Mattanza – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 10 Apr 2025 22:05:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Mattanza a Oaxaca, Riforma Educativa e Lotta degli Insegnanti: Intervista con Luis Hernández Navarro https://www.carmillaonline.com/2016/06/24/mattanza-oaxaca-riforma-educativa-lotta-degli-insegnanti-intervista-luis-hernandez-navarro/ Thu, 23 Jun 2016 22:00:06 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=31453 di Fabrizio Lorusso

CNTE-1[A 10 anni dal movimento dei professori e dall’esperienza di lotta della APPO, la Assemblea Popolare dei popoli di Oaxaca, lo stato di Oaxaca è di nuovo in fiamme e vive, insieme a vari altri stati, l’escalation della battaglia contro la riforma educativa del governo di Enrique Peña Nieto, che in realtà è una riforma amministrativa e del lavoro che decapita diritti, sindacati e libertà nella professione docente. Domenica 19 giugno undici persone sono state uccise da colpi di arma da fuoco, probabilmente sparati dalla polizia federale, [...]]]> di Fabrizio Lorusso

CNTE-1[A 10 anni dal movimento dei professori e dall’esperienza di lotta della APPO, la Assemblea Popolare dei popoli di Oaxaca, lo stato di Oaxaca è di nuovo in fiamme e vive, insieme a vari altri stati, l’escalation della battaglia contro la riforma educativa del governo di Enrique Peña Nieto, che in realtà è una riforma amministrativa e del lavoro che decapita diritti, sindacati e libertà nella professione docente. Domenica 19 giugno undici persone sono state uccise da colpi di arma da fuoco, probabilmente sparati dalla polizia federale, intervenuta nella comunità di Nochixtlán per sgomberare una strada e un accampamento costruito dai docenti della CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación, Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione), cioè la corrente più combattiva del sindacato nazionale dei lavoratori dell’istruzione, il SNTE. Il primo incontro tra la CNTE e il governo ha stabilito un’agenda di lavori per la settimana prossima, ma nel frattempo gli insegnanti hanno deciso di non sospendere le azioni di protesta in tutto il Paese.]

Parliamo dei dettagli del conflitto, delle prospettive future e del quadro politico e storico in questa intervista con Luis Hernández Navarro, direttore della Sezione Opinioni del quotidiano messicano La Jornada e autore del libro Zero in condotta. Cronache della resistenza degli insegnanti, Messico, Fundación Rosa Luxemburg, Brigadas para leer en libertad (download gratuito link).

Domenica 19 giugno c’è stata una mattanza a Nochixtlán, nella zona mixteca del meridionale stato messicano di Oaxaca. La polizia federale ha attaccato gruppi di manifestanti, abitanti della cittadina e professori della CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación, Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione) e sono rimasti uccise 10 persone. Il 22 giugno è stato aperto un tavolo negoziale e di dialogo tra il Coordinamento, cioè la CNTE, e il Ministero degli Interni. E’ possibile che deve avvenire una strage o repressione per poter aprire un dialogo in Messico? 

Bisogna dare il contesto. E’ passato un anno dall’ultimo dialogo tra la CNTE e il governo federale. L’ultimo s’era chiuso il 4 giugno 2015 e in quell’occasione vari dei leader e dirigente sindacali sono stati portati a Città del Messico su un aereo militare per una riunione nel Campo Militare numero uno con il Ministro degli Interni. Questi segnalò che i maestri dovevano accettare i loro punti chiave, altrimenti sarebbe intervenuta la polizia federale nello stato del Oaxaca. Erano imminenti le elezioni intermedie parlamentari del 2015.

Da allora non c’era stato nessun dialogo formale, e gli accordi presi in quelli precedenti erano stati disattesi dal governo. Allora ecco che arriva un’offensiva più o meno generalizzata del governo contro i docenti che stavano opponendo resistenza alla riforma educativa approvata nel 2013. A Oaxaca è stato soppresso l’Istituto dell’Educazione Statale, sono stati congelati i conti in banca dei dirigenti del sindacato, anche quelli personali, e quelli del sindacato stesso. Si è smesso di pagare i rappresentanti sindacali e dopo c’è stata un’ondata di arresti contro i dirigenti. Prima quello regionale, poi quello di sezione, al punto che oggi sono imprigionati in reclusori di massima sicurezza otto dirigenti, includendo il Segretario Generale, quello organizzativo e quello delle finanze.

Infatti, il recente arresto del Segretario Generale, Rubén Núñez, e di quello organizzativo di Oaxaca, Francisco Villalobos, nel quadro dell’offensiva di lotta della Coordinadora, iniziata lo scorso 15 maggio con uno sciopero a oltranza, è stata la scintilla che ha provocato una serie di blocchi stradali in praticamente tutto lo stato di Oaxaca, ma soprattutto nella zona dell’istmo di Tehuantepec, vicino al Chiapas. Proteste che arrivano addirittura a bloccare le forniture di gasolio dalla raffineria di Salina Cruz.

Nella notte di venerdì 17 giugno cominciano le operazioni di sgombero prima nella zona dell’istmo e poi in altre durante la giornata di sabato. Lì non ci sono state vittime o danni gravi, c’è stata un’attitudine piuttosto flessibile da parte dei manifestanti, dei maestri e dei genitori che li accompagnano nei blocchi stradali. Quando passa la polizia ci sono scontri, lancio di molotov, scaramucce, ma poi la polizia si ritira e si risistemano i blocchi stradali.

Ciononostante, a Nochixtlán, tra Tlaxiaco e Huajuapan, nella regione mixteca, la situazione era diversa. Nochixtlán è una comunità indígena, è stata molto importante nei secoli XVIII e XIX, il suo nome significa “luogo della cochinilla” (insetto che si riproduce sulle piante di fico d’india e da cui si ricava un colorante naturale), con la quale si elaborava la tinta rossa e buona parte della ricchezza oaxaqueña viene da lì, dallo sfruttamento di questo colorante. Quel giorno era di mercato, il che significa che era un giorno in cui arrivano più di duemila venditori e compratori, si fa il baratto ed è una giornata chiave per l’economia locale.

C’era un accampamento e un picchetto dei docenti che s’era insediato e avevano fatto dei blocchi stradali durissimi, anche perché come popolo i mixtechi sono molto agguerriti e combattivi. Nella prima operazione di sgombero della polizia la gente ha resistito ma poi ha ceduto. Era ancora abbastanza presto la mattina, ma i poliziotti hanno finito per aggredire le persone della comunità che erano lì per il mercato e allora gli abitanti e la gente del mercato sono stati circondati e incapsulati. Gli altri del villaggio hanno iniziato a suonare le campane per difenderli, per convocare la gente e chiamarla, farla uscire per le strade. Gli accorsi hanno lanciato petardi e la polizia ha risposto sparando e il saldo è quello che abbiamo oggi: 11 morti, uno dei quali non era di questa zona precisamente ma è rimasto ucciso in un altro sgombero vicino alla città di Oaxaca.

Dopo gli scontri c’erano feriti delle comunità e la polizia ha dato istruzioni affinché non venisse prestato loro alcun soccorso negli ospedali. Il presidente municipale (sindaco), un cacicco del PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale, principale forza di governo e partito del presidente Peña Nieto), ha impedito l’uso dell’ambulanza che era stata acquistata con le risorse inviate dai migranti espatriati dalla comunità di Nochixtlán. La gente ha dunque preso a dar fuoco al palazzo municipale e a uno dei ranchos di uno dei parenti più stretti del sindaco che, tra l’altro, è dovuto scappare.

Il governo centrale ha cercato subito di negare i fatti. Prima ha detto che i poliziotti non erano armati, ma dopo, viste le prove video e fotografiche, ed anche grazie alla stampa internazionale, ha dovuto fare marcia indietro e dire che chi ha sparato faceva parte di gruppo di incappucciati e di cecchini, ma questo non è vero, non c’è nessuna testimonianza che lo possa confermare. Tutti i morti sono tra i manifestanti, nel popolo, e non c’è nient’altro da aggiungere.

A partire da quel momento sono continuati gli sgomberi ma anche altri blocchi, per esempio a Hacienda Blanca o a Piedras, ed è andata avanti la situazione di tensione, ma lo scandalo che è venuto fuori ha obbligato in effetti il governo a cambiare idea e negoziare, ad aprire un dialogo.

Sul dialogo che inizia il 22 giugno, tra la Comisión Nacional Única de Negociación, stabilita dalla Assemblea Nazionale della CNTE, e il Ministro degli Interni, Miguel Ángel Osorio Chong, ¿che possibilità o margini vedi per la CNTE in un dialogo che, secondo le parole del Ministro dell’Istruzione, Aurelio Nuño, sarà su questioni politiche e non sulla riforma educativa?

Mettere a sedere il governo e farlo negoziare è già un trionfo di per sé perché era da un anno che non succedeva. Il punto di partenza sono gli accordi che c’erano già dal 4 giugno 2015. Questo è sicuramente un punto che verrà fuori. La CNTE sta proponendo la discussione sul progetto educativo per il Paese, il Ministro dell’Istruzione può dire quel che vuole, ma non può condizionare e decidere su cosa sarà il dialogo, no? In altre parole in quest’occasione la Coordinadora propone i suoi punti di vista con vari punti chiave: per prima cosa, il problema della repressione, dei prigionieri politici, della giustizia per le persone assassinate e il reintegro dei docenti licenziati in queste settimane di rappresaglie governative, e poi l’altra cosa è che si dovrà trovare un’uscita per la discussione sulla trasformazione dell’educazione in Messico. Questa resistenza della CNTE dura da più di tre anni e non hanno potuto fermarla. E’ iniziata nel 2013, anche se la CNTE è nata nel 1979 e ha una lunga tradizione di lotte. In questi ultimi tre anni e mezzo ci sono stati scioperi nazionali, proteste, convegni e c’è dunque una persistenza della protesta con cui alla fine si deve negoziare. Il governo ha scommesso durante un anno sul debilitamento delle manifestazioni e i risultati sono davanti ai nostri occhi: non c’è un debilitamento.

