Mediaset – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La Fregatura https://www.carmillaonline.com/2018/07/22/la-fregatura/ Sun, 22 Jul 2018 17:00:28 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47385 di Alessandra Daniele

C’è qualcosa che in questo periodo spiazza profondamente i complottisti: hanno vinto le elezioni, e sono arrivati al governo. Questo naturalmente non quadra con la loro visione del cosmo, formatasi sulle vecchie stagioni di X Files, insieme alla fissa per l’invasione aliena. Alla fine di ogni episodio sulla Cospirazione, Mulder e Scully tornano sempre a casa scornati, non succede mai che vengano creduti, e promossi ai vertici dell’FBI. Cosa sta succedendo, si chiedono quindi i complottisti al governo, dov’è la fregatura, where is the catch? Sì, Mattarella è parso abbozzare un mezzo tentativo di bloccarli, ma è sembrata più che altro [...]]]> di Alessandra Daniele

C’è qualcosa che in questo periodo spiazza profondamente i complottisti: hanno vinto le elezioni, e sono arrivati al governo.
Questo naturalmente non quadra con la loro visione del cosmo, formatasi sulle vecchie stagioni di X Files, insieme alla fissa per l’invasione aliena. Alla fine di ogni episodio sulla Cospirazione, Mulder e Scully tornano sempre a casa scornati, non succede mai che vengano creduti, e promossi ai vertici dell’FBI.
Cosa sta succedendo, si chiedono quindi i complottisti al governo, dov’è la fregatura, where is the catch?
Sì, Mattarella è parso abbozzare un mezzo tentativo di bloccarli, ma è sembrata più che altro una di quelle cose che si fanno solo per poter dire d’averci provato. E secondo il leghista Giorgetti, Mario Draghi s’è subito occupato d’intercedere perché la crisi si risolvesse.
I complottisti sono al governo, e non riescono a spiegarsi come sia potuto succedere.
L’aver venduto il culo a Berlusconi non gli sembra una spiegazione sufficiente. Dopo la presidenza del Senato e il ministero chiave dell’Economia, hanno consegnato a Forza Italia e a Mediaset anche la Giunta per l’Immunità parlamentare, e la Commissione per la Vigilanza Rai. Eppure si ritengono ancora duri e puri nemici del Sistema.
Quindi a ogni ombra sobbalzano, e strappano una tenda convinti ci sia nascosto dietro un killer transgenico, trovandoci però soltanto un termosifone con due pantofole sotto.
È successo anche la settimana scorsa. Come richiesto dallo stesso governo, l’Inps ha fatto i conti in tasca al cosiddetto Decreto “Dignità”. Luigi Di Maio ha gridato al complotto, dicendo “me la sentivo!” E ha sferrato un calcio al termosifone dietro la tenda.
Intanto Savona della loro Squadra Antieuro finiva indagato per usura bancaria.
Questa non se la sentivano.
Come al solito i complottisti cercando dettagli nell’ombra, si perdono quello che è sotto gli occhi di tutti.
Con la fine di quest’anno si conclude anche il Quantitative Easing, l’espediente inventato proprio da Mario Draghi per preservare in animazione sospesa l’economia europea.
S’annuncia all’orizzonte una tempesta di merda che chiunque al governo dovrà affrontare, e i porti per la nave Italia saranno chiusi.
Non che ci sia stata una trappola, i populisti hanno messo la testa sul ceppo da soli, promettendo l’impossibile per vincere. Hanno voluto la bicicletta, e al ritorno dalle vacanze gli toccherà pedalare.
The catch is out there. La fregatura è là fuori.

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Divine Divane Visioni (Cinema porno) – 80 https://www.carmillaonline.com/2018/04/15/divine-divane-visioni-cinema-porno-80/ Sun, 15 Apr 2018 20:00:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=45048 di Dziga Cacace

C’è de’ bei pezzi di harne dentro!

935 – Lo sconcertante Alex, l’ariete di Damiano Damiani, Italia 2000 “Senza parole” è un abusato modo di dire e figuratevi se un logorroico come me possa rimanere realmente senza parole. Ma è accaduto. Giuro. Perché ho assistito a qualcosa di ineffabile, che sfugge all’espressione verbale. Di fronte al foglio elettronico il mio cervello s’è comportato come un opossum che si finge morto: è crollato di lato e non ha più dato segni di vita. Cosa si può scrivere di un film [...]]]> di Dziga Cacace

C’è de’ bei pezzi di harne dentro!

935 – Lo sconcertante Alex, l’ariete di Damiano Damiani, Italia 2000
“Senza parole” è un abusato modo di dire e figuratevi se un logorroico come me possa rimanere realmente senza parole. Ma è accaduto. Giuro. Perché ho assistito a qualcosa di ineffabile, che sfugge all’espressione verbale. Di fronte al foglio elettronico il mio cervello s’è comportato come un opossum che si finge morto: è crollato di lato e non ha più dato segni di vita. Cosa si può scrivere di un film che sembra rinunciare programmaticamente alla dignità? Allora procedo con una fredda elencazione dei fatti: si parte con la giovane Michelle Hunzinker (sic, nei titoli di testa) che inorridita raccoglie un coltello insanguinato. È stata testimone di un assassinio e fugge col coltello tra le mani, il Nobel. Un giornalista televisivo in preda ad anacoluti (immagino per adesione realistica) consegna all’opinione pubblica la certezza che lei sia colpevole (di nuovo per amor di verità, se uno ricorda il Bruno Vespa vintage e tanti colleghi che sono seguiti). Lei fugge in macchina, i cattivi la incrociano su una strada di campagna e la cacciano giù da un dirupo. Esplosione e miracolo del buon pastore coi pecuri che la raccoglie. Poi conosciamo il personaggio di Alberto Tomba, Alex, agente del CIS: Albertone è attorialmente cane con pedigree stratosferico e mettiamoci anche anni di prese per il culo della Gialappa’s Band e di dichiarazioni insensate ai cronisti sportivi ed è fatta: la credibilità è nulla e la sensazione è di vedere uno Z Movie, tanto più che la regia alterna mestiere a vaccate imbarazzanti, zoomate missilistiche e altri attori senza senso (Ramona Badescu, porella).
E poi i dialoghi, con il sedicente infelice attore costretto a recitare (…) alla fidanzata versi seduttivi come “Giuro che stasera sono lì a stropicciarti le piume”. Ci mettiamo mezz’ora per arrivare al cuore della vicenda: Alex deve accompagnare la Hunziker, sospettata, a incontrare il giudice, ma lo mandano da solo. Uhm, sospetto! Fughe, scontri degni di una lite tra alunni ripetenti di terza elementare e il rapporto tra carabiniere e protetta che cresce con una profondità emotiva degna di un episodio di Peppa Pig. La coppia regala alla grande e devo dire che ho cominciato a tenere per loro, perché i delinquenti ai quali sfuggire non sono i tizi perversi che vogliono far secca lei, no, lo sono i produttori di questa incommensurabile vaccata. Che posso pure immaginare l’imbarazzo quando avranno visto per la prima volta il risultato della dissennata operazione: doveva essere una fiction Mediaset, poi s’è deciso per un’uscita estiva, nascosta, sinché il passaggio televisivo ha sancito la natura stracult della porcata in questione. Si arriva stancamente fino al finale e io metto da parte dialoghi stralunati come: “Mi hai fatto puntare la pistola contro una suora!” (e cosa volevi? Toccarti i coglioni?); oppure: “Mi devi rintracciare una targa: ti faccio lo spelling” (lo spelling?). Tomba è un patatone con l’espressività propria di chi aspetta un’autopsia e la Hunziker al confronto sembra Meryl Streep e l’apice si raggiunge quando i due, ammanettati, devono procedere a una pisciata boschiva. Uno pensa possa bastare la trafila di castronerie sinché non irrompe nella trama anche il vero cattivo, Orso Maria Guerrini, il baffo della Birra Moretti!, con una voce bassissima da vero attore di teatro, ma capitato in una recita dell’asilo. Insomma: fa tutto schifo e tenerezza e ho assistito a incontri di rubamazzo con più azione. Il finale è una specie di parodia di Ufficiale e gentiluomo e la parole FINE è l’unico momento riuscito di un film firmato da quel Damiano Damiani già glorioso regista di cinema impegnato. Che poi uno dice l’impegno… ma lo vedi i danni che fa? (Dvd; 6/6/12)

