinatrice delle ricerche degli Altri Desaparecidos di Iguala. Segnalo presentazione del libro il 7 luglio alle 19:30 presso l’ex OPG occupato Je so’ pazzo a Napoli.


Di seguito il trailer del documentario (presto disponibile per varie proiezioni in Italia) Cielito rebelde: Voci del Messico resistente di Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri. Seguitene i passi! FaceBook Link 

Un viaggio nel Messico che resiste al neoliberismo. Voci da una terra in cui Non ci si rassegna, dove immaginare un mondo che include altri mondi non è un semplice slogan ma una reale e costante pratica quotidiana. Abbiamo iniziato a pensare in collettivo, a immaginare un progetto. La forma che abbiamo scelto è quella del film documentario. Una serie di interviste che possano rendere diversi sguardi sul Messico e sulle lotte che lo animano. Negli stati che abbiamo attraversato siamo entrati in contatto con diversi attivisti e militanti di organizzazioni radicali e anticapitaliste, cercando di cogliere il comune sentire che vive intorno al “discorso rivoluzionario” nel Messico di oggi. Parlando di capitalismo e resistenze, di collettività e autonomia, abbiamo imparato che, nonostante tutto, pensare un futuro rivoluzionario e agire in un presente tanto complesso può essere una pratica quotidiana. Abbiamo visto come si possa parlare di tutto ciò con una semplicità disarmante. La stessa semplicità con la quale da ormai più di vent’anni dei contadini, in Chiapas, tengono testa agli attacchi del governo, costruiscono il proprio mondo sottraendolo al capitalismo e ci regalano ogni giorno un motivo di speranza.

Un film di: Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri.
Fotografia di: Claudio Carbone
Disegni di: Mario Berillo
Montaggio di: Leonardo Botta
Musiche di: Moover
con la collaborazione di Kairos elementikairos.org
Pagina Facebook: facebook.com/Cielito-Rebelde-Voci-del-Messico-resistente-493029287533380/timeline
Sito: cielitorebelde.org
Trailer: vimeo.com/151901240

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In memoria di Sbancor a otto anni dalla scomparsa https://www.carmillaonline.com/2016/06/23/memoria-sbancor-otto-anni-dalla-scomparsa/ Wed, 22 Jun 2016 22:00:48 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=31226 di Pasquale Cicalese

sbancorPorca misera, i siti ministeriali non danno più la rassegna stampa. Vlad ti passa la sua, roba finanziaria, leggendola ti accorgi che quelli del Financial Times quando scrivono dell’Italia non sanno niente di Machiavelli, banalità assurde sul Paese, intervistando schiappe italiane di prim’ordine. Per fortuna riesci a convincere il dirigente di settore ad abbonarsi al Sole. “Avvocà, Italia Oggi è buona per il cesso quando ti manca la carta igienica”

“Che ne dici, rinnoviamo Corriere?”

“Lasci perdere, quello manco per il cesso vale, i borghesi [...]]]> di Pasquale Cicalese

sbancorPorca misera, i siti ministeriali non danno più la rassegna stampa. Vlad ti passa la sua, roba finanziaria, leggendola ti accorgi che quelli del Financial Times quando scrivono dell’Italia non sanno niente di Machiavelli, banalità assurde sul Paese, intervistando schiappe italiane di prim’ordine. Per fortuna riesci a convincere il dirigente di settore ad abbonarsi al Sole. “Avvocà, Italia Oggi è buona per il cesso quando ti manca la carta igienica”

“Che ne dici, rinnoviamo Corriere?”

“Lasci perdere, quello manco per il cesso vale, i borghesi del nord su pisci lavati, Avvocà”.

“Quando timbri?”

“7,30”

“Perfetto, alle 8 Il Sole è sul tuo schermo, fammi sapere delle pensioni, mi sa tanto che sarò esodato tra un anno”

Marina fa la determina e l’atto di liquidazione in due giorni, ma il finanziario blocca per tre mesi il tutto, gravi problemi di liquidità, il mandato non si può fare. Che palle le determine! Vai da Filippo e gli dici, falla tu, Vlad mi ha mandato un report della Morgan Stanley. Lui, c’ho il Pan Kro da fare, non delegare sempre e poi da quando Stephen Roach è andato a Yale quelli non hanno niente da dire più. Cazzo, gli dico, da quando non c’è più Sbancor nessun compagno in Italia segue con precisione le mosse della Riserva Federale, forse qualcosa troverò nella Morgan. Certo non li segui più come una volta, ormai gli unici che leggi sono il sottoconsumista ex trotzkista Patrick Artus della parigina Natixis e soprattutto Richard Woo, seguace della keynesiana Joan Robinson: sta a Singapore e Nomura qualche volta non è male.

“Vuoi mettere ‘sti deficienti con Sbancor?”, risponde Filippo.

Mi fece leggere Sbancor molti anni fa: Flix non è un positivista del capitale come me, genealogia del potere è la sua bibbia. Mi finanzia da sempre, sin dall’epoca del liceo, quando lavoravo in un pub. Nel 1988 volle che andassi con lui in giro per l’Europa. Con il lavoro racimolai appena 800 mila lire. “Vieni, l’interrail te lo paghiamo io e Sami, mio padre mi ha dato più soldi, l’alloggio te lo pago io”. Mai avuto una lira, per il resto c’è sempre stato Flix. Un giorno mi telefonò: “Che cazzo stai a fare lì, il disoccupato? Lascia perdere l’Emilia, sono fottuti, sono dominati dai servi dei crucchi, ne avremo per vent’anni. Vieni ad insegnare commercio internazionale, 50 mila lire nette all’ora, primo contratto 500 ore, avremo tre anni di lavoro, 4 milioni di stage te li prendi tu”. Tutti soldi che bruciai nei bar di Crotone, di Roma, Napoli, Salerno, volevo capire come stava cambiando il Sud.

“Ti metto a disposizione 2 milioni per acquisto libri, li prendiamo e te li tieni e in culo alla Regione Calabria. Ci sarà merda in Italia, almeno qui hai il mare e un buon appartamento te lo danno a 300 mila lire, non come lì che devi dividere la stanza”. Mi convince.

“Vabbè, dammi la partita iva, prenoto i libri alla Feltrinelli e in tre giorni parto”. Avevo provato in Facoltà. “Tacito applicato all’economia non ci interessa, il muro di Berlino è crollato, c’è la pacificazione. Piuttosto sono i tuoi amici cinesi che rompono le palle a Tienanmen. Cerchiamo econometristi. Ci serve gente che applichi modelli matematici ai distretti industriali emiliani”. Il manicomio della borghesia italiana raggiungeva la sua “autorevolezza scientifica”. Un Prof calabrese craxiano, “colluso con la ‘ndrangheta”, voleva che continuassi gli studi. Che palle i calabresi, sono tutti “collusi con la ‘ndrangheta”.  “Il tuo essere marxista ti impedisce di avere cultura di governo”, fa lui. Andai a salutarlo: “Professò, vado giù, qualche mese da cameriere e poi faccio corsi per disoccupati”. “Sei un pazzo”. “Può darsi, ma è l’Italia tutta che è impazzita. Qui cercano “operai generici” e per qualche lavoro decente devi avere la tessera del PDS. Mafia per mafia, scelgo la mia”.

Ritornai qualche volta in Emilia, Ste stava per laurearsi, poi non la vidi più, se avevo quattro lire mi giravo il Mezzogiorno o andavo a Roma. Feci conoscere Ste al prof calabrese, ci incontravamo in un hotel craxiano di Roma, gli davo lavori sulla Calabria. Gli dissi: “Lasci perdere Roversi Monaco e la Bank of England, legga Sbancor”. “E chi è?”. “Un profeta”. “Roversi Monaco non è un cretino.” fa lui; “Può darsi, ma tutte le postazioni di potere se le becca lui, noia mortale, sempre gli stessi”. Che palle i massoni.  Per anni ci sentivamo ogni settimana telefonicamente. Un giorno fece “Stai leggendo Krugman e Stiglitz?” Si, faccio io, “una noia mortale”. Che palle gli economisti americani. Si candidò a Bologna, voleva candidarsi alla Regione Calabria. “L’ha comprato il fucile, professò?” “Perché?”. “Alla Regione Calabria serve, altro che i suoi amici ‘ndranghetisti”.

Un giorno ci sentimmo. Giacomo Mancini sbraitava sul Corriere contro Prodi che aveva dato 600 miliardi di lire ai baroni dell’Unical. Stava subendo un processo, “colluso con la ‘ndrangheta”. Quei soldi servono ai calabresi, dobbiamo costruire alloggi popolari, qui la gente non ha un tetto, disse lui. Fu intervistato dai giornali calabresi. “Fottetevene di me, tra poco crepo, qui sta avanzando la miseria, altro che processo per ‘ndrangheta. Non c’è lavoro, e quel che c’è è precario. Chi volete che possa permettersi un mutuo nei prossimi anni?”

Quell’uomo di 85 anni anticipava l’inferno del 2007 dei subprime americani descritto da Sbancor. L’’ultima volta che sentii il Prof fu nel 2006. “Ancora giù stai? Che fai lì, vieni a Roma”. E io: “ E a Roma che vengo a fare, la fame, con l’affitto a 1300 euro in capo al mondo e senza metropolitana? Me lo dà lei un lavoro da 3 mila euro al mese? Almeno giù ho fatto figli, fossi stato a Roma o al nord non me li sarei mai potuti permettere. Segue le elezioni del Presidente? Lasci fottere quelli lì, si legga Sbancor”. Che palle la politica italiana, espressione della noiosità mortale della sua borghesia. Non ebbi più sue notizie, un giorno seppi che sfasciò un albergo valdostano, fece come Pete Townshend, da lui visto a Woodstock musicare Tommy.Che palle i craxiani, firmatari di Maastricht del ’91, ma lui, “colluso con la ‘ndrangheta”, almeno era originale.

