Maxiprocesso – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 24 Apr 2025 16:16:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Tutelare il gasdotto, soffocare il conflitto: tre sentenze contro il movimento No TAP https://www.carmillaonline.com/2021/03/21/tutelare-il-gasdotto-soffocare-il-conflitto-tre-sentenze-contro-il-movimento-no-tap/ Sun, 21 Mar 2021 09:00:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65471 di Alexik

“Espressioni come “una protesta pacifica” sono, dunque, non particolarmente utili per descrivere le nostre lotte.  “Protesta pacifica” non significa niente, perché dal punto di vista dello Stato e del Capitale, quando qualcuno si impegna in una protesta è, per definizione, non più in pace: l’atto di protestare è un rifiuto. È il rifiuto di uno status pacificato, è il rifiuto della pretesa che si debba accettare ogni cosa che viene imposta nel nome del progresso e dello sviluppo. Quando l’espropriazione viene contrastata dal rifiuto del soggetto, il soggetto diventa un [...]]]> di Alexik

“Espressioni come “una protesta pacifica” sono, dunque, non particolarmente utili per descrivere le nostre lotte.  “Protesta pacifica” non significa niente, perché dal punto di vista dello Stato e del Capitale, quando qualcuno si impegna in una protesta è, per definizione, non più in pace: l’atto di protestare è un rifiuto.
È il rifiuto di uno status pacificato, è il rifiuto della pretesa che si debba accettare ogni cosa che viene imposta nel nome del progresso e dello sviluppo. Quando l’espropriazione viene contrastata dal rifiuto del soggetto, il soggetto diventa un nemico.”

Potremmo partire dalle parole di Mark Neocleous, pronunciate proprio a Melendugno nell’ottobre 20181, per commentare le sentenze di tre procedimenti contro il Movimento No TAP, conclusi in primo grado il 19 marzo scorso con 88 condanne a pene variabili dai 3 mesi ai 3 anni abbondanti. Condanne raddoppiate, e a volte triplicate, rispetto alle richieste del PM, o inflitte anche a fronte della richiesta di assoluzione da parte del PM stesso.

Sanzionati, dunque, i “muri umani” eretti per impedire il passaggio dei mezzi del cantiere TAP, muri di persone indisponibili ad “accettare ogni cosa imposta nel nome del progresso e dello sviluppo”, come la costruzione di un’opera devastante, pericolosa, inquinante, climalterante.
Sanzionate le corna innalzate verso le truppe antisommossa e il dito medio contro l’elicottero in volo, i lanci di uova e di ciclamini, le violazioni dei fogli di via e le “inosservanze di provvedimenti dell’autorità”.
Condannati con il massimo edittale anche 17 compagne e compagni a cui  è stato negato lo status di parti lese, dopo essere stati braccati, feriti, umiliati, sequestrati mentre erano di ritorno dai cancelli del cantiere, dove avevano semplicemente intonato dei cori2. Inutile dire che nessuno procederà contro i loro aguzzini.

Per molti versi questa vicenda processuale infonde una persistente sensazione di dejavu, di cose già viste a circa 1.200 km a nord ovest, presso il Tribunale di Torino.
Per esempio, accomuna gli uffici giudiziari torinesi e salentini la costruzione di maxiprocessi “omnibus”, che raggruppano ipotesi di reato per  fatti commessi in diversi tempi e luoghi e, nel caso del maxiprocesso leccese,  anche completamente scollegati.
Potpourri giudiziari con tantissimi imputati, che tradiscono più la fretta di arrivare a condanna che la volontà di approfondire contesti, dinamiche e reali responsabilità.
Altro particolare comune è l’attrazione che esercitano i movimenti territoriali per i magistrati antimafia. Se Gian Carlo Caselli ha lasciato in Val di Susa un ‘ricordo indelebile’, il maxi processo No TAP ha potuto giovarsi sia di un PM che del giudice monocratico provenienti dai processi alla Sacra Corona Unita. Non si tratta probabilmente di un caso fortuito:

La nomina di un magistrato antimafia si inserisce in un solco già tracciato a livello nazionale, per cui si adottano le prerogative dell’antimafia nei reati di ordine pubblico. Da anni questa tendenza sempre più generalizzata associa i reati tipicamente ascrivibili all’area del dissenso e della conflittualità politica a quelli della criminalità organizzata, e lo fa attraverso l’accostamento dell’antimafia all’antiterrorismo… In questo modo nella prassi giudiziaria e nella strutturazione e interpretazione delle norme si è assottigliata, fino quasi a scomparire, la distinzione tra l’ambito del conflitto sociale e quello dell’eversione3.