Ultimamente la CNTE ha guadagnato più legittimazione a livello nazionale e anche internazionale. Da maggio ha ripreso l’iniziativa di lotta dura e un certo protagonismo, con una crescente approvazione di parte dell’opinione pubblica, nonostante un accerchiamento mediatico ostile. C’è stata una certa presenza “ciclica” a partire dall’accampata che la CNTE ha realizzato nella piazza centrale di Città del Messico nel 2013 e ci sono momenti di maggiore forza negoziale e presenza mediatica. Che ne pensi?

Sì, ci sono state proteste, dopo lo sgombero dell’accampamento del 2013, praticamente tutte le settimane in tutto il Paese. Sono proteste di vario tipo, alcune sono di massa e altre no, ma stiamo parlando di mobilitazioni generalizzate, anche se con momenti di acme e altri di relativa stanca, e sono di carattere nazionale, per quanto i media stranieri non vogliano vederle o parlarne.

Considerando la lettera in solidarietà alla CNTE, di cui sei firmatario, e il sostegno ai docenti da parte dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, del Consiglio Nazionale Indigeno, del vescovo di Saltillo, Raul Vera, di Padre Solalinde e tante altre personalità, organizzazioni e collettivi in queste settimane, credi siano possibili la costituzione di un movimento nazionale più ampio di opposizione e l’opzione di rivedere la riforma educativa?

Il movimento degli insegnanti CNTE in particolare, quello dei docenti più in generale, così come l’istruzione pubblica, sono sotto attacco, non da ora, ma almeno dal 2010, anno in cui l’organizzazione di imprenditori Mexico Primero (Il Messico per primo), diretta da Claudio X. González, ha intrapreso un’offensiva su tutta la linea nei mezzi di comunicazione e con la creazione di un film che si chiama “De Panzazo”, che non è altro che una copia di un altro film fatto dalla destra statunitense, “Waiting for Superman”.  C’è un attacco in corso con una serie di stigmatizzazioni selvagge contro i docenti a cui contribuiscono i mass media e funzionari statali, tra gli altri. E questo ha limitato molto le espressioni di solidarietà e sostegno verso i professori. Credo che oggi questa situazione cominci a cambiare e il movimento trova alleati fuori dalla suo orbita naturale. Digo “alleati” naturali del movimento riferendomi, per esempio, ai genitori degli alunni, specialmente in stati come il Chiapas, Guerrero, Oaxaca e Michoacán, dove gli insegnanti sono gli intellettuali organici delle comunità e dei villaggi rurali. Questa convergenza sociale o alleanza non è mai stata messa in dubbio e non deve essere necessariamente espressa da sigle di partito. Vi partecipano anche movimenti sociali e altri settori sociali.

Ma questo movimento ha avuto grosse difficoltà per fare un salto oltre quest’ambito dei settori, diciamo, “subalterni”, e oggi sta ottenendo risultati nella costruzione di relazioni più importanti con i settori intellettuali, accademici e di altro tipo.

Fino a dove può arrivare un’alleanza di questo è da vedere. In questo paese questo genere di convergenze ha mostrato fragilità, per così dire. Ma ciò che oggi s’è ottenuto è molto importante. Si riuscirà a creare una convergenza nazionale che abbia negli insegnanti la sua colonna vertebrale? Credo di no. A intermittenza la CNTE ci ha provato dalla sua nascita. Nel 1983-84 ha convocato alla creazione un Fronte Nazionale contro l’Austerità e la Carestia e ha creato il Comitato per la Difesa Popolare, cercando di affrontare i primi cicli di riforme neoliberiste e organizzando uno sciopero civico, ma senza successo. Da allora ha provato a costruire un gran fronte nazionale, è un aspetto che fa parte della sua visione del mondo e della politica. Ma s’è scontrata con vari problema per la stessa natura del suo movimento e anche con gli altri movimenti.

CNTE por que protestaCome inquadri il sostegno che recentemente ha offerto alla CNTE il leader di Morena (il partito politico di sinistra Movimento di Rigenerazione Nazionale), l’ex candidato presidenziale Andrés Manuel López Obrador?

E’ un fatto nuovo. La CNTE dalla sua nascita s’è dichiarata come una forza indipendente, chiaramente differenziata dallo Stato, dalle Chiese e da tutti i partiti politici. Come tale non realizza compromessi elettorali di nessun tipo. Non è attraversata dalla dinamica elettorale, ma nelle elezioni scorse per il parlamento e il governo dello stato di Oaxaca c’è stato un orientamento della Sezione 22 della CNTE a favore di un voto di castigo contro i partiti che hanno votato la riforma educativa nell’accordo noto come Patto per il Messico, cioè il PRI, il Verde, il PAN e il PRD. Dunque senza dirlo esplicitamente s’è deciso di sostenere Morena e López Obrador, che si sono opposti alle politiche neoliberiste. In questo contesto varie correnti del movimento degli insegnanti hanno fatto un’alleanza elettorale con Morena per il voto del 5 giugno 2016. Pure in altri stati ci sono stati questi accordi e López Obrador ne ha parlato pubblicamente, ma si tratta di compromessi che si fanno a titolo personale o come corrente, non come movimento degli insegnanti in toto.

Puoi riassumere le differenze tra il coordinamento CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educación) e il sindacato SNTE (Sindicato Nacional Trabajadores de la Educación) e i punti più controversi della reforma “educativa”?

La CNTE (con C) forma parte del SNTE (con S), è una tendenza sindacale dentro il sindacato che punta alla sua democratizzazione. Dalla sua nascita la Coordinadora ha avuto tre grandi obiettivi: democratizzare il sindacato, l’istruzione e il Paese. Ciononostante come corrente agisce all’interno di un sindacato corporativo come il SNTE, il quale mantiene stretti vincoli con il potere, soprattutto la sua dirigenza. La CNTE controlla una parte del sindacato e non la totalità della sua struttura, ma è differente rispetto ai leader istituzionali. E’ una corrente o tendenza di classe all’interno del sindacato in cui i docenti si riconoscono e rivendicano come lavoratori dell’istruzione e non come “classe media”.

La riforma educativa è in realtà una riforma del lavoro e amministrativa, non ha contenuti pedagogici sostanziali, non tocca i grandi problemi nazionali. Quali sono?

Da una parte il ritardo educativo. Per legge è obbligatorio che le persone maggiori di 15 anni abbiano frequentato 10 anni di scuola dell’obbligo. Solo lo ha fatto il 60% della popolazione, ossia almeno 4 messicani su 10 non hanno finito la scuola secondaria di primo livello. Quasi 7 milioni di messicani maggiori di 15 anni vivono nell’analfabetismo, mentre ci sono paesi con molte meno risorse del Messico, come la Bolivia, Cuba o il Venezuela, che sono stati dichiarati dalla UNESCO (ONU) “territori liberi dall’analfabetismo”. Quindi questo problema non viene trattato e nemmeno quello delle disuguaglianze educative. La maggior parte delle risorse si concentra nei grandi centri urbani di modo che il 40% delle scuole in Messico sono del tipo conosciuto come “unitario”. Le scuole unitarie prevedono che nella stessa aula il maestro debba fare lezione simultaneamente a bambini del primo, del secondo e del terzo anno. In queste scuole non ci sono di solito i bagni o l’acqua potabile, il mobilio, le strutture d’accoglienza, eccetera. C’è un’enorme disuguaglianza e la riforma non tocca quest’aspetto che, tra l’altro, è riflesso in modo più profondo dalle grandi differenze socioeconomiche e culturali imperanti nel Paese. Questi elementi non sono incorporati nella riforma.

Ma allora, che obiettivi ha la riforma? Due. Uno, dicono, è che lo Stato recuperi la gestione dell’educazione. Fino ad ora, si dice, l’educazione è stata nelle mani del sindacato, il SNTE, e della CNTE, e adesso lo Stato dice di volerla recupere. Secondo, sostengono, va impulsata un’istruzione di qualità. Ma al momento di definire la “qualità” non sanno definirla. Nell’articolo terzo della Costituzione e nelle leggi secondarie ci sono definizioni diverse e tutto diventa un vero discorso da azzeccagarbugli. E’ un concetto che viene dal mondo dell’impresa, non dalla pedagogia, ma va beh, è un concetto che è di moda…

E allora qual è lo strumento per recuperare la “qualità” e la “gestione” dell’educazione secondo la riforma? La valutazione degli insegnanti. Una valutazione che, dicono gli imprenditori, deve avere conseguenze. E’ intesa come una misurazione basata su un esame standard per tutto il Paese, la stessa prova per le regioni ricche e quelle povere, costruito con risposte a scelta multipla, multiple choice, in cui si devono riempire spazi e risposte e basta. Non è una valutazione per vedere che cosa funziona e cosa no e magari risolvere i problemi, ma è per sanzionare e vigilare i docenti.

Inoltre, per prima cosa va detto che di fatto la riforma crea un regime lavorativo d’eccezione per i docenti, mettendo fine alla certezza del posto di lavoro. Tu prima, quando vincevi un concorso, sapevi che, salvo che vi fossero gravi mancanze, potevi continuare a lavorare come insegnante fino alla pensione. Questo è finito a partire dalla riforma del 2013.

Secondo. L’istruzione di base in Messico è un obbligo per lo Stato. Lo Stato aveva creato un sistema di formazione degli insegnanti a tal fine: sono le “scuole normali”, magistrali, per la formazione docente, un termine che viene dalla Rivoluzione Francese ed è legato alla costruzione “dell’uomo nuovo”. Comunque sia il “nomalismo” prevedeva che coloro che davano lezione fossero diplomati in quelle istituzioni e avessero conoscenze di didattica e della realtà in cui andavano a lavorare. Questo oggi è abolito dalla riforma e qualunque ragioniere, un dentista o un veterinario potranno entrare nel mondo della scuola e fare lezioni in una primaria o elementare, per esempio. E’ la condanna a morte delle scuole normali o magistrali.