936 – Rocky III di Sylvester Stallone, USA 1982
L’idea era goderselo oscenamente con l’avanzamento veloce, scegliendo le scene migliori e tagliando la fuffa, ma non c’è stato niente da fare: i film di Rocky sono ineludibili, costruiti con una sapienza spettacolare infallibile, con tutti i meccanismi del Mito che girano a mille. E mi sono arreso praticamente subito: Rocky è uomo della strada, ignorante, rozzo, ma con un sogno, un pizzico di talento, forza di volontà e una squadra di amici e familiari che lotta per lo stesso obiettivo. Il problema è quando si è raggiunto il top della carriera: soldi, successo e lusinghe ottenebrano il già non lucidissimo fronte occipitale del pugile che guadagna sempre più, si allena di meno e diventa un po’ borghese, perdendo l’occhio della tigre. La noia, insomma, esistenziale e pure a livello di coppia, anche perché Adriana è appetitosa come un passato di verdure. Mettiamoci che l’entourage è completato da quel buzzurro di suo fratello Paulie, pseudo manager, e dall’allenatore Mickey, con l’apparecchio acustico e pronto per la fossa. Un incontro di wrestling con Hulk Hogan (!) rischia di finire male e il Balboa e i suoi si guardano negli occhi: hanno tutti la panza piena e lui è stufo di pigliare legnate come un somaro. Ma al momento dell’annuncio del ritiro davanti a una statua celebrativa si fa avanti Clubber Lang (Mr.T, quello dell’A-Team), lingua lunga, cresta e bicipite potente. Sfida Rocky e lo intorta insultandogli la moglie, tranello in cui lui casca come un tontolone. Come da manuale di sceneggiatura (di film un po’ di merda, in effetti) si riparte, solo che Rocky si allena davanti alla stampa con l’orchestra che suona e annesse manifestazioni circensi mentre l’altro, il negro cattivo che parla a mitraglietta, suda sette camicie al riparo dai flash. E quando si arriva all’incontro Clubber tira uno spintone al vecchio Mickey: Rocky non vuole combattere perché ne è turbato, stellassa, e il suo avversario ha messo nell’equazione – di nuovo, come con Adriana – qualcosa di estraneo allo sport. E non solo: prima del match Mr.T trova il modo di insultare anche l’elegante Apollo Creed, nero ripulito e commentatore tivù, cioè per lo spettatore medio negro accettabile. E a metà secondo round Rocky è già knock out, mentre il vecchiaccio sta morendo, cosa che farà puntualmente credendo che il suo protetto abbia vinto. Bene, siamo al punto di non ritorno: Balboa, sconfitto, si deve confrontare col suo monumento, metaforicamente e realmente, risultando in effetti meno espressivo del bronzeo gemello, eretto in cima a quella famosa scalinata. E come si fa? Apollo Creed vuole riportarlo sul ring, stavolta ci si allena the old way, in cantine puzzolenti, correndo sulla spiaggia, danzando sul cemento, al suono supercafone dei Survivor. Poi c’è il momento di crisi ed è Adriana che dà la svegliata e allora riparte il tema di Rocky, evvai di allenamenti, corse, sudore, danze, con Apollo che passa un po’ di negritudine e senso del ritmo a questa specie di blocco di travertino che esibisce una canotta veramente gayissima. Aggiungo che Apollo gli regala i suoi mutandoni: del resto, tra particolari dei muscoli guizzanti, abbracci intensi e praticamente nessun accenno etero, qui la bromance si trasforma in un amore omo che verrà spezzato solo da Ivan Drago, eh. Si arriva al match e Rocky adotta la strategia di Muhammad Ali in Zaire e fa stancare Clubber Lang che lo pesta come un mastro ferraio ed è provocato da parole grosse come “Mia madre me le dava più forte!”.
È una tattica curiosa, un po’ come pigliare a testate un muro e chiedergli: “Sei stanco, adesso?”. E quello lì a un certo punto è stanco sì e a Rocky torna l’eye of the tiger e lo tarella di brutto e vince. Yo, Adrian! I did it! E poi, a concludere la vera storia d’amore del film – a questo punto rivoluzionario perlomeno dal punto di vista sessuale – Rocky e Apollo sono a darsele di santa ragione in cantina, quindi di nascosto perché non è ancora epoca di coming out, ma sudati, felici e vivi. E io cosa posso dire? Che mi aspettavo anche peggio, perché la regia è ottusa ma essenziale, asinina con i primi piani insistiti ma anche movimentata quando la tensione lo esige, e in generale montaggio e recitazione sono inappuntabili. Okay, e Stallone? Ma Stallone non deve recitare bene, perché Rocky è così, un babbo di minchia, bloccato neuronalmente: gli devi leggere negli occhi la decrittazione del pensiero, devi abbassarlo al nostro livello di spettatore del Midwest, se no non funziona! E detto questo, c’è ritmo, drammaturgia e qualche (forse inconscio) spunto per una lettura erotica interessante. E poi, cosa posso dire? Io ormai voglio bene a tutti i film: brutti, belli, scarrafoni… il mio cuore ha più stanze di un bordello (cit.). Sarà l’età, il rincoglionimento, la malinconia, la depressione – che ne so! – ma di fronte a un film (un filmaccio) degli anni Ottanta, ritrovo quell’atmosfera, quel tempo, quelle sensazioni. Sto scrivendo un romanzo ambientato nel 1986 e rimpiango quel mondo senza telefoni, internet e social: cerco quel sapore come un cefalo merdaiolo perché in fondo quello è il cinema con cui sono cresciuto, che mi ha formato, informato, deformato e in cui mi ritrovo. Ora forse questo è il film sbagliato da prendere a esempio, perché è di una semplicità imbarazzante, ma oggi ricerco la linearità narrativa quasi elementare di certo cinema del passato e non sopporto più la ricchezza odierna, dove forma, effetti e innovazione nascondono il narrato, quasi lo soffocano. Certo, la mancanza di tempo e quella faccenda di una volpe con l’uva devono avere il loro peso, ma è così e non so che farci. (Dvd; 3/6/12)

938 – L’eccezionale Fawlty Towers di John Howard Davies, Gran Bretagna 1975
Ne avevo un pallido ricordo di quando ero a Londra, nel 1988, e avevo assistito con religiosa devozione a un’ennesima replica sulla BBC. John Cleese, lo spilungone dei Monty Python, è Basil Fawlty, un ambizioso quanto megalomane – e instabile mentalmente – direttore d’albergo: deve gestire le 22 stanze della umile pensioncina di grandi pretese Fawlty Towers, sulle costi inglesi, in un posto freddo, umido e dove non passa mai un cane. Lo affianca la stolida moglie Sybil, il cameriere pasticcione Manuel (uno spagnolo che non parla inglese) e Polly, una giovane cameriera sveglia. In 6 episodi da mezz’ora Cleese e compagnia disintegrano con ferocia inarrestabile e in un’isteria sublime tutte le vecchie buone maniere inglesi: un Little Britain anni Settanta acre e assolutamente irresistibile. La serie purtroppo brevissima si conclude con un finale grandioso, con la commozione cerebrale del personaggio principale e gaffe a ripetizione con degli ospiti tedeschi, a cui si ricordano tutte le malefatte della Seconda Guerra Mondiale, qualcosa che oggi – in epoca di correttezza politica – si farebbe fatica non solo a mettere in scena ma anche a concepire, con una censura preventiva su tutto quanto sia nazismo. La seconda serie (di Bob Spiers, 1979) l’abbiamo vista in tempi lunghissimi ed è meno riuscita, esasperata ma senza finezze, con vicende che nascono da equivoci verbali e si trascinano fino a che non va puntualmente tutto in vacca. Meno brillante, insomma, ma il tutto è una boccata d’aria fresca e di gas esilarante che si può recuperare grazie alla generosità della Rete. Approfittatene! (Giugno e luglio 2012)