Quando Flix mi propose il lavoro giù il dialogo si svolse in crotonese. Saussure gli fa un baffo al nostro dialetto, un misto di portoghese, francese, spagnolo e greco; il guaio è che è crudo, spietato, poco adatto alla poesia, ascolti il salernitano per la musicalità poetica. Un giorno incontro un professore di liceo al bar: Nietzsche? “Il suo guaio è che non era un terrone come noi, per salvarsi doveva andare a Capri, come Lenin”. Saussure? “Preferisco Turuzzu Fissiria”. Foucault? “Un mimo”. Lacan? “La canna, di marjuana, possibilmente di Mesoraca”, fa lui. Ad un certo punto sbotta: “Senti, tu ti fai una birra la sera dopo il lavoro, giusto? Fai una cosa, cambia locale per qualche mese, vai alla cantina della Marina e ascolta il dialetto degli anziani che bevono vino, è tutta gente dionisiaca quella, da loro capirai la filosofia”.

Aveva maledettamente ragione, da allora ho abbandonato i francesi e i viennesi. Che palle i viennesi, conclusi a 27 anni. In cantina ci andai 3 mesi di fila, poi basta: che palle le cantine crotonesi, conclusi, a parte il dialetto. Ste non riesce a capacitarsi del perché dopo tanti studi io parli il dialetto, mi piace l’antichità, faccio io.  Quando Flix mi fece conoscere Sbancor fu un illuminazione: i tratti dionisiaci applicati all’economia, un fulmine. Perché non scriveva in romanesco, sarebbe venuto una favola. Lo lessi; sangue, sesso, guerra, numeri e l’abbandono totale a Dioniso. Sapevo che era amico di Vlad, si incontravano e io chiedevo a Vlad cosa pensasse Sbancor di questo e di quello.  2001, Torri Gemelle. Dopo un po’ di tempo mi chiama Flix, via sul sito, c’è Sbancor. Scrisse quel che poi sarebbe diventato “America Nightmare”, Edgar Alla Poe applicato all’economia. “Si fa, secondo te?”, chiesi a Flix. “Macché, è troppo lucido per essere eroinomane, descrive la tossicità del capitale”.

Pubblicò su La Contraddizione. Un giorno un deficiente svelò il suo vero nome sul sito di Indymedia. Quanti idioti giravano da quelle parti. Lui giustamente rispose incazzato, “non sai il disastro che hai combinato”. Quell’idiota lo accusava di flirtare con Fini, un cretino che attacca un genio, dovevi sorbirti pure questo presso i “rivoluzionari”. Chiamo Vlad: “E’ lui?”; “può darsi, vai sul sito di Capitalia, lo incontro stasera”. E così che scoprii un tesoro immenso: Sbancor lavorava al centro studi di Capitalia. Scoprii il suo lato apollineo. Ogni mese report su qualche paese estero con tutti i numeri, precisione chirurgica sulle previsioni, rapporti alla dirigenza su euro-dollaro, carry trade yen dollaro, rendimento bund, flussi finanziari, andamenti borsistici. Freddezza assoluta, analisi impietose.  Da lui capii l’importanza del Chicago Board of Trade, dello Straits Times di Singapore, dell’Hang Seng di Hong Kong. Avvertiva alla meta del 2000: boom di importazioni cinesi, rivalutazione yuan, vedeva decenni avanti; nel 2007 raccontò di una sua giornata alla sala cambi della banca, annunciava l’inferno, mentre nel nostro Paese per mesi non si faceva altro che parlare di tesoretti. Quanto sono noiosi i borghesi. Stava arrivando un tesorone della madonna e loro continuavano con gli “incentivi a fondo perduto alle imprese”. Deficienti.

Confrontavi i lavori di Sbancor con quelli del suo vero nome in Capitalia, capivi che noi proletari per forza di cose siamo Dottor Jekill e Mister Hide, è una questione di sopravvivenza. Lui report per la dirigenza, Flix delibere per la giunta: schizofrenia del lavoro salariato, Deleuze aveva colto nel segno. Ma l’anti Edipo è irriducibile presso i salariati, il dionisiaco di Sbancor te lo conferma, del resto è la materia prima ineguagliabile per la rivoluzione. Sigmund odiava i proletari, odiava la rivoluzione, il suo mondo era il mondo borghese del caso clinico di Dora, dopo qualche anno lo mandi a quel paese, i proletari dei bar crotonesi hanno cose più interessanti da dirti. Che palle Sigmund. Sigmund era cocainomane, i borghesi per avere tratti dionisiaci devono assumere questa sostanza, ai salariati basta la loro vita, sono schizoidi per natura. Sbancor raggiungeva Dioniso parlandoti degli andamenti borsistici, la sua scrittura ti parlava di guerra, anche quando andava a donne a New York. Già, ma perché la Riserva Federale? Nixon è del 1971, ma Werner fu solo 8 mesi dopo, ed era in preparazione sin dagli anni sessanta. Ho sempre pensato che Nixon volle anticipare le mosse dei crucchi: gli americani gli ficcarono con i sauditi l’iperinflazione del 1973, il surplus dei crucchi, di un sol colpo, andò a farsi benedire, come un falò della vanità. Perché Torri Gemelle e non la fine della Cecoslovacchia? Nel 1989 gli Ossis affollavano i sex-shop di Berlino Ovest, ho sempre pensato che Baghdad del 1991 fosse una reazione a questo. Andreotti ebbe a dire: “Amo così tanto la Germania che ne preferisco due”. Mitterrand del 1990 era terrorizzato, non aveva più le spalle coperte dell’URSS, lì c’era un coglione di nome Gorbaciov.

Il 2007 diede ragione a Sbancor, ma la realtà si svelò solo qualche anno dopo in Grecia. Attacco americano? Anche se così fosse, come si spiegano 50 anni di surplus tedesco se non con i debiti di inglesi, francesi, italiani, spagnoli e soprattutto americani? Come avrebbero potuto campare senza questi paesi? Ti accorgi dell’economia europea dai viaggi dei calabresi, gli hobos italiani. A fine ‘90 notavi che molti di essi rientravano dalla Germania. Parli con alcuni di loro. “Perché siete rientrati?”. “E’ finita lì, non è più come un tempo, preferisco prendere il sussidio in marchi e campare qui”. Ste mi viene a prendere a Battipaglia e in macchina mi fa “stamattina ho conosciuto delle persone che sono rientrate dalla Germania. Lavori di due tre mesi, poi blocco e niente più, usa e getta, se è così preferiscono stare qui”. Fine anni novanta? Nossignore, natale 2012. Mimmo va lì 4 mesi fa, Ovest. Due settimane fa mi lascia un messaggio in bacheca su facebook: “Torno, passo da Roma e poi vengo giù, ti vengo a trovare a casa. Non c’è un cazzo. Non capisco perché dicono che lì ci sia lavoro, è proprio strano, è un messaggio che sta passando in Italia, ma non è vero, mi puzza ‘sta roba” Quant’è il tasso di disoccupazione lì? 6,9, ma solo perché ci sono 5 milioni di minijob. Perché gli “analisti” parlano di “piena occupazione”? Se così fosse, perché non trasformare i minijob a contratti a 40 ore? Il tasso è al 6,9, lo stesso italiano del 2007, anno di merda, sicuro. Perché sta passando questo messaggio non vero?

Sbancor era concentrato sulla Riserva Federale, io vedevo solo Francoforte. Pensavo, in ogni caso hanno le materie prime, prima o poi le potranno utilizzare, ma l’Europa cos’ha? Questo non capivo in Sbancor.

 Sbancor fu il Delueze dell’economia, mai avrebbe potuto insegnare nelle facoltà dominate da baroni inutili. Una volta Carmelo Bene disse che Maradona fu l’unica espressione artistica degli ultimi trent’anni. Sbancor lo fu pure, applicò l’arte all’economia, era un mix tra Bukowski e le corrispondenze del Moro. Caso unico in economia.

Nella primavera del 2008 mandai un pezzo a Vlad sul secondo governo Prodi, poi pubblicato su Proteo. Dopo qualche giorno mi chiamò, era sera, strano, dopo una certa ora non ci sentivamo. Penso a qualcosa sul pezzo. Il cazzo. Mi fa: “Sbancor è morto”.

Ora ho un rammarico, di non averlo incontrato a Roma: lo avrei invitato da me, lo avrei portato in quella cantina della Marina, per fargli ascoltare il dialetto crotonese. Avrebbe colto il segno dionisiaco di quei proletari e si sarebbe fatto delle risate pazzesche sulle loro battute. “Come facciamo a campare?” gli avrebbero detto. “Amu abbuscari u pani a matina” (dobbiamo guadagnare qualcosa), sennò le mogli li cacciano fuori di casa. Per fortuna che a Dioniso si contrappongono le proletarie, il principio di contraddizione deve andare avanti.