Nella stessa direzione si colloca la scelta delle aule bunker come location dei  processi contro i movimenti,  scelta atta a suggerirne l’equiparazione con le grandi organizzazioni criminali.
Anche a Lecce, come a Torino, ci sono testimoni che pesano come piume ed altri come montagne. Infatti, secondo le dichiarazioni del giudice monocratico, “la testimonianza di un pubblico ufficiale è da considerarsi già di per sé veritiera”.
Anche a Lecce, come a Torino, i procedimenti che tutelano le grandi opere dalle proteste popolari corrono “ad alta velocità”4. I tre processi contro il movimento No TAP, con 126 imputati, sono arrivati a sentenza di primo grado in appena 7 mesi, con udienze pressoché settimanali, addossando alla difesa un carico di lavoro immane, anche per la mole di materiale videoregistrato da consultare.
Mentre il calendario delle udienze contro il movimento, nonostante l’emergenza COVID-19, non ha subito modifiche, un altro processo, che vede imputata per disastro ambientale la multinazionale TAP e le aziende appaltatrici, è stato rinviato per pandemia.
Forse nella prospettiva di poter onorare anche questa volta l’antica tradizione italica della chiusura in prescrizione dei procedimenti che riguardano i reati ambientali.

Foto di Baba Paradiso.

A Torino il Tribunale ha fatto da tempo da apripista nel comminare condanne pesanti anche nei casi il cui l’opposizione alle grandi opere si è espressa attraverso modalità assolutamente “gandhiane”.
Emblematiche a proposito le carcerazioni di Dana, Fabiola, e prima ancora di Nicoletta, condannate per aver parlato al megafono o tenuto uno striscione durante una breve manifestazione sull’autostrada A32 .
Il Salento ha seguito l’esempio, e anche sulle condanne del 19 marzo contro il movimento No TAP è stato buttato il carico da 11. Divers* compagni e compagne potrebbero varcare nel tempo la soglia del carcere se la situazione non viene modificata nei successivi gradi di giudizio.
Molte delle condotte sanzionate, in altri tempi (sempre più lontani), probabilmente non avrebbero comportato nemmeno l’apertura di un processo.
Ma c’era bisogno di dare un segnale, perché il gasdotto vuole continuare la sua corsa verso nord, sotto le forme di “Rete Adriatica Snam”, e non tollera altri ostacoli.

Nel dicembre 2020 il Consiglio Europeo ha approvato “l’obiettivo vincolante di una riduzione interna netta di almeno il 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030“, da raggiungere  …. anche tramite “tecnologie di transizione come il gas”, avvallando in questo modo la prospettiva dell’utilizzo del gas come sostituto del carbone.
[Che, per inciso, oltre ad essere un combustibile fossile, è un gas serra molto più potente della CO2, e la sua estrazione e trasporto comportano emissioni fuggitive in atmosfera tali da renderne l’utilizzo più climalterante del carbone stesso.]
Non vengono messi a rischio quindi dal Green New Deal europeo (anzi!) i 32 progetti di interconnessione del gas considerati “di interesse comune” dall’U.E., compresi il TAP, l’EastMed  (dai giacimenti al largo di Israele e Gaza fino alla costa di Otranto) e la Rete Adriatica Snam.
Quest’ultima promette di solcare con un tubo di  120 cm di diametro pieno di gas le aree a maggior rischio sismico della penisola, come la Valle Peligna, i paesi dell’hinterland aquilano, quelli dell’Umbria, delle Marche e dell’Emilia, fino a Minerbio.
In pratica, sfiorando gli epicentri dei più forti terremoti che hanno interessato l’Italia dal 1997 a oggi.
Attualmente il processo di autorizzazione della Rete Adriatica Snam nel tratto Sulmona/Foligno è ancora fermo in attesa di un adeguato studio sulla sismicità, ma esperienza insegna che spesso non bastano le barricate di carta a fermare opere devastanti.
Quando si renderà necessario anche in Abruzzo, Umbria, Marche ed Emilia innalzare “muri umani” contro le ruspe, l’esempio della sentenza salentina rappresenterà un sinistro precedente.