940 – Mani sulle palle per The Day After di Nicholas Meyer, USA 1983
Questo l’ho visto al cinema Orfeo di Genova nel febbraio 1984, in via XX Settembre, sala che ormai da chissà quanto tempo ha chiuso… Era un film televisivo che aveva fatto parlare tutto il mondo ed era andato in onda dopo l’abbattimento di un aereo di linea sudcoreano da parte dei sovietici e, due mesi dopo, l’invasione USA di Grenada. Tutte cose che nell’equilibrio del terrore erano sollecitazioni per nulla tranquillizzanti; il mondo era diviso in due e anche se ti dicevi che non sarebbe mai successo nulla, ogni tanto ti si stringeva il culo solo a pensarci: e se uno si sbaglia e schiaccia il pulsante sbagliato? E se uno perde la testa? E soprattutto: oggi, quella marea di missili dove sono finiti? Io non ci credo mica che abbiano smantellato tutto, figurati, e non dormo all’idea che Putin abbia in mano questo arsenale. O che l’abbia avuto quello scemo di Bush. No, scusate: quegli scemi dei Bush. Vabbeh: per cui The Day After è un pezzo di storia che non sappiamo realmente se non possa tornare attuale. Il film è decisamente iettatorio, ossessivo, lugubre e rozzamente efficace. La fotografia bruttina, gli effetti così cosà (tremendi quelli con le persone che diventano radiografie!) e la musica orrendissima accompagnano una narrazione opportunamente frammentata in tante microstorie: i destini individuali di alcuni bifolchi di Lawrence, Kansas, che si trovano a vivere presso una base missilistica, ovvio obiettivo sensibile. Il fatto è che in DDR c’è casino, rivolte, scaramucce nei pressi del Muro e poi scontri tra truppe della NATO e del Patto di Varsavia. Finisce che a qualcuno – non è chiaro a chi per primo – scappi la mano e comincino a volare missili e al 55° minuto di proiezione Kansas City e dintorni conoscono gli effetti della tecnologia sovietica quando tre piccanti funghetti nucleari si alzano nel cielo. C’è la coppietta di contadinotti con figli che si fa una (ultima) trombatina incurante delle notizie che arrivano dal televisore, prima di essere tutti spazzati dal vento nucleare. C’è il soldato nero che vuole tornare dalla moglie ma strada facendo perde i pezzi e finisce in una fossa comune. E poi c’è il medico di buona famiglia (Jason Robards) che si danna invano per portare cure a tutti, fino a soccombere. Insomma: non c’è un cazzo di lieta fine e il giorno dopo è quello che viene a film concluso, con la terra rasa al suolo. Il film è angosciante ma decisamente antiretorico ed è girato in modo asciutto, con un percorso agonico senza speranza (e in realtà abbastanza ottimistico, secondo gli esperti). Però, al di là della confezione televisiva cheap, l’organizzazione del racconto non è male: la crescita del timore, il sentirsi totalmente succubi, senza difese, senza futuro, senza speranze, senza notizie. Nel tempo è diventato un film da considerarsi brutto, ma invece ha una sua forza di verità e dice cose sgradevoli a tutto campo (le esecuzioni degli sciacalli, l’egoismo e la violenza che esplodono di fronte alla tragedia). Reagan ne fu impressionato, anima sensibile. (Dvd; 3/6/12)

941 – Coraggio… fatti ammazzare di Clint Eastwood, USA 1983
Ravanando negli archivi della memoria e nei meandri della Rete mi ricapita tra le mani questo Callaghan reaganiano di cui avevo vaghi ricordi, se non per la famosa frase “Go ahead, make my day”, cioè “Va’ avanti, dà un senso alla mia giornata”. E decido di dargli retta, ritrovando un film rozzo come il suo protagonista ma efficace e divertente nella sua semplicistica bruttezza. Sì, perché la trama è perlomeno discutibile nella sua implausibilità e la messa in scena talvolta stupisce per sciatteria, però… Dunque, io con Clint ho un rapporto difficile: lo amo per i film di Leone, per Bird, per Madison County, per il magnifico e delirante Lo straniero senza nome e anche perché gli hanno cioncato una gamba ne La notte brava del Soldato Jonathan, ma di fronte a certe prese di posizione politiche che in qualche modo finiscono nei suoi film più sbirreschi, boh, vacillo. Diciamo che qui siamo – nell’arco parlamentare del suo operato cinematografico – molto a destra. Callaghan lo conosciamo già e qualunque cosa faccia, ci sono dei morti (come gli dirà un collega: “La gente quando ti frequenta ha il brutto vizio di morire”). Qui Harry ha 53 anni, è taciturno e parla solo per cavernose sentenze che più scritte non si può (in effetti tutte abbastanza memorabili), tiene le braccia pendule come il gorilla di Filo da torcere e con questa pellicola – di enorme successo – Clint incassò una barcata di dollaroni. Il film inizia, il protagonista va a prendersi il caffè e fa secchi tre rapinatori su quattro che hanno la sfiga di aver scelto quel diner lì da rapinare. Poi va a bluffare da un boss mafioso e lo fa schiattare d’infarto. I superiori gli dicono di darsi una calmata e lui decide di fare serata tranquilla sennonché i mafiosi provano a vendicarsi ma gli dice male e ne fa secchi altri tre. La sera dopo è un trio di stronzetti (tra cui uno mandato libero da una giudice troppo cavillosa) che prova ad arrostirlo con due molotov, ma lui gliene rende con estrema cortesia una e l’ameno trio finisce nella baia di San Francisco. Oh, ne fa secchi a mazzi di tre per volta: siamo al 43° minuto e ne ha già seppelliti dieci. Intanto una donna dalla memoria dolorosa (Sondra Locke, allora moglie di Clint e affascinante e disinvolta come un manichino) va vendicandosi della ghenga che dieci anni prima ha violentato lei e la sorella. Incrocia Callaghan nella cittadina (immaginaria) di San Paulo dove i superiori l’hanno mandato e da uno sguardo i due si intendono subito. Non sto a dirvi come va a finire perché c’è uno sviluppo ulteriormente violento e delirante che può dare qualche soddisfazione, specialmente con la scena finale che si conclude in groppa a un unicorno (…). Sappiate solo che Clint, con gli occhi spiritati e un virilissimo pistolone, perderà progressivamente la pazienza, specie dopo che gli hanno sgozzato l’amico nero e azzoppato il cane (scoreggione, giuro). (Dvd; 4/6/12)
P.s. del 2018: tre mesi dopo questa mia visione Eastwood si era surrealmente rivolto a una sedia vuota alla convention repubblicana, perculando Barack Obama e sostenendo Mitt Romney. Due anni fa ha ammesso una sorta di pentimento per il gesto, salvo poi informarci che lui, piuttosto che Hillary presidentessa, sosteneva Trump. Ecco.

943 – Il delirante Fantastica Moana di Riccardo Schicchi, Italia 1987
Moana Pozzi: l’angelo, la puttana, la santa, boh. E chi lo sa chi era, realmente? Specie dopo i misteri della morte e la beatificazione come perfetta icona cult. Io ricordo più l’imitazione di Sabina Guzzanti che le sue apparizioni tivù o le interpretazioni cinematografiche. Per cui, da vero studioso, mi procuro il film in pellicola che la lanciò, diretto dal visionario Riccardo Schicchi. Fantastica Moana è – a scanso di equivoci – una micidiale schifezza che fa quasi tenerezza per il tentativo, impossibilitato dalla mancanza di mezzi intellettuali e materiali, di costruire una fantasia erotica con uno sviluppo narrativo coerente. Anzi, se vogliamo, è un porno sbagliato, di cui si potrebbe sentenziare TROPPA TRAMA, perché la vicenda vede un ossessionato erotomane, Gabriel Pontello (già protagonista di fotoromanzi hard e idolo della generazione precedente la mia), che è ossessionato da Moana e s’ingroppa qualunque femmina gli si pari davanti – anche violentemente -, sognando di possedere la steatopigia pornodiva platinée. Il racconto è ambientato in un borgo che puzza di povertà, con esterni rurali squallidissimi e scene urbane che ci rimandano a un’Italia provinciale anni Ottanta imbarazzante. Lui ha una faccia da scemo rara ed è peloso come un orsetto. Lei è altera e bellissima e per qualche misteriosa trasmissione del pensiero viene turbata ed eccitata dalle fantasie del protagonista maschile. Le gesta del Pontello sono patrimonio comune di Moana, del suo agente e dei suoi compari: come per miracolo di sceneggiatura si conoscono tutti e condividono le info, arrivando alla mutua decisione che per liberare il borgo e la testa di Moana dall’incubo di questo satiro conviene farlo trombare con l’oggetto del suo desiderio.
Lei, voce off, ci spiega: “Esorcizzarlo consisteva nel coinvolgerlo in un’orgia a quattro e cioè distruggere ai suoi occhi la mia immagine”. Roba che neanche Deleuze e Guattari. Per cui Moana si concede generosamente all’indemoniato Pontello (assieme anche a Siffredi, che è il futuro tanto quanto Pontello era il passato) e si chiude in bellezza con champagne stappato. È finita? Ma no! C’è l’uscita magnificamente folle: Moana finalmente liberata guarda in camera, si contorce di nuova in preda a frenesia belluina e conclude: “E adesso… chi sarà di voi?”. Wow! Beh, che dire? L’alternanza tra realtà e sogno è dilettantesca ma il continuo montaggio parallelo è anche di un coraggio spropositato per un genere solitamente al risparmio. Detto questo le qualità tecniche del film sono imbarazzanti e quando ci sono momenti di recitazione Moana sonda gli abissi dell’infamità attoriale con un distacco quasi metafisico. E del resto anche quando zompa facendo e facendosi fare di tutto è straniante: non sembra mai partecipe, semmai dignitosamente indifferente, nivea, alta, bionda, aristocratica e sfuggente. Probabilmente questo atteggiamento che si riscontrava anche nelle uscite pubbliche ha contribuito a renderla l’icona che è diventata: silenziosa e misteriosa e presuntamente intelligentissima (ma per quali dichiarazioni non si sa), forse – come ha ipotizzato qualcuno – per accreditare i tantissimi amanti importanti (spettacolo, sport e politica… si diceva del cinghialone) dichiarati. Boh. (Youporn, 15/6/12)

