Mazzino Montinari – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Francesca e la casa https://www.carmillaonline.com/2021/03/09/francesca-e-la-casa/ Mon, 08 Mar 2021 23:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65302 di Mazzino Montinari

Antonella Lattanzi, Questo giorno che incombe, HarperCollins, Milano, 2021, pp. 455, € 19,50.

Una grande libreria. Tanti scaffali. Volumi messi in ordine. Autori, titoli, generi. Il lettore cerca Questo giorno che incombe di Antonella Lattanzi, il quarto romanzo della scrittrice nata a Bari, con delle significative esperienze cinematografiche in qualità di sceneggiatrice. Lo troverà a colpo sicuro? Potrebbe essere tra la narrativa italiana. O forse tra i noir (un delitto è pur sempre un delitto), tra gli horror (una casa che parla non fa abbastanza paura?) e, magari, se [...]]]> di Mazzino Montinari

Antonella Lattanzi, Questo giorno che incombe, HarperCollins, Milano, 2021, pp. 455, € 19,50.

Una grande libreria. Tanti scaffali. Volumi messi in ordine. Autori, titoli, generi. Il lettore cerca Questo giorno che incombe di Antonella Lattanzi, il quarto romanzo della scrittrice nata a Bari, con delle significative esperienze cinematografiche in qualità di sceneggiatrice. Lo troverà a colpo sicuro? Potrebbe essere tra la narrativa italiana. O forse tra i noir (un delitto è pur sempre un delitto), tra gli horror (una casa che parla non fa abbastanza paura?) e, magari, se il libraio fosse stato in vena di provocazioni, nel reparto psicologia o società (i disagi della protagonista sono personali e al tempo stesso profondamente legati al contesto nel quale questi si manifestano). Meglio chiedere informazioni prima di scoprire che è stato messo tra i libri di urbanistica, tra gli studi che analizzano quegli strani quartieri a forma di paesi nei quali le persone pensano, stabilendovisi, di scoprire un insperato senso di appartenenza o, come suggerito nel romanzo, un luogo dove rafforzare e condividere i propri pregiudizi.

Questo giorno che incombe è un oggetto che sfugge alle classificazioni, alle facili ripartizioni. Procede seguendo direzioni impreviste, come accade al personaggio principale del romanzo, Francesca. La realtà di questa donna, allo stesso modo dell’intera storia, è uno specchio in frantumi che, ricomposto, offre riflessi di qualcosa che si vede ma con dei limiti sfuggenti, indefiniti, che sconfinano in altro. Ci si approssima a una verità, ma più che l’immagine sarà l’occhio a decidere, assumendosene la piena responsabilità, il giusto e l’ingiusto, l’autentico e l’inautentico. Pulsioni, desideri, atti di fiducia, razionalità, abbandonarsi al flusso (per omologarsi o per trascendere), essere lasciati, venire incontro tra paura e coraggio, le vie di un senso possibile sono molteplici, infinite, per niente garantite.
La storia scorre, procede verso qualcosa che incombe, per rimanere fedeli al titolo che allude a un fatto che è avvenuto, non a un destino ineluttabile. Non ci sono salti temporali, non se ne avverte il bisogno. Il caos è già nel presente. Un tempo che ha tracimato fino a sommergere il passato e il futuro. Eppure, all’inizio delle prime cento pagine, quelle di cui si può parlare più liberamente senza timore di scalfire la tensione narrativa messa in atto da Lattanzi, le vicende riguardano una famiglia che da Milano si sposta a Roma. Francesca ha due bambine, Angela ed Emma, e per seguire il marito Massimo, che finalmente vede decollare la sua carriera, ha rinunciato al suo lavoro, alla sue amicizie, e si arrischia, senza calcolarne bene gli eventuali esiti negativi, in una nuova vita tra una casa che inizia a parlarle (con toni amichevoli e minacciosi), un lavoro da freelance, come disegnatrice che può finalmente realizzare un libro tutto suo, e un quartiere “non-luogo” come quello del Giardino di Roma, che esiste realmente tra via Cristoforo Colombo e via Ostiense, e che in una storia simile nelle atmosfere a The Village di M. Night Shyamalan, tra i suoi abitanti ha un gruppo di persone simili agli adepti di una setta o a quegli amici di cui senti il bisogno in tempi difficili.

Questo giorno che incombe inizia con la gioia di chi pensa che l’esistenza non sia altro che un circolo virtuoso tra relazioni famigliari e professioni. Francesca ama Massimo, Massimo ama Francesca. Francesca e Massimo amano le figlie e viceversa. Il lavoro è il giusto compenso di esistenze che pensano, dunque, di poter essere impermeabili agli scossoni, alle intemperie, ai demoni che agitano le strade, le piazze, anche quelle apparentemente pacifiche, piatte, dei grandi “non-luoghi”.
Non è così. Francesca, d’improvviso, perde le tracce del suo accordo siglato col mondo. La sintonia svanisce e inizia un conflitto all’interno e fuori di sé. La sua vita, i ricordi, il marito, le figlie, il lavoro, i deliziosi vicini, progressivamente tutto si scontorna, le figure, i simboli, le idee smarriscono le forme di sempre, assumendone di nuove e impreviste. È a questo punto che prende avvio un dialogo con la casa, tra l’allucinato e il disperato tentativo di approdare a un’autocoscienza. Un fitto parlare nel quale Francesca da un lato perde se stessa, dall’altro potrebbe aver conquistato una nuova dimensione esistenziale nella quale si rivelano desideri talvolta inconfessabili e un talento creativo fino allora celato in chissà quale angolo remoto della sua psiche. Scorrono pensieri che si fanno largo e che penetrano gli argini eretti senza più convinzione da una donna sull’orlo di un precipizio, dove a cadere forse sarà lei o, in opposizione, il ruolo che altri continuano ad attribuirle.