Terzo. La riforma procede a privatizzare l’istruzione pubblica nel senso che all’interno del concetto di “autonomia scolastica” si cela la responsabilità per le scuole di procurarsi le risorse per il loro funzionamento e si apre la strada, quindi, all’insediamento in Messico di scuole dell’obbligo “charter” e semiprivate. In questo modo l’educazione pubblica, che secondo la Costituzione deve essere gratuita, va perdendo la gratuità e questo spiega perché c’è un forte sostegno dei genitori degli alunni alle proteste dei maestri.

Praticamente esiste già un sistema semiprivato con rette da pagare.

Sì, se i genitori non possono pagare, vengono sanzionati, i loro figli possono essere esclusi, e questo già succede nei fatti anche se formalmente non si riconosce. I genitori devono pagare quote per la manutenzione delle strutture o per la luce e le spese in modo sempre più preoccupante. E’ come un sistema di rette, quote da pagare, nascosto perché dicono che non è così, ma col concetto di autonomia scolastica si va in quella direzione.

Perché adesso è più facile licenziare gli insegnanti? Per esempio con solo tre assenze ingiustificate…

La regola secondo cui si poteva essere licenziati dopo tre assenze ingiustificate c’era anche prima, ma ora la cosa nuova è piuttosto che il maestro ha una spada di Damocle sulla testa, che sia un ottimo professore o no. Perché deve farsi valutare continuamente e se non passa un esame standardizzato, che valuta allo stesso modo un docente che fa lezione nelle montagne dello stato del Guerrero e uno che sta in una zona di classe media della opulenta città di Monterrey, è rimosso dal posto di lavoro.

Allora, non è che gli insegnanti non vogliano essere valutati, come invece si sente ripetere fino alla nausea dalla stampa (che trasforma una bugia ripetuta mille volte in una verità)?

No, infatti, i docenti dicono che la valutazione è necessaria. Valutano i loro alunni sempre e anche loro stessi sono valutati in quello che era il sistema delle carriere degli insegnanti che c’era prima ed è stato eliminato dalla riforma. Ma quello che dicono è che manca una valutazione per vedere che cosa non funziona e risolvere il problema, per vedere cosa va bene e applicarlo. Manca una valutazione in cui si includano dei pari, dunque dei maestri come loro che conoscono il lavoro, e rappresentanti dei genitori. La valutazione va contestualizzata: un insegnante che deve camminare tre ore per arrivare a scuola perché non esistono i trasporti pubblici non può essere valutato come un prof che ha la sua macchina per andare a lezione. Valutazione sì, ma non punitiva.

La CNTE come corrente e movimento ha delle proposte articolate su queste questioni?

Sì, le puoi trovare su internet in un documento chiamato “Hacia la educación que necesitamos los mexicanos” (Verso l’istruzione di cui abbiamo bisogno noi messicani) ed è stato presentato al Ministero dell’Istruzione e degli Interni nel 2013 senza ottenere risposte.

Anche nel 2006, come in questi giorni, ci sono stati massacri e repressioni di un grande movimento di insegnanti e popolare che diede origine alla APPO (Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca) durante il mandato del governatore del PRI Ulises Ruiz. Nel 2010 era nata un’alleanza tra l’allora neogovernatore di Oaxaca, Gabino Cué, eletto coi voti di destre e sinistre insieme, senza il PRI, e gli insegnanti per cambiare la direzione dell’educazione per lo meno in quella regione. Che somiglianze vedi col 2006 e che cosa è accaduto al patto e all’esperimento educativo che si stava iniziando a Oaxaca?

L’offensiva contro gli insegnanti cominciata nel 2010 a livello nazionale non è stata molto forte a Oaxaca, anzi, lì c’è stata una convergenza tra il governatore Cué e il movimento dei professori che, però, è stata rotta, anche in seguito a minacce d’incarcerazione contro il governatore rivoltegli dal governo federale. Un anno fa quindi è stata spezzata in modo definitivo l’alleanza e Gabino ha tradito i patti che c’erano facendo marcia indietro. Quindi s’è aperta la possibilità che si ripetesse quanto successo a Oaxaca nel 2006 [repressione del movimento dei docenti e quello popolare della APPO con un bilancio di 25 morti e decine di desaparecidos, n.d.t] e credo che sia quello che stiamo vedendo in questi giorni. Il movimento della APPO nel 2006 si concentrò soprattutto nella capitale della regione e adesso le proteste sono più diffuse tra varie zone e questo rende difficile il processo di repressione. Per esempio dopo la strage di Nochixtlán restano in marcia oltre 20 blocchi stradali.

Oltre al gruppo Mexicanos Primero ci sono altri think tanks o agenzie, anche straniere, che promuovono ideologicamente e con finanziamenti la riforma educativa?

C’è un doppio sostegno. Da una parte c’è la OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che ha spinto un’agenda di riforme educative in tutto il mondo, non solo in Messico, e in tutti paesi sviluppati. Dal Brasile al Cile e alla Grecia c’è una politica con linee generali di trasformazione dell’educazione che coincidono con quelle che vediamo qui. La OCSE è diretta da un messicano, l’ex ministro delle finanze José Ángel Gurría, un personaggio dalla sinistra traiettoria qui in Messico.

Ma non possiamo scordare che la riforma educativa in Messico è la copia di quella statunitense, promossa da donazioni di multimilionari come Wharton o Bille Gates, tra gli altri, per cui è stato iniettato molto denaro là per fomentarla e tante linee di azione e convincimento in Messico sono imitazioni dirette del modello americano. Ho citato il film messicano “De Panzazo” che si propone di lottare contro l’istruzione pubblica, i maestri e i sindacati ed è copia dell’americano “Waiting for Superman”…

La accusa comune contro gli insegnanti è che sono “dei corrotti”, che vendono o trasferiscono i loro posti di lavoro, che i loro leader si arricchiscono illecitamente e manipolano le basi. E proprio adesso, nel mezzo del conflitto, ecco che vengono arrestati e chiusi in prigioni di massima sicurezza, come fossero dei pericolosi narcotrafficanti, vari dirigenti sindacali con accuse dubbiose legate a illeciti di tipo economico. C’è una tendenza o un timing del potere giudiziario messicano legato alla congiuntura e alla politica nazionale?

E’ una cosa molto interessante… Perché li si accusa di vendere cattedre o arricchirsi, ma è più un tema di opinione pubblica e media, cioè non esiste nessuna denuncia o condanna penale per questo. Le denunce arrivano per altri presunti reati… Per esempio il Segretario Generale della CNTE, Ruben Nuñez, è accusato di riciclaggio di denaro e le prove di ciò sarebbe fondamentalmente due. Il denaro delle quote sindacali che i maestri danno. Il governo ha bloccato i conti bancari del sindacato e allora gli insegnanti hanno organizzato una cooperazione straordinaria per avere risorse. Questi soldi dei prof sarebbero le “risorse di provenienza illecita” di cui si parla.

La seconda prova sarebbe legata a un accorda stabilito molti anni fa all’interno dell’intero sindacato nazionale, per cui si fanno accordi o contratti con imprese che vendono assicurazioni sulla vita o pure enciclopedie, per esempio. I docenti li ratificano o contrattano individualmente, non è il sindacato che lo fa. La spesa viene loro tolta all’origine dal Ministero dell’Istruzione, si fa un contratto che non firma il sindacato, ma il Ministero, il maestro, l’istituto statale per l’educazione e infine l’impresa fornitrice del servizio. Funziona così in tutto il Paese, già prima dell’arrivo di Rubén Núñez come Segretario della CNTE, ma lui ora è accusato di aver gestito quei soldi, anche se in realtà non passano dalle sue mani perché c’è una commissione a parte che se ne occupa.

Villalobos e altri dirigente sono accusati di aver rubato libri di testo ed è interessante perché è un’accusa del 2014 e la fa una fazione rivale della CNTE che sostiene che in una casa c’era un migliaio di scatole di libri gratuiti destinati alle scuole. In teoria in ogni scatola ci sono 40-50 libri. La domanda è: ma che ci facevano lì in una casa da cui sarebbero poi stati rubati dai dirigenti sindacali? Si suppone che Villalobos e altri hanno dunque rubato libri gratuiti da una casa in cui quei libri non dovevano stare. Queste sono le accuse della magistratura…

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Uccidi il Messaggero: Rubén, Nadia e la Strage dei Giornalisti in Messico https://www.carmillaonline.com/2015/08/07/uccidi-il-messaggero-ruben-nadia-e-la-strage-dei-giornalisti-in-messico/ Thu, 06 Aug 2015 22:00:27 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24367 di Fabrizio Lorusso

ruben-espinosaRubén Espinosa era un reporter, un fotografo scomodo per il potere che aveva lavorato per oltre sette anni nello stato messicano del Veracruz. Aveva 31 anni. Nadia Vera era un’attivista, antropologa del Chiapas e aveva frequentato l’università a Xalapa, capitale del Veracruz. Aveva 32 anni. Entrambi sono morti. Sono stati torturati e in seguito giustiziati con uno sparo alla testa da un gruppo di sicari. Nadia è stata anche violentata prima della fine. La notte di giovedì 30 luglio è stata l’ultima per Nadia e Rubén che l’hanno [...]]]> di Fabrizio Lorusso

ruben-espinosaRubén Espinosa era un reporter, un fotografo scomodo per il potere che aveva lavorato per oltre sette anni nello stato messicano del Veracruz. Aveva 31 anni. Nadia Vera era un’attivista, antropologa del Chiapas e aveva frequentato l’università a Xalapa, capitale del Veracruz. Aveva 32 anni. Entrambi sono morti. Sono stati torturati e in seguito giustiziati con uno sparo alla testa da un gruppo di sicari. Nadia è stata anche violentata prima della fine. La notte di giovedì 30 luglio è stata l’ultima per Nadia e Rubén che l’hanno passata a chiacchierare con due amiche in un appartamento della colonia Narvarte di Città del Messico. Sono state uccise anche loro, le coinquiline di Nadia, e la domestica, Alejandra, che nella giornata del 31 luglio stava prestando servizio in casa delle ragazze. Sono state percosse, poi forse stuprate e infine freddate da un proiettile in testa.