945 – Lorax – Il guardiano della foresta di Chris Renaud, USA 2012
Lorax sembra il nome di un gastroprotettivo da banco. E invece è un discreto film, che da una storiellina piccina picciò del Dr. Seuss costruisce una vicenda più articolata. Chi si lamenta che il film è per bambini: 1) non ha sicuramente letto l’originale di Seuss (e gli basterebbero 5 minuti), 2) ha visto il film in preda a turbinio digestivo. Però qualche criticonzo ha detto questa stupidaggine per primo e da lì tutti hanno scopiazzato l’affermazione. Sbagliata. Comunque: si schianta dal caldo e al cinema si sta al fresco, per cui ci andiamo con le due bimbette. Loro si divertono molto e io le seguo, Barbara invece borbotta un po’ annoiata. Film dal messaggio ambientalista e anche anticapitalista, in un film hollywoodiano che farà milionate di dollaroni col merchandising. È contraddittorio? Sì, e alcuni hanno aspramente criticato il tradimento del messaggio del Dr. Seuss ma grande è la confusione sotto il cielo e questo è sempre bene. In termini spettacolari il film fila come un razzo. Straordinario il lavoro scenografico e la cura dei particolari: ormai non stupisce l’accuratezza della realizzazione quanto la scelta dei materiali, come in un film vero e proprio, girato live action o come cazzo si dice, ma ci siamo capiti. Qui il vetro o il metallo o la pietra hanno una resa più vera del vero che fa impressione. Ammirevole è l’invenzione di un mondo rotondo spassoso, allietato da canzoni molto divertenti, dove il cattivo è un tappetto iroso e avido (cosa che a noi italioti ricorda sicuramente qualcuno). Proiezione perfetta e luci solo tenui accese sui titoli. Esperienza da ripetere il cinema: ogni volta che ci torno lo penso. E poi non lo faccio, ach! (Cinema Ducale, Milano; 23/6/12)

946 – Mondo Cane oggi, l’orrore continua commesso da Max Steel, Italia 1986
L’orrore è quello che prova lo spettatore, non equivochiamo. Trattasi di repellente documentario erede dei Mondo Movie di Jacopetti, Cavara e Prosperi e che mette in fila, col solito commento stolido e suadente, nell’ordine: un aborigeno nudo che dorme sul ciglio della strada, un duello tra cani, un campeggio nudista tedesco (mmh) e – sdoganate le tette – vai!: donne in palestra, lotta di donne nude, modelle di nudo, danzatrice nera delle Figi seminuda che sa muovere indipendentemente le tette (oooh!), pescatrici di alghe giapponesi a seno nudo, donne nude che si fanno spugnare con le alghe. Poi, dopo l’erezione inversa provocata, passiamo a New York (cioè, la civiltà, si direbbe, ma…) e ci scoppiamo una bella apertura di cadavere ripieno di droga, allenamento di judoka, indiani che lavano i panni, tuffi in un tempio indiano, gauchos argentini, agopuntura ustionante, tatuaggi giapponesi, pitoni cinesi scuoiati, gastronomia estrema con serpentelli decapitati, corrida spagnola, lapponi che bevono sangue di renna e cibi afrodisiaci con tartarughe mangiate fresche. Il passaggio deve aver solleticato il montatore che subito propone dei massaggi occidentali con una bella patata pelosa in primissimo piano, bassorilievi erotici a Khajuraho e una lesbicata veloce veloce, per par condicio. Si passa poi a usi e costumi del mondo: svastiche indiane, cadaveri bruciati sulle rive del Gange, pipistrelli giganteschi, pesca nel fango, sushi servito su una donna nuda, ciccione americane alle Hawaii, vacche sacre che cagano letame poscia impastato a mano, allevamento di bovini in USA e macellazione, vita tra i morti di fame in India, tonsura dei monaci buddhisti, bambini storpiati per chiedere l’elemosina, culturisti indiani, igiene giapponese, massaggi sensuali, amputazione yakuza di un dito (la scena si direbbe vera, ma chissà), elettroshock, operazione a pene aperto, travestitismo orientale very exciting, evirazione a Casablanca (nel momento supremo del taglio, commento illuminante: “Il re è morto!”), crescita del seno con tubi aspiranti, cadaveri e rimozione di una calotta cranica e infine visita sul set di un film porno atroce con attori urfidi. L’orrore continua, indubbiamente: alla fine cosa ho visto? Una carrellata antologica di cose “strane”, impressionanti e pruriginose, senza un vero filo conduttore. Stelvio Massi è il responsabile di cotanta ignominia, subìta a tratti – confesso – con l’avanzamento veloce che, va bene l’aggiornamento professionale del Cacace, ma a tutto c’è un limite. (24/6/12)

947 – Cazzi vostri: Open Water di Chris Kentis, USA 2003
Attenzione agli spoiler, eh. Dunque: film di grande successo in diversi festival per appassionati di cinema horror e/o serie B, Open Water parte da una bella idea ma soffre per la malaccorta realizzazione: è infatti girato con una telecamera digitale peggiore della mia che risale al 2002. Non c’è alcun controllo della fotografia, con errori da operatore alle prime armi (ambiente luminoso e volti neri, per esempio). E inoltre il riversamento per l’emissione tivù (come accadeva anche a Italiano per principianti in Dvd) non passa evidentemente attraverso lavorazioni su pellicola e il risultato è poverissimo, proprio da filmino delle vacanze. In questo caso vacanze che finiscono in vacca ma a livelli epici. Dunque: esiste gente che si diverte a fare escursioni subacquee per guardarsi il fondo marino. Oh: hanno ben inventato i Dvd documentari PROPRIO per farci vedere comodamente da casa cosa cazzo ci sia la sotto, eh. Lo dico perché una volta ho fatto snorkeling sul mar Rosso e da allora mai più: m’è venuto un infarto perché un sacchetto bianco fluttuante mi ha fatto credere di essere vittima dell’attacco di una manta assassina. Vabbeh. Ad ogni modo la coppia dei protagonisti fa parte invece di questi invasati con bombole, mute, pinne etc., solo che il destino è beffardo e siccome queste cose sono organizzate da tipi che passano il loro tempo a sbevazzare e a dire “easy man” agli stolidi turisti, finisce che i due vengono dimenticati in mare aperto, ai Caraibi, ma mica a venti metri dalla riva come a me. E in mezzo al mare fa freddo e capita di incrociare bestiole come squali, barracuda e meduse. E poi viene la notte e hai una sete micidiale e la fatica ti ammazza. Da un punto di vista narrativo l’inghippo è ben gestito: l’attesa dei soccorsi e l’angoscia crescono bene fino a un prefinale buttato via (una lite insulsa – in quella situazione, poi –, la notte che passa in un baleno, l’attacco degli squali velocissimo) e un finale gestito veramente col culo, in campo lunghissimo, mentre dovrebbero arrivare i soccorsi. Un anticlimax frustrante, dove tenti di capire cosa stia succedendo al posto di goderti sadicamente l’epilogo GIUSTO della vicenda. Ispirato a una storia vera, film decisamente inferiore alle ambizioni e premiato perché queste operine grammaticalmente atroci fanno tenerezza al pubblico dei festival, che intravede una possibilità per piazzare un giorno i propri filmini matrimoniali. Non m’ha fatto impazzire, s’intuisce, no? (Coming Soon Television; 26/6/12)

(Fine – 80)

Utilizzate a dovere il vostro Bonus Cultura! È ancora in libreria per i tipi di Odoya Divine Divane Visioni – Guida non convenzionale al cinema, con la prefazione di Mauro Gervasini (direttore di FilmTV) e la postfazione di Giorgio Gherarducci (Gialappa’s Band).
Altre Divine Divane Visioni su Twitter e Facebook.
Oppure binge reading qui, su Carmilla.