In queste cento pagine, che compongono la prima di cinque parti, dell’orribile atto ai danni di una bambina, vagamente annunciato in quarta di copertina e nelle recensioni e presentazioni, non vi è ancora traccia alcuna. Il crimine è indubitabilmente un tragico accadere che modifica le relazioni, che pregiudica il reciproco fidarsi e che rende trasparenti le vergognose pratiche del genere umano quando ha paura e si difende con la logica del branco che colpisce il più debole. Tuttavia, quel crimine non definisce l’identità incerta di Francesca e la sua solitudine radicale, quella si è generata (inspiegabilmente) altrove. È proprio questa libertà narrativa fuori dai meccanismi di una trama semplicemente noir a colpire e a disorientare chi vorrebbe avvicinarsi a e, al tempo stesso, allontanarsi da Francesca. Anche nel giro di un semplice paragrafo si avverte una distanza incolmabile e però si prova empatia per una donna che non riesce più a comprendere se è lei ad aver distrutto il piccolo mondo al quale apparteneva o se quest’ultimo l’ha divorata come una preda qualsiasi. Ad ogni modo, non esiste solo un colpevole da rintracciare, da individuare per ottenere giustizia. Il mistero che agita Questo giorno che incombe è quello di un’identità che appare e scompare, che distrugge e costruisce, che scappa e che rincorre. Alla fine (e all’inizio) si tratta di questo.

]]>
La bufera in una stanza https://www.carmillaonline.com/2021/02/23/la-bufera-in-una-stanza/ Mon, 22 Feb 2021 23:01:41 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65130 di Mazzino Montinari

Francesca Mannocchi, Bianco è il colore del danno, Einaudi, Stile Libero Big, Torino 2021, pp. 216, € 17,00.

Che cos’è la vita se non lo scorrere accidentato e irregolare di un tempo? Una serie di asperità, di fratture, di interruzioni in cui diverse esistenze avrebbero dovuto confluire in un corpo progressivamente dimentico di se stesso, perso nel presente, che rincorre un passato andato e che intanto si ritrova con nuovi sé, con identità impreviste. Un nome e un cognome offrono l’illusione di una linearità, di un continuum, [...]]]> di Mazzino Montinari

Francesca Mannocchi, Bianco è il colore del danno, Einaudi, Stile Libero Big, Torino 2021, pp. 216, € 17,00.

Che cos’è la vita se non lo scorrere accidentato e irregolare di un tempo? Una serie di asperità, di fratture, di interruzioni in cui diverse esistenze avrebbero dovuto confluire in un corpo progressivamente dimentico di se stesso, perso nel presente, che rincorre un passato andato e che intanto si ritrova con nuovi sé, con identità impreviste. Un nome e un cognome offrono l’illusione di una linearità, di un continuum, e poi, però, le esperienze, gli accidenti, le azioni, le reazioni, tutto a rompere ciò che, sin dall’inizio, era già disposto a frantumarsi.
«Mi tocco la gamba. Non la sento. Mi tocco il piede. Non lo sento. Mi tocco il braccio. Pizzica. L’ascella. Non la sento. Il collo. Il collo sì, lo sento. La testa. La testa anche. Dormi, Francesca. Dove sono? Palermo. Perché sono qui? Sto lavorando. Che giorno è? Martedì. […] La mia vita con la sclerosi multipla è cominciata così, senza che lo sapessi, in una stanza laccata bianca che avevo chiamato Gemma». In questo modo si è manifestato il male di Francesca Mannocchi, la sclerosi multipla, una minaccia fantasma che alla fine ha deciso di rivelarsi quattro anni fa in una stanza d’albergo a Palermo. Era già presente, poteva apparire prima, dopo, chissà, forse mai. E invece è successo quel giorno. Un punto di svolta per capire qualcosa della vita? No, solo il moltiplicarsi di domande, ricerche, tentativi di comprendere cosa sia accaduto e, soprattutto, cosa avverrà. In un certo senso, la vita di sempre portata al suo limite estremo, quando si è aggrediti da qualcosa che potrebbe portarsi via le parole, le immagini, i gesti, le azioni, le relazioni, i ricordi… il tempo.

Bianco è il colore del danno è allora un libro autobiografico nel quale Francesca Mannocchi condivide delle esperienze, delle riflessioni, dei sentimenti, dei documenti. Nessuna concessione per una solida costruzione, nessuno smercio di materiali utili a edificare e oscurare le rovine. Il lettore non ne uscirà migliore o consapevole, affranto o consolato. Sbatterà contro la fragilità di Mannocchi e di riflesso contro la propria. Tra il delicato e il ruvido, il conflitto e l’accordo, la vicinanza e la distanza.
«Il Dottore ha detto che la malattia era stata una bufera, in quella stanza, una stanza di isolamento esposta all’aria pungente di montagna, una tormenta che si abbatte di colpo, scoperchia i tetti, spalanca porte e finestre, smucchia tutto. Così ha detto: smucchia. Tra la lingua medica e la mia ha scelto una parola che non esiste. Ha ragione lui, la malattia ha fatto così, ha smucchiato. Ora nella stanza tutto è fuori posto, i cassetti sono stati rovesciati: i ricordi, le abitudini, l’ordinario e lo straordinario, il superfluo e l’indispensabile, i progetti, la vita futura e quella passata, tutto è a terra». Il giorno della scoperta del danno coincide con quello in cui nasce una nuova Francesca Mannocchi, una donna che ha perso le coordinate e non ha un navigatore, perché di fatto non esiste un percorso, una strada. La giornalista dell’«Espresso», la scrittrice di Khaled vendo uomini e sono innocente, la regista insieme ad Alessio Romenzi del documentario Isis, Tomorrow, si è congedata, con uno strappo violento, lasciando a un’altra donna il compito di risalire a un senso. Come la precedente, anche questa Francesca sarà in grado di dire «voglio tutto»?