Dalla morte di Sbancor non vado più nei locali in cerca di filosofia proletaria. La filosofia? Sovietica Vesuvianità di Daniele Sepe, 2 minuti e trenta secondi di musica in dialetto napoletano, basta e avanza. I libri? Che palle i libri. Per capire il mondo basterebbe un report di 8 pagine di Sbancor al centro studi della banca in cui lavorava. Tocca invece leggerti gli “economisti”. Che palle gli economisti.  Nel 2013 nella politica italiana si affaccia Grillo. Concludo: che palle Grillo, che palle il suo movimento. Forse che ne avremo per altri vent’anni? Che palle 40 anni di noia mortale, tocca andarsene in Brasile, come dice Ste…

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Il filo rosso dell’amianto e di Stephen Schmidheiny tra Italia e America Latina https://www.carmillaonline.com/2015/09/25/amianto-eternit-e-stephen-schmidheiny-tra-italia-usa-e-america-latina/ Thu, 24 Sep 2015 22:00:17 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=25480 di Fabrizio Lorusso

Amianto dangerLo portavano sempre con sé i pompieri, dentro le loro uniformi. Isola tetti, pareti e tubature. E’ fibroso, incombustibile, mortale. Non è un indovinello, ma la descrizione dell’amianto o di una sua varietà, l’asbesto, un minerale di fibre bianche, flessibili e assassine.

“Un lavoro pericoloso, saldare a pochi centimetri da una cisterna di petrolio. Una sola scintilla è in grado di innescare una bomba che può portarsi via una raffineria. Per questo ti dicono di utilizzare quel telone grigio sporco, che è resistente alle alte [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Amianto dangerLo portavano sempre con sé i pompieri, dentro le loro uniformi. Isola tetti, pareti e tubature. E’ fibroso, incombustibile, mortale. Non è un indovinello, ma la descrizione dell’amianto o di una sua varietà, l’asbesto, un minerale di fibre bianche, flessibili e assassine.

“Un lavoro pericoloso, saldare a pochi centimetri da una cisterna di petrolio. Una sola scintilla è in grado di innescare una bomba che può portarsi via una raffineria. Per questo ti dicono di utilizzare quel telone grigio sporco, che è resistente alle alte temperature perché prodotto con una sostanza leggera e indistruttibile: l’amianto. Con quello le scintille rimangono prigioniere e tu rimani prigioniero con loro e sotto il telone d’amianto respiri le sostanze liberate dalla fusione di un elettrodo. Una sola fibra d’amianto e tra vent’anni sei morto”.

Così scrive Alberto Prunetti, autore del romanzo, basato sulla vita di suo padre e della sua famiglia, Amianto. Una storia operaia (Ed. Alegre, Roma).

amianto alegreEd è la storia di milioni di lavoratori che, spesso ignari del pericolo o manipolati dalle imprese che li contrattano, ancora oggi in decine di paesi nel mondo inalano e portano su di sé o dentro di sé le fibre tossiche che provocano mesotelioma, tumore del polmone e della laringe, o gravi patologie come la asbestosi. Parole forse complicate ma cause semplici: se in casa stai lavando dei vestiti con dei residui di amianto, potresti respirarne una fibra che mai più uscirà dal tuo corpo e potrebbe produrre malattia e morte. Da un fascetto di minerale spesso un millimetro si possono liberare cinquantamila microfibre respirabili.

L’amianto è un minerale silicato, varietà di serpentino o di anfibolo, di composizione varia, e in composizione con il cemento forma il fibrocemento, che è altresì un marchio registrato, brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek come “Eternit”, cioè eterno, data la sua resistenza. Ed eternamente sprigiona polveri fatali quando è maneggiato o quando si logora. Tutti noi, per esempio in Messico, dove vivo, e comunque ove non sono state proibite la sua estrazione ed il suo uso, o dove non sono state realizzate le bonifiche, siamo in pericolo. In terra azteca l’asbesto è onnipresente, sopra le nostre teste, nelle pareti, a ricoprire tubi o nei negozi in cui ancora si commercializza. E’ rischioso lavorare a contatto con il minerale, vivere nei pressi degli stabilimenti o avere lamine, tubature, pastiglie dei freni, giacche e guanti rivestiti di amianto. Paiono ammonimenti scontati e banali in Italia o in Europa, ma suonano come inquietanti novità in gran parte dell’America Latina.

Asbesto-America e Russia

In Europa la bonifica delle strutture infestate dall’amianto è durata anni, da quando a poco a poco negli anni novanta il materiale cominciò a essere messo al bando e poi, nel 2005, la misura fu estesa definitivamente a tutti gli stati membri della UE. Oltre 50 paesi (link lista e cronologia dei divieti), includendo, nelle Americhe, il Cile, l’Honduras, l’Uruguay e l’Argentina, hanno fatto la stessa cosa, vietandone l’uso all’interno del proprio territorio. Ma le economie più importanti del continente americano e ai primi posti nel mondo, come Stati Uniti, Canada e Brasile, pur avendone limitato gli usi e avendolo proibito totalmente in alcuni stati, non l’hanno del tutto proibito e continuano a promuoverne il commercio.

Infatti, il Canada è uno dei primi esportatori dell’amianto bianco o crisotilo, gli Stati Uniti sono molto attivi nell’import-export dell’amianto e il Brasile è il terzo produttore mondiale e lo utilizza ampiamente in casa propria. Gli affari della fibra-killer vanno a gonfie vele anche per Russia, Cina, Tailandia, India e Kazakistan, che sono tra i principali produttori (vedi mappe qui e progetto giornalistico di ricerca su vari paesi “Danger in the Dust” qui).

In Russia a Kazakistan le aziende leader sono rispettivamente la  Orenburg Minerals e la Kostanai Minerals, controllate dalla britannica United Minerals Group Limited dal 2003, secondo un report stilato dagli investitori di Kostanai Minerals. Nel 2004 la compagnia ha una quota del mercato mondiale dell’asbesto crisolito del 30% e cambia nome: diventa la Eurasia FM Consulting Ltd., ma non è chiaro se tuttora l’impresa controlli Orenburg e Kostanai. Cito da un reportage del 2010 del progetto “Dangers in the Dust”:

“Una compagnia con sede a Cipro, la UniCredit Securities International Ltd. — parte di UniCredit, uno dei gruppi bancari più grandi del mondo, con 10.000 filiali in 50 paesi — possiede partecipazioni sia in Orenburg Minerals che nella Kostanai Minerals “per conto di clienti occulti”, secondo quanto detto dal portavoce di UniCredit, Andrea Morawski, a ICIJ [International Consortium of Investigative Journalists] via mail. Morawski ha sottolineato, comunque: “Noi non esercitiamo nessun controllo su [Orenburg Minerals or Kostanai Minerals] né siamo beneficiari delle partecipazioni detenute. Fin dove siamo ragionevolmente a conoscenza, noi non siamo stati beneficiari di nessuna commissione/profitto derivante da attività legate all’asbesto”.

Asbesto MAPA 1 exporta5asbesto2

L’asbesto non è vietato negli USA che, al contrario, sono sempre stati un gran importatore d’asbesto e il maggior consumatore mondiale del minerale, mentre hanno fornito storicamente solo una piccola percentuale dell’output estratto globalmente. Riporto dal portale Asbestos.com (sezione “Storia”):

“Una regolamentazione presentata dalla Agenzia per la Protezione Ambientale, che bandiva la maggior parte dei prodotti contenenti asbesto, venne ribaltata dalla Corte d’Appello del Quinto Circuito a New Orleans nel 1991 per le pressioni dell’industria dell’asbesto. Anche se si tratta ancora di un bene legale ed è presente in molti edifici e prodotti d’uso comune nelle case, l’uso dell’asbesto è declinato considerabilmente negli Stati Uniti. L’ultima miniera è stata chiusa nel 2002, mettendo fine a quasi un secolo di produzione di asbesto nel Paese”.

Amianto fibraAd ogni modo negli USA, secondo il US Geological Survey relativo al 2012, sono entrate 1.060 tonnellate di asbesto dal Brasile. Fondamentalmente il commercio e gli affari non si sono mai fermati, l’amianto di tipo bianco-crisolito è ancora utilizzato nei materiali da costruzione, per l’isolamento, i freni delle automobili e in altri prodotti, malgrado esistano alternative valide per il settore manifatturiero. Di conseguenza una trentina di statunitensi muoiono ogni giorno per le patologie ad esso relazionate.

Da anni il Canada è additato come un “paese canaglia” per la sua reticenza nell’includere l’amianto nella lista internazionale dei materiali pericolosi. Le attività minerarie canadesi cominciarono intorno al 1850, quando furono scoperti i giacimenti di crisolito a Thetford, e un quarto di secolo dopo s’estraeva una cinquantina di tonnellate all’anno nel Quebec. Negli anni ’50 del secolo scorso la cifra arrivò a oltre 900.000 tonnellate.

Nel 2011, la miniera “Jeffrey Mine in Asbestos” del Quebec è finita al centro dell’attenzione dopo che il governo canadese aveva proposto un finanziamento da 58 milioni di dollari per riaprire la miniera. Siccome gli investitori privati fallirono nel tentativo di raccogliere 25 milioni di dollari per la data del primo luglio 2011, che era la deadline per acquisire la miniera, il finanziamento del governo del Quebec è stato rimandato a tempo indefinito. Questo spostamento è volto a dare più tempo agli investitori per raccogliere fondi. Di nuovo nel 2011 il Canada ha deciso di non supportare la decisione di aggiungere l’asbesto crisolito nella lista delle sostanze pericolose della Convenzione di Rotterdam, un trattato internazionale che promuove unità e responsabilità riguardo all’esportazione e importazione di sostanze e prodotti chimici pericolosi (su Canada e settore/compagnie minerarie segnalo il link Republic of Mines).