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Il terzo cazzaro di Fatma https://www.carmillaonline.com/2015/08/23/il-terzo-cazzaro-di-fatma/ Sun, 23 Aug 2015 18:04:02 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24597 di Alessandra Daniele

matteiLa popolarità di Renzi si squaglia tristemente come una palla di gelato cascata nella sabbia, per lui è troppo tardi per tentare la manovra Tsipras. Intanto le ambizioni di Salvini finiscono spiaccicate come zanzare sotto le ciabatte vaticane, ha tentato la volata troppo presto. A quale aspirante Cavaliere toccherà adesso provare ad estrarre l’Italibur, l’Excalibur italica, dalla montagna di merda nella quale è sepolta? Matteo Renzi a La Ruota della Fortuna, Matteo Salvini a Doppio Slalom: se vogliamo sapere chi sarà il prossimo leader degli italiani, il vero [...]]]> di Alessandra Daniele

matteiLa popolarità di Renzi si squaglia tristemente come una palla di gelato cascata nella sabbia, per lui è troppo tardi per tentare la manovra Tsipras. Intanto le ambizioni di Salvini finiscono spiaccicate come zanzare sotto le ciabatte vaticane, ha tentato la volata troppo presto. A quale aspirante Cavaliere toccherà adesso provare ad estrarre l’Italibur, l’Excalibur italica, dalla montagna di merda nella quale è sepolta?
Matteo Renzi a La Ruota della Fortuna, Matteo Salvini a Doppio Slalom: se vogliamo sapere chi sarà il prossimo leader degli italiani, il vero erede di Berlusconi, non dobbiamo perdere tempo in inutili analisi politologiche, dobbiamo spulciare l’archivio dei telequiz Mediaset gestiti da Fatma Ruffini negli ultimi trent’anni, alla ricerca del terzo Matteo.
Il terzo pasciuto rampollo della borghesia post democristiana che, superato il test di telegenia, è stato avviato alla carriera politica, e adesso aspetta il suo turno per spacciarsi da Rinnovatore mentre in realtà prosegue la svendita del paese esattamente come previsto dell’agenda Monti.
Il partito in cui si trova adesso non ha importanza, potrebbe essere uno qualunque, dall’NCD al M5S. A prescindere dal punto di partenza, quando verrà il suo momento si collocherà fra Renzi e Salvini, nello spazio lasciato semilibero da Berlusconi per raggiunti limiti d’età e di sputtanamento. Recupererà tutti i voti di centrodestra latitanti, e diventerà il prossimo Re Sòla.
Che ne sarà di Renzi?
A dispetto di tutto l’odio e il disprezzo che agli italiani piace ostentare verso i politici dell’era repubblicana, in realtà quando viene il momento ai loro Cazzari cadenti permettono quasi sempre un atterraggio morbido, con l’eccezione di Craxi, la cui latitanza tunisina fu comunque una scelta.
Di solito gli viene come minimo consentito di ritirarsi comodamente fra presidenze, fondazioni, conferenze, consulenze, e talk show come ricercati opinionisti, quando non addirittura di riciclarsi in ruoli istituzionali. Qualche esempio fra i più odiati:
Giuliano Amato, giudice costituzionale, consulente in Italia per la Deutsche Bank, è stato per mesi fra i candidati al Quirinale.
Giulio Andreotti, senatore a vita, è morto riverito come un pontefice emerito.
Mario Monti è presidente della Bocconi, e senatore a vita.
Silvio Berlusconi è ancora al potere.
Certo, a giudicare dalla sua immagine, Matteo Renzi non sembra il tipo da cedere il passo accontentandosi d’una buona uscita parigina da maggiordomo di lusso come Enrico Letta, ma Renzi è un cazzaro, niente della sua immagine è reale, quindi aspettarsi che venda cara la pelle probabilmente è stupido quanto credere che voglia davvero cambiare il paese.
Si darà da fare fin che potrà, ma saprà anche ritirarsi al momento per lui più opportuno?
Una delle prime cose che si imparano partecipando a un telequiz è uscire di scena senza impallare il concorrente successivo.
Perché show must go on.

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Il tunnel alla fine della luce https://www.carmillaonline.com/2015/03/22/il-tunnel-alla-fine-della-luce/ Sun, 22 Mar 2015 21:13:41 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=21491 di Alessandra Daniele

tunnelVi siete accorti dei miliardi di draghi in arrivo? Non guardate dalla finestra, non sto parlando d’uno stormo di giganteschi rettili alati dal respiro di fuoco giunti ad oscurare il cielo e incendiare la terra. Parlo del Quantitative Easing di Mario Draghi, la pioggia di miliardi stampati per far ”ripartire” l’economia europea. Se non ve ne siete accorti, il motivo è semplice: non sono per noi. Sono per le banche. È una pioggia sul bagnato. L’Italia ha però sempre coltivato un’altra particolare forma di Quantitative Easing: [...]]]> di Alessandra Daniele

tunnelVi siete accorti dei miliardi di draghi in arrivo?
Non guardate dalla finestra, non sto parlando d’uno stormo di giganteschi rettili alati dal respiro di fuoco giunti ad oscurare il cielo e incendiare la terra. Parlo del Quantitative Easing di Mario Draghi, la pioggia di miliardi stampati per far ”ripartire” l’economia europea. Se non ve ne siete accorti, il motivo è semplice: non sono per noi. Sono per le banche.
È una pioggia sul bagnato.
L’Italia ha però sempre coltivato un’altra particolare forma di Quantitative Easing: la corruzione, che allo stesso modo fa regolarmente piovere miliardi sulla fanghiglia, soprattutto attraverso le opere pubbliche.
Se nel tunnel del CERN si accelerano le particelle, in quello della TAV si accelerano le bustarelle.
A poche settimane dall’apertura dell’Expo, è pronto solo un decimo delle strutture previste. Le altre ancora incompiute saranno nascoste da una felliniana serie di enormi quinte e fondali chiamata Camouflage.
Probabilmente ai turisti la soluzione sarà spacciata per una scelta artistica che rappresenta plasticamente l’incompiutezza del progetto di “nutrire il pianeta”.
Mentre s’ingrassano i ladri.
Tutti i Lupin mannari del brulicante ceto parassitario che sistematicamente s’avventa sulle cosiddette Grandi Opere come gli stafilococchi sulle piaghe infette, mandandole in cancrena.
Renzi è il Camouflage dietro il quale l’Italia continua a marcire e venire divorata. Tutto il suo attivismo fasullo, il suo giovanilismo anni ’80 non sono che una quinta di cartapesta.
Mentre un’altra di quelle piaghe, il Giubileo straordinario, viene aperta da Bergoglio, l’altro presunto rottamatore.
Il Papa-immagine che dorme in un sobrio bilocale (all’interno di un enorme palazzo da 20 milioni di dollari) e lascia che i suoi cardinali vivano in superattici di 700 metri quadri. Che scomunica i corrotti, e poi gli offre l’ennesimo banchetto, li induce in tentazione con la sua versione del Quantitative Easing per far girare l’economia, e organizzare uno spot planetario per la sua azienda.
Anche lui, con tutto il suo pauperismo mediatico, non è che un paravento (sacro) una facciata dietro la quale la Chiesa rimane esattamente la stessa.
Fra lupi, draghi, nani, e fate, pure Berlusconi ha appena ricevuto il suo Quantitative Easing. Le azioni Mediaset sono in rialzo, eMondadori ha comprato RCS Libri.  La riforma della Rai poi gli trasformerebbe la concorrenza in tre innocue reti tematiche, una culturale (reading di Baricco, migrazione degli gnu, e viceversa) una sperimentale (monoscopio in 3D) e una generalista, che sotto il totale controllo del governo si trasformerà nella versione renziana di Mediashopping: una catena ininterrotta di televendite.
Intanto Renzi prende l’interim dei Lavori Pubblici. Anche il “Cantiere delle Riforme” è una delle Grandi Opere.

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Il cinema che verrà https://www.carmillaonline.com/2014/08/10/cinema-verra/ Sun, 10 Aug 2014 00:13:53 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=16640 di Valerio Evangelisti  (da 8 1/2 n. 12, settembre 2013)

LUomoCheVerraIl cinema italiano ha realizzato uno dei migliori film che io abbia visto nell’ultimo decennio: L’uomo che verrà, di Giorgio Diritti. Dunque, si direbbe, gode di ottima salute. Non è così, e lo sappiamo tutti. Esistono film “alti” ed esistono porcate. Manca, a mio parere, un buon cinema medio che faccia da raccordo, come esiste quasi ovunque. Perché altrove sì e in Italia no? Mi sbaglierò, ma io attribuisco la colpa al sistema di produzione.