La zona, colonia in spagnolo, Narvarte è nota come un quartiere sicuro e pulito, di classe media ma non troppo chic, vitale con le sue taquerias, le sue cantine per bene e i ristorantini aperti fino a tardi, anche se resta un’area prevalentemente residenziale. Si trova fra il centro storico e il rione coloniale di Coyoacán, nel sud dell’immensa capitale messicana. Venerdì mattina, 31 luglio nella via Luz Savignon le attività sono cominciate normalmente e nessuno avrebbe previsto che in uno dei suoi tanti condomini, al numero 1909 per la precisione, si stesse ammazzando atrocemente. Agli occhi di chi s’illude ancora di vivere in un’isola felice di civiltà e modernità gli orrori della narcoguerra messicana e della violenza paiono arrivare solo attraverso la televisione e comunque da regioni lontane e “selvagge” come il Guerrero, Ciudad Juárez, la frontiera col Guatemala o magari Veracruz.

justicia para lxs cincoE invece no, la morte è proprio qui, in casa e sulla tua strada, questa volta: cinque ragazzi trucidati in un appartamento qualunque di un circondario placido e benestante. Da subito il massacro non passa inosservato, come purtroppo capita con tanti altri, perché non si tratta di un delitto “comune” o di un furto, come sta cercando di far credere la Procura Generale di Giustizia del Distretto Federale (PGJDF), ma di un pluriomicidio, cioè di quattro femminicidi e un omicidio che, oltre a essere crimini gravissimi, costituiscono in questo caso anche attentati contro la libertà d’espressione e di manifestazione. Secondo le denunce lanciate nei mesi scorsi da Rubén e Nadia, che erano consapevoli del pericolo che correvano, potrebbero essere coinvolti direttamente l’intorno politico e gli apparati di sicurezza del governatore di Veracruz, Javier Duarte de Ochoa. Crimini di genere, contro le donne, e nel contempo attacchi violenti e fatali contro attivisti e giornalisti che, a ragione, ripetutamente avevano segnalato le minacce ricevute e temevano per la loro vita.

Il giornalista e fotografo, collaboratore dell’agenzia Cuartoscuro e del settimanale Proceso, Rubén Espinosa Becerril, è stato freddato da un colpo d’arma da fuoco alla testa. Ma i segni sul suo corpo sono testimoni anche di torture e botte. Nadia Vera, attivista originaria del meridionale stato del Chiapas, e altre tre donne sono state violentate, torturate e assassinate con il tiro de gracia, uno sparo o “colpo di grazia” alla testa che si riserva normalmente ai nemici giurati o ai membri di gang rivali. In genere non è un sistema scelto a caso, anzi è un segnale, una minaccia rivolta all’intera società, ai media liberi e ai gruppi coinvolti.ruben narvarte2

Nessun vicino di casa pare aver udito le detonazioni. O semplicemente si opta per non raccontare. Lo stato spesso non è capace di proteggere, come già comprovato in molti altri casi, per cui la fiducia in una denuncia o nelle istituzioni diminuisce. Nemmeno le urla dei ragazzi sarebbero state udite. Eppure lo scempio s’è consumato nel pomeriggio, dopo le 14:13, ossia dopo che Rubén ha inviato un SMS a un amico per dirgli che stava per andarsene dall’appartamento numero 401 di via Luz Savignon dove aveva passato la notte. Sette ore dopo, verso le 21, è stata un’amica delle vittime, affittuaria di una camera, a ritrovare i cadaveri abbandonati nell’appartamento. Esbeidy, infatti, era andata a dormire presto la sera prima perché il giorno dopo doveva lavorare e al suo ritorno, afine giornata, s’è trovata davanti i corpi senza vita delle vittime: uno in sala, uno nel bagno, due in una camera da letto e un altro in un’altra stanza. C’erano Nadia e Rubén, che appunto erano entrati in casa verso le 2 am e s’erano addormentati all’alba, ma anche la studentessa diciottenne Yesenia Quiroz Alfaro, una truccatrice originaria di Mexicali, nella Bassa California. E poi Nicole, una cittadina colombiana ventinovenne, e una donna quarantenne, la domestica, che risponde al nome di Alejandra.

Ma perché commettere un efferato quadruplo femminicidio e un omicidio in questo modo e in pieno giorno? Non per rubare i pochi gioielli e denari sottratti dall’abitazione, come pure ha ipotizzato la procura cittadina. E nemmeno pare verosimile l’ipotesi, avanzata negli ultimi giorni, secondo cui potrebbe esserci di mezzo “il narcotraffico”, vista la nazionalità colombiana di una delle ragazze vittima di femminicidio. Eppure la procura, sostenuta nelle sue elucubrazioni da alcuni mezzi stampa filogovernativi come il quotidiano La Razon, che tra l’altro ha ricevuto e diffuso in anteprima video e documenti che legittimano le narrazioni ufficiali, ha provato anche a far passare questa versione e sta investigando. “Non si scarta nessuna linea”, spiega il sindaco della capitale (Distretto Federale), Miguel Ángel Mancera, facendo eco al suo procuratore, Rodolfo Rios.

Dopo le numerose manifestazioni di piazza del week end, le denunce pubbliche di giornalisti e cittadini e le segnalazioni di istituzioni e organizzazioni internazionali di questi ultimi giorni la procura ha in qualche modo incluso anche una linea d’indagine legata al lavoro da fotoreporter di Espinosa e alle attività politiche di Nadia Vera nello stato del Veracruz. Si parla di elementi come “indizi e testimonianze” e della possibilità di far testimoniare chi potrà essere utile alle indagini. Dichiarazioni piuttosto blande che, solo per il momento, hanno dato una risposta alle interrogazioni dei giornalisti in conferenza stampa ma non alla società civile che annuncia nuove iniziative di protesta per le strade e uno sciopero nazionale il 14 ottobre. D’altronde la linea d’indagine legata all’attività giornalistica resta in secondo piano, non è stata aperta ufficialmente siccome avrebbe un costo politico e d’immagine altissimo. Quindi per ora la procura s’occupa solo dei reati di omicidio, femminicidio e furto, ma fa melina per quanto riguarda l’attacco alla libertà di stampa e i moventi politici e professionali del crimine.

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Gli stessi mass-media che speculano sui pregiudizi della gente e sulla nazionalità presuntamente “a rischio”, perché colombiana, di Nicole hanno anche inventato una presunta “festa”, smentita da una testimone, l’inquilina dell’appartamento sopravvissuta, e dai vicini, che sarebbe stata organizzata la notte prima della carneficina e a cui avrebbero partecipato anche gli assassini. Queste “ipotesi”, che spesso però diventano dei veri e propri depistaggi e manipolazioni dell’opinione pubblica, cercano di far sì che non si parli dei veri motivi che possono nascondersi dietro alle stragi.
In realtà Rubén e Nadia erano scappati a Città del Messico da Veracruz, dove vivevano e lavoravano fino a un paio di mesi fa, per via delle minacce che avevano ricevuto da parte di funzionari statali del governo di Javier Duarte, politico soprannominato el mata-periodistas, “l’ammazza giornalisti”, dato che sono una quindicina i professionisti della comunicazione uccisi nel corso della sua amministrazione nel Veracruz. In un video registrato da una delle telecamere piazzate fuori dall’edificio della zona Narvarte si notano tre uomini incappucciati che escono dal portone e si separano. Sono loro, per ora, i presunti colpevoli degli omicidi: uno cammina con una valigetta, uno se ne va a bordo di un’auto di proprietà della ragazza colombiana e l’ultimo si dilegua con una valigia più grande.

Bene lo sintetizza un estratto dall’appello #MexicoNosUrge che un gruppo di scrittori, intellettuali e giornalisti sta facendo circolare per poi inviarlo al Parlamento Europeo e al governo italiano affinché prendano posizione, condannino e sospendano i trattati che hanno col paese nordamericano: “Non è stato sufficiente fuggire a Città del Messico, considerata finora un porto sicuro in cui ripararsi dalle aggressioni contro la libertà di stampa. Il messaggio è chiaro: non si è sicuri da nessuna parte. Tutti i giornalisti critici devono avere paura perché possono essere raggiunti nelle loro case, torturati e ammazzati”. L’appello comincia col ricordare l’articolo 1 del trattato di libero commercio tra il Messico e l’unione Europea: “Fondamento dell’accordo. Il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come si enunciano nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo” (qui il testo completo dell’appello).

Il massacro di giornalisti, fotografi e comunicatori professionisti di stampa, TV e Web non sembra avere mai fine in Messico. Dal 2000 ad oggi sono oltre un centinaio i giornalisti uccisi (Reporter senza frontiere ne ha contati 88, ma a seconda della fonte la cifra cambia, anche in base ai criteri secondo cui viene considerato un giornalista). Solo nello stato di Veracruz, in cui governa Duarte Lista-de-periodistas-asesinados-900del PRI (Partido Revolucionario Institucional), partito del presidente Enrique Peña Nieto, si contano ben 18 omicidi dal 2000 e 15 dal 2010, anno d’insediamento dell’attuale governatore. Da anni il Messico è ai primi posti nella classifica dei luoghi più pericolosi per l’esercizio della professione giornalistica in compagnia di paesi in guerra come l’Iraq, la Libia, la Siria, l’Afganistan e la Somalia. Secondo l’organizzazione internazionale Article 19 le aggressioni contro la stampa nel primo semestre di quest’anno sono aumentate del 39,26% rispetto allo stesso periodo del 2014 e Veracruz rimane tra le regioni più pericolose al mondo per i reporter. Ci sono stati tre omicidi nel 2015 (Moisés Sánchez, Armando Saldaña y Juan Mendoza) e 18 dal 2000 ad oggi solo in questo stato (link video sui 15 giornalisti uccisi durante durante il mandato di Duarte: https://www.youtube.com/watch?v=ybpCVveH-no&feature=share).