Asbesto entrega_de_laminas__2_Il Canada è l’unica nazione del G8 a non aver votato per includere l’asbesto nel trattato, un scelta che il governo ha sostenuto anche nel 2015. Internamente, però, l’uso del minerale è vietato, ma questo non accade, ipocritamente, per la sua produzione e commercializzazione all’estero. Ormai il paese non lo produce più, anche se lo commercia: il valore dei prodotti importati contenenti amianto è passato da 4,9 nel 2013 a 6 milioni di dollari nell’anno successivo, mentre le esportazioni di tali beni sono state di 1,8 milioni di USD.  Nel 2013 la Russia, lo Zimbabwe, il Kazakhstan, l’India, il Kyrgyzstan, il Vietnam e l’Ucraina si sono opposti in blocco all’inclusione, mentre il Canada per la prima volta ha potato per la neutralità.

Nonostante la sua posizione oltranzista, il Canada oggi di fatto usa molto meno amianto di prima, ma fino al 2011, anno di chiusura dell’ultima miniera, il Quebec da solo era il primo produttore mondiale ed esportava il 96% del minerale grezzo estratto nei paesi asiatici (vedi: Asbestos.Com) posizionandosi come superpotenza esportatrice del minerale. Le prossime elezioni federali canadesi, previste per il 19 ottobre, potrebbero segnare un punto di svolta in caso di vittoria del Liberal Party, da sempre ambiguo sull’amianto ma ora riconvertitosi a una linea “verde”, o del New Democratic Party, oggi all’opposizione e contrario a ogni tipo di asbesto, mentre una vittoria del Conservative Party di Stephen Harper sarebbe un toccasana per le lobby pro-amianto. Il Bloq Québéquois ha mostrato anch’esso non poche ambiguità e tentennamenti, ma pare orientarsi verso l’estensione delle restrizioni, così come il Green Party che da sempre combatte il blocco estrattivista.

Italia, Brasile, Messico

Pure l’Italia, in cui il divieto risale al 1992, continua a importarlo aggirando la normativa. “Negli ultimi anni ne abbiamo importato 34 tonnellate e i numeri sono indicati per difetto. I rumors si rincorrevano da mesi (…), la procura di Torino ha aperto un fascicolo d’indagine, ma la conferma ufficiale è arrivata solo qualche giorno fa alla Camera dei Deputati”, spiega Stefania Divertito su BioEcoGeo.

amianto mexico2Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, del Movimento 5 Stelle, in un’interpellanza sull’argomento ha ottenuto una risposta chiara ma incompleta dal sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione: “No, noi non importiamo amianto ma manufatti contenenti amianto”. Cioè facciamo come Stati Uniti e Canada, per esempio, e tra il 2011 e il 2014 ne sono entrate 34 tonnellate in prodotti che non conosciamo, dato che il sottosegretario non ha fornito dettagli al riguardo. Di Maio ha precisato che “secondo un documento dell’ente minerario del Governo indiano, l’Italia nel 2011 e nel 2012 sarebbe risultato il maggiore importatore al mondo di amianto con rispettivamente oltre 1.040 tonnellate e 2.000 tonnellate”. Il minerale sarebbe ancora usato nell’edilizia e anche da una partecipata di Finmeccanica, la Agusta Westland che fornisce elicotteri alle forze armate ed è guidata da Daniele Romiti. Insomma lo sporco e mortifero business dell’amianto non molla la presa. E l’Italia è in buona compagnia dato che, per esempio, anche altri paesi, come Australia, Gran Bretagna, Svezia e Giappone, continuano comunque a commerciarlo malgrado il divieto di utilizzarlo internamente.

In Brasile si stima che l’amianto abbia ucciso 150.000 persone in 10 anni, cioè 15.000 in media all’anno, cifra che equivale a circa il 15% del totale mondiale. Nel gigante sudamericano operano 16 grandi aziende che “nelle elezioni finanziano trasversalmente tutti i partiti politici”, denuncia Fernanda Giannasi, ex supervisore del Ministério do Trabalho e attivista anti-amianto. I militanti come lei hanno sia i mass media che l’industria contro, visto che cercano d’informare la popolazione sui rischi e le complicità politico-imprenditoriali del settore in un intorno ostile e poco sensibile alla tematica. Se ne parla ancora poco e il pericolo non viene eliminato, però la sua percezione sì.

In Messico il mesotelioma è aumentato dai 23 casi del 1979 ai 220 del 2010, ma c’è una sottostima probabile del 70% che porterebbe la media annua a 500 casi e, secondo altre stime, anche fino a 1.500. La “cifra sommersa” si relaziona ai casi in cui non si diagnostica la malattia o non risulta dai documenti relativi al decesso, anche perché è conveniente non riconoscere le patologie come “lavorative”. L’asbesto è presente in innumerevoli strutture nel cuore delle città. La CTM (Confederazione dei Lavoratori Messicani, sindacato pro-governativo) ha addirittura difeso l’uso del materiale, dato che il settore impiegherebbe 8-10.000 persone e non ci sarebbero prove di decessi per mesotelioma, il che è falso e nasconde il problema. Insomma, è come tornare indietro di due o tre decenni almeno. L’estrazione mondiale di amianto è stata nel 2013 di 2,1 milioni di tonnellate e dal 1995 s’è mantenuta abbastanza stabile, tra le 2 e le 3 tonnellate, con un totale di oltre 1800 aziende che lo utilizzano (sul caso messicano: link 1: Datato, 1986 – Link 2: 2010-Mesotelioma Messico – Link 3 Globalizzazione e trasferimento di industrie pericolose).

amianto mexicoAnche se in Messico non esiste una vera e propria associazione di vittime dell’amianto o un movimento significativo contro l’uso del minerale, per cui lo Stato è sostanzialmente indifferente all’argomento, l’organizzazione messicana Ayuda Mesotelioma denuncia e lotta da 5 anni, vale a dire da quando le due fondatrici, Sharon Rapoport e sua sorella Liora, hanno visto come loro padre s’ammalava gravemente. In cinque decenni il Messico ha importato oltre 500.000 tonnellate d’asbesto e solo nella capitale lo utilizzano 42 imprese. Qui si può fare, maneggiarlo è legale, anche se eticamente deplorabile: i proventi per le quantità importate e processate internamente sono raddoppiate tra il 2011 e il 2012 passando da 9 a 18 milioni di dollari.

Amianto-Mondo

“A eccezione della polvere da sparo l’amianto è la sostanza più immorale con la quale si sia fatta lavorare la gente; le forze sinistre che ottengono profitti dall’amianto sacrificano gustosamente la salute dei lavoratori in cambio dei benefici delle imprese”, ha dichiarato l’ex eurodeputato olandese Remi Poppe. I sintomi del mesotelioma compaiono tra 15 e 50 anni dopo l’inalazione delle microfibre e non esiste realmente nessun livello “sicuro” di esposizione.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ogni anno muoiono 107.000 persone in seguito a malattie contratte per il contatto con l’amianto. Per lo stesso motivo nel secolo XX le morti premature furono 10 milioni e s’ammalarono 100 milioni di persone. Oggi 125 milioni di lavoratori rimangono esposti direttamente al minerale. La Commissione Federale per la Protezione dei Rischi Sanitari del Ministero della Salute messicano ha riconosciuto la sua tossicità, ma s’è limitata a suggerire che “le aziende ne controllino l’uso”.

amianto brasil abreaLa Legge della Salute di Città del Messico parla di “precauzioni” da prendere sull’amianto, ma non lo vieta. Secondo i dati dell’istituto di statistica nazionale il 21% delle case messicane ha un tetto di lamine metalliche, cartone o asbesto e l’1% ha pareti di cartone, amianto, fusti di piante, bambù o palma. Nel 2014 sono state concesse delle quote del Fondo di Apporto per la Struttura Sociale per strutture ad uso abitativo nel quartiere periferico di Iztapalapa e le regole stabilivano che per essere beneficiari del programma “i pavimenti, i muri e/o i soffitti devono essere di stanze da letto o cucine all’interno della casa in lamina di cartone, metallica, di amianto o di materiale di scarto”. In sostituzione, secondo la Gazzetta Ufficiale della capitale, si prevedeva di costruire pavimenti, tetti e muri di fibrocemento, quindi di Eternit!

La OMS, al contrario, ha chiesto: di eliminare l’uso di ogni tipologia di asbesto, compreso quello bianco o crisolito che le lobby del settore pretendono di presentare come “pulito”; apportare informazioni su soluzioni per sostituirlo con prodotti sicuri; sviluppare meccanismi economici e tecnologici al riguardo; evitare l’esposizione durante il suo uso e il suo smaltimento; migliorare la diagnosi precoce, il trattamento e la riabilitazione medica e sociale dei malati dell’asbesto; registrare le persone esposte attualmente o nel passato (link a mappe e grafici aggiornati sull’amianto nel mondo di International Ban Asbestos Secretariat-IBAS).

Il “guru” Stephen Schmidheiny, il Costa Rica, l’America Latina

asbesto1203-1000 COLOMBIALa filiera tossica dell’amianto passa anche per il Costa Rica, la cosiddetta “Svizzera del Centroamerica”. La Garita è un piccolo paradiso, un angolo tropicale nel centro del paesem vicino alla città di Alajuela. Le strutture della INCAE Business School, la miglior scuola di business latinoamericana, spiccano tra le palme, le fattorie, una placida strada a due corsie e una distesa di prati verdissimi. INCAE è famosa per il suo approccio basato sullo sviluppo sostenibile e l’etica d’impresa. Possiede un campus in Nicaragua e uno in Costa Rica. E’ un progetto per l’insegnamento e la ricerca in gestione d’impresa che nasce nel 1964 sotto l’egida della Allianza per il Progresso, lanciata in funziona anti-cubana dal presidente statunitense J. F. Kennedy, dalla HBS (Harvard Business School), dell’agenzia UsAid e dei capi di stato e gli imprenditori di sei paesi centroamericani (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica e Panama).