Bianco è il colore del danno non è esclusivamente la storia di una malattia, di una fragilità interiore. È uno sguardo, spesso spigoloso e doloroso, verso il mondo circostante. Sono i ricordi di una famiglia, di un passato fatto di persone, di un presente colmo di ipotesi e punti interrogativi, di episodi che raccontano certamente vicende private, uniche, nelle quali, però, è possibile intravedere qualcosa che si dilata, che sconfina oltre il muro di una casa, di un quartiere, di una città. Il dialogo tra una madre e una figlia, le parole non dette ma solo immaginate e tenute per sé, i pensieri di quella figlia che a sua volta si è fatta madre e che a se stessa e a suo figlio vorrebbe dare delle risposte, delle speranze, si alternano a ritratti di donne e uomini che hanno lottato, sofferto, rinunciato, nascosto, per andare avanti. E poi i pazienti, già anche loro, quelli “come te ma diversi da te”. Tutte figure reali e, al contempo, proiezioni scaturite da un dialogo impossibile tra due donne, quella sana di ieri, quella malata di oggi.
Tra i capitoli, riemerge anche una visione politica, se con quel termine si fa riferimento a una dimensione plurale, al continuo intercettarsi di esistenze che condividono il quotidiano della loro esistenza. La ricchezza di alcuni contro la povertà di altri, le libertà relative alla propria condizione sociale, le ingiustizie che colpiscono chi è più debole, la periferia e il centro, naturalmente la sanità, i diritti dei malati e l’accesso alle cure. Bianco è il colore del danno non è perciò solo il terrore di apparire scoperti e indifesi di fronte al tempo che passa inesorabilmente, di essere esposti agli arbitri incontrollabili degli accadimenti. Non si esaurisce con la frammentazione di un’identità e lo “smucchiamento” dei pezzi che la tenevano insieme. È la ricostruzione di più mondi, quello in cui si è, quello dove si desidera essere, quello dal quale si cerca di non scomparire.

Potrebbe essere un libro che la scrittrice rivolge a Francesca, il suo alter ego temporaneo, a suo figlio Pietro per fornirgli degli strumenti ma non spiegazioni, all’amata nonna Rita alla quale è stata promessa una memoria, a sua madre per renderle note le parole non dette e tenute per sé, a suo padre che, invece, proprio di quelle parole ha timore e che alla loro semplice pronuncia attribuisce lo smisurato potere di far esistere qualcosa che si vorrebbe non apparisse mai su questa terra.
«Non posso abitare quella stanza come prima, ma posso mettere ordine nei pezzi che la bufera ha sbalzato a terra. Non posso spostare l’asse del tempo e riportarlo indietro, ma posso provare a non essere schiacciata dal passato e dal futuro». Un continuo, affannoso, precipitoso, arrabbiato, ironico, rincorrere i ricordi, le parole inespresse o dimenticate, le aspettative disattese, gli sguardi che continuamente sorpassano ciò che è osservato. Un dissidio perenne tra l’irraggiungibile perfezione (e poi cos’è la perfezione?) e l’imperfezione che si presenta non invitata sotto forma di danni fisici e psichici, di mondi che non corrispondono ai desideri e alle ambizioni a cui ognuno di noi ha diritto. «Io voglio tutto», anche quando il mosaico non presenta più la stessa figura, anche quando le tessere non coincidono più.

]]>
C’era una volta a… Roma https://www.carmillaonline.com/2021/02/09/cera-una-volta-a-roma/ Mon, 08 Feb 2021 23:01:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64877 di Mazzino Montinari

Nicola Lagioia, La città dei vivi, Einaudi, Torino 2020, pp. 472, € 22,00.

Il tempo corre senza concedersi una tregua, in modo incessante, non possiede una direzione precisa, avanza, deviando, strappando, saltando, rallentando, e poi improvvisamente una virata e lo sguardo si volge all’indietro. Il radicalmente imprevedibile si è trasformato nell’irrevocabile, l’apertura al possibile si è chiusa nella cristallizzazione del già accaduto. È cambiato il punto di vista. Non che sia venuto meno l’appello all’immaginazione, perché nell’incerto presente se appare evidente che quella facoltà umana debba operare per [...]]]> di Mazzino Montinari

Nicola Lagioia, La città dei vivi, Einaudi, Torino 2020, pp. 472, € 22,00.

Il tempo corre senza concedersi una tregua, in modo incessante, non possiede una direzione precisa, avanza, deviando, strappando, saltando, rallentando, e poi improvvisamente una virata e lo sguardo si volge all’indietro. Il radicalmente imprevedibile si è trasformato nell’irrevocabile, l’apertura al possibile si è chiusa nella cristallizzazione del già accaduto. È cambiato il punto di vista. Non che sia venuto meno l’appello all’immaginazione, perché nell’incerto presente se appare evidente che quella facoltà umana debba operare per il futuro, è altrettanto necessario che agisca anche nei confronti del passato, per ricostruire il fragile, per ordinare il confuso, per notare le tenui somiglianze, per ascoltare le assonanze, per cercare di risalire a un senso. Intanto, però, i fatti che potevano andare in modo diverso ora non mutano più, sono congelati, gli incroci di destini che potevano semplicemente risolversi in un lieve contatto hanno prodotto delle macerie. Si può provare a comprendere le cause, i motivi, ma quello che è successo è là, posato nella teca di un tempo andato. Esposto a occhi indiscreti, a dichiarazioni roboanti, al cinismo, alla superficialità, al moralismo portatore d’odio, alla pura e semplice cattiveria, e anche alla riflessione che si prende del tempo (già, ancora il tempo) per la condivisione.

La città dei vivi di Nicola Lagioia è proprio questo tipo di riflessione. L’esibizione di un tempo che corre e si arresta, di un passato che ciecamente procede verso un futuro e di un futuro che si è tragicamente compiuto e guarda al passato interrogandolo senza trovare risposte. Testimonianze, ricordi, opinioni, materiali d’archivio, storie parallele, vicende personali dello scrittore, per un libro articolato, complesso che ha come soggetto un omicidio e due protagonisti: Manuel Foffo e Marco Prato, gli assassini, quelli che hanno agito, che hanno deciso di togliere una vita e di cambiarne altre in modo altrettanto definitivo. Una storia che purtroppo non può evitare di coinvolgere chi, invece, non voleva essere oggetto di narrazione, Luca Varani, la vittima, il ragazzo straziato, stordito da una droga, oggetto di violenze sessuali, mutilato e consegnato a una fine così orribile che non dovrebbero esserci parole, pensieri e riflessioni destinate a un’arte. Eppure, ecco la letteratura, le pagine, lo stile, la critica, il pubblico, il rimando continuo tra realtà e ricostruzione, l’attrazione e la repulsione, il giudizio e la sospensione.