“E va anche capito il constesto, chi è Javier Duarte de Ochoa: tu dagli un po’ di potere a un ignorante ed è questo quel che succede. Perché nemmeno ha consapevolezza del costo politico di niente. Regina Martínez, l’hanno ammazzata, e non è successo niente. Hanno appena ucciso pure Gregorio Jiménez, un altro giornalista, e non è successo niente. Quanti giornalisti assassinati abbiamo e non è successo niente?”, aveva denunciato Nadia Vera in un’intervista recente a RompeViento TV, un canale di Web-TV indipendente (link ultima intervista: http://rompeviento.tv/RompevientoTv/?p=2031) La reporter Regina Martinez lavorava come corrispondente da Veracruz di Proceso e fu assassinata a casa sua il 28 aprile 2012. Aveva 49 anni. Il suo caso commosse l’intero paese e da allora la rivista ha un banner sulla sua pagina web che ricorda quanti giorni sono passati dalla sua morte e l’impunità che ancora oggi regna intorno a quel crimine.
In un’intervista per il documentario “Veracruz: la fossa dimenticata” Nadia aveva aggiunto: “Ci inizia a preoccupare molto perché comincia a aumentare l’indice delle sparizioni dal 2010, con l’entrata di Javier Duarte al governo, la violenza comincia a esplodere; quindi ci preoccupa perché risulta che noi cominciamo a essere il prodotto di cui loro hanno bisogno. A te ti prendono come donna per la tratta, a te come studente per fare il sicario, sta qui il problema, siamo tutti noi che siamo un disturbo per il governo e per i narcos; siamo dinnanzi a due fronti di repressione, quella illegale e quella legale”.
javier-duarte-procesoLe organizzazioni Artículo 19, Centro “Fray Francisco de Vitoria OP”, Centro Miguel Agustín Pro Juárez, Centro de Justicia para la Paz y el Desarrollo, Colectivo de Abogadas y Abogados Solidarios CAUSA, Fundar, el Instituto Mexicano de Derechos Humanos y Democracia, Propuesta Cívica, Servicios y Asesoría para la Paz, la Rete di organismi civili “Todos los Derechos para Todas y Todos” e Resonar hanno espresso la loro preoccupazione per la mattanza di venerdì, un “chiaro messaggio intimidatorio per tutti e tutte i giornalisti e le giornaliste”.

E’ stata lanciata una petizione su Change.org perché venga aperta un’indagine sul Governatore Duarte de Ochoa. Il testo invita la procura del Distretto Federale e quella generale della Repubblica a investigare Duarte e denuncia l’attacco contro la libertà di espressione. Se questo on viene fatto, si spiega, è perché si non si riconosce il legame molto probabile degli omicidi con le minacce ricevute per il lavoro che i due avevano svolto. Sono arrivate subito anche le condanne di Amnesty International, che ha definito come “necessaria” l’apertura di indagini sul lavoro da giornalista di Espinosa e, per il caso delle ragazze, a partire da una prospettiva di genere”, e dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani ha condannato i fatti e “se le indagini confermano che questo aberrante multiplo omicidio ha un nesso con il lavoro giornalistico di Espinosa, saremmo in presenza di un atto gravissimo contro la libertà d’espressione”.

Rubén viveva a Xalapa da più di sette anni e si dedicava a coprire i movimenti sociali e di protesta nella regione di Veracruz. Durante le manifestazioni contro il governatore per l’assassinio della corrispondente della rivista Proceso, Regina Martinez, gli era stato impedito di fare fotografie alla polizia che picchiava alcuni studenti e un funzionario governativo, probabilmente un poliziotto in borghese infiltrato, l’aveva afferrato per il collo dicendogli: “Smetti di fare foto se non vuoi finire come Regina”. La mattina del 9 giugno aveva notato una persona che lo teneva d’occhio e nel pomeriggio aveva visto, questa volta, tre persone in un taxi col motore acceso che gli scattavano fotografie. Uno di loro era lo stesso della mattina. Più tardi altri due uomini vestiti di nero l’hanno pedinato sotto casa (le denunce nell’ultima intervista rilas.ciata dal giornalista: http://rompeviento.tv/RompevientoTv/?p=2003).

Dopo ques’episodio Rubén era tornato a Città dal Messico dalla sua famiglia che risiede nella zona ovest, a Santa Fe. Si era rimesso a lavorare e, ancora il 28 luglio, a poche ore dall’uccisione, aveva pubblicato sul suo account di Instagram (espinosafoto) gli ultimi scatti di una manifestazione contro le espropriazioni per la costruzione dell’autostrada Naucalpan-Toluca, a nord della capitale. I suoi amici raccontano che, soprattutto per la mancanza di un’entrata economica fissa, stava pensando di tornare a Veracruz, ma anche a Città del Messico, comunque, era stato seguito costantemente e perseguitato. Moisés Pablo Nava, editore dell’agenzia di fotografi Cuartoscuro, ha confermato che Rubén sarebbe rimasto a lavorare con loro, dato che era stata avanzata un’offerta concreta di lavoro da parte dell’agenzia.ruben narvarte

Il governatore Duarte s’era particolarmente arrabbiato e pare avesse fatto comprare ed eliminare quante più copie possibile della rivista Proceso quando uscì un numero del settimanale che gli dedicava in copertina una foto di Espinosa in cui il politico è ritratto con un cappellino da poliziotto e campeggia il titolone “Veracruz: stato senza legge”. “Questo delitto segna Città del Messico. Il rifugio è stato violato. Le autorità, e specialmente il sindaco, Miguel Ángel Mancera, sono obbligati a chiarire l’assassinio del nostro compagno. Devono differenziarsi da quelle del governo di Veracruz, il miglior esempio del fatto che l’impunità sia sinonimo di morte”, hanno scritto i colleghi di Espinosa in un comunicato. E continuano: “Lui aveva denunciato minacce, pressioni e persecuzioni. Ha parlato con tutti i colleghi che ha trovato sul suo cammino e con i suoi datori di lavori e ha percorso tutte le redazioni e i media alternativi e le organizzazioni per la difesa della libertà di stampa per denunciare l’impossibilità di realizzare un lavoro giornalistico nel Veracruz, così come il clima di violenza che l’ha costretto a esiliarsi e abbandonare la vita che aveva costruito in quella regione. Anche la paura che aveva per i compagni che restavano nel Veracruz. Ma la violenza di Veracruz l’ha raggiunto nel Distretto Federale”.

mexico periodistasLe intimidazioni e la violenza contro i giornalisti sono solo uno dei meccanismi dello stato messicano, o almeno di varie sue parti e apparati, che vanno a reprimere la dissidenza sociale e a blindare la “democrazia”, gli investimenti, lo sfruttamento delle risorse, l’adesione alle politiche neoliberiste, il modello di paese voluto dalle élite e la sicurezza interna. Il contesto della guerra alle droghe, combattuta con una strategia di “mano dura” e militarizzazione dei territori che si ripercuote sulla popolazione civile, scardinando il tessuto sociale, e sui movimenti di protesta, crea un ambiente propizio per le ripetute violazioni ai diritti umani, denunciate ormai da anni da migliaia di persone e organizzazioni. Le desapariciones forzate, le sparizioni di cittadini messe in atto dalle autorità o dai gruppi criminali in combutta con queste che ammontano a 30mila casi negli ultimi 8 anni e mezzo, sono un altro meccanismo, così come lo sono le “esecuzioni extragiudiziarie” dell’esercito e dei vari corpi di polizia e la cosiddetta “fabbrica del colpevoli”, per cui il sistema di amministrazione della giustizia tende a fabbricare accuse e a incarcerare attivisti e cittadini delle fasce vulnerabili o esposte della società (donne, indigeni, studenti, abitanti di comunità rurali e quartieri o barrios marginali) valendosi di procedure autoritarie e abusive o di legislazioni speciali e repressive approvate ad hoc dai governi locali e nazionali. La società, in particolare i gruppi militanti che lottano per il cambiamento dal basso, si trovano quindi tra due fuochi: da una parte uno stato che non protegge ma minaccia o agisce contro di loro, e dall’altra la criminalità organizzata con cui lo stesso stato, a seconda dei casi, scende a patti o collabora. Senza dubbio anche il femminicidio, lo scempio e l’abuso del corpo delle donne e i delitti contro la libertà di stampa sono parte di un meccanismo che abbiamo visto all’opera in passato e ora di nuovo con il caso di Rubén e Nadia.

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La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica https://www.carmillaonline.com/2014/10/10/la-strage-degli-studenti-in-messico-narco-stato-e-narco-politica/ Thu, 09 Oct 2014 22:00:18 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18018 di Fabrizio Lorusso

Marcha Ayotzinapa 8 oct 179 (Small)Il Messico si sta trasformando in un’immensa fossa comune. Dal dicembre 2012, mese d’inizio del periodo presidenziale di Enrique Peña Nieto, a oggi ne sono state trovate 246, a cui pochi giorni fa se ne sono aggiunte altre sei. Sono le fosse clandestine della città di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero. Tra sabato 4 ottobre e domenica 5 l’esercito, che ha cordonato la zona, ne ha estratto 28 cadaveri: irriconoscibili, bruciati, calcinati, abbandonati. E’ probabile che si tratti dei corpi [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Marcha Ayotzinapa 8 oct 179 (Small)Il Messico si sta trasformando in un’immensa fossa comune. Dal dicembre 2012, mese d’inizio del periodo presidenziale di Enrique Peña Nieto, a oggi ne sono state trovate 246, a cui pochi giorni fa se ne sono aggiunte altre sei. Sono le fosse clandestine della città di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero. Tra sabato 4 ottobre e domenica 5 l’esercito, che ha cordonato la zona, ne ha estratto 28 cadaveri: irriconoscibili, bruciati, calcinati, abbandonati. E’ probabile che si tratti dei corpi interrati di decine di studenti della scuola normale di Ayotzinapa, comune che si trova a circa 120 km da Iguala. Infatti, dal fine settimana precedente, 43 normalisti risultano ufficialmente desaparecidos. “Desaparecido” non significa semplicemente scomparso o irreperibile, significa che c’è di mezzo lo stato.

