Massimo D’Alema – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 31 Mar 2025 16:35:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Un eroe del nostro tempo https://www.carmillaonline.com/2019/10/30/un-eroe-del-nostro-tempo/ Wed, 30 Oct 2019 22:01:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=55768 Abdullah Öcalan, Pace e guerra in Kurdistan, pp. 40; Confederalismo democratico, pp. 40; Liberare la vita – La rivoluzione delle donne, pp. 56; La nazione democratica, pp. 64. Ristampa, riveduta e corretta, a cura delle Edizioni Tabor e di UIKI Onlus. Ogni pamphlet è in vendita al prezzo di 2 euro e si può richiedere presso le Edizioni TABOR – www.edizionitabor.it – tabor@autistici.org oppure presso l’Ufficio Informazioni Kurdistan Italia – info.uikionlus@gmail.com

[Domani 1° novembre si terrà a Roma una manifestazione nazionale in difesa e appoggio della lotta e dell’esperimento politico di confederalismo democratico che le donne e gli uomini [...]]]> Abdullah Öcalan, Pace e guerra in Kurdistan, pp. 40; Confederalismo democratico, pp. 40; Liberare la vita – La rivoluzione delle donne, pp. 56; La nazione democratica, pp. 64. Ristampa, riveduta e corretta, a cura delle Edizioni Tabor e di UIKI Onlus. Ogni pamphlet è in vendita al prezzo di 2 euro e si può richiedere presso le Edizioni TABOR – www.edizionitabor.it – tabor@autistici.org oppure presso l’Ufficio Informazioni Kurdistan Italia – info.uikionlus@gmail.com

[Domani 1° novembre si terrà a Roma una manifestazione nazionale in difesa e appoggio della lotta e dell’esperimento politico di confederalismo democratico che le donne e gli uomini del Rojava stanno portando avanti da anni e, in particolare, in questi giorni nel tentativo di contrastare l’azione militare e diplomatica turca e internazionale tesa ad annientare tale importantissima esperienza di auto-organizzazione, pratica militante e di parità di genere.
In tale contesto, però, occorrerebbe evitare il rischio, a livello di informazione di massa, di far passare in secondo piano la figura del leader politico che è stato alla base della revisione di un pensiero e di una pratica politica, quella del PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan – Partito dei Lavoratori del Kurdistan) che, nato originariamente sulle basi teoriche del marxismo-leninismo, si è andato progressivamente liberando dai cascami nazionalistici e del centralismo partitico di ispirazione stalinista che lo avevano precedentemente caratterizzato.
Abdullah Öcalan, ormai da più di vent’anni detenuto nella prigione di Imrali, aveva già iniziato fin dagli anni Novanta del secolo scorso un percorso di riflessione teorica che lo aveva portato a prevedere il declino storico del sistema degli Stati-nazione imposto al Medio Oriente dall’eredità coloniale. Nella sua analisi il crollo di tale sistema avrebbe prodotto uno scenario di guerre e di crisi: un caos gravido di potenzialità di liberazione se le forze democratiche e rivoluzionarie fossero state in grado di scendere in campo per costruire un’alternativa. Esattamente quello che sta accadendo oggi in Medio Oriente. La ricchezza del pensiero di Öcalan, oltre che nella lucidità delle previsioni, sta proprio nel fatto che il suo pensiero non è mai stato disgiunto dagli sforzi politici e militari per metterlo in pratica, tanto che il movimento da lui fondato ha costituito e costituisce il retroterra (teorico, organizzativo, militare) su cui ha potuto edificarsi il percorso rivoluzionario oggi in atto in Rojava.
I quattro opuscoli appena ripubblicati, in occasione della Conferenza internazionale tenutasi a Roma il 4, 5 e 6 ottobre di quest’anno, permetteranno a tutti i lettori non solo di scoprire o riscoprire, ma anche di confrontarsi con un pensiero ed una proposta politica estremamente stimolante e destinata ad influire in maniera determinante anche sul pensiero e sull’azione di chi si trova oggi ad agire contro il modo di produzione capitalistico e l’imperialismo militare, estrattivista e finanziario in ogni altro angolo del mondo, Occidente compreso.
Ancor più quindi che per la pratica militante e la coraggiosa resistenza alla detenzione che Abdullah Öcalan ha opposto ad un sistema che intendeva e intende annientarlo e destinarlo, insieme alla lotta del popolo curdo, all’oblio, il militante e leader del PKK è diventato un eroe contemporaneo proprio per la volontà, la capacità e il coraggio di rimettere in discussione quei presupposti teorici su cui ancora troppi movimenti sembrano voler riposare, condannandosi così, questi ultimi, all’impossibilità di interagire in maniera propositiva e vincente con le contraddizioni del presente.
Qui di seguito si pubblica un estratto da uno dei quattro pamphlet, proprio a testimonianza della novità propositiva delle riflessioni del militante curdo, non dimentichiamolo mai, catturato ed imprigionato grazie anche al tradimento nel 1999 del governo italiano, retto all’epoca da Massimo D’Alema. S.M.]