Lagioia è misurato, consapevole delle insidie, delle tentazioni che questa vicenda per sua natura genera. Le affronta, accetta la possibilità di cadere, si mette in gioco con una vicenda personale, è soprattutto abile nel porre il lettore dentro quel tempo di cui si scriveva all’inizio. Che Foffo e Prato, nel frattempo morto suicida, siano assassini non è messo in dubbio, né tanto meno che siano i primi responsabili di ciò che è accaduto nell’appartamento di via Igino Giordani 2. Manuel e Marco, però, hanno avuto la possibilità di prendere sentieri diversi, dal loro primo incontro a capodanno 2016 fino al giorno dell’omicidio, accaduto tre mesi dopo, il 4 marzo. Nessuno degli eventi di quei giorni possedeva il carattere della necessità. Così, nella parte del libro nella quale ci si approssima all’atto finale, si è quasi portati a sperare che le cose possano procedere diversamente come se ci si trovasse sul set di C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino. Si vorrebbe un finale imprevedibile nel quale uno dei protagonisti, anche casualmente, decida di uscire di scena senza che il sangue scorra. Una scelta che, con quella ferocia, non ponga fine alla vita di Luca Varani. Ma in questa storia senza speranza, Sharon Tate è quella vera, e non Margot Robbie.
L’illusione del racconto termina, il sentimento effimero svanisce. Si impone lo sguardo al passato, quello in cui tutto è irrimediabilmente accaduto. E allora subentra un’altra illusione, quella di un destino superiore al quale nessuno può sottrarsi. Persino l’ipotesi della possessione, dell’opera di un demonio, paventata dal colonnello Donnarumma, appare credibile. Perché le tessere se non si ricompongono in un mosaico, devono almeno trovare una forma adatta all’occhio. I fatti, le azioni, il susseguirsi di episodi, gli incastri, si ha quasi la percezione di assistere a un evento straordinario come quando i pianeti si allineano. È solo un effetto ottico, Luca Varani non è una vittima predestinata (che orrore pensarlo), e Manuel Foffo e Marco Prato non sono Edipo. Non hanno fatto niente per conoscere la verità, non sono eroi tragici incastrati in una trama che si prende gioco di loro. Perciò, di nuovo, si torna ad abitare nel caos delle esistenze umane, ognuno con le proprie responsabilità, sofferenze, atrocità.

Nel mondo della doxa, Ledo Prato, Valter Foffo e Giuseppe Varani, i padri, cercano di capire, di giustificare, di ottenere giustizia, ognuno dal proprio punto di vista, isolati nella propria nicchia, incapaci di stabilire una relazione l’uno con l’altro. Sono storditi, distrutti, sopraffatti da qualcosa che hanno subito, che non avevano previsto e che non sanno spiegarsi. E come potrebbero? Una violenza così radicale, che tutto travolge, chi sarebbe in grado di risalire allo spirito, all’autocoscienza? Soli, sono accerchiati e oppressi da una moltitudine che non mostra alcuna attenzione per la vita e la morte, che ottusamente produce e riproduce parole vuote, pesanti per l’animo, ammesso che ne esista uno.
Nomi tutti al maschile in una storia nella quale le donne sono tenute a distanza o decidono loro stesse di ritirarsi. Persino la moglie dell’autore appare come una presenza eterea, coinvolta nelle decisioni quotidiane (nel racconto, ad esempio, Lagioia lascia Roma alla volta di Torino per dirigere il Salone Internazionale del Libro) eppure distante dall’orrore, come la Loretta Bell moglie dello sceriffo di Non è un paese per vecchi, solo prossima agli incubi del marito, quando all’orizzonte si profila l’enigmatica azione sterminatrice di Anton Chigurh.
Sono uomini i carnefici, la vittima, le persone invitate nell’appartamento nei giorni che poi portarono al delitto, lo scrittore, i padri, appunto, e l’olandese, una figura parallela che incombe con intenzioni precise sulla città dei vivi e dei morti, dei visibili e degli invisibili.
Roma, dunque, la città dei vivi, con quel genitivo possessivo e partitivo. È la città che appartiene ai vivi? O sono i vivi che esistono perché appaiono nella città? Tra appartenenza e apparenza si gioca il senso di un luogo nel quale Luca Varani è stato assassinato, Marco Prato si è ucciso, Manuel Foffo è recluso in un carcere. Allo scrittore, come a Orazio l’amico di Amleto, è dato il compito di ricordare che un tempo quei fantasmi erano visibili dentro una città dove una bambina gioca con innocenza mentre altri ragazzini escono dai tombini incatenati dagli orribili desideri dell’umanità. E noi, aspetteremo Fortebraccio per raccontargli delle rovine di Elsinore o calpesteremo distrattamente quelle macerie?

]]>
Una storia italiana https://www.carmillaonline.com/2021/01/22/una-storia-italiana/ Thu, 21 Jan 2021 23:01:41 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64595 di Mazzino Montinari

Sabrina Ragucci, Il medesimo mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2020, pp. 176, € 15,00.

C’era una volta la famiglia Virno. Una dinastia che possedeva terre e coltivava tabacco. Pietro fu l’ultimo a ereditare quella prosperità. Dopo di lui, la terra e il tabacco sparirono. Rimasero i figli, però. E tra questi, Giovanna che, contro la volontà paterna, sposò Mino, un falegname, “non uno con la terra”. Dalla coppia che aveva dimenticato il passato, quello dei Virno, arrivarono Carlo, Angelo, Caterina, Maria e, infine, Paolo. Così inizia Il medesimo mondo [...]]]> di Mazzino Montinari

Sabrina Ragucci, Il medesimo mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2020, pp. 176, € 15,00.