Scarseggiano i produttori, forniti di capitali adeguati, disposti a investirli e a rischiare sull’opera cinematografica [...]]]> di Valerio Evangelisti  (da 8 1/2 n. 12, settembre 2013)

LUomoCheVerraIl cinema italiano ha realizzato uno dei migliori film che io abbia visto nell’ultimo decennio: L’uomo che verrà, di Giorgio Diritti. Dunque, si direbbe, gode di ottima salute. Non è così, e lo sappiamo tutti. Esistono film “alti” ed esistono porcate. Manca, a mio parere, un buon cinema medio che faccia da raccordo, come esiste quasi ovunque. Perché altrove sì e in Italia no? Mi sbaglierò, ma io attribuisco la colpa al sistema di produzione.

Scarseggiano i produttori, forniti di capitali adeguati, disposti a investirli e a rischiare sull’opera cinematografica come merce (non scandalizzi il termine) innovativa. A parte pochissimi, i più preferiscono battere strade sicure, con un risultato assicurato al botteghino. Di qui il prevalere di un genere soltanto, la commedia – spesso una pura successione di barzellette più o meno triviali – che di tutti è il meno esportabile. Altri non sono nemmeno produttori in senso proprio, visto che di capitali quasi non ne hanno, e contano di riceverli da Rai e Mediaset. Così si finisce nel cuore dell’abisso: lo strapotere della televisione in campo cinematografico.

Ovviamente le tv, pur investendo con larghezza, hanno bisogno di un certo tipo di prodotto: allineato, salvo rare eccezioni, ai “valori” dominanti, o per meglio dire ritenuti tali dalla classe politica; fruibile da ogni tipo di pubblico; con bersagli, se ce ne sono, scontati e condivisi a livello universale (per esempio, la mafia), o assolutamente generici. Se il tema è invece scomodo, protestano i partiti; ai quali partiti sono invece “regalati” film costosi che a loro stanno a cuore, come i film in costume o ispirati al “revisionismo storico” di un regista particolarmente inetto. Flop clamorosi al botteghino, ma d’altra parte votati a un altro tipo di successo: l’utilizzo televisivo a fini propagandistici. Alla fin fine sono quindi i partiti a condizionare indirettamente il cinema attraverso la televisione. A quella pubblica, peraltro, rimangono un po’ di soldi da distribuire tra produzioni meno conformiste, destinate, nel 90% dei casi, a non raggiungere mai le sale.

Sia chiaro: non è in sé un male che la televisione finanzi il cinema. A livello europeo, Canal+ ha svolto a lungo una funzione preziosa. Bisogna però vedere di quale televisione parliamo. Sarebbe mai possibile in Italia una serie televisiva come Breaking Bad, totalmente anticonformista e perturbante? Chiaramente no: da noi è tutta un’inflazione di storie di santi, di preti, di poliziotti coraggiosi e senza macchia. Persino Mad Men sarebbe troppo oltraggioso. Una televisione senza nerbo produrrà un cinema fatto a sua immagine (ripeto, con eccezioni, però rarissime). Peggio: sfornerà nuovi registi, attori, sceneggiatori addestrati al mezzo televisivo e incapaci d’altro linguaggio. Non è un caso se certe star nostrane si ritrovano in produzioni internazionali ridotte al rango di comparse. Paradossalmente, ciò non viene vissuto dagli interessati come una vergogna, ma come un riconoscimento.

Dato che è improbabile che un Carlo Freccero divenga un giorno presidente Rai, e che a un Marco Mûller sia affidato il settore cinema di Mediaset, dobbiamo ipotizzare un futuro con rare case produttrici capaci di resistere come altrettanti Fort Apache in mezzo al dilagare di battutacce da trivio, doppi sensi, peti, più qualche horror o thriller squinternato fatto con due soldi. Nonché a un mancato ricambio tra leve di professionisti, come già è avvenuto tra generazioni di attori.

Può la letteratura venire in soccorso di un cinema italiano agonizzante? Non credo. Intanto il mestiere dello scrittore è completamente diverso da quello dello sceneggiatore, che fa parte di un collettivo e scrive in tutt’altra maniera (anche quando è all’origine scrittore). Ora, se il collettivo è inserito in un sistema che scricchiola dai vertici alla base, poco importa che attinga alla narrativa. Banalizzerà o, fin dall’inizio, attingerà dai testi letterari più consoni alla visione conformista che lo ispira.

Non mi vedo romanzi ricchi di problematica come quelli di Lorenza Ghinelli (Il divoratore, La colpa) diventare film, anche se costerebbero poco: troppo sottili. O le ambigue storie di Vittorio Giacopini (ultimo di una serie stupenda: Nello specchio di Cagliostro). O i gialli polemici dell’italo-francese Serge Quadruppani (per esempio Saturno). O le riflessioni profonde di Michele Mari. Del resto, conviene a questi e ad altri autori tenersi fuori dal cinema italiano mainstream, se possono, e lasciare la scena ad autori più mediatici.

Non vorrei però sembrare troppo pessimista. E’ in corso una rivoluzione clamorosa. Oggi chiunque può filmare con uno smartphone o una telecamera a basso costo. Si trovano su YouTube e Vimeo, sapendo cercare, autentici gioielli, firmati anche da giovani italiani. Il mio consiglio è frugare da quelle parti. Forse è lì che sta fermentando il cinema italiano che verrà.

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La tempesta perfetta. https://www.carmillaonline.com/2013/10/02/la-tempesta-perfetta-lettera-aperta-chi-si-oppone/ Tue, 01 Oct 2013 23:00:27 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=9724 di Sandro Moiso

tempesta

La tempesta perfetta più famosa, dal punto di vista meteorologico, fu quella che si abbatté sull’Oceano Atlantico  in prossimità dei  banchi di Terranova nel 1991, descritta nell’omonimo libro di Sebastian Junger del 1997 e nel  film di Wolfang Petersen, dallo stesso titolo, del 2000.  Ma la tempesta perfetta di cui occorre qui parlare è quella che sta per abbattersi sull’intero sistema politico-economico occidentale a partire dal quello che un tempo si sarebbe chiamato l’anello  debole: l’Italia.

L’attuale crisi politica italiana, con tutte le conseguenze sociali ed economiche che ne deriveranno, va inquadrata infatti [...]]]> di Sandro Moiso

tempesta

La tempesta perfetta più famosa, dal punto di vista meteorologico, fu quella che si abbatté sull’Oceano Atlantico  in prossimità dei  banchi di Terranova nel 1991, descritta nell’omonimo libro di Sebastian Junger del 1997 e nel  film di Wolfang Petersen, dallo stesso titolo, del 2000.  Ma la tempesta perfetta di cui occorre qui parlare è quella che sta per abbattersi sull’intero sistema politico-economico occidentale a partire dal quello che un tempo si sarebbe chiamato l’anello  debole: l’Italia.

L’attuale crisi politica italiana, con tutte le conseguenze sociali ed economiche che ne deriveranno, va inquadrata infatti in un orizzonte molto più ampio,

in cui la sempre più evidente debolezza diplomatica e militare dell’impero americano incrocia il costante rischio di défaut economico dello stesso (rinviato sino ad ora soltanto dalla continua immissione sul mercato di nuovi dollari che valgono come carta straccia e sono garantiti unicamente dalle portaerei di Washington); la crisi del progetto europeo (misurabile nella distanza sempre più evidente tra la Germania e gli altri paesi del Sud e dell’Ovest, nei sempre più marcati dubbi Londra nei confronti del progetto e nell’inutile rigonfiamento di penne militari da parte del galletto francese); la presa di distanza che per la prima volta, dalla Seconda Guerra Mondiale, ha caratterizzato le scelte del parlamento inglese rispetto a quelle politico-militari americane e la gigantesca crisi economica (caratterizzata da una disoccupazione senza precedenti) che caratterizza l’assetto generale dell’economia occidentale.

 Va detto subito: per quanto, ancora una volta, la minaccia più paventata di fronte all’elettorato sia quella del défaut italiano o del commissariamento europeo delle politiche economiche e sociali nazionali, la verità è che la crisi politica ed istituzionale di quella che rimane la seconda economia industriale d’Europa non ha assolutamente la valenza di quella greca né di altre nazioni. E’ roba da far tremare i polsi, anche a quella finanza che fino ad oggi ha giocato abilmente sull’interesse pagato sui titoli di stato e sul conseguente taglio di ogni spesa sociale e dei salari. Come ben dimostrano le preoccupazioni del Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, quando dichiara alle agenzie di stampa che la crisi italiana “creerebbe enormi turbolenze politiche e sui mercati finanziari”.