Il mio rapimento fu sicuramente un duro colpo per il PKK, tuttavia non fu la causa del suo cambiamento ideologico e politico. Il PKK era stato concepito come un partito con una struttura gerarchica di tipo statale, simile a quella di altri partiti. Una struttura che era, pero, in contraddizione dialettica con i principi di democrazia, libertà e uguaglianza, una contraddizione di principio per ogni partito, quale che sia la sua filosofia. Sebbene il PKK avesse una visione orientata verso la liberta, non eravamo stati capaci di liberare il nostro pensiero dalle strutture gerarchiche.
Un’altra delle contraddizioni principali stava nella ricerca, da parte del PKK, del potere politico istituzionale, sul quale il partito si era formato e allineato. Una struttura volta al potere istituzionale era pero in conflitto con quella democratizzazione della società alla quale il PKK dichiarava apertamente di aspirare. Gli attivisti di un qualsiasi partito di questo genere tendono a farsi dirigere dai loro superiori piuttosto che dalla società, oppure a scalare la gerarchia per salire di posizione.
Tutte e tre le grandi correnti ideologiche fondate su una concezione emancipatrice della società si trovarono di fronte a questa contraddizione. Quando il socialismo reale e la democrazia sociale, come pure i movimenti di liberazione nazionale, cercarono di formulare concetti di società che andassero oltre il capitalismo, non riuscirono a liberarsi dai legami ideologici del sistema capitalista. Presto divennero loro stessi pilastri del sistema capitalista, per il semplice fatto che cercarono il potere politico istituzionale, piuttosto che focalizzare la loro attenzione sulla democratizzazione della società.
Un’altra grande contraddizione fu il valore dato alla guerra nel pensiero ideologico e politico del PKK. Guerra intesa come continuazione della politica, pur con mezzi diversi, e come strumento strategico.
Ciò era apertamente in contraddizione con la percezione di noi stessi come movimento che combatte per la liberazione della società, in base alla quale l’uso della forza armata e giustificabile solo ai fini dell’autodifesa. Tutto quanto va oltre e in aperto contrasto con l’approccio sociale di tipo emancipatore professato dal PKK, dato che tutti i regimi oppressivi della storia erano stati fondati sulla guerra o avevano strutturato le loro istituzioni secondo una logica bellica.
Il PKK credeva che la lotta armata fosse sufficiente per conquistare quei diritti che erano stati negati ai curdi. Una tale concezione deterministica della guerra non e ne socialista, ne democratica, anche se il PKK si considerava un partito democratico. Un partito veramente socialista non si ispira a strutture o gerarchie di tipo statale, ne aspira al potere politico istituzionale, il quale si fonda sulla protezione dei propri interessi e del proprio potere tramite il ricorso alla guerra.
La presunta sconfitta del PKK, che le autorità turche credevano di aver ottenuto con la mia deportazione in Turchia, divenne piuttosto l’occasione per riesaminare in modo critico e aperto le ragioni che avevano impedito al nostro movimento di liberazione di fare ulteriori progressi. La frattura ideologica e politica vissuta dal PKK trasformò la presunta sconfitta in un punto di passaggio verso nuovi orizzonti.1