C’era una volta la famiglia Virno. Una dinastia che possedeva terre e coltivava tabacco. Pietro fu l’ultimo a ereditare quella prosperità. Dopo di lui, la terra e il tabacco sparirono. Rimasero i figli, però. E tra questi, Giovanna che, contro la volontà paterna, sposò Mino, un falegname, “non uno con la terra”. Dalla coppia che aveva dimenticato il passato, quello dei Virno, arrivarono Carlo, Angelo, Caterina, Maria e, infine, Paolo. Così inizia Il medesimo mondo di Sabrina Ragucci, artista visiva e qui al suo romanzo d’esordio. Un’opera prima che già dal prologo potrebbe essere intesa come una saga famigliare, se non fosse che a non esistere è proprio la saga. E nemmeno quel senso dell’origine che, ad esempio, nell’Heimat di Edgar Reitz, trasforma l’immaginario villaggio di Schabbach in un autentico protagonista della narrazione.
Dal capostipite Pietro a Giovanna e Mino, per passare poi a uno dei loro figli, Angelo e a chi seguirà, si avverte un estraniamento progressivo. Persone senza memoria, avvolte dall’oblio e dal gelo, cristallizzate e incapaci di avvertire l’altro, gli altri. Non si può dire che siano egoiste, così lontane da loro stesse, dalle emozioni, dai sentimenti, dalle ambizioni.

La storia raccontata da Ragucci inizia nell’immediato dopoguerra, nel 1946, forse nel 1947. Un periodo che nell’immaginario è figurato come quello della ricostruzione e del riscatto, nel quale è stato possibile lasciarsi alle spalle il passato, gli orrori di un’umanità distruttiva e autodistruttiva. È tempo di ricostruire. Di tornare a essere umani. Il presente è qualcosa di passeggero in attesa che giunga un futuro radioso. Così, sempre in quell’immaginario si istituisce un’epica della sofferenza, della povertà, del lavoro, della migrazione, delle famiglie che anche se costrette alla diaspora, alla dispersione, restano idealmente unite, ostinatamente contrarie a ogni forza centrifuga. Insomma un’età dell’oro.
Nel romanzo, però, quest’epica si dissolve, lo spazio per i sogni si contrae, la tripartizione stessa del tempo confluisce in un eterno e indefinito presente. I protagonisti de Il medesimo mondo, viaggiano dall’Italia alla Germania, sono segnati da disgrazie potenzialmente devastanti, infliggono e subiscono violenze, sono parte passiva di una struttura complessa che pretende in serie corpi adatti a lavorare e consumare, procreare e morire. Eppure, quello che sembra un movimento continuo non è altro che un girare a vuoto nel medesimo mondo.
Un romanzo distopico con vista sul passato, verrebbe da suggerire, probabilmente, contro le intenzioni dell’autrice. Se Angelo, “l’uomo senza talento […] che non teme di essere incapace”, avesse incontrato il Rick Deckard creato da Philip K. Dick in Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, non avrebbe superato il test Voigt-Kampff, quello che serviva a individuare l’empatia e dunque, in caso se ne fosse rilevata l’assenza, a identificare gli androidi. Pur senza i baccelli ideati da Jack Finney, quella descritta da Ragucci potrebbe essere un’invasione degli ultracorpi, realizzata in modo invisibile dentro uomini e donne, essi stessi alieni predatori del proprio corpo. Nel mondo di Angelo, Teresa, Lia, Roberta, solo alcuni dei protagonisti del romanzo, non accorre un dottor Miles Bennell che disperatamente racconta la storia allucinante, che urla dell’irreversibile dis-umanizzazione dei suoi simili, che prova a contrastare il nemico silente. Nel medesimo mondo tutto continua a scorrere senza interruzioni anche quando i traumi, i tragici errori, gli incidenti potrebbero ridestare Angelo e le persone che gli stanno (in)volontariamente accanto. I Virno ora sono i Mogliano, ma la memoria non fa il suo lavoro, chi si è perso non sarà trovato perché non verrà cercato.

Il medesimo mondo è una storia di silenziose sopraffazioni, di dolori repressi, di violenze che il più forte esercita sul più debole. E che il più debole lascia che siano esercitate. Vicende nelle quali la parola “resilienza”, quella che oggi sembra obbligatorio utilizzare in ogni contesto, perde di significato, si svuota di quella stucchevole positività: “Teresa – la moglie di Angelo – accende la stufa a carbone, la casa è fredda in inverno. Lo schiaffo che Angelo le ha dato, l’inibizione successiva, la gelosia sempre pronta a manifestarsi le sono sembrate azioni necessarie per arrivare a indossare la divisa della moglie devota; la moglie devota che aspetta il proprio futuro, per gettarselo alle spalle e ricordarlo come un bene prezioso; la moglie devota che, prima di lavarsi, si specchia in camera da letto, nuda, incinta, nello specchio opaco, macchiato da trascurabili chiazze di nero”. Si subisce perché nel medesimo mondo è scomparso il mondo, sono assenti gli altri, c’è solo un’identità che si sposa, che lascia una casa per occuparne e pulirne un’altra, che da un lavoro passa a un altro lavoro per poi dormire e ricominciare a lavorare.
“Cosa si aspetta Angelo dalla figlia? Che riesca a trovare un fidanzato, un fidanzato che la sposi, un marito con cui avere figli, un nipote cui dare il nome del nonno. Angelo si aspetta che Roberta lo curi quando sarà vecchio, che pulisca la casa […]. Da un figlio maschio, Angelo avrebbe avuto l’eternità del cognome, l’illusione di vivere oltre la propria morte, ma Angelo è pragmatico: tra l’eternità e un paio di mutande pulite, iniziamo dalle mutande!”. E così, in questa distopia che trova nel passato, e non in una vaga predizione del futuro, il malessere dell’esistente, arriva Roberta che a diciotto anni “è ormai abbastanza saggia per sapere che ciò che desidera può derivare solo da un misto tra calcolo e indifferenza. Tutto il resto è un contorno, così come l’affetto di circostanza per i parenti e l’impazienza di un eventuale matrimonio che la liberi da loro”.