 Per ottenere interessi e vantaggi di carattere finanziario per gli investitori, in cambio di lacrime e sangue per i lavoratori, i giovani e tutte le fasce deboli (donne, pensionati, disoccupati), occorre infatti un governo forte o, almeno apparentemente, autorevole. E questo in Italia non esiste più, a meno che il colpo di stato politico continuato degli ultimi anni non si trasformi in un autentico colpo di stato militare. Non esiste più alcuna possibilità di giustificare politicamente i governi dei sacrifici: sia perché c’è ormai ben poco da sacrificare, ma anche, e soprattutto, perché nel giro di meno di 24 mesi sono state bruciate le due carte principali del progetto, Mario Monti ed Enrico Letta. E, con loro, il principale artefice istituzionale del tutto: Giorgio Napolitano.

 Un governo, come si è già detto in passato, nato morto che per sei mesi non ha fatto nulla; blaterando di tutto e di niente, sempre pronto ad accondiscendere alle volontà del Popolo della Libertà, in effetti l’unica forza politica ad avere avuto due, per quanto inutili e mefitiche, proposte politiche da portare avanti in accordo col proprio elettorato: abolizione dell’Imu e blocco  dell’aumento dell’IVA. Ci voleva poco a capire che il grande progetto napolitanico non aveva gambe e speranze per marciare e durare. E le tardive lacrime presidenziali in occasione della celebrazione di Luigi Spaventa (che fu, ai tempi del PCI, fermamente contrario alla moneta unica europea), sono diventate simboliche lacrime di rabbia per il proprio fallimento. 

Il colpo di testa o coup de théâtre berlusconiano è intervenuto a frantumare la destra prima che una parte di questa potesse ricostituirsi in quella tanto auspicata destra moderata (e democristiana) su cui tanti (PD in testa, seguito da CEI, Casini e Monti) facevano affidamento per un passaggio ad un’alleanza di ferro, blindata nei contenuti e nelle comuni modalità di governo. La mossa del cavaliere di Arcore ha reso più difficile, se non impossibile, tale passaggio di consegne, di cui il sacrificio del suo ruolo politico avrebbe costituito la garanzia formale. Le parole del pallido Bondi sono state, per una volta, chiare: “Non ci faranno fare la fine del PSI e della DC“.

La crisi è istituzionale, ma in senso più profondo rispetto a quello suggerito da tutte quelle forze (PD, Confindustria, CEI, banche) che vedevano nella grande coalizione all’italiana la soluzione ideale per calcificare all’infinito i rapporti di classe a proprio esclusivo vantaggio. Bruciata questa carta, e questo è sicuro, anche se Re Giorgio riuscirà a far ripartire con  novelli senatori a vita e con un nuovo gruppo parlamentare  di transfughi berlusconiani (Nuova Italia? Allegria!) un miserevole e cagionevole di salute governo Lettino-bis, non rimangono in mano a quelle stesse forze altre carte importanti o possibili.

 Oggi, domani e dopodomani, nelle eventuali elezioni politiche a breve o brevissimo periodo non ci sarebbero vincitori, con o senza porcellum. Non il Pdl frantumato, non il PD azzoppato definitivamente dalle scelte operate anche nell’ultimo semestre e rimasto, nonostante le bufale di D’Alema, con il solo Renzi come possibile candidato premier, e neppure Grillo che, nello stesso semestre, ha dimostrato tutta l’insipienza della sua farraginosa e raccogliticcia armata Brancaleone.

La più grave crisi della Repubblica è aperta, l’Europa è preoccupata e la finanza internazionale pure. Ma le forze antagoniste e/o di opposizione cosa possono e devono fare? Perché questo è il problema che sta più a cuore di chi da sempre si oppone all’esistente, in generale, e a questi governi in particolare. Governi e non nomi di premier perché gli ultimi torneranno, fin che potranno, l’uno a pontificare dalla cattedra universitaria e l’altro a giocare a subbuteo con l’amico Angelino, impallinato come lui dal fuoco ex-amico del Sansone di Mediaset.

 “Muoia Berluscones con tutti i Filistei!” sembrerebbe poter essere lo slogan alla base dell’attuale crisi politica, ma se l’antagonismo e le forze di opposizione dovessero cedere ancora una volta al richiamo mediatico delle sirene anti-berlusconiane e costituzionaliste l’errore sarebbe gravissimo perché già nelle precedenti elezioni l’anti-berlusconismo era stata l’unica e poco proficua, dal punto di vista del risultato elettorale, foglia di fico con cui il PD  poteva cercare di nascondere ancora la propria subalternità al capitale e alla finanza internazionale. L’unica cosa, pretesa, di sinistra che potesse dire o sbandierare. E tradita comunque nell’alleanza realizzata  a sostegno di  quest’ultima  e disastrosa legislatura.

  Per chi non ha perso la bussola è invece chiaro che, almeno dalla Comune di Parigi in poi, qui, in Europa, qualsiasi alleanza con la borghesia, una sua parte o alcuni suoi partiti, non può più portare alcun vantaggio alla maggioranza della classe storicamente avversa: quella dei lavoratori. E la questione morale, su cui in questi anni si è tanto, inutilmente dibattuto, è stata ben riconosciuta come trappola per l’opposizione di classe fin dagli albori del ‘900.

 “Ad esempio la moralizzazione politica e amministrativa del Meridione è certamente un postulato rispettabile. La caccia al ladro è un’ottima cosa, purché, però, non ci faccia perdere di vista che la nostra critica investe tutto il sistema politico attuale, e che nemici dei proletari sono tutti i borghesi, ladri e onesti. Se questo non si vuol dimenticare si vedrà subito come sia un errore unirsi al borghese sedicente onesto per sloggiare il ladro: poiché si confondono quei concetti nella mente dei lavoratori. Infatti, la mancata differenziazione politica dei partiti ridiviene causa della immoralità degli amministratori, che approfittano dell’incoscenza delle masse per cambiare appena giunti al potere il loro programma moralista con la pratica del più sfacciato affarismo”. (Amadeo Bordiga, Il socialismo a Napoli e nel Mezzogiorno, in Utopia, Rivista quindicinale del Socialismo Rivoluzionario Italiano, Milano 15 – 28 Febbraio 1914)

 Altro terreno scivoloso e infido è quello della difesa della carta costituzionale, intesa come intoccabile e sacro strumento di garanzia democratica, vero altare della patria, dimenticando che le costituzioni sono sempre frutto di un compromesso tra le forze e, quindi, sostanzialmente frutto dei rapporti di forza in campo. Quella italiana non è, come qualcuno afferma, la Costituzione più bella del mondo, ma il frutto di un compromesso tra democratici cristiani, stalinisti e liberali alla fine del secondo conflitto mondiale, con un articolo 1 preso di peso da quella, mai entrata in vigore, della Repubblica di Salò e con l’esclusione di qualsiasi accenno al diritto dei cittadini ad insorgere contro il cattivo governo (così come aveva almeno richiesto una parte della Sinistra Cattolica).

 “In generale, una storia del costituzionalismo borghese non può che essere la storia dei tentativi di cogliere, di volta in volta, le caratteristiche fondamentali della composizione politica di classe e di assoggettarne l’esistenza alle necessità dello sviluppo capitalistico. Assoggettarne l’esistenza significa da un lato identificare ed organizzare gli elementi di riproduzione della classe, mistificandoli e possedendoli dal punto di vista capitalistico, dall’altro identificare ed escludere (coattivamente) tutti quei momenti della composizione di classe sui quali può organizzarsi il partito rivoluzionario.

La vecchia Costituzione del 1948 è stata capace di piegarsi, talora concedendo notevoli spazi, alla composizione politica della classe uscita dalla seconda grande guerra imperialista. Un grado di conflittualità medio, da comprendere nella trionfante ideologia del lavoro; una possibilità di mediazione fondata sulle caratteristiche arretrate del rapporto tra classe operaia e contadini; una condizione di miseria delle classi inferiori (ivi compresa la piccola borghesia) da giocare nel progetto di sviluppo: la Costituzione del ’48 è in realtà un «piano di lavoro». E’stata la base sulla quale il capitale è riuscito a porre il progetto di un passaggio ad una fase più avanzata di sviluppo, in tutte le sue dimensioni” (Antonio Negri,  La forma Stato, pp. 466 – 467, Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano 2012, prima edizione Milano 1977)

 “Oggi non è solo morta la Costituzione del ’48. E’ morta la costituzione materiale che la costituiva in progetto. I rapporti di forza che presiedevano ad ogni eventuale modello di sviluppo si sono fracassati” (Antonio Negri, op. cit., pag 468) Parole profetiche (1977) che, se all’epoca erano scritte durante l’ultima grande esplosione di lotte e rivolte operaie e giovanili, e prime in nome della specie, oggi valgono ancora, dopo decenni di sconfitte e trionfi della Destra sostenuta fedelmente dalle politiche economiche del PD e dei governi di centro-sinistra. Con buona pace di Landini, Rodotà e Zagrebelsky.