  1. A. Öcalan, Pace e guerra in Kurdistan, pp. 25-27  

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Strange Fruit https://www.carmillaonline.com/2017/10/22/strange-fruit/ Sun, 22 Oct 2017 19:12:59 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41257 di Alessandra Daniele

PD.jpgDurante le funeree celebrazioni per il decennale del PD, Renzi ha respinto con tono indignato l’accusa di fascismo, protestando ancora una volta la natura democratica e addirittura progressista del suo partito, che è sempre stato il principale rappresentante italiano dell’oligarchia politico-finanziaria che sta trascinando il pianeta alla rovina. Come dice anche la Bibbia, l’albero si riconosce dai frutti. E il sedicente centrosinistra italiano è un albero che produce strani frutti da sempre. Dalla Prima Repubblica, col consociativismo spartitorio DC-PCI e la cosiddetta solidarietà nazionale antiterrorismo che produsse le leggi speciali, alla Seconda Repubblica della definitiva fusione fra i resti di PCI e [...]]]> di Alessandra Daniele

PD.jpgDurante le funeree celebrazioni per il decennale del PD, Renzi ha respinto con tono indignato l’accusa di fascismo, protestando ancora una volta la natura democratica e addirittura progressista del suo partito, che è sempre stato il principale rappresentante italiano dell’oligarchia politico-finanziaria che sta trascinando il pianeta alla rovina.
Come dice anche la Bibbia, l’albero si riconosce dai frutti.
E il sedicente centrosinistra italiano è un albero che produce strani frutti da sempre. Dalla Prima Repubblica, col consociativismo spartitorio DC-PCI e la cosiddetta solidarietà nazionale antiterrorismo che produsse le leggi speciali, alla Seconda Repubblica della definitiva fusione fra i resti di PCI e DC.
Il primo governo Prodi fruttò la precarizzazione del lavoro con la legge Treu.
Il successivo governo D’Alema (colui che adesso si proclama l’ultimo strenuo difensore della sinistra) fruttò la criminale partecipazione dell’Italia alla guerra nella ex Jugoslavia, col bombardamento di Belgrado.
Negli ultimi sei anni nei quali è stato al governo con la destra berlusconiana, il PD ha proseguito l’operazione di sistematica cancellazione dei diritti dei lavoratori, tentando ripetutamente di smantellare la Costituzione antifascista, continuando a partecipare a tutte le guerre neocoloniali disponibili, e finanziando campi di concentramento per la Soluzione Finale del problema immigrazione.
Strani frutti. Gli stessi del pezzo blues di Billie Holiday Strange Fruit sulle vittime impiccate dei linciaggi razzisti.

Blood on the leaves and blood at the root
Black bodies swinging in the southern breeze

È questo il partito per il quale gli scissionisti da riporto dell’MDP si offrono di provare a recuperare una manciata di voti, in cambio d’una scodella sotto al tavolo dei vincitori.
Riverito ospite dalla Gruber, questa settimana Matteo Renzi ha insistito a definire il PD un partito di sinistra. Di tutte le cazzate che ha raccontato nella sua carriera, questa è la più grottesca.
Il Cazzaro ha fallito il compito che gli era stato affidato di liquidare la Costituzione, e ora lo stesso establishment che aveva orchestrato la sua ascesa sta cercando di sostituirlo col più efficiente duo Gentiloni-Minniti. La rissa in Viscoteca Bankitalia che imbarazza il governo è quindi uno scontro tutto interno al sistema di potere rappresentato dal PD, e chiunque lo vincerà a perdere saremo noi.
E continueremo a perdere, finché l’albero degli impiccati non sarà finalmente abbattuto.