]]>
La pandemia dilaga, l’eroe s’incammina https://www.carmillaonline.com/2020/11/11/la-pandemia-dilaga-leroe-sincammina/ Tue, 10 Nov 2020 23:01:08 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63337 di Antongiulio Penequo

[Pubblichiamo in anteprima l’introduzione del libro Il viaggio rivoluzionario dell’eroe. Narrare, conoscere, ribellarsi (Mimesis, 2020, pp. 200, € 18,00), curato da Antongiulio Penequo con saggi di Luca Cangianti, Fabio Ciabatti, Gabriele Guerra, Maurizio Marrone, Mazzino Montinari e postfazione di Gioacchino Toni. La pubblicazione sarà in libreria domani. “Con questo libro la narratologia esce dall’accademia e aspira a cambiare il mondo, mentre il Signore degli Anelli, It e Joker prendono posto accanto al Capitale, alle Tesi sul concetto di storia e al Principio speranza.” (Bandella di copertina)]

La [...]]]> di Antongiulio Penequo

[Pubblichiamo in anteprima l’introduzione del libro Il viaggio rivoluzionario dell’eroe. Narrare, conoscere, ribellarsi (Mimesis, 2020, pp. 200, € 18,00), curato da Antongiulio Penequo con saggi di Luca Cangianti, Fabio Ciabatti, Gabriele Guerra, Maurizio Marrone, Mazzino Montinari e postfazione di Gioacchino Toni. La pubblicazione sarà in libreria domani. “Con questo libro la narratologia esce dall’accademia e aspira a cambiare il mondo, mentre il Signore degli Anelli, It e Joker prendono posto accanto al Capitale, alle Tesi sul concetto di storia e al Principio speranza.” (Bandella di copertina)]

La scrittura di questo volume è iniziata quando le mascherine indossate dai giovani in molti paesi del mondo simbolizzavano l’emergere di una nuova soggettività politica, di una rinnovata aspirazione a una vita migliore. Dietro quei dispositivi di protezione dai gas lacrimogeni, lanciati dai corpi militari preposti al mantenimento dello status quo, immaginavamo il caldo sorriso di una comunità umana pronta a impossessarsi del proprio destino, a congedarsi dalla miseria e dall’oppressione di un sistema entropico, incapace di impiegare le proprie immense capacità produttive se non per distruggere la vita e l’ambiente. Quando il libro è stato completato, tuttavia, la mascherina non era più il segno distintivo di una minoranza desiderante all’attacco, ma di una maggioranza aggredita da un nuovo pericoloso virus, confinata nel privato, ridotta a mera somma di monadi terrorizzate e disciplinate.

Le riflessioni del presente lavoro si collocano all’interno di questo spazio simbolico oppositivo, tra soggettività ed eterodirezione, e analizzano le forme che presiedono allo sviluppo della coscienza e dell’azione, o alla loro inibizione. Gli autori si chiedono come sia possibile rendersi conto che nella nostra esistenza contemporanea ci sia qualcosa di profondamente sbagliato; come sia possibile superare l’apatia generata dalla frammentazione dell’Io postmoderno e riconoscere una comunità di simili con i quali progettare mondi nuovi, all’altezza delle nostre capacità, dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni.
Interrogarsi sui meccanismi che generano l’azione umana cosciente nell’attuale situazione di crisi sociale ed economica è di per sé imprescindibile, ma questo tema, nelle pagine che seguono, è affrontato da un’angolazione insolita, prendendo spunto da una strumentazione divenuta nota in narratologia con il nome di “viaggio dell’eroe”, grazie al lavoro di Christopher Vogler. Questo sceneggiatore statunitense ha ripreso gli studi dello storico delle religioni Joseph Campbell condensandoli in un manuale di successo a uso dell’industria cinematografica hollywoodiana1. Secondo Vogler, in tutte le narrazioni è visibile una struttura che pur nelle sue molteplici forme mantiene un carattere invariante: il protagonista, l’eroe per l’appunto, è spinto a intraprendere un’avventura che lo strappa alla realtà quotidiana, portandolo in un “mondo straordinario” nel quale dovrà superare prove mortali nel tentativo di sconfiggere il nemico e riportare a casa un dono capace di restaurare l’ordine violato, causa del suo stesso viaggio. Il progetto di questo libro è dunque, da un lato, il tentativo di mettere alla prova questo pattern per analizzare i dilemmi della presa di coscienza negli ambiti apparentemente lontani della narrativa, della politica e della conoscenza scientifica; dall’altro, una critica di questa stessa struttura, mediante l’analisi di una serie di esempi devianti in cui l’eroe non torna a casa, ma rimane a combattere nel mondo straordinario, oppure torna a casa, ma riparte per nuovi viaggi (come l’Ulisse dantesco, Frodo e il Che), o ancora allunga indefinitamente il proprio percorso come nel caso dell’eroe femminile. Emergono in questo modo tipi di viaggio diversi rispetto a quello concepito da Vogler. La loro natura sbilanciata, incompiuta, circolare potrebbe addirittura configurarsi come struttura narrativa, epistemologica e politica alternativa. All’interno di queste considerazioni, la posizione del midpoint – la “prova centrale” in cui l’eroe ha l’illuminazione che gli permette di vedere la realtà con occhi nuovi e affrontare il nemico nella battaglia finale – è uno dei punti nodali di tale operazione.