Per questo è il momento di dare un segnale di controtendenza, dimostrando che anche davanti a queste squallide operazioni siamo uniti e solidali con chi subisce rappresaglie per aver difeso i territori, con i loro ecosistemi e comunità umane, in Salento come altrove.
E anche per gratitudine, perché non dimentichiamo che proprio grazie alla Carovana No TAP e all’intervento informativo dei compagni salentini, si è innescato a Minerbio (BO) quel processo di coinvolgimento e attivazione di realtà locali che ha portato al blocco di un pericoloso progetto di sovrappressione degli impianti di stoccaggio del gas gestiti dalla Stogit. E di questo va dato atto proprio a quei compagni e a quelle compagne che oggi subiscono la criminalizzazione giudiziaria.

Support the fight !

Avanti NO TAP !


  1. Mark Neocleous, What is Pacification?, intervento al workshop “Policing Extractivism: Security, Accumulation, Pacification”, Melendugno (LE), 5-6-7 ottobre 2018. QUI la traduzione in italiano. 

  2. Ne abbiamo già parlato su Carmilla nella puntata n.  5 di “Il nemico interno” 

  3. Lecce: processo No Tap, aggiornamenti e qualche riflessione, Comunella Fastidiosa, 12/03/21. 

  4. Sulla velocità dei processi contro il Movimento No Tav, si veda, su Carmilla, la puntata n. 6 di “Il nemico interno“. 

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Il nemico interno/5 https://www.carmillaonline.com/2020/09/10/il-nemico-interno-5/ Thu, 10 Sep 2020 05:14:31 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62695 di Alexik

Che cos’è la violenza ? Quanto ne è permeato il nostro ordinamento giuridico ? Il diritto penale è uno strumento per combatterla o per esercitarla? Domani a Lecce, in due luoghi diversi della città, avranno inizio in contemporanea le udienze per il maxiprocesso contro il movimento No TAP e quelle contro i vertici della società Trans Adriatic Pipeline.

Luoghi diversi, dicevo, perché 92 compagne e compagni salentini che in questi anni si sono oppost* alla devastazione del loro territorio verranno processat* nell’aula bunker attigua al carcere [...]]]> di Alexik

Che cos’è la violenza ?
Quanto ne è permeato il nostro ordinamento giuridico ?
Il diritto penale è uno strumento per combatterla o per esercitarla?
Domani a Lecce, in due luoghi diversi della città, avranno inizio in contemporanea le udienze per il maxiprocesso contro il movimento No TAP e quelle contro i vertici della società Trans Adriatic Pipeline.

Luoghi diversi, dicevo, perché 92 compagne e compagni salentini che in questi anni si sono oppost* alla devastazione del loro territorio verranno processat* nell’aula bunker attigua al carcere della città, mentre i 19 imputati di TAP e appaltatori si accomoderanno presso il tribunale di Lecce.

L’utilizzo delle aule bunker per i processi ai movimenti fa ormai parte di una tradizione consolidata, inaugurata nove anni or sono dalla magistratura di Torino che scelse l’aula bunker del carcere delle Vallette per il dibattimento a carico di due sindaci della Val Susa, inquisiti per una manifestazione No TAV.
Una decisione finalizzata evidentemente ad equiparare i movimenti per la difesa ambientale e sociale alla lotta armata di quasi mezzo secolo fa ed alla criminalità organizzata di ieri e di oggi, a cui l’aula in questione era destinata.
Quei sindaci vennero assolti, ma la criminalizzazione rimase.
Contro il movimento No TAV venne ancora ampiamente utilizzata l’aula bunker, così come gli strumenti della legislazione emergenziale sviluppati contro le organizzazioni armate ed applicati a un’opposizione popolare1.

La scelta della location ebbe un successo che riuscì travalicare i confini del Piemonte.
A Modena, come ci racconta su Carmilla Giovanni Iozzoli, l’aula bunker adiacente al carcere viene usata per i procedimenti contro gli operai e i sindacalisti del Si Cobas “colpevoli” di lottare alla Alcar Uno e all’Italpizza, in un territorio che ha fatto già da scenario al tentativo (fallito) della procura di trasformare le vertenze per la regolarità salariale in reato di estorsione, il riscatto della dignità del lavoro in attività delinquenziale.