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Le Cazzarie https://www.carmillaonline.com/2016/03/13/le-cazzarie/ Sun, 13 Mar 2016 20:00:18 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29126 di Alessandra Daniele

ratatouillePer festeggiare la vittoria alle primarie del PD di Milano, Sala ha usato Heroes. Avrebbe dovuto usare China Girl. A Roma il numero delle schede nelle urne ha superato di parecchio quello dei votanti. Pare abbiano partecipato anche i topi. A Napoli si pagavano i passanti per votare la candidata renziana al posto degli elettori PD. Un caso di primarie surrogate. Il cosiddetto voto in affitto. Il ricorso di Bassolino è stato respinto per affrancatura insufficiente. Nel PD, tanto per cambiare, sono ai materassi. D’Alema e Bersani approfittano dell’occasione [...]]]> di Alessandra Daniele

ratatouillePer festeggiare la vittoria alle primarie del PD di Milano, Sala ha usato Heroes. Avrebbe dovuto usare China Girl.
A Roma il numero delle schede nelle urne ha superato di parecchio quello dei votanti. Pare abbiano partecipato anche i topi.
A Napoli si pagavano i passanti per votare la candidata renziana al posto degli elettori PD. Un caso di primarie surrogate. Il cosiddetto voto in affitto.
Il ricorso di Bassolino è stato respinto per affrancatura insufficiente.
Nel PD, tanto per cambiare, sono ai materassi. D’Alema e Bersani approfittano dell’occasione in cerca di vendetta, riesumando l’orgoglio ulivista. Pride, Primaries, and Zombies.
Se il peggior nemico dei candidati PD è il PD, il miglior alleato è Berlusconi, che a Roma ha candidato il protettore civile Bertolaso, mobilitando i suoi sorci nella capitale per sostenerlo. In realtà, a un Bertolaso senza terremoto la maggioranza dei romani preferirebbe un terremoto senza Bertolaso.
Intanto il centrodestra è già ridotto in macerie, e Salvini non può ricostruirlo attorno a sé come vorrebbe, gli mancano gli agganci giusti, le relazioni necessarie. Gli servirebbe qualcuno che le creasse per lui. Un Dell’Utri in affitto.
Comunque, dopo il caso Marino, sembra che a Roma nessuno voglia davvero vincere, e diventare sindaco di Topolinia.
Volente o nolente però a qualcuno toccherà essere eletto, e attraversare le cinque fasi della sindacatura:

Rifiuto
Il neosindaco s’aggira incredulo, comportandosi come se fosse ancora in campagna elettorale. Spara promesse impossibili da mantenere, cerca di nominare assessori i suoi cantanti preferiti, visita la città come un turista giapponese.

Mercato
I veri padroni della città, i clan politico mafiosi, presentano il conto per la sua elezione. Il neosindaco distribuisce appalti, assessorati, finanziamenti, e comincia ad ambientarsi, illudendosi che riuscirà a controllare la situazione.

Ira
Cominciano a scoppiare i primi scandali. Il sindaco reagisce ostentando indignazione, millantando assoluta estraneità, spacciandosi come baluardo di legalità contro il malaffare, e minacciando querele.

Depressione
Beccato con le mani nel sacco, il sindaco s’avvilisce e si dispera davanti alle telecamere, continuando a professarsi innocente, non più con arroganza, ma atteggiandosi a vittima di qualche perfido complotto internazionale.

Accettazione
Il sindaco viene prima commissariato, e poi silurato dalla sua stessa giunta. All’inizio brontola, minacciando oscure vendette, ma alla fine si rassegna, consolandosi col sostanzioso vitalizio che ha comunque già maturato, e col sogno d’un ritorno da outsider. È tempo di nuove primarie. I topi si preparano.