Nella retorica mediatica italiana, durante i giorni più drammatici della pandemia, i medici e gli infermieri sono stati insistentemente chiamati “eroi”. I diretti interessati, tuttavia, hanno a più riprese dichiarato di non sentirsi a proprio agio con questa definizione pomposa, preferendo considerarsi professionisti e lavoratori che da sempre svolgono il loro compito in condizioni di disagio e precarietà. Altri commentatori più maliziosi si sono chiesti se lo stato – responsabile dei tagli neoliberisti alla sanità pubblica – si ricorderà, a emergenza rientrata, di coloro che oggi blandisce.
Alle professioni sanitarie è stata inoltre avvicinata quella del poliziotto: “Ciascuno degli agenti di Polizia che in questo momento sono impegnati a fronteggiare la pandemia da Covid-19, è un eroe nazionale”, ha dichiarato la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. L’azione delle forze dell’ordine, infatti, avrebbe accompagnato i cittadini “in una sfida inedita che impone un serio ripensamento delle abitudini di vita e delle libertà fondamentali”2.
Secondo queste accezioni, l’eroe è un individuo straordinario e coraggioso che si mette al servizio di una causa meritevole. Fin qui nulla di male, se non fosse che il passo successivo è quello di esaltare gli aspetti bellici, retorici e patriarcali di questa figura, oscurando altri lati che possono risultare più fecondi. L’eroe che emerge dalla narrazione mediatica, in altri termini, rappresenta in modo monodimensionale e per certi versi fin troppo letterale il soggetto studiato da Campbell e da Vogler. La sua utilità si esaurisce nello spazio di un claim emozionale: si tratta di un eroe conservatore, se non propriamente reazionario, che serve a imbonire le masse e che può, al massimo, riportare la situazione alla normalità precedente alla catastrofe. Tuttavia, come recitava una scritta proiettata su un edificio di Santiago del Cile nell’autunno del 2019, “Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”. Prendendo atto di ciò, l’eroe di cui si occupa il libro è una figura molto più sfaccettata di come viene normalmente raffigurata, al punto di presentare aspetti propriamente rivoluzionari: non ci riporta immancabilmente a casa, alla vita precedente, ma rimane in viaggio nel mondo straordinario.

Dopo due anni di intensi confronti privati e pubblici3, aver scritto dell’eroe proprio quando su scala planetaria infuriava la pandemia del Covid-19, è rilevante per un secondo motivo: l’inizio del viaggio di questa figura archetipica avviene infatti per causa di una catastrofe, il cosiddetto “incidente scatenante” che nelle narrazioni può essere un tradimento, la scomparsa di una persona amata, un torto subito. Si tratta di un collasso del “mondo ordinario” che spinge il protagonista all’azione, al farsi soggetto. Qualcosa di simile avviene anche nella storia della conoscenza e in quella politica. Nella prima assistiamo all’emergere di nuove idee e teorie quando le preesistenti hanno ripetutamente fallito nello spiegare il mondo, generando problemi pratici che mettono a rischio la riproduzione sociale; nella seconda il collasso dello stato dovuto a una guerra persa, a una carestia o a una stessa epidemia, irrobustiscono alternative sociali precedentemente represse che ora si candidano all’egemonia. Da questo punto di vista, la catastrofe distruggendo il mondo ordinario ci svela ciò che è sempre vero, ma abitualmente rimosso: ci sono sempre alternative allo stato di cose presenti, migliori e peggiori.

Luca Cangianti (Cambiare il mondo con un bacio. Narrazione, conoscenza, rivoluzione) analizza l’omomorfismo tra viaggio dell’eroe, rivoluzioni scientifiche e presa di coscienza rivoluzionaria, utilizzando esempi tratti dalla letteratura, dal cinema e dalla memorialistica. Pensiero narratologico, epistemologia kuhniana, sociologia del lavoro, psicologia ed etologia s’intrecciano per spiegare come nasce un soggetto capace di capire, agire e cambiare lo status quo.
Maurizio Marrone (La decisione dell’eroe. Apocalisse, zombie e clown. Tre variazioni) si affida ad alcuni esempi tratti dall’immaginario letterario e cinematografico per affermare che la figura dell’eroe rappresenta il tentativo ostinato della soggettività di costituirsi in quanto tale, vale a dire di dare un senso al mondo e di cambiarlo segnando il passaggio dal soggetto alla comunità. Affinché il viaggio possa dirsi compiuto, tuttavia, questa invariante normativa, che è la matrice trascendentale del suo agire progettante, deve entrare in consonanza con elementi imprevedibili, in altre parole, con le condizioni storiche date e con la potenza oscura e imponderabile della decisione.
Il contributo di Fabio Ciabatti (L’eroe smascherato eppure rivendicato. Dal mito all’utopia passando per Hollywood, il romanzo e la cultura popolare), parte dalla constatazione che l’immaginario hollywoodiano ricorre spesso a un modello antico per i suoi eroi. La prima parte del saggio ha un’attitudine critica nei confronti dell’eroe moderno, inteso come immagine trasfigurata dell’individuo borghese nonostante i suoi mille volti mitologici. La seconda, utilizzando l’arsenale narrativo della cultura popolare, ricerca un altro eroe possibile, presentando figure caratterizzate da una relazione positiva tra individuo e collettività e da un rapporto non pacificato con il mondo. Nella terza, infine, si rivendica la figura dell’eroe a un immaginario antagonista perché essa fa affiorare l’impulso alla felicità e l’urgenza di un’utopia realizzata.
Per Gabriele Guerra (L’eroe e i suoi mondi. Narrazione, verità, comunità) l’eroe trova un’altra sua possibile declinazione nella figura narrativa che racconta la missione compiuta in nome di una comunità, esemplata su quelle di Frodo e di Sam del tolkieniano Signore degli Anelli. Tale narrazione, tuttavia, non è solo mero racconto di fatti avvenuti e trasfigurati in leggenda, ma una costruzione epica e attiva, nel senso di Benjamin (“chi ascolta una storia è in compagnia del narratore”); in tal modo viene a costruirsi una vera e propria circolarità ermeneutica tra eroe protagonista dell’agency, narratore e suo pubblico.
Mazzino Montinari (Lʼeroe nelle tenebre. Torri, trincee e replicanti. Addormentarsi in un mondo che non cambia) mette il multiforme protagonista di questo volume di fronte al suo fallimento, al progetto che non si è realizzato, a quel mancato tendere verso un nuovo mondo con regole del tutto diverse da quelle preesistenti. In un tortuoso e accidentato percorso composto da cinque opere letterarie e dalle corrispettive trasposizioni cinematografiche, l’eroe non trova il midpoint, non prende la decisione fatidica, ergendosi nella migliore delle possibilità, a difensore del mondo così com’è.
Chiude il volume una postfazione di Gioacchino Toni (L’eroe dell’immaginario antagonista) che, dopo essersi soffermato sul caso particolare dell’eroe sportivo nella stagione dei movimenti, tratteggia il viaggio compiuto dagli autori di questo volume nei meandri del mondo degli eroi alla ricerca di figure adeguate all’immaginario antagonista contemporaneo.