Negli anni ’90 la sua storia s’incrocia con quella di un impresario che, soprattutto nelle Americhe, s’è costruito una fama di irriducibile guru dello sviluppo sostenibile, mentre in Europa è ben noto come il “Re dell’Eternit”: Stephen Schmidheiny. Uomo d’affari per vocazione ed eredità familiare (cementera Holcim, Wild-Leitz di strumenti ottici, l’elettrotecnica BBC Brown Boveri e la multinazionale Eternit), è nato a Heerbrugg, Svizzera, nel 1947, e ha ammassato una fortuna con il business dell’amianto. Il suo record personale è macchiato da processi giudiziari controversi e accuse pesantissime.

AVINA, Ashoka e lo spirito del filantrocapitalismo

INCAE STEPHEN SCHMIDHEINYLa fondazione AVINA, creata dall’impresario nel 1994 e attiva in 21 paesi latinoamericani, collabora da tempo con la scuola e nel 1996 Schmidheiny, che è stato amministratore di Eternit e oggi siede nel consiglio direttivo di INCAE, ha partecipato alla creazione del Centro Latinoamericano per la Competitività e lo Sviluppo sostenibile dell’università, il CLACDS. Ci sono altre organizzazioni senza fini di lucro fondate dal magnate svizzero: per esempio Fundes (1984) e il fidecommesso Viva Trust (2003) su cui si sostiene AVINA. In questo è confluito il valore della vendita della partecipazione dello svizzero in GrupoNueva, consorzio specializzato nel business forestale e dei derivati del legno che ha spostato la sua sede principale a San José, Costa Rica, nel 1999. L’imprenditore ha venduto anche le sue azioni del gruppo Eternit alla fine degli anni ’80.

Avina Logo-FundesLe fondazioni, a partire dai trasferimenti di capitale dello svizzero, si sono costituite come enti autonomi dai suoi precedenti asset e patrimoni d’impresa e promuovono attività istituzionali, come la rete SEKN (Social Enterprise Knowledge Network), di cui fa parte INCAE, filantropiche e anche alleanze su temi socio-ambientali: acqua, città sostenibili, energia, industrie estrattive, innovazione politica, riciclaggio e cambiamento climatico.

Esistono forti movimenti d’opposizione che applicano l’etichetta “filantrocapitalismo” quando si parla di AVINA e della sua alleata Ashoka, fondazione filantropica statunitense presente in 70 paesi. “Il capitale cerca di appropriarsi dei movimenti ecologisti ragionevoli per riconvertirli in capitalismi verdi addomesticati o forme di business con l’esaurimento del pianeta”, ha commentato al riguardo l’ingegnere attivista spagnolo Pedro Prieto di ASPO (Asociación para el Estudio del Auge del Petróleo y del Gas).

Revoke-Convicted-Asbestos-Criminal-Stephan-Schmidheiny-honorary-Yale-doctorate_edited-2Perché? “Gli imprenditori sociali lavorano con quelle popolazioni e la loro attività consiste nell’avvicinarle alle multinazionali mentre salvaguardano gli interessi di queste”, ha detto María Zapata, direttrice di Ashoka in Spagna. In un’intervista col portale spagnolo Rebelión, il ricercatore Paco Puche racconta che le fondazioni si infiltrano nei movimenti attraverso la “cooptazione di leader” e che “AVINA è vincolata al magnate svizzero Schmidheiny, che deve la sua fortuna al criminale business dell’amianto. Diciamo che tutti quelli che hanno ricevuto denaro e altri benefici da questa fondazione (e dopo averla conosciuta, non le hanno rifiutate) si portano dietro la maledizione della polvere dell’amianto nelle viscere”.

Processo Eternit

Nel febbraio 2013 il tribunale di Torino ha condannato Schmidheiny e il suo ex socio nella multinazionale Eternit Group, il barone belga Louis De Cartier, di 92 anni d’età in quel momento, a 16 anni di prigione per disastro doloso e rimozione di misure contro gli infortuni: la sentenza era attesa dai familiari di 3000 vittime. Il 3 giugno 2013 in appello la condanna è stata aumentata a 18 anni di reclusione, ma il nobile belga era morto pochi giorni prima. Lo svizzero “Re dell’Eternit” è stato condannato per le sue responsabilità come amministratore dell’azienda nel decennio 1976-1986 e assolto da altri capi d’accusa per il periodo 1966-1975. Le cause dell’asbestosi e del mesotelioma erano già state scoperte negli anni ’60 e, dopo quel decennio, i due magnati si sono avvicendati nella gestione dell’azienda.

Amianto eternit_sentenzaNonostante tutto, il business di Eternit continuò, per cui la condanna parla di “dolo”: gli imputati avrebbero nascosto consapevolmente gli effetti cancerogeni dell’amianto. Il 20 novembre 2014 la Corte di Cassazione, nell’ultimo livello di giudizio, ha annullato la sentenza precedente argomentando che i reati sono stati commessi ma che è sopraggiunta la prescrizione. E’ stato preso come inizio dei termini per la prescrizione l’anno 1986, quando Eternit ha dichiarato il fallimento, e la decisione è polemica, visto che il disastro ambientale ancora continua a succedere, non s’interrompe con il fallimento dell’azienda. E’ uno schiaffo a vittime, familiari e alla società intera. La giustizia s’allontana insieme alla possibilità di congrui risarcimenti.

Nel maggio 2015 s’è aperto il processo “Eternit Bis”: Schmidheiny non è più accusato di “disastro” ma di omicidio doloso aggravato di 258 persone, ex impiegati di Eternit o abitanti di Casale Monferrato, uno dei comuni in cui operava l’impresa che sono deceduti tra il 1989 e il 2014 per mesotelioma pleurico. Dal canto suo, il magnate sulla sua pagina web si presenta come “pioniere nell’eliminazione dell’asbesto nell’industria manifatturiera”. I magistrati di Torino considerano come aggravante il fatto che l’imprenditore avrebbe commesso il reato esclusivamente per “fini di lucro” e “in modo insidioso”, cioè avrebbe occultato ai lavoratori e ai cittadini l’informazione sui rischi che correvano, promuovendo una “sistematica e prolungata opera di disinformazione”.

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A fine luglio gli atti del processo sono stati inviati alla Consulta e il procedimento è stato sospeso in attesa della decisione della Corte circa le eccezioni di costituzionalità sollevate dai legali di Stephen Schmideheiny in base al principio del “Ne bis in ibidem”, secondo cui nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. Nel frattempo i PM stanno integrando altri 94 casi di morti legate all’amianto da contestare al manager svizzero, nel caso in cui la Corte Costituzionale accolga le richieste degli avvocati difensori.

Purtroppo l’ecatombe dell’amianto durerà ancora per decenni e la tendenza, già in atto almeno da una ventina d’anni, è quella di un graduale spostamento dei rischi e dell’uso del minerale verso i paesi in via di sviluppo. Dunque la lotta per la sua messa al bando e la riparazione del danno provocato a milioni di vittime, pur con difficoltà e differenti percorsi più o meno avviati oppure solo incipienti, tende anch’essa a globalizzarsi, passando dall’Europa all’America Latina e agli altri continenti.

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La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica https://www.carmillaonline.com/2014/10/10/la-strage-degli-studenti-in-messico-narco-stato-e-narco-politica/ Thu, 09 Oct 2014 22:00:18 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18018 di Fabrizio Lorusso

Marcha Ayotzinapa 8 oct 179 (Small)Il Messico si sta trasformando in un’immensa fossa comune. Dal dicembre 2012, mese d’inizio del periodo presidenziale di Enrique Peña Nieto, a oggi ne sono state trovate 246, a cui pochi giorni fa se ne sono aggiunte altre sei. Sono le fosse clandestine della città di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero. Tra sabato 4 ottobre e domenica 5 l’esercito, che ha cordonato la zona, ne ha estratto 28 cadaveri: irriconoscibili, bruciati, calcinati, abbandonati. E’ probabile che si tratti dei corpi [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Marcha Ayotzinapa 8 oct 179 (Small)Il Messico si sta trasformando in un’immensa fossa comune. Dal dicembre 2012, mese d’inizio del periodo presidenziale di Enrique Peña Nieto, a oggi ne sono state trovate 246, a cui pochi giorni fa se ne sono aggiunte altre sei. Sono le fosse clandestine della città di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero. Tra sabato 4 ottobre e domenica 5 l’esercito, che ha cordonato la zona, ne ha estratto 28 cadaveri: irriconoscibili, bruciati, calcinati, abbandonati. E’ probabile che si tratti dei corpi interrati di decine di studenti della scuola normale di Ayotzinapa, comune che si trova a circa 120 km da Iguala. Infatti, dal fine settimana precedente, 43 normalisti risultano ufficialmente desaparecidos. “Desaparecido” non significa semplicemente scomparso o irreperibile, significa che c’è di mezzo lo stato.