Archiviati questi due punti (anti-berlusconismo e costituzionalismo d’accatto), restano però ad una opposizione reale parecchie e significative frecce nella propria faretra,  tali da permetterle di rappresentare una efficace cassa di risonanza delle lotte e delle esigenze sociali, di cui in ultima analisi i movimenti reali sul territorio e sui luoghi di lavoro sono l’espressione materiale, qualora  cogliessero l’occasione per dare forma e sostanza a un nuovo potere costituente, totalmente avverso a quello che ha dominato gli ultimi trent’anni di storia.

Per raggiungere questo obiettivo, però, i movimenti dovranno smettere di delegare ad altri la politica (ad esempio ai 5 Stelle). Per essere più chiari: dovranno evitare, ad ogni costo, di farsi rinchiudere in una sorta di ghetto limitando la propria azione alle manifestazioni pubbliche, al sabotaggio o alle mailing list  e riuscire a far valere direttamente le proprie istanze politiche anche di fronte all’istituzione stessa. Così come tutti i gruppi e gruppuscoli dovrebbero una volta per tutte abbandonare il settarismo ideologico che li contraddistingue e le speranze nella rappresentatività dei propri minuscoli ed insignificanti leader. Le lotte e i programmi contano, gli individui molto meno. Solo così sarebbe possibile superare le divisioni tra i vari settori di movimento che si distinguono per le differenti pratiche messe in atto (pacifisti integrali, ambientalisti, comunisti duri e puri, etc.), come i giorni di Seattle, nel 1999, avevano già saputo vittoriosamente dimostrare.

 Proseguendo sulla strada della delega politica ed istituzionale si rischierebbe soltanto di non vedere che tutto ciò che così arrogantemente vorrebbe ergersi al di sopra dei propri avversari è già superato. Come il progetto per il TAV, che non è affatto forte come si vorrebbe dimostrare con qualche centinaio di metri di galleria scavati dalla talpa o mandando ancora più soldati a cercare di controllare e soffocare la Val di Susa, ma che è già morto nel semplice annuncio che sul lato francese gli espropri dei terreni coinvolti nel progetto avverranno nell’arco dei prossimi quindici anni o più. Oppure, ancora, le continue, arroganti, insopportabili dichiarazioni di Napolitano a proposito dell’anomalia rappresentata da eventuali elezioni anticipate (alla faccia della democrazia…appunto) e quelle di Letta a proposito della durata del suo governo fino al 2015. Hanno soltanto paura! E’ il capitale a non credere più in se stesso e tanto meno dovranno credere ancora nelle sue risorse i suoi antagonisti. Non occorre  uccidere un drago già morto, come alcuni irresponsabili inviti alla lotta armata ancora vorrebbero far credere, ma occorre già pensare al futuro, al dopo. In teoria i movimenti hanno già vinto, ma così non sarà se non sapranno o non vorranno ragionare in questa prospettiva.

 Le settimane e i mesi a venire saranno segnati da forti tensioni politiche, economiche e sociali. Istituzioni europee ed internazionali (BCE e FMI in testa), governi stranieri, servizi ed apparati repressivi insieme ad una risorgente estrema destra intorbidiranno le acque e mireranno a diffondere paura e scoramento tra i cittadini e i lavoratori con minacce, provocazioni ed aggressioni e la probabile coincidenza della crisi italiana con il défaut pubblico statunitense sarà motivo di autentici terremoti borsistici. La partita che si è aperta è troppo grossa. Per tutti.

La prova per il movimento reale sarà durissima, ma soltanto la capacità di porsi propositivamente davanti al mondo e al futuro, guardando già oltre lo squallido e fallimentare presente, potrà rafforzarlo, più di qualsiasi scaramuccia notturna e più di qualsiasi astratta discussione. Giovani e lavoratori hanno già dimostrato di saper reggere lo scontro fisico: oggi e domani dovranno sostenere quello politico. Il più duro. Con tutte le difficoltà  organizzative e di informazione che tutto ciò comporterà. A meno che non si voglia lasciare per sempre al capitale ogni spazio di iniziativa, nella convinzione di dover solo e sempre giocare di rimando e in contropiede. Ovvero dopo e mai, come oggi occorre, in anticipo sui tempi.

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Battlestar Rai4 https://www.carmillaonline.com/2012/03/19/battlestar-rai4/ Mon, 19 Mar 2012 06:19:58 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=4233 di Alessandra Daniele

Rai4.jpgAlias, Angel, Ashes to Ashes, Battlestar Galactica, Boardwalk Empire, Breaking Bad, Caprica, Dead Like Me, Doctor Who, Farscape, Life on Mars, Lost, Mad Men, Misfits, Rome, Sanctuary, Supernatural, 30 Rock, Torchwood, Warehouse 13, Weeds, Whitechapel. Cos’hanno in comune queste serie, oltre a essere fra le migliori e/o i più amate degli ultimi quindici anni? Sono state, o sono ancora tutte trasmesse in chiaro, e spesso in esclusiva, dalla Rai4 di Carlo Freccero. Milioni di persone che non avrebbero potuto o voluto procurarseli diversamente, li hanno avuti a disposizione a orari decenti, senza ritardi, censure, o cancellazioni improvvise, con [...]]]> di Alessandra Daniele

Rai4.jpgAlias, Angel, Ashes to Ashes, Battlestar Galactica, Boardwalk Empire, Breaking Bad, Caprica, Dead Like Me, Doctor Who, Farscape, Life on Mars, Lost, Mad Men, Misfits, Rome, Sanctuary, Supernatural, 30 Rock, Torchwood, Warehouse 13, Weeds, Whitechapel. Cos’hanno in comune queste serie, oltre a essere fra le migliori e/o i più amate degli ultimi quindici anni? Sono state, o sono ancora tutte trasmesse in chiaro, e spesso in esclusiva, dalla Rai4 di Carlo Freccero. Milioni di persone che non avrebbero potuto o voluto procurarseli diversamente, li hanno avuti a disposizione a orari decenti, senza ritardi, censure, o cancellazioni improvvise, con un solo break pubblicitario, e spesso a pochi mesi dalla messa in onda nei paesi d’origine.
Una piccola rivoluzione per il torpido e melmoso panorama televisivo italiano. Perché, anche se noi tendiamo a dimenticarlo, quella degli scaricatori è ancora una minoranza, la battaglia per l’egemonia culturale ed economica si combatte là fuori, nei media mainstream, e la sta ancora vincendo Don Matteo.
Per questo Rai4 è diventata importante, e così insieme a un pubblico crescente ha attirato anche gli squali. Una rete Rai che guadagna ascolti con un palinsesto di qualità non poteva che dare fastidio a Mediaset, in particolare a Mediaset Premium, che oltretutto, dopo il fallimentare The Event, quest’anno ha preso un’altra inculata con l’altrettanto fallimentare Alcatraz.
E così, sono partiti i sicari. I soliti sparamerda, col solito pretesto abbastanza becero da catturare l’attenzione del loro pubblico grufolante, e indurlo a una cacofonia di grugniti che dia la scusa per intervenire ai collaborazionisti piazzati ai vertici Rai dal governo Berlusconi.
L’obiettivo palese è far fuori Carlo Freccero, epurarlo di nuovo come ai tempi dell’editto bulgaro, e fare di Rai4 un’altra repellente discarica di guitti rincoglioniti, marchette, e leccaculo. Un’altra Rai1 dalla quale tutto il pubblico con un minimo di attività cerebrale residua fuggirà disgustato. O al massimo un’altra rete tematica pseudoculturale, Raiduecoglioni, con una audience dello zerovirgola, che non sia più di nessun disturbo per le reti berlusconiane.
Nessuno deve osare sottrarre spettatori a Mediaset e al suo costante flusso coglionizzatore di reality, propaganda, polizieschi, e televendite. Il sacro traliccio Tv di Cologno è la fonte primaria del potere politico-economico della classe dirigente berlusconiana di fatto ancora al potere, chi lo tocca cade fulminato, come sa bene il sobrio Monti, che infatti se ne tiene rispettosamente alla larga.
Carlo Freccero invece sta dando battaglia al Colognalismo, e nel suo settore la sta anche vincendo. Perciò è nel mirino, e i sicari che più si battono contro le intercettazioni che sputtanano il loro boss, adesso brandiscono come un tonfa la registrazione delle parole di Freccero che si sono meritati: “Fascisti, siete un giornale di merda”.
So say we all.

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