Ritornando alle mascherine con le quali si erano aperte queste considerazioni introduttive possiamo immaginare un’ulteriore capovolgimento semiotico di questo dispositivo di protezione che ne faccia nuovamente un simbolo di ribellione al dolore dell’esistenza quotidiana, non più di una minoranza, ma di una maggioranza planetaria temprata dal lungo viaggio attraverso la catastrofe.


  1. Cfr. C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma 2005. 

  2. Adnkronos, 10 aprile 2020. 

  3. I saggi qui raccolti nascono da una serie di interventi pubblicati sulla rivista online “Carmilla” e da un ciclo di incontri pubblici, svoltisi nel biennio 2018-2019 presso la Libreria Caffè Giufà di Roma ai quali sono stati invitati Alberto Prunetti, Vanessa Roghi, Rocco Ronchi e Gioacchino Toni. 

]]>
Carmillafest 2019: ecco il programma! https://www.carmillaonline.com/2019/09/18/carmillafest-2019-ecco-il-programma/ Tue, 17 Sep 2019 22:01:38 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=54646 di Redazione

Care lettrici e cari lettori, il 19 e il 20 ottobre prossimo vi aspettiamo a Bologna al Vag61 – Spazio libero autogestito (via Paolo Fabbri 110) per una due giorni di dibattiti, musica e gastronomia popolare dedicata all’immaginario d’opposizione. Di seguito, ecco a voi il programma!

SABATO 19 OTTOBRE

11.00-13.00 Immaginari alterati Introduce e modera: Valerio Evangelisti

Presentazione di: – AA.VV., Immaginari alterati, Mimesis, 2018 – Sandro Moiso, La guerra che viene. Crisi, nazionalismi, guerra e mutazioni dell’immaginario politico, Mimesis, 2019

Intervengono: Sandro Moiso, Franco Pezzini, Gioacchino Toni

13.30-15.00 [...]]]> di Redazione

Care lettrici e cari lettori, il 19 e il 20 ottobre prossimo vi aspettiamo a Bologna al Vag61 – Spazio libero autogestito (via Paolo Fabbri 110) per una due giorni di dibattiti, musica e gastronomia popolare dedicata all’immaginario d’opposizione. Di seguito, ecco a voi il programma!

SABATO 19 OTTOBRE

11.00-13.00
Immaginari alterati
Introduce e modera: Valerio Evangelisti

Presentazione di:
– AA.VV., Immaginari alterati, Mimesis, 2018
– Sandro Moiso, La guerra che viene. Crisi, nazionalismi, guerra e mutazioni dell’immaginario politico, Mimesis, 2019

Intervengono: Sandro Moiso, Franco Pezzini, Gioacchino Toni

13.30-15.00
Pranzo sociale (non immaginario)

Il mostro allo specchio: identità e alterità
Modera: Gioacchino Toni

15.00-16.30
Presentazione di:
– Paolo Lago, Il vampiro, il mostro, il folle. Tre incontri con l’Altro in Herzog, Lynch, Tarkovskij, Clinamen, 2019
– Franco Pezzini, Tutto Dracula, Odoya, 2018-2019
– Luca Cangianti, I morti siete voi, Diarkos, 2019
– H.G. Wells, O. Welles, WWWW. Wars of the Worlds of Wells and Welles, a cura di Filippo Luti, Tessere, 2018

Intervengono gli autori e i curatori dei libri

16.30-18.30
Proiezione del film Go home – A casa loro, regia di Luna Gualano, Italia, 2018
Interviene: Paolo Lago

18.30-20.30
Italia Fantastica
Modera: Franco Pezzini

Il ciclo di Eymerich: Alberto Sebastiani dialoga con Valerio Evangelisti

Presentazione di:
– Walter Catalano, Gian Filippo Pizzo, Andrea Vaccaro, Guida ai narratori italiani del fantastico. Scrittori di fantascienza, fantasy e horror made in Italy , Odoya, 2018

Dibattito con: Walter Catalano, Valerio Evangelisti, Nico Gallo, Gian Filippo Pizzo.

20.30-22.00
Cena fantastica

22.00
Concerto di Marco Rovelli

DOMENICA 20 OTTOBRE

11.00-13.30
Pagine nere – letteratura noir e sociale
Modera: Walter Catalano

Presentazione di:
– Mauro Baldrati, Io sono El Diablo, Fanucci, 2018
– Walter Catalano (a cura di), Guida alla letteratura noir, Odoya, 2018

Dibattito con: Walter Catalano, Leopoldo Santovincenzo, Pasquale Pede, Mauro Baldrati

13.30-15.00
Pranzo sociale

15.00-16.15
Il viaggio rivoluzionario dell’eroe
Narratologia, movimenti sociali, soggettività
(a cura del Gruppo di Studio Penequo)
Modera: Fabio Ciabatti
Interventi di: Luca Cangianti, Gabriele Guerra, Mazzino Montinari, Maurizio Marrone

Lavoro, letteratura, dignità
16.15-17.30
Modera: Alexik

Presentazione di:
– Valerio Monteventi, Mala Brocca. Storia di ultimi e di dignità, Pendragon, 2019
– Giovanni Iozzoli, L’Alfasuin, Sensibili alle Foglie, 2018

Intervengono gli autori

]]>