Domani l’aula bunker del carcere di Lecce vedrà alla sbarra 92 compagne e compagni salentin*, riunit* in un maxiprocesso potpourri che accorpa tre procedimenti diversi, per fatti avvenuti in tempi e luoghi differenti.

La contestazione più frequente, con buona pace dei diritti costituzionali, riguarda il reato di manifestazione non preavvisata, attribuito a soggetti responsabili di aver “sventolato bandiere ed esibito striscioni con la scritta No TAP” , “usato il megafono per lanciare appelli e slogan“, “usato un fischietto per attirare l’attenzione dei passanti“.
Alcuni sono accusati di violenza per aver tentato di impedire il transito delle autovetture di TAP stendendosi sul cofano col proprio corpo, o ponendosi di fronte alle macchine.
E’ questa, dunque, la violenza, per gli esegeti del codice penale.

Fra gli imputati di domani vi sono anche i 52 che il 9 dicembre 2017, dopo un corteo contro il gasdotto, raggiunsero a piccoli gruppi attraverso le campagne uno dei cancelli posti a delimitazione dell’area di cantiere di San Basilio (Melendugno), fermandosi ad intonare dei cori di protesta.
Sulla via del ritorno vennero inseguiti nei campi dagli agenti in tenuta antisommossa, con lanci di lacrimogeni e con l’elicottero della polizia di Stato che calava bassissimo sulle loro teste.
Vennero catturati, ammanettati e costretti in ginocchio fra pietre e rovi, con i cellulari requisiti per impedire che chiamassero gli avvocati, aggrediti coi manganelli ad ogni tentativo di protesta.
Una delle ragazze inseguite dagli agenti, che era caduta rompendosi una gamba, rimase a lungo senza soccorso. L’ambulanza del 118, giunta a San Basilio su chiamata di altri manifestanti, venne infatti bloccata al varco e respinta dalle forze dell’ordine, che poi si preoccuparono di portare la compagna non all’ospedale ma alla questura di Lecce.
All’interno della questura, gran parte dei fermati vennero chiusi per ore nelle celle di sicurezza senza poter andare in bagno per molto tempo.
Le donne venivano accompagnate fin sulla soglia dei bagni da agenti di sesso maschile, e una delle compagne ha avuto modo di denunciare insulti sessisti e omofobi giunti a suo carico.
Solo dopo ore di attesa sotto la pioggia battente, gli avvocati presenti vennero informati del fatto che tutti i manifestanti sarebbero stati rilasciati, e che nei loro confronti sarebbe stata formalizzata una denuncia a piede libero per i reati di riunione non preavvisata, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità ed accensioni pericolose2.
Con queste accuse andranno domani a processo, dovendo affrontare la violenza di un giudizio che li vede sul banco degli imputati e non su quello delle parti lese e, prevedibilmente, l’ulteriore violenza dell’impunità riservata ai loro aggressori.
Inutile dire che le loro denunce per il trattamento subito rimangono ancora “in fase di indagine e a carico di ignoti”, perché nel Belpaese – come altrove – l’obbligatorietà dell’azione penale è uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale che per altri.

Fra i militanti del movimento molti hanno già ricevuto pesanti sanzioni amministrative (soprattutto per blocco stradale) per aver tentato di ostacolare la costruzione di un’opera devastante, climalterante, platealmente speculativa.
Multe insostenibili per giovani disoccupati e precari o per chi vive del proprio lavoro, con mutuo e figli a carico, in una regione del sud e in tempo di crisi.
La repressione economica è una forma  di violenza ampiamente utilizzata contro i movimenti, secondo un copione ancora una volta sperimentato in Val di Susa3.
Una forma  di violenza particolarmente ricattatoria, nel momento in cui costringe a mettere su un piatto della bilancia la difesa della propria terra, e sull’altro quanto costruito col lavoro di una vita.
Al momento gravano sul Movimento No TAP € 240,000 per sanzioni amministrative a carico dei militanti e € 70,000 per spese legali.

Gravano le sanzioni comminate tramite i  decreti penali di condanna per le violazioni dei fogli di  via, distribuiti dalla questura a piene mani4.
Grava indirettamente il prezzo pagato da chi ha perso il lavoro a causa delle restrizioni nella libertà di movimento, visto che molti destinatari dei fogli di via da Melendugno lavoravano come dipendenti negli alberghi delle sue marine.