Vuol dire che l’autorità, connivente con bande criminali o gruppi paramilitari, per omissione o per partecipazione attiva, è coinvolta nel sequestro di persone e nella loro eliminazione. Niente più tracce, i desaparecidos non possono essere dichiarati ufficialmente morti, ma, di fatto, non esistono più. I familiari li cercano, chiedono giustizia alle stesse autorità che li hanno fatti sparire. Oppure si rivolgono ai mass media e a istituzioni che in Messico sono sempre più spesso una farsa, una facciata che nasconde altri interessi e altre logiche, occulte e delinquenziali. E nelle conferenze stampa, senza paura, dicono: “Non è stata la criminalità organizzata, ma lo stato messicano”.

La strage di #Iguala #Ayotzinapa

Marcha Ayotzinapa 8 oct 149 (Small)La sera di venerdì 26 settembre un gruppo di giovani alunni della scuola normale di Ayotzinapa si dirige a Iguala per botear, cioè racimolare soldi. Hanno tutti tra i 17 e i 20 anni. Vogliono raccogliere fondi per partecipare al tradizionale corteo del 2 ottobre a Città del Messico in ricordo della strage  di stato del 1968, quando l’esercito uccise oltre 300 studenti e manifestanti in Plaza Tlatelolco. I normalisti decidono di occupare tre autobus. I conducenti li lasciano fare, ci sono abituati. Sono le sette e mezza, fa buio. Fuori dall’autostazione, però, ad attenderli c’è un commando armato di poliziotti. Fanno fuoco senza preavviso. Sparano per uccidere, non solo per intimidire. Hanno l’uniforme della polizia del comune di Iguala e sono gli uomini del sindaco José Luis Abarca Velázquez e del direttore della polizia locale Felipe Flores, entrambi latitanti da più di una settimana. Ma i pistoleri poliziotti non restano soli a lungo, presto sono raggiunti da un manipolo di altri energumeni in tenuta antisommossa. Il fuoco delle armi cessa per un po’, ma l’attacco è stato brutale, indignante e irrazionale.

La persecuzione continua. Partono altri spari. Muoiono tre studenti, altri 25 restano feriti, uno in stato di morte cerebrale. Per salvarsi bisogna nascondersi, buttarsi sotto gli autobus. Non muoverti, se no gli sbirri ti seccano. Alcuni cercano di scappare, scendono dai bus, il formicaio esplode nell’oscurità. Gli uomini in divisa caricano decine di studenti sulle loro camionette e li portano via. Pare che l’esercito, la polizia federale e quella statale abbiano scelto di non intervenire. Lasciar stare.

Intanto sopraggiungono altri soggetti con armi di alto calibro, narcotrafficanti del cartello dei Guerreros Unidos, una delle tante sigle che descrivono il terrore della narcoguerra e la decomposizione del corpo sociale in molte regioni del paese. Non contenti, i poliziotti, in combutta con i narcos, si spostano fuori città, pattugliano la strada statale che collega Ayotzinapa a Iguala e fermano un pullman di una squadra di calcio locale, los avispones. Assaltano anche quello, pensando che sia il mezzo su cui gli studenti stanno facendo ritorno a casa. Bisogna sparare, bersagliare senza tregua. E ora sono in tanti, narcos e narco-poliziotti, insieme, probabilmente per ordine de “El Chucky”, un boss locale, e del sindaco Abarca.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 234 (Small)Ammazzano un calciatore degli avispones, un ragazzo di quattordici anni che si chiamava David Josué García Evangelista. I proiettili volano ovunque, sono schegge di follia e forano la carrozzeria di un taxi che, sventurato, stava passando di lì. Perdono la vita sia il conducente dell’auto sia una passeggera, la signora Blanca Montiel. Il caso, la mala suerte si fa muerte. Poche ore dopo in città compare il cadavere dello studente Julio Cesar Mondragón, martoriato. Gli hanno scorticato completamente la faccia e gli hanno tolto gli occhi, secondo l’usanza dei narcos. La macabra immagine, anche se repulsiva, diventa virale nelle reti sociali. E si diffondono globalmente anche le testimonianze dirette dell’orrore che stanno rendendo i sopravvissuti.

Le reazioni alla mattanza

Dopo il week end del massacro a Iguala i compagni della normale di Ayotzinapa e i familiari delle vittime e dei desaparecidos si organizzano, reclamano, tornano sul luogo della strage e indicono una manifestazione nazionale per l’8 ottobre a Città del Messico per chiedere le dimissioni del governatore statale, Ángel Aguirre, la “restituzione con vita” dei desaparecidos e giustizia per le vittime della mattanza.

Cresce la pressione mediatica e popolare per ottenere giustizia. Arrivano i primi arresti. 22 poliziotti al soldo delle mafie locali e 8 narcotrafficanti sono imprigionati e la Procura Generale della Repubblica comincia a occuparsi del caso. Alcuni degli arrestati confessano i crimini commessi e parlano di almeno 17 studenti rapiti e giustiziati. Indicano la posizione esatta di tre fosse clandestine in cui sarebbero stati interrati. L’esercito e la gendarmeria commissariano l’intera regione e blindano le fosse comuni che non sono tre, sono sei. La morte si moltiplica. I corpi recuperati sono 28, non 17. I desaparecidos, però, sono 43.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 020 (Small)I numeri non tornano. I familiari non si fidano, chiedono l’invio di medici forensi argentini, specialisti imparziali e qualificati. Ci vorrà tempo per avere certezze, se mai ce ne saranno. I risultati dell’esame del DNA tarderanno ad arrivare almeno due settimane. Nel frattempo, il 7 ottobre, seicento agenti delle polizie comunitarie della regione della Costa Chica, appartenenti alla UPOEG (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero), hanno fatto il loro ingresso a Iguala per cercare “vivi o morti” e “casa per casa” i 43 studenti scomparsi. Altri gruppi della polizia comunitaria di Tixla, autonoma rispetto alle autorità statali, hanno scritto su twitter: “Con la nostra attività di sicurezza stiamo proteggendo la Normale di #Ayotzinapa“.

Dov’è finito il sindaco del PRD (Partido de la Revolución Democrática, di centro-sinistra) José Luis Abarca? E sua moglie, anche lei irreperibile? E cosa fa il governatore dello stato, il “progressista”, anche lui del PRD, Ángel Aguirre? Pare che lui conoscesse molto bene la situazione già da tempo. Il loro partito ha scelto di espellere il sindaco e sostenere il governatore per non perdere quote di potere in quella regione. Abarca ha chiesto 30 giorni di permesso e poi è sparito. Ora è ricercato dalla giustizia e vituperato dall’opinione pubblica nazionale. Aguirre, che non ha potuto impedire la strage né ha bloccato la concessione permesso richiesto dal sindaco prima di scappare, cerca di difendere l’indifendibile e, per ora, non presenta le sue dimissioni. Anzi, scambia abbracci e si fa la foto con Carlos Navarrete, nuovo segretario generale del PRD eletto domenica 5 ottobre.

Narco-Politica

La gravità della situazione è palese, anche perché è nota da anni e non s’è fatto nulla per denunciarla ed evitare la sua degenerazione violenta. José Luis Abarca, sindaco di Iguala al soldo dei narco-cartelli, ha un passato inquietante alle spalle, ma è riuscito comunque a diventare primo cittadino e a piazzare sua moglie, María Pineda, come capo delle politiche sociali municipali, cioè dell’ufficio del DIF (Desarrollo Integral de la Familia), e prossima candidata sindaco. Il giorno della strage la signora Pineda doveva presentare la relazione dei lavori svolti come funzionaria pubblica e, temendo un’eventuale incursione dei normalisti nell’evento, avrebbe richiesto al marito di “mettere in sicurezza” la zona.

Abarca avrebbe quindi lanciato l’operazione contro gli studenti con la collaborazione piena del capo della polizia municipale, suo cugino Felipe Flores. Costui era già noto per aver “clonato” pattuglie della polizia col fine di realizzare “lavoretti speciali” e per i suoi abusi d’autorità. La moglie del sindaco è sorella di Jorge Alberto e Mario Pineda Villa, noti anche come “El borrado” e “El MP”, due operatori del cartello dei Beltrán Leyva morti assassinati. Salomón Pineda, un altro fratello, sta con i Guerreros Unidos dal giugno 2013. In uno degli stati più poveri del Messico, Abarca e consorte prendono, tra stipendi e compensazioni, 20mila euro al mese che pesano direttamente sulle casse comunali.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 175 (Small)“Mi concederò il piacere di ammazzarti”, avrebbe detto nel 2013 il sindaco Abarca ad Arturo Hernández Cardona, della Unidad Popular di Guerrero, prima di ucciderlo, secondo quanto racconta un testimone di questo delitto per cui Abarca non è stato condannato, ma che è depositato in un fascicolo giudiziale.

Il 30 maggio 2013 otto persone scomparvero a Iguala. Erano attivisti, membri della Unidad Popular, un gruppo politico vicino al PRD. Tre di loro sono stati ritrovati, morti, in fosse comuni. La camionetta su cui viaggiavano venne rinvenuta nel deposito comunale degli autoveicoli di Iguala. Human Rights Watch, Amnesty Internacional e l’Ufficio a Washington per gli Affari Latinoamericani chiesero invano alle autorità federali di chiarire il caso, essendoci il fondato sospetto di un’implicazione delle autorità locali. Cinque attivisti sono tuttora desaparecidos.