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Divine Divane Visioni (Cinema di papà 07/08) – 63 https://www.carmillaonline.com/2014/10/23/divine-divane-visioni-cinema-papa-0607-63/ Thu, 23 Oct 2014 20:25:44 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17722 di Dziga Cacace

Questa sera il montaggio analogico mi ha completamente sconvolto!

ddv6300687 – Sbaglierò: Michael Clayton, di un ciuco, USA 2007 Vedo troppi pochi film, ultimamente, per non imbestialirmi di fronte a una roba come questa, già vista millemila volte: l’avvocato carogna ma con gli occhioni da giuggiolone che – ingorgato in un casino senza vie d’uscita – ha il finale sussulto di coscienza. (Se ci penso bene, però, no: quali film conosco così? Nessuno. Vabbeh, non è importante). Sono di cattivo umore – lo so – e solo io, a differenza di critici e pubblico, ho trovato il film [...]]]> di Dziga Cacace

Questa sera il montaggio analogico mi ha completamente sconvolto!

ddv6300687 – Sbaglierò: Michael Clayton, di un ciuco, USA 2007
Vedo troppi pochi film, ultimamente, per non imbestialirmi di fronte a una roba come questa, già vista millemila volte: l’avvocato carogna ma con gli occhioni da giuggiolone che – ingorgato in un casino senza vie d’uscita – ha il finale sussulto di coscienza. (Se ci penso bene, però, no: quali film conosco così? Nessuno. Vabbeh, non è importante). Sono di cattivo umore – lo so – e solo io, a differenza di critici e pubblico, ho trovato il film borghese, ipocrita e consolatorio, con gli attori da botteghino e la trama senza sorprese. Ma perché – scusate – Clayton (Clooney, fichissimo, ça va sans dire) non poteva essere stronzo fino in fondo, giacché lo è quasi fino in fondo? E fate uno sforzino, eddai! E poi ‘sto ritmo blando, con inserti narrativi che allungano la broda in un thriller giudiziario già immobile, avvincente come un discorso di Lamberto Dini. La regia si atteggia anche ad autoriale, ma se mi date il regista Tony Gilroy lo interrogo come si deve e ve lo faccio confessare in dieci minuti. Inoltre c’è Tilda Swinton: per me da sempre un autentico mistero qui premiato addirittura con l’Oscar. È espressiva come un calco pompeiano in gesso, ha lo stesso colorito e – per rimanere in campo artistico – un fisico picassiano, periodo cubista. Però due secoli fa la Swinton ha fatto un film che ha colpito gli stramaledetti cinéphiles segaioli di mezzo mondo e lei continua ad essere considerata un’icona del cinema “alto”. Boh. Abbiamo visto ‘sta cosaccia perché Barbara riteneva di aver affittato Good Night, and Good Luck: la gravidanza fa brutti scherzi. (Dvd; 23/3/08)