Ma al di là dei risvolti economici, al di là dei manganelli e delle restrizioni  alla libertà personale, la violenza più grande è quella degli uliveti espiantati, dei fondali marini distrutti, dei pozzi avvelenati, dei danni irreversibili causati alla Natura.
Alcuni aspetti di questa violenza saranno oggetto del processo contro i vertici di TAP: le violazioni delle prescrizioni della VIA, i lavori svolti in assenza di autorizzazioni ambientali, idrogeologiche, paesaggistiche ed edilizie, gli espianti irregolari.
L’inquinamento delle falde attorno al pozzo di spinta, avvelenate con nichel, arsenico, manganese, bromo e soprattutto cromo esavalente, un potente cancerogeno e genotossico5.
Tutte violazioni al vaglio di una magistratura che non ha comunque fermato il cantiere, attuate all’interno di una Zona Rossa sottratta al controllo popolare per decreto prefettizio, perpetrate davanti a un nutrito schieramento di forze dell’ordine che non solo non le ha bloccate, ma le ha difese manu militari contro una popolazione che voleva impedirle.
Non mi aspetto, dati i precedenti sull’impunità di chi inquina (dal disastro di Seveso all’Ilva di Taranto …), che qualcuno paghi per tutto questo.
Il diritto penale ambientale è strutturato per tutelare il profitto, e non nei tribunali otterremo giustizia.
Ma nel coltivare la capacità di una risposta dal basso, a partire dalla abilità del Movimento di trasformare il terreno della criminalizzazione giudiziaria in una occasione di lotta, in un momento di verità.

 

Sostieni la Cassa di resistenza No TAP !

Ci siamo.

L’11 settembre partirà il maxi-processo contro 92 attivisti notap, colpevoli di aver lottato per difendere un territorio e un ideale.
Quasi cento imputati riuniti in un’aula bunker, di massima sicurezza, come fosse uno di quei processi che fanno la storia dell’avvocatura Italiana.
E noi, in quell’aula, la faremo davvero la storia!
Perché continueremo a camminare a testa alta, rivendicando i diritti di un intero territorio, perché non ci tireremo indietro davanti a chi cerca di imporre un modello di sviluppo anacronistico e imposto.
Perché siamo sempre più convinti di non essere nel torto.
Tutto il territorio é a processo quel giorno.
Tutta quella popolazione che, unita, continua a dire NO a chi vuole costringerci a un sistema estrattivista che non ci appartiene.
Lo stesso 11 settembre andranno a processo anche i vertici di TAP e le ditte esecutrici dei lavori, per reati a nostro giudizio ben più gravi.
E noi saremo presenti anche a quel processo, perché la nostra lotta non si ferma davanti a nulla, la nostra lotta va avanti sempre più forte.
Non si potrà mai processare la voce di una lotta che cerca di difendere il futuro.
Il nostro crimine è soltanto quello di essere in grado di sognare…

Movimento No TAP

 


  1. Per approfondire: Livio Pepino (a cura di), Come si reprime un movimento: il caso TAV. Analisi e materiali giudiziari, Quaderni del Controsservatorio Valsusa, Edizioni Intra Moenia, 2014. 

  2. Avv. Elena Papadia, Difendere i Difensori della Terra. un dossier sulla repressione dei movimenti salentini, opuscolo dell’Associazione Bianca Guidetti Serra, ottobre 2018, pp.56. 

  3. Per approfondire: Prison Break Project, Ultimi  sviluppi  della  criminalizzazione  delle  lotte:  la “repressione  economica, p. 9, luglio 2015. 

  4. Alcune sentenze, come questa, ne hanno ratificato l’illegittimità. 

  5. Agostino di Ciaula, Il rilascio di cromo esavalente da opere realizzate nel cantiere TAP impone la rapida adozione di misure finalizzate alla tutela di ambiente e salute, ISDE, 12 agosto 2019. 