Vuol dire che l’autorità, connivente con bande criminali o gruppi paramilitari, per omissione o per partecipazione attiva, è coinvolta nel sequestro di persone e nella loro eliminazione. Niente più tracce, i desaparecidos non possono essere dichiarati ufficialmente morti, ma, di fatto, non esistono più. I familiari li cercano, chiedono giustizia alle stesse autorità che li hanno fatti sparire. Oppure si rivolgono ai mass media e a istituzioni che in Messico sono sempre più spesso una farsa, una facciata che nasconde altri interessi e altre logiche, occulte e delinquenziali. E nelle conferenze stampa, senza paura, dicono: “Non è stata la criminalità organizzata, ma lo stato messicano”.

La strage di #Iguala #Ayotzinapa

Marcha Ayotzinapa 8 oct 149 (Small)La sera di venerdì 26 settembre un gruppo di giovani alunni della scuola normale di Ayotzinapa si dirige a Iguala per botear, cioè racimolare soldi. Hanno tutti tra i 17 e i 20 anni. Vogliono raccogliere fondi per partecipare al tradizionale corteo del 2 ottobre a Città del Messico in ricordo della strage  di stato del 1968, quando l’esercito uccise oltre 300 studenti e manifestanti in Plaza Tlatelolco. I normalisti decidono di occupare tre autobus. I conducenti li lasciano fare, ci sono abituati. Sono le sette e mezza, fa buio. Fuori dall’autostazione, però, ad attenderli c’è un commando armato di poliziotti. Fanno fuoco senza preavviso. Sparano per uccidere, non solo per intimidire. Hanno l’uniforme della polizia del comune di Iguala e sono gli uomini del sindaco José Luis Abarca Velázquez e del direttore della polizia locale Felipe Flores, entrambi latitanti da più di una settimana. Ma i pistoleri poliziotti non restano soli a lungo, presto sono raggiunti da un manipolo di altri energumeni in tenuta antisommossa. Il fuoco delle armi cessa per un po’, ma l’attacco è stato brutale, indignante e irrazionale.

La persecuzione continua. Partono altri spari. Muoiono tre studenti, altri 25 restano feriti, uno in stato di morte cerebrale. Per salvarsi bisogna nascondersi, buttarsi sotto gli autobus. Non muoverti, se no gli sbirri ti seccano. Alcuni cercano di scappare, scendono dai bus, il formicaio esplode nell’oscurità. Gli uomini in divisa caricano decine di studenti sulle loro camionette e li portano via. Pare che l’esercito, la polizia federale e quella statale abbiano scelto di non intervenire. Lasciar stare.

Intanto sopraggiungono altri soggetti con armi di alto calibro, narcotrafficanti del cartello dei Guerreros Unidos, una delle tante sigle che descrivono il terrore della narcoguerra e la decomposizione del corpo sociale in molte regioni del paese. Non contenti, i poliziotti, in combutta con i narcos, si spostano fuori città, pattugliano la strada statale che collega Ayotzinapa a Iguala e fermano un pullman di una squadra di calcio locale, los avispones. Assaltano anche quello, pensando che sia il mezzo su cui gli studenti stanno facendo ritorno a casa. Bisogna sparare, bersagliare senza tregua. E ora sono in tanti, narcos e narco-poliziotti, insieme, probabilmente per ordine de “El Chucky”, un boss locale, e del sindaco Abarca.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 234 (Small)Ammazzano un calciatore degli avispones, un ragazzo di quattordici anni che si chiamava David Josué García Evangelista. I proiettili volano ovunque, sono schegge di follia e forano la carrozzeria di un taxi che, sventurato, stava passando di lì. Perdono la vita sia il conducente dell’auto sia una passeggera, la signora Blanca Montiel. Il caso, la mala suerte si fa muerte. Poche ore dopo in città compare il cadavere dello studente Julio Cesar Mondragón, martoriato. Gli hanno scorticato completamente la faccia e gli hanno tolto gli occhi, secondo l’usanza dei narcos. La macabra immagine, anche se repulsiva, diventa virale nelle reti sociali. E si diffondono globalmente anche le testimonianze dirette dell’orrore che stanno rendendo i sopravvissuti.

Le reazioni alla mattanza

Dopo il week end del massacro a Iguala i compagni della normale di Ayotzinapa e i familiari delle vittime e dei desaparecidos si organizzano, reclamano, tornano sul luogo della strage e indicono una manifestazione nazionale per l’8 ottobre a Città del Messico per chiedere le dimissioni del governatore statale, Ángel Aguirre, la “restituzione con vita” dei desaparecidos e giustizia per le vittime della mattanza.

Cresce la pressione mediatica e popolare per ottenere giustizia. Arrivano i primi arresti. 22 poliziotti al soldo delle mafie locali e 8 narcotrafficanti sono imprigionati e la Procura Generale della Repubblica comincia a occuparsi del caso. Alcuni degli arrestati confessano i crimini commessi e parlano di almeno 17 studenti rapiti e giustiziati. Indicano la posizione esatta di tre fosse clandestine in cui sarebbero stati interrati. L’esercito e la gendarmeria commissariano l’intera regione e blindano le fosse comuni che non sono tre, sono sei. La morte si moltiplica. I corpi recuperati sono 28, non 17. I desaparecidos, però, sono 43.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 020 (Small)I numeri non tornano. I familiari non si fidano, chiedono l’invio di medici forensi argentini, specialisti imparziali e qualificati. Ci vorrà tempo per avere certezze, se mai ce ne saranno. I risultati dell’esame del DNA tarderanno ad arrivare almeno due settimane. Nel frattempo, il 7 ottobre, seicento agenti delle polizie comunitarie della regione della Costa Chica, appartenenti alla UPOEG (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero), hanno fatto il loro ingresso a Iguala per cercare “vivi o morti” e “casa per casa” i 43 studenti scomparsi. Altri gruppi della polizia comunitaria di Tixla, autonoma rispetto alle autorità statali, hanno scritto su twitter: “Con la nostra attività di sicurezza stiamo proteggendo la Normale di #Ayotzinapa“.

Dov’è finito il sindaco del PRD (Partido de la Revolución Democrática, di centro-sinistra) José Luis Abarca? E sua moglie, anche lei irreperibile? E cosa fa il governatore dello stato, il “progressista”, anche lui del PRD, Ángel Aguirre? Pare che lui conoscesse molto bene la situazione già da tempo. Il loro partito ha scelto di espellere il sindaco e sostenere il governatore per non perdere quote di potere in quella regione. Abarca ha chiesto 30 giorni di permesso e poi è sparito. Ora è ricercato dalla giustizia e vituperato dall’opinione pubblica nazionale. Aguirre, che non ha potuto impedire la strage né ha bloccato la concessione permesso richiesto dal sindaco prima di scappare, cerca di difendere l’indifendibile e, per ora, non presenta le sue dimissioni. Anzi, scambia abbracci e si fa la foto con Carlos Navarrete, nuovo segretario generale del PRD eletto domenica 5 ottobre.

Narco-Politica

La gravità della situazione è palese, anche perché è nota da anni e non s’è fatto nulla per denunciarla ed evitare la sua degenerazione violenta. José Luis Abarca, sindaco di Iguala al soldo dei narco-cartelli, ha un passato inquietante alle spalle, ma è riuscito comunque a diventare primo cittadino e a piazzare sua moglie, María Pineda, come capo delle politiche sociali municipali, cioè dell’ufficio del DIF (Desarrollo Integral de la Familia), e prossima candidata sindaco. Il giorno della strage la signora Pineda doveva presentare la relazione dei lavori svolti come funzionaria pubblica e, temendo un’eventuale incursione dei normalisti nell’evento, avrebbe richiesto al marito di “mettere in sicurezza” la zona.

Abarca avrebbe quindi lanciato l’operazione contro gli studenti con la collaborazione piena del capo della polizia municipale, suo cugino Felipe Flores. Costui era già noto per aver “clonato” pattuglie della polizia col fine di realizzare “lavoretti speciali” e per i suoi abusi d’autorità. La moglie del sindaco è sorella di Jorge Alberto e Mario Pineda Villa, noti anche come “El borrado” e “El MP”, due operatori del cartello dei Beltrán Leyva morti assassinati. Salomón Pineda, un altro fratello, sta con i Guerreros Unidos dal giugno 2013. In uno degli stati più poveri del Messico, Abarca e consorte prendono, tra stipendi e compensazioni, 20mila euro al mese che pesano direttamente sulle casse comunali.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 175 (Small)“Mi concederò il piacere di ammazzarti”, avrebbe detto nel 2013 il sindaco Abarca ad Arturo Hernández Cardona, della Unidad Popular di Guerrero, prima di ucciderlo, secondo quanto racconta un testimone di questo delitto per cui Abarca non è stato condannato, ma che è depositato in un fascicolo giudiziale.

Il 30 maggio 2013 otto persone scomparvero a Iguala. Erano attivisti, membri della Unidad Popular, un gruppo politico vicino al PRD. Tre di loro sono stati ritrovati, morti, in fosse comuni. La camionetta su cui viaggiavano venne rinvenuta nel deposito comunale degli autoveicoli di Iguala. Human Rights Watch, Amnesty Internacional e l’Ufficio a Washington per gli Affari Latinoamericani chiesero invano alle autorità federali di chiarire il caso, essendoci il fondato sospetto di un’implicazione delle autorità locali. Cinque attivisti sono tuttora desaparecidos.