ddv6301688 – Adrenalina pura con 24 – Season 3 di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2004
Allora: faccio un riassuntino per chi si fosse sintonizzato solo ora. Lo show funziona così: 24 ore in tempo reale, in un giorno che più di merda non si può. Vittima della fatale giornata il povero Jack Bauer (Kiefer Sutherland), agente operativo della CTU, Counter Terrorists Unit di Los Angeles, agenzia (fittizia nel mondo reale, ma forse no, chissà) che si occupa di antiterrorismo. Una volta all’anno, arriva quel giorno in cui il malcapitato protagonista capisce che saranno cazzi amarissimi: userà un cellulare con la batteria magica per 24 ore filate (deve avere un abbonamento molto vantaggioso), non mangerà, non si farà mai una sana pisciata, figuriamoci una cagata come si deve leggendo la Gazzetta. Ovviamente la giornata infame vede sempre coinvolta in qualche casino anche quella cretina della figlia. In questa terza serie, tra le altre cose, Bauer sta anche smettendo di drogarsi, cosa che sembra la parodia de L’aereo più pazzo del mondo. Fortuna che queste benedette ultime 24 ore non fossero anche l’ultimo giorno per pagare i contributi alla domestica, l’Iva trimestrale e che non ci fossero visite dentistiche improrogabili in programma. Però – diciamo – la materia narrativa non manca: nella prima serie troviamo dei balcanici efferati (serbi, ovviamente), che ce l’hanno precisamente con Bauer e, per vendetta, vogliono fargli ammazzare il candidato alla Casa Bianca dato per vincente, Palmer, un nero buonissimo, onestissimo e democraticissimo. Solo che c’è una talpa alla CTU e tutta la serie vive del dubbio. Nella seconda tornata, il nero buonissimo etc. è diventato ovviamente presidente (sembrava fantascienza 4 anni fa, ma chissà se adesso questo Obama dell’Illinois…) e Bauer deve fronteggiare una minaccia atomica su Los Angeles, orchestrata da degli arabi pazzi furiosi, mentre nel palazzo presidenziale c’è praticamente un colpo di stato. Niente di meno. Diventa tutto un po’ isterico: meno intrighi, molta azione, gran divertimento. Nella terza stagione – che ho visto dopo la quarta causa pesante rincoglionimento da paternità – l’attacco è batteriologico ed è condotto da un occidentale già al lavoro con gli yankee e ora deciso a fare giustizia vera. Dura poco, chiaramente (per l’appunto: 24 ore). Nella quarta serie c’è un nuovo presidente (il rivale del solito nero dei primi tre episodi) che viene fatto secco da uno Stealth rubato all’uopo; anche qui dietro al complotto stanno degli arabi vagamente incazzati. La crisi sembra indistricabile e il vecchio presidente Palmer torna a dare una mano e, siccome è superlativo come sappiamo, mette tutto a posto. Fino alla prossima stagione. 24 è un serial ottusamente geniale (è una combinazione possibile, l’ho deciso adesso), un thriller fantapolitico ad orologeria a tratti fascistissimo (tipico interrogatorio: “Se non dai una cosa a me, io do…” – agitando una mannaia – “…una cosa a te”) ma anche con insospettabili afflati democratici, probabilmente dovuti al caos mentale da sedicenne con l’ormone impazzito tipico degli sceneggiatori di queste cose: branchi di nerds miliardari che vestono in bermuda e magliette di gruppi metal. E poi ti inventano ‘sto popò di roba. (Dvd; aprile ‘08)

??????????????????????????????????????????689 – L’inguardabile Billy, perché l’hai fatto? di due bestie, Volker Schlondorff e Gisella Grischow, Germania 1992
Freddie Mercury e Jimi Hendrix insegnano: è proprio vero che da morto non puoi più difenderti da nessuno, neanche da chi pensa di ripubblicare questa porcata micidiale, un documentario allucinante che – una volta tanto d’accordo – Barbara e io abbiamo mollato dopo quaranta minuti. La schifezza è l’ignobile mix di una vecchia intervista al maestro Wilder e da inserti recenti di Schlondorff che cuce e rappezza. Senza chiarire niente: chi sia Billy (e la sua vita vale quanto i suoi film) e perché sia stato un genio. L’intervista storica, oltre ad avere una qualità da videotape smagnetizzato, è ottusa ai limiti dell’idiozia, con il petulante Schlondorff che chiede con fervore maniacale soluzioni di regia e sceneggiatura a un Wilder infastidito da questo fan inopportuno. Le risposte son sempre sopra le righe (ma se sono sbagliate le domande è logico che poi siano sbagliate anche le risposte) e mai Billy avrebbe pensato che da quel colloquio sarebbe potuto uscire alcunché. Ahinoi si sbagliava, il mercato sdogana qualunque cosa e c’è sempre chi ci casca (non ricordo chi mi abbia regalato questo prezioso prodotto Feltrinelli che ora puntella il tavolo della cucina). Tornando all’abominio che non troverebbe spazio in palinsesto neanche su una tivù satellitare della Val Brevenna: il commento a posteriori del regista teutonico è freddo come un ghiacciolo in culo, con luci da obitorio, verve cimiteriale e chiarezza narrativa pressoché nulla. Questa schifezza di film non è un omaggio, è un insulto alla memoria. E se non avete visto i film di Wilder è pure pieno di spoiler. (Dvd; 2/4/08)