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Mafia è poco https://www.carmillaonline.com/2012/05/21/mafia-poco/ Mon, 21 May 2012 01:29:23 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=4304 di Alessandra Daniele

Falcone-Borsellino.jpgA ogni transizione, in Italia puntuali arrivano le bombe. E le ipotesi su mafia, terrorismo neofascista, e servizi segreti, come se fossero tre cose ben distinte e separate. ”Dire ‘mafia’ è poco” fu la risposta di Giuseppe Ayala alle prime domande dei giornalisti sui mandanti della strage di Capaci. Dire ”mafia” non è mai bastato a spiegare gli orrori d’Italia, e basta ancora meno oggi, che il terrorismo neofascista è diventato un franchise. Pur convinti dell’efficacia della via giudiziaria, credo che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non si siano mai illusi che per combattere il sistema politico-mafioso bastasse [...]]]> di Alessandra Daniele

Falcone-Borsellino.jpgA ogni transizione, in Italia puntuali arrivano le bombe. E le ipotesi su mafia, terrorismo neofascista, e servizi segreti, come se fossero tre cose ben distinte e separate. ”Dire ‘mafia’ è poco” fu la risposta di Giuseppe Ayala alle prime domande dei giornalisti sui mandanti della strage di Capaci. Dire ”mafia” non è mai bastato a spiegare gli orrori d’Italia, e basta ancora meno oggi, che il terrorismo neofascista è diventato un franchise.
Pur convinti dell’efficacia della via giudiziaria, credo che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non si siano mai illusi che per combattere il sistema politico-mafioso bastasse sbattere in galera qualche quadro intermedio della sezione siciliana. Sarebbe stato come pensare di sconfiggere l’Impero arrestando Jabba the Hutt. No, a motivarli era la speranza, in parte dichiarata, che infrangere il secolare tabù dell’impunità mafiosa potesse innescare un progressivo cambiamento nella coscienza collettiva, e quindi nella società. Qualcosa del genere ”Serse sanguina! Può essere ferito, quindi non è un dio invulnerabile. Abbattiamolo!” Era una speranza nella capacità degli italiani di cambiare davvero.
Ed è stata delusa.

Gennaio 1993: proprio quando, fra Tangentopoli, stragi impunite, e crisi economica, gli italiani sembravano ormai avere esaurito qualsiasi fiducia e qualsiasi pazienza, arrivò la spettacolarizzata cattura di Totò Riina, il quale, grazie alla sentenza già definitiva del Maxiprocesso, finì definitivamente all’ergastolo, con tanto di 41 bis. Gli italiani ritrovarono la fiducia.
E la consegnarono a Berlusconi.
Schlimmbesserung.
Non è una bestemmia, anche se a questo punto ci starebbe benissimo. Significa ”tentato miglioramento che in realtà peggiora le cose”, ed è la migliore definizione di ciò che paradossalmente ha prodotto in Italia la fine dell’impunità di Jabba the Hutt: non l’auspicato risveglio delle coscienze, ma al contrario un effetto sedativo, qualcosa del genere ”Serse sanguina! Può essere ferito, quindi non c’è da preoccuparsene più di tanto. Ci penserà Montalbano, quando avrà finito con la vedova ninfomane”.
Come l’esibita incarcerazione di Riina era riuscita non a destabilizzare il sistema politico-mafioso, ma a ristabilizzarlo dopo lo scossone del 1992, così durante l’era Berlusconi i periodici arresti di vice, ex, neo, e pseudo Riini vari hanno consentito al leghista Maroni di spacciarsi per paladino dell’antimafia, proprio mentre nel consiglio dei ministri e in Parlamento continuava ad approvare tutte le peggiori porcate criminogene, e a parare il culo a tutti gli inquisiti più sputtanati (incluso Berlusconi) e mentre nel suo stesso partito si trafficava con la ‘Ndrangheta.
I ricorrenti ”Arresti delle 08.00” (cit. Presta e Dose) le trionfalistiche notizie di intere bande ”sgominate” hanno per vent’anni svolto la funzione d’ingannevole palliativo che attenua i sintomi, mente il tumore continua a crescere e diffondersi.
Certo, il lavoro di quadro intermedio della sezione siciliana ha in effetti subito una precarizzazione, e questo in sé ovviamente è un bene. In cambio però il sistema politico-mafioso è uscito complessivamente rafforzato dalla nuova flessibilità.
Eterogenesi dei fini, e beffarda Nemesi per uomini onesti e coraggiosi che avevano un’opinione troppo alta degli italiani, e dello Stato. Un’opinione che in questi vent’anni non ci siamo saputi meritare.

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