I sicari con l’uniforme della polizia e quelli in borghese lavorano per lo stesso cartello, quello dei Guerreros Unidos che è in lotta con Los Rojos per il controllo degli accessi alla tierra caliente, la zona calda tra lo costa e la sierra in cui prosperano le coltivazioni di marijuana e fioriscono i papaveri da oppio, che qui si chiamano amapola o adormidera. Le bande rivali sono nate dalla scissione dell’organizzazione dei fratelli Beltrán Leyva, ormai agonizzante. Il 2 ottobre, mentre 50mila persone sfilavano per le strade della capitale per non far sbiadire la memoria di una strage, a Queretaro veniva arrestato l’ultimo dei fratelli latitanti, Hector Beltrán Leyva, alias “El H”, un altro figlio delle montagne dello stato del Sinaloa. “El H” era diventato un imprenditore rispettato. Originario della Corleone messicana, la famigerata Badiraguato, e antico alleato dell’ex jefe de jefes, Joaquín “El Chapo” Guzmán, che sta in prigione dal febbraio scorso, s’era costruito una reputazione rispettabile, onorata. Ma già da tempo il gruppo dei Beltrán s’era diviso in cellule cancerogene e impazzite secondo il cosiddetto effetto cucaracha: scarafaggi in fuga, un esodo di massa per non essere calpestati.

Ed eccoli qui che giustiziano studenti insieme ai poliziotti che, a loro volta, aspirano a posizioni migliori all’interno dell’organizzazione criminale, sempre più confusa con quella statale, e s’occupano della compravendita di protezione e di droga. L’eroina tira di più in questo periodo e Iguala è una porta d’accesso importante, una plaza di snodo. L’eroina bianca del Guerrero è un prodotto che non ha niente da invidiare, per qualità e purezza, a quella proveniente dall’Afghanistan. Anche per questo la regione è la più violenta del Messico da un anno e mezzo a questa parte e ha spodestato in testa alla classifica della morte altri stati in disfacimento come il Michoacan, il Tamaulipas, Sonora, il Sinaloa, Chihuahua, l’Estado de México e Veracruz.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 292 (Small)I responsabili del massacro di Iguala

I poliziotti detenuti accusano Francisco Salgado, uno dei loro capi, finito anche lui in manette, di avere ordinato loro di intercettare gli studenti fuori dalla stazione degli autobus. Invece l’ordine di sequestrarli e assassinarli sarebbe arrivato dal boss mafioso El Chucky. Chucky, come il personaggio del film horror “La bambola assassina” di Tom Holland. Il procuratore di Guerrero, Iñaki Blanco, ritiene che il principale responsabile della mattanza e della desaparición dei 43 normalisti sia il sindaco Abarca che “è venuto meno al suo dovere, oltre ad aver commesso vari illeciti”. Il procuratore parla solo di “omissioni”, promuoverà accuse per “violazioni alle garanzie della popolazione” e la revocazione della sua immunità, ma dal suo discorso non si capisce chi sarebbero tutti i responsabili né come saranno identificati e processati.

Chi ha ordinato ai (narco)poliziotti di fermare i normalisti e di sparare? Com’è possibile che il sindaco e il capo della polizia e delle forze di sicurezza locali, Felipe Flores, siano riusciti a fuggire? Perché i due, ma anche l’esercito e le forze federali, hanno lasciato gli studenti alla mercé della violenza? Perché la polizia prende ordini dai narcos e, anzi, fa parte del cartello dei Guerreros Unidos? Com’è possibile che tutto questo sia tragicamente così normale in Messico? Come mai nessuno l’ha impedito, se già da anni si era a conoscenza della situazione?

Infatti, ci sono prove del fatto che, almeno dal 2013, il governo federale e il PRD hanno chiuso entrambi gli occhi di fronte all’evidenza: José Luis Abarca e sua moglie María Pineda avevano chiari vincoli col narcotraffico e con la morte di un militante come Arturo Hernández Cardona. Ma già dal 2009, quando il presidente era Felipe Calderón, del conservatore Partido Acción Nacional (PAN), la Procura Generale della Repubblica aveva reso pubbliche la relazioni della signora Pineda e dei suoi fratelli con il cartello dei Beltrán Leyva. La polizia di Iguala era in mano ai narcos e sono tantissime le realtà locali in Messico ove predomina questa situazione.

L’esperto internazionale di sicurezza e narcotraffico, il prof. Edgardo Buscaglia, ha parlato di Peña Nieto e di Calderón come figure simili tra loro, come coordinatori del patto d’impunità e della perdita di controllo politico nazionale: “Sono cambiate le facce, ma hanno lo stesso ruolo”.  Perciò, ha segnalato l’accademico, bisogna cominciare dal presidente per trovare i responsabili. Mentre la comunità internazionale “fa come se non stesse accadendo nulla”, nel paese “il denaro zittisce le coscienze collettive” e, secondo Buscaglia, “il sistema giungerà a una crisi e ci sarà una sollevazione sociale in cui si fermerà il paese e soprattutto il sistema economico”.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 129 (Small)Le scuole normali messicane

Resta il fato che sparuti gruppi di studenti, seppur combattivi, di un’istituzione rurale non sono pericolosi trafficanti né rappresentano minacce sistemiche. Perché annichilarli? Forse la storia ci aiuta a ipotizzare delle risposte. Le scuole normali messicane, nate negli anni ’20 e impulsate dal presidente Lázaro Cárdenas negli anni ’30 come baluardi del progetto di educación socialista per il popolo e le zone rurali del paese, sono considerate oggi dalla classe politica tecnocratica come un pericoloso e anacronistico retaggio del passato. Un’appendice inutile da estirpare per entrare appieno nella globalizzazione.

Di fatto i governi neoliberali, dai presidenti Miguel de la Madrid (1982-1988) e Carlos Salinas (1988-1994) in poi, hanno costantemente attaccato e minacciato la sopravvivenza del sistema scolastico delle normali che, ciononostante, ha saputo resistere. La funzione sociale di questi centri educativi è sempre stata fondamentale perché è consistita nell’istruire le classi sociali più deboli e sfruttate, specialmente i contadini e gli abitanti delle campagne, affinché potessero difendersi dai soprusi dei latifondisti e dei politici locali, secondo un chiaro progetto politico-educativo di emancipazione e ribellione allo status quo. L’alfabetizzazione della popolazione rurale e la formazione di maestri coscienti socialmente sembra essersi trasformata in un’anomalia per tanti settori benpensanti, politici e metropolitani.

Anche per questo gli studenti delle normali, in quanto portatori di modelli di lotta e di formazione antitetici rispetto a quelli delle élite locali e nazionali e dei cacicchi della narco-agricoltura e della narco-politica, sono già stati vittime in passato della barbarie e della repressione. Nel dicembre 2011 la polizia ne uccise due proprio di Ayotzinapa durante lo sgombero di un blocco stradale e di una manifestazione. Una violenza smisurata venne impiegata dalla Polizia Federale nel 2007 per reprimere gli alunni di quella stessa cittadina che avevano bloccato il passaggio in un casello della turistica Autostrada del Sole tra Acapulco e Città del Messico. Nel 2008 i loro compagni della normale di Tiripetío, nel Michoacán, furono trattati come membri di pericolose gang e, in seguito a una giornata di proteste e scontri con la polizia, 133 di loro finirono in manette.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 008 (Small)Tradizione stragista

La criminalizzazione dei normalisti va inquadrata anche nel più esteso processo di criminalizzazione della protesta sociale che incalza con l’approvazione di misure repressive, come la “Ley Bala”, che prevede l’uso delle armi in alcuni casi nei cortei da parte della polizia, con l’inasprimento delle pene per delitti contro la proprietà privata e l’ampliamento surreale delle fattispecie legate ai reati di terrorismo e di attacco alla pace pubblica. Tutti contenitori pronti per fabbricare colpevoli e delitti fast track. Il caso di Mario González, studente attivista arrestato ingiustamente il 2 ottobre 2013 e condannato, senza prove e con un processo ridicolo, a 5 anni e 9 mesi di reclusione, sta lì a ricordarcelo.

Ma la “tradizione stragista” e di omissioni dello stato messicano è purtroppo molto più lunga e persistente. Basti ricordare alcuni nomi e alcune date, solo pochi esempi tra centinaia che si potrebbero menzionare: 2 ottobre 1968, Tlatelolco; 11 giugno 1971, “Los halcones”; anni ’70 e ‘80, guerra sucia; 1995, Aguas Blancas, Guerrero; 1997, Acteal, Chiapas; 2006, Atenco y Oaxaca; 2008 y 2014, Tlatlaya; 2010 e 2011, i due massacri di migranti a San Fernando, Tamaulipas; 2014, caracol zapatista de La Realidad, Chiapas; 2014, Iguala; 2006-2014, NarcoGuerra, 100mila morti, 27mila desaparecidos…

La OAS (Organization of American States), Human Rights Watch, la ONU, la CIDH (Corte Interamericana dei Diritti Umani) si sono unite al coro internazionale di voci critiche contro il governo messicano. La notizia delle fosse comuni e della mattanza di Iguala sta cominciando a circolare nei media di tutto il mondo e si erge a simbolo dell’inettitudine, dell’impunità e della corruzione. In pochi giorni è crollata la propaganda ufficiale che presentava un paese pacificato e sulla via dello sviluppo indefinito.

“Estamos moviendo a México”

Marcha Ayotzinapa 8 oct 225 (Small)Gli spot governativi presentano un Messico che si muove, che sta sconfiggendo i narcos e che, grazie alla panacea delle “riforme strutturali”, in primis quella energetica, ma anche quelle della scuola, del lavoro, della giustizia e delle telecomunicazioni, si starebbe avviando a entrare nel club delle nazioni che contano: una retorica, quella delle riforme necessarie e provvidenziali, che suona molto familiare anche in Europa e in Italia e che, in terra azteca, copia pedantemente quella dei presidenti degli anni ottanta e novanta, in particolare di Carlos Salinas de Gortari. Dopo la firma del NAFTA (Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord) con USA e Canada, Salinas preconizzava l’ingresso del Messico nel cosiddetto primo mondo. Invece alla fine del suo mandato nel 1994 l’insurrezione dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) in Chiapas, l’effetto Tequila, la svalutazione, indici di povertà insultanti e la fine dell’egemonia politica del PRI (Partido Revolucionario Institucional, al potere durante 71 anni nel Novecento) attendevano al bivio il nuovo presidente, Ernesto Zedillo (1994-2000).