I sicari con l’uniforme della polizia e quelli in borghese lavorano per lo stesso cartello, quello dei Guerreros Unidos che è in lotta con Los Rojos per il controllo degli accessi alla tierra caliente, la zona calda tra lo costa e la sierra in cui prosperano le coltivazioni di marijuana e fioriscono i papaveri da oppio, che qui si chiamano amapola o adormidera. Le bande rivali sono nate dalla scissione dell’organizzazione dei fratelli Beltrán Leyva, ormai agonizzante. Il 2 ottobre, mentre 50mila persone sfilavano per le strade della capitale per non far sbiadire la memoria di una strage, a Queretaro veniva arrestato l’ultimo dei fratelli latitanti, Hector Beltrán Leyva, alias “El H”, un altro figlio delle montagne dello stato del Sinaloa. “El H” era diventato un imprenditore rispettato. Originario della Corleone messicana, la famigerata Badiraguato, e antico alleato dell’ex jefe de jefes, Joaquín “El Chapo” Guzmán, che sta in prigione dal febbraio scorso, s’era costruito una reputazione rispettabile, onorata. Ma già da tempo il gruppo dei Beltrán s’era diviso in cellule cancerogene e impazzite secondo il cosiddetto effetto cucaracha: scarafaggi in fuga, un esodo di massa per non essere calpestati.

Ed eccoli qui che giustiziano studenti insieme ai poliziotti che, a loro volta, aspirano a posizioni migliori all’interno dell’organizzazione criminale, sempre più confusa con quella statale, e s’occupano della compravendita di protezione e di droga. L’eroina tira di più in questo periodo e Iguala è una porta d’accesso importante, una plaza di snodo. L’eroina bianca del Guerrero è un prodotto che non ha niente da invidiare, per qualità e purezza, a quella proveniente dall’Afghanistan. Anche per questo la regione è la più violenta del Messico da un anno e mezzo a questa parte e ha spodestato in testa alla classifica della morte altri stati in disfacimento come il Michoacan, il Tamaulipas, Sonora, il Sinaloa, Chihuahua, l’Estado de México e Veracruz.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 292 (Small)I responsabili del massacro di Iguala

I poliziotti detenuti accusano Francisco Salgado, uno dei loro capi, finito anche lui in manette, di avere ordinato loro di intercettare gli studenti fuori dalla stazione degli autobus. Invece l’ordine di sequestrarli e assassinarli sarebbe arrivato dal boss mafioso El Chucky. Chucky, come il personaggio del film horror “La bambola assassina” di Tom Holland. Il procuratore di Guerrero, Iñaki Blanco, ritiene che il principale responsabile della mattanza e della desaparición dei 43 normalisti sia il sindaco Abarca che “è venuto meno al suo dovere, oltre ad aver commesso vari illeciti”. Il procuratore parla solo di “omissioni”, promuoverà accuse per “violazioni alle garanzie della popolazione” e la revocazione della sua immunità, ma dal suo discorso non si capisce chi sarebbero tutti i responsabili né come saranno identificati e processati.

Chi ha ordinato ai (narco)poliziotti di fermare i normalisti e di sparare? Com’è possibile che il sindaco e il capo della polizia e delle forze di sicurezza locali, Felipe Flores, siano riusciti a fuggire? Perché i due, ma anche l’esercito e le forze federali, hanno lasciato gli studenti alla mercé della violenza? Perché la polizia prende ordini dai narcos e, anzi, fa parte del cartello dei Guerreros Unidos? Com’è possibile che tutto questo sia tragicamente così normale in Messico? Come mai nessuno l’ha impedito, se già da anni si era a conoscenza della situazione?

Infatti, ci sono prove del fatto che, almeno dal 2013, il governo federale e il PRD hanno chiuso entrambi gli occhi di fronte all’evidenza: José Luis Abarca e sua moglie María Pineda avevano chiari vincoli col narcotraffico e con la morte di un militante come Arturo Hernández Cardona. Ma già dal 2009, quando il presidente era Felipe Calderón, del conservatore Partido Acción Nacional (PAN), la Procura Generale della Repubblica aveva reso pubbliche la relazioni della signora Pineda e dei suoi fratelli con il cartello dei Beltrán Leyva. La polizia di Iguala era in mano ai narcos e sono tantissime le realtà locali in Messico ove predomina questa situazione.

L’esperto internazionale di sicurezza e narcotraffico, il prof. Edgardo Buscaglia, ha parlato di Peña Nieto e di Calderón come figure simili tra loro, come coordinatori del patto d’impunità e della perdita di controllo politico nazionale: “Sono cambiate le facce, ma hanno lo stesso ruolo”.  Perciò, ha segnalato l’accademico, bisogna cominciare dal presidente per trovare i responsabili. Mentre la comunità internazionale “fa come se non stesse accadendo nulla”, nel paese “il denaro zittisce le coscienze collettive” e, secondo Buscaglia, “il sistema giungerà a una crisi e ci sarà una sollevazione sociale in cui si fermerà il paese e soprattutto il sistema economico”.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 129 (Small)Le scuole normali messicane

Resta il fato che sparuti gruppi di studenti, seppur combattivi, di un’istituzione rurale non sono pericolosi trafficanti né rappresentano minacce sistemiche. Perché annichilarli? Forse la storia ci aiuta a ipotizzare delle risposte. Le scuole normali messicane, nate negli anni ’20 e impulsate dal presidente Lázaro Cárdenas negli anni ’30 come baluardi del progetto di educación socialista per il popolo e le zone rurali del paese, sono considerate oggi dalla classe politica tecnocratica come un pericoloso e anacronistico retaggio del passato. Un’appendice inutile da estirpare per entrare appieno nella globalizzazione.

Di fatto i governi neoliberali, dai presidenti Miguel de la Madrid (1982-1988) e Carlos Salinas (1988-1994) in poi, hanno costantemente attaccato e minacciato la sopravvivenza del sistema scolastico delle normali che, ciononostante, ha saputo resistere. La funzione sociale di questi centri educativi è sempre stata fondamentale perché è consistita nell’istruire le classi sociali più deboli e sfruttate, specialmente i contadini e gli abitanti delle campagne, affinché potessero difendersi dai soprusi dei latifondisti e dei politici locali, secondo un chiaro progetto politico-educativo di emancipazione e ribellione allo status quo. L’alfabetizzazione della popolazione rurale e la formazione di maestri coscienti socialmente sembra essersi trasformata in un’anomalia per tanti settori benpensanti, politici e metropolitani.

Anche per questo gli studenti delle normali, in quanto portatori di modelli di lotta e di formazione antitetici rispetto a quelli delle élite locali e nazionali e dei cacicchi della narco-agricoltura e della narco-politica, sono già stati vittime in passato della barbarie e della repressione. Nel dicembre 2011 la polizia ne uccise due proprio di Ayotzinapa durante lo sgombero di un blocco stradale e di una manifestazione. Una violenza smisurata venne impiegata dalla Polizia Federale nel 2007 per reprimere gli alunni di quella stessa cittadina che avevano bloccato il passaggio in un casello della turistica Autostrada del Sole tra Acapulco e Città del Messico. Nel 2008 i loro compagni della normale di Tiripetío, nel Michoacán, furono trattati come membri di pericolose gang e, in seguito a una giornata di proteste e scontri con la polizia, 133 di loro finirono in manette.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 008 (Small)Tradizione stragista

La criminalizzazione dei normalisti va inquadrata anche nel più esteso processo di criminalizzazione della protesta sociale che incalza con l’approvazione di misure repressive, come la “Ley Bala”, che prevede l’uso delle armi in alcuni casi nei cortei da parte della polizia, con l’inasprimento delle pene per delitti contro la proprietà privata e l’ampliamento surreale delle fattispecie legate ai reati di terrorismo e di attacco alla pace pubblica. Tutti contenitori pronti per fabbricare colpevoli e delitti fast track. Il caso di Mario González, studente attivista arrestato ingiustamente il 2 ottobre 2013 e condannato, senza prove e con un processo ridicolo, a 5 anni e 9 mesi di reclusione, sta lì a ricordarcelo.

Ma la “tradizione stragista” e di omissioni dello stato messicano è purtroppo molto più lunga e persistente. Basti ricordare alcuni nomi e alcune date, solo pochi esempi tra centinaia che si potrebbero menzionare: 2 ottobre 1968, Tlatelolco; 11 giugno 1971, “Los halcones”; anni ’70 e ‘80, guerra sucia; 1995, Aguas Blancas, Guerrero; 1997, Acteal, Chiapas; 2006, Atenco y Oaxaca; 2008 y 2014, Tlatlaya; 2010 e 2011, i due massacri di migranti a San Fernando, Tamaulipas; 2014, caracol zapatista de La Realidad, Chiapas; 2014, Iguala; 2006-2014, NarcoGuerra, 100mila morti, 27mila desaparecidos…

La OAS (Organization of American States), Human Rights Watch, la ONU, la CIDH (Corte Interamericana dei Diritti Umani) si sono unite al coro internazionale di voci critiche contro il governo messicano. La notizia delle fosse comuni e della mattanza di Iguala sta cominciando a circolare nei media di tutto il mondo e si erge a simbolo dell’inettitudine, dell’impunità e della corruzione. In pochi giorni è crollata la propaganda ufficiale che presentava un paese pacificato e sulla via dello sviluppo indefinito.