Oggi Peña Nieto, anche lui del PRI, dopo aver approvato le riforme costituzionali e della legislazione secondaria in fretta e furia, cerca di vendere il paese agli investitori stranieri, mostrando al mondo come pregi gli aspetti più laceranti del sottosviluppo: precarietà e flessibilità del lavoro; salari da fame per una manodopera mediamente qualificata, non sindacalizzata e ricattabile; movimenti sociali anestetizzati; un welfare non universale, discriminante e carente; riforme educative dequalificanti per professori e alunni ma “efficientiste”; stato di diritto “flessibile”, cioè accondiscendente con i forti e spietato coi deboli.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 276 (Small)Il presidente annuncia lo sforzo del Messico per consolidare l’Alleanza del Pacifico, un’area commerciale sul modello del NAFTA per i paesi americani affacciati sull’Oceano Pacifico, e la prossima partecipazione di personale militare e civile alle “missioni di pace dell’ONU” come quella ad Haiti, la missione dei caschi blu chiamata MINUSTAH, che pochi onori e tante grane ha portato al paese caraibico e agli eserciti latinoamericani, per esempio il brasiliano, l’uruguaiano e il venezuelano, che vi partecipano attivamente.

Questa politica da “potenza regionale”, però, deve fare i conti con la cruda realtà. L’inserto Semanal del quotidiano La Jornada del 5 ottobre ha pubblicato un box con un piccolo promemoria: dal dicembre 2012 al gennaio 2014 ci sono stati 23.640 morti legati al narco-conflitto interno, 1700 esecuzioni al mese, con Guerrero che registra, da solo, un saldo di 2.457 assassinii, secondo quanto  riferisce la rivista Zeta in base all’analisi dei dati ufficiali. Nel 2011 Fidel López García, consulente dell’ONU intervistato dalla rivista Proceso (28/XI/2011), aveva parlato di un milione e seicentomila persone obbligate a lasciare la loro regione d’origine per via della guerra. Anche per questo il Messico rischia di trasformarsi in un’immensa fossa comune (e impune).

Ayo foto corteo lungoPost Scriptum. Il corteo.

“¿Por qué, por qué, por qué nos asesinan? ¡26 de septiembre, no se olvida!” (“Perché, perché, perché ci assassinano? Il 26 settembre non si dimentica”).  E’ stato il grido di oltre 60 piazze del Messico e decine in tutto il mondo nel pomeriggio dell’8 ottobre 2014.

“Gli studenti sono vittime di omicidi extragiudiziari, si sequestrano e si fanno sparire non solo studenti ma anche attivisti sociali e quelli che vanno contro il governo […] è una presa in giro verso il nostro dolore, non sappiamo perché fanno questo teatrino politico”. Così ha espresso la sua rabbia Omar García, compagno degli studenti uccisi, in conferenza stampa. L’esercito, che nei tartassanti spot governativi viene ritratto come un’istituzione integra, fatta di salvatori della patria e protettori dei più deboli, ha vessato gli studenti di Ayotzinapa che portavano con loro un compagno ferito:

“Ci hanno accusato di essere entrati in case private, gli abbiamo chiesto di aiutare uno dei nostri compagni e i militari han detto che ce l’eravamo cercata. Lo abbiamo portato noi all’ospedale generale ed è stato lì a dissanguarsi per due ore. L’esercito stava a guardare e non ci hanno aiutato”, continua Omar. “Il governo statale sapeva quello che stavamo facendo, non eravamo in attività di protesta ma accademiche ed è dagli anni ’50 che occupiamo gli autobus e la polizia se li viene riprendere, ma non deve aggredirci a mitragliate”.

Il normalista ha infine parlato del governatore Aguirre: “Il nostro governatore ha ammazzato 13 dirigenti di Guerrero e due compagni nostri nel 2011 e per nostra disgrazia questi sono rimasti nell’oblio. La Commissione Nazionale dei Diritti Umani, cha aveva emesso un monito, non ha più seguito la cosa e il caso è rimasto impune, chi ha ucciso è rimasto libero”.

Perseo Quiroz, direttore di Amnisty in Messico, ha spiegato che non serve a nulla che il presidente Peña si rammarichi pubblicamente dei fatti di Iguala perché “questi incubavano tutte le condizioni perché succedessero, non sono fatti isolati […] lo stato messicano colloca la tematica dei diritti umani in terza o quarta posizione e per questa mancanza di azioni accadono come a Iguala”.

Ayo Polizia comunitaria a AyotzinapaAnche il Dottor Mireles, leader del movimento degli autodefensas del Michoacán e incarcerato dal luglio 2014, ha mandato un messaggio dal carcere solidarizzando con i normalisti di Iguala. Il suo comunicato è importante perché sottolinea il doppio discorso e le ambiguità del governo: da una parte la connivenza narcos-autorità-polizia è la chiave di un massacro di studenti nel Guerrero, per cui i vari livelli del governo sono immischiati e responsabili; dall’altra si mostra una falsa disponibilità al dialogo con gli studenti del politecnico (Istituto Politecnico Nazionale, IPN) che hanno occupato l’università due settimane fa per chiedere la deroga del regolamento, da poco approvato alla chetichella dalle autorità dell’ateneo, che attenta contro i principi dell’educazione pubblica e dell’università. Nonostante le dimissioni della rettrice dell’IPN e l’intimidazione derivata dal caso Ayotzinapa, la protesta studentesca continua, chiede la concessione dell’autonomia all’ateneo (cosa già acquisita da tantissime università del paese) e mette in evidenza la scarsa volontà di dialogo dell’esecutivo.

A San Cristobal de las Casas, nel Chiapas, gli zapatisti hanno proclamato la loro adesione alle iniziative di protesta di questa giornata e in migliaia hanno realizzato con una marcia silenziosa alle cinque del pomeriggio.

L’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) ha emesso un comunicato in cui ha definito il massacro come un “atto di repressione e di politica criminale di uno stato militare di polizia”.

Il sindacato dissidente degli insegnanti, la CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación), era presente alle manifestazioni che sono state convocate in decine di città messicane e presso i consolati messicani in oltre dieci paesi d’Europa e delle Americhe. La Coordinadora ha anche dichiarato lo sciopero indefinito nello stato del Guerrero. Nella capitale dello stato, Chilpancingo, hanno marciato oltre 10mila dimostranti.

A Città del Messico abbiamo assistito a una manifestazione imponente, non solo per il numero dei manifestanti, comunque alto per un giorno lavorativo e stimato tra le 70mila e le 100mila persone, quanto soprattutto per la diversità e il forte coinvolgimento delle persone nel corteo. Hanno risposto alla convocazione dei familiari delle vittime e degli studenti scomparsi centinaia di organizzazioni della società civile, tra cui il Movimento per la Pace e l’FPDT (Frente de los Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco), che sono scese in piazza con lo slogan “Ayotzinapa, Tod@s a las calles” mentre su Twitter e Facebook gli hashtag di riferimento erano  #AyotzinapaSomosTodos e #CompartimosElDolor, condividiamo il dolore.

Ayotzinapa resiste cartelloNel Messico della narcoguerra le mattanze si ripetono ogni settimana, da anni, e così pure si riproducono le dinamiche criminali che distruggono il tessuto sociale e la convivenza civile. Solo che ultimamente non se ne parla quasi più. I mass media internazionali e buona parte di quelli messicani hanno semplicemente smesso d’interessarsi della questione, seguendo le indicazioni dell’Esecutivo.

La strage di Iguala e il caso Ayotzinapa stanno facendo breccia nella cortina di fumo e silenzio alzata dal nuovo governo e dai mezzi di comunicazione perché mostrano in modo contundente, crudele e diretto la collusione della polizia, dei militari e delle autorità politiche a tutti i livelli con la delinquenza organizzata. Sono i sintomi della graduale metamorfosi dello stato in “stato fallito” e “narco-stato”. Disseppelliscono il marciume nascosto nella terra, nelle sue fosse e nelle coscienze, nei palazzi e nelle procure. Smascherano la violenza istituzionale contro il dissenso politico e sociale, aprono le vene della narco-politica ed evidenziano omertà e complicità del potere locale, regionale e nazionale. Per questo Iguala e le sue vittime fanno ancora più male.

[Questo testo fa parte del progetto NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga]

P.S. Mentre stavo per pubblicare quest’articolo, il governo messicano, attaccato da tutti fronti per la strage di Iguala e i desaparecidos di Ayotzinapa, ha annunciato la cattura di Vicente Carrillo, capo del cartello di Juárez. Un altro colpo a effetto al momento giusto per distrarre l’opinione pubblica, ricevere i complimenti della DEA (Drug Enforcement Administration) e provare a smorzare gli effetti dell’indignazione mondiale. A che serve catturare un boss importante se continuano comunque le mattanze come a Iguala e tutto resta come prima?

Galleria fotografica della manifestazione a Città del Messico: LINK

Video Cori e Sequenze del Corteo: LINK

Riassunto Fatti di Iguala – Andrea Spotti/Radio Onda D’urto: LINK

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