“Estamos moviendo a México”

Marcha Ayotzinapa 8 oct 225 (Small)Gli spot governativi presentano un Messico che si muove, che sta sconfiggendo i narcos e che, grazie alla panacea delle “riforme strutturali”, in primis quella energetica, ma anche quelle della scuola, del lavoro, della giustizia e delle telecomunicazioni, si starebbe avviando a entrare nel club delle nazioni che contano: una retorica, quella delle riforme necessarie e provvidenziali, che suona molto familiare anche in Europa e in Italia e che, in terra azteca, copia pedantemente quella dei presidenti degli anni ottanta e novanta, in particolare di Carlos Salinas de Gortari. Dopo la firma del NAFTA (Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord) con USA e Canada, Salinas preconizzava l’ingresso del Messico nel cosiddetto primo mondo. Invece alla fine del suo mandato nel 1994 l’insurrezione dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) in Chiapas, l’effetto Tequila, la svalutazione, indici di povertà insultanti e la fine dell’egemonia politica del PRI (Partido Revolucionario Institucional, al potere durante 71 anni nel Novecento) attendevano al bivio il nuovo presidente, Ernesto Zedillo (1994-2000).

Oggi Peña Nieto, anche lui del PRI, dopo aver approvato le riforme costituzionali e della legislazione secondaria in fretta e furia, cerca di vendere il paese agli investitori stranieri, mostrando al mondo come pregi gli aspetti più laceranti del sottosviluppo: precarietà e flessibilità del lavoro; salari da fame per una manodopera mediamente qualificata, non sindacalizzata e ricattabile; movimenti sociali anestetizzati; un welfare non universale, discriminante e carente; riforme educative dequalificanti per professori e alunni ma “efficientiste”; stato di diritto “flessibile”, cioè accondiscendente con i forti e spietato coi deboli.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 276 (Small)Il presidente annuncia lo sforzo del Messico per consolidare l’Alleanza del Pacifico, un’area commerciale sul modello del NAFTA per i paesi americani affacciati sull’Oceano Pacifico, e la prossima partecipazione di personale militare e civile alle “missioni di pace dell’ONU” come quella ad Haiti, la missione dei caschi blu chiamata MINUSTAH, che pochi onori e tante grane ha portato al paese caraibico e agli eserciti latinoamericani, per esempio il brasiliano, l’uruguaiano e il venezuelano, che vi partecipano attivamente.

Questa politica da “potenza regionale”, però, deve fare i conti con la cruda realtà. L’inserto Semanal del quotidiano La Jornada del 5 ottobre ha pubblicato un box con un piccolo promemoria: dal dicembre 2012 al gennaio 2014 ci sono stati 23.640 morti legati al narco-conflitto interno, 1700 esecuzioni al mese, con Guerrero che registra, da solo, un saldo di 2.457 assassinii, secondo quanto  riferisce la rivista Zeta in base all’analisi dei dati ufficiali. Nel 2011 Fidel López García, consulente dell’ONU intervistato dalla rivista Proceso (28/XI/2011), aveva parlato di un milione e seicentomila persone obbligate a lasciare la loro regione d’origine per via della guerra. Anche per questo il Messico rischia di trasformarsi in un’immensa fossa comune (e impune).

Ayo foto corteo lungoPost Scriptum. Il corteo.

“¿Por qué, por qué, por qué nos asesinan? ¡26 de septiembre, no se olvida!” (“Perché, perché, perché ci assassinano? Il 26 settembre non si dimentica”).  E’ stato il grido di oltre 60 piazze del Messico e decine in tutto il mondo nel pomeriggio dell’8 ottobre 2014.

“Gli studenti sono vittime di omicidi extragiudiziari, si sequestrano e si fanno sparire non solo studenti ma anche attivisti sociali e quelli che vanno contro il governo […] è una presa in giro verso il nostro dolore, non sappiamo perché fanno questo teatrino politico”. Così ha espresso la sua rabbia Omar García, compagno degli studenti uccisi, in conferenza stampa. L’esercito, che nei tartassanti spot governativi viene ritratto come un’istituzione integra, fatta di salvatori della patria e protettori dei più deboli, ha vessato gli studenti di Ayotzinapa che portavano con loro un compagno ferito:

“Ci hanno accusato di essere entrati in case private, gli abbiamo chiesto di aiutare uno dei nostri compagni e i militari han detto che ce l’eravamo cercata. Lo abbiamo portato noi all’ospedale generale ed è stato lì a dissanguarsi per due ore. L’esercito stava a guardare e non ci hanno aiutato”, continua Omar. “Il governo statale sapeva quello che stavamo facendo, non eravamo in attività di protesta ma accademiche ed è dagli anni ’50 che occupiamo gli autobus e la polizia se li viene riprendere, ma non deve aggredirci a mitragliate”.

Il normalista ha infine parlato del governatore Aguirre: “Il nostro governatore ha ammazzato 13 dirigenti di Guerrero e due compagni nostri nel 2011 e per nostra disgrazia questi sono rimasti nell’oblio. La Commissione Nazionale dei Diritti Umani, cha aveva emesso un monito, non ha più seguito la cosa e il caso è rimasto impune, chi ha ucciso è rimasto libero”.

Perseo Quiroz, direttore di Amnisty in Messico, ha spiegato che non serve a nulla che il presidente Peña si rammarichi pubblicamente dei fatti di Iguala perché “questi incubavano tutte le condizioni perché succedessero, non sono fatti isolati […] lo stato messicano colloca la tematica dei diritti umani in terza o quarta posizione e per questa mancanza di azioni accadono come a Iguala”.

Ayo Polizia comunitaria a AyotzinapaAnche il Dottor Mireles, leader del movimento degli autodefensas del Michoacán e incarcerato dal luglio 2014, ha mandato un messaggio dal carcere solidarizzando con i normalisti di Iguala. Il suo comunicato è importante perché sottolinea il doppio discorso e le ambiguità del governo: da una parte la connivenza narcos-autorità-polizia è la chiave di un massacro di studenti nel Guerrero, per cui i vari livelli del governo sono immischiati e responsabili; dall’altra si mostra una falsa disponibilità al dialogo con gli studenti del politecnico (Istituto Politecnico Nazionale, IPN) che hanno occupato l’università due settimane fa per chiedere la deroga del regolamento, da poco approvato alla chetichella dalle autorità dell’ateneo, che attenta contro i principi dell’educazione pubblica e dell’università. Nonostante le dimissioni della rettrice dell’IPN e l’intimidazione derivata dal caso Ayotzinapa, la protesta studentesca continua, chiede la concessione dell’autonomia all’ateneo (cosa già acquisita da tantissime università del paese) e mette in evidenza la scarsa volontà di dialogo dell’esecutivo.

A San Cristobal de las Casas, nel Chiapas, gli zapatisti hanno proclamato la loro adesione alle iniziative di protesta di questa giornata e in migliaia hanno realizzato con una marcia silenziosa alle cinque del pomeriggio.

L’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) ha emesso un comunicato in cui ha definito il massacro come un “atto di repressione e di politica criminale di uno stato militare di polizia”.

Il sindacato dissidente degli insegnanti, la CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación), era presente alle manifestazioni che sono state convocate in decine di città messicane e presso i consolati messicani in oltre dieci paesi d’Europa e delle Americhe. La Coordinadora ha anche dichiarato lo sciopero indefinito nello stato del Guerrero. Nella capitale dello stato, Chilpancingo, hanno marciato oltre 10mila dimostranti.

A Città del Messico abbiamo assistito a una manifestazione imponente, non solo per il numero dei manifestanti, comunque alto per un giorno lavorativo e stimato tra le 70mila e le 100mila persone, quanto soprattutto per la diversità e il forte coinvolgimento delle persone nel corteo. Hanno risposto alla convocazione dei familiari delle vittime e degli studenti scomparsi centinaia di organizzazioni della società civile, tra cui il Movimento per la Pace e l’FPDT (Frente de los Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco), che sono scese in piazza con lo slogan “Ayotzinapa, Tod@s a las calles” mentre su Twitter e Facebook gli hashtag di riferimento erano  #AyotzinapaSomosTodos e #CompartimosElDolor, condividiamo il dolore.

Ayotzinapa resiste cartelloNel Messico della narcoguerra le mattanze si ripetono ogni settimana, da anni, e così pure si riproducono le dinamiche criminali che distruggono il tessuto sociale e la convivenza civile. Solo che ultimamente non se ne parla quasi più. I mass media internazionali e buona parte di quelli messicani hanno semplicemente smesso d’interessarsi della questione, seguendo le indicazioni dell’Esecutivo.

La strage di Iguala e il caso Ayotzinapa stanno facendo breccia nella cortina di fumo e silenzio alzata dal nuovo governo e dai mezzi di comunicazione perché mostrano in modo contundente, crudele e diretto la collusione della polizia, dei militari e delle autorità politiche a tutti i livelli con la delinquenza organizzata. Sono i sintomi della graduale metamorfosi dello stato in “stato fallito” e “narco-stato”. Disseppelliscono il marciume nascosto nella terra, nelle sue fosse e nelle coscienze, nei palazzi e nelle procure. Smascherano la violenza istituzionale contro il dissenso politico e sociale, aprono le vene della narco-politica ed evidenziano omertà e complicità del potere locale, regionale e nazionale. Per questo Iguala e le sue vittime fanno ancora più male.

[Questo testo fa parte del progetto NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga]

P.S. Mentre stavo per pubblicare quest’articolo, il governo messicano, attaccato da tutti fronti per la strage di Iguala e i desaparecidos di Ayotzinapa, ha annunciato la cattura di Vicente Carrillo, capo del cartello di Juárez. Un altro colpo a effetto al momento giusto per distrarre l’opinione pubblica, ricevere i complimenti della DEA (Drug Enforcement Administration) e provare a smorzare gli effetti dell’indignazione mondiale. A che serve catturare un boss importante se continuano comunque le mattanze come a Iguala e tutto resta come prima?

Galleria fotografica della manifestazione a Città del Messico: LINK

Video Cori e Sequenze del Corteo: LINK

Riassunto Fatti di Iguala – Andrea Spotti/Radio Onda D’urto: LINK

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