ddv6303690 –Il blues di Feel Like Going Home di Martin Scorsese, USA 2002
Esco il precedente dvd dal lettore e ne metto subito un altro, tanto il destino della serata è segnato e la gravida Barbara si addormenterà a breve al mio fianco. Scelgo per cui a mio gusto e mi scoppio un bello Scorsese: il vecchio Martin si riserva, nell’ambito della serie di documentari dedicati al blues da lui coordinata, il compito più impegnativo e ambizioso. Però, siccome non è un presuntuoso come Wenders o un mestierante come Figgis – autori in questo ciclo di due autentiche bestemmie su pellicola –, si fa scrivere il film da Peter Guralnick che è un giornalista e uno scrittore che sa, e molto bene, ciò di cui parla. L’unica pecca, non da poco, è la totale mancanza di didascalie, per cui i personaggi che incontriamo durante la narrazione rimangono per lo spettatore medio degli assoluti carneadi, né sono chiari i rapporti tra chi parla e di cosa. Siamo alla solita mancanza di comunicazione che mi parrebbe marchiana in un esordiente, figuriamoci in un maestro come Scorsese. Ma è inutile che mi ci incazzi: all’Autore lo spettatore, in realtà, fa schifo. Un po’ come a Veltroni e D’Alema dan fastidio gli operai, per intenderci. Ad ogni modo nel racconto c’è una prospettiva storica, c’è un percorso e una chiara intenzione narrativa. Inoltre a farci da Cicerone, nella (ri)scoperta del blues del Delta c’è un musicista nero sconosciuto ai più, Corey Harris, che suona la chitarra in maniera eloquente e comprende ciò di cui si parla. Dal Delta del Mississippi fino al Mali, a recuperare le radici della musica più bella che esista, pura, intensa, dolorosa, carica di storia. Si vedono Son House (eccezionale), John Lee Hooker, Muddy Waters, Ali Farka Toure e altri personaggi minori ma anche loro con una storia da raccontare. Film più che discreto, ma fruibile solo da una percentuale della popolazione con almeno due lauree, in musicologia e folclore. Cioè quasi nessuno. Tutti gli altri che se ne dicono entusiasti, mentono, anche perché – a differenza che con Buena Vista Social Club – il disco non se l’è comprato proprio nessuno. Ma nessuno nessuno, perché il blues non si danza nelle balere come quel ritmato scassamento di minchia della musica cubana. M’è scappata, eeeeh. (Dvd; 2/4/08)

ddv6304692 – Il pacifismo guerrafondaio di Kingdom of Heaven di Ridley Scott, USA, Gran Bretagna, Spagna 2005
Sceneggiato col martello pneumatico e montato come se fosse Salvate il soldato Ryan, Kingdom of Heaven è un film ambiguo come spesso capita alle ultime cose di Ridley Scott. Ma la sua non è un’ambiguità ricca, bensì subdola, cinica, a buon mercato. Come da titolo italiano (Le crociate, non sia mai che ci si confonda) siamo in Terra Santa a liberare i luoghi sacri. Ci sono i saraceni buoni e il fanatico guerrafondaio che identifichi subito con uno di Al Qaeda. E ci sono i cristiani saggi e disponibili e quelli teo-con che vogliono la guerra a tutti i costi. Il messaggio generale vorrebbe essere di tolleranza, pace e comprensione, però poi la cinepresa indugia piacevolmente sulle scene di battaglia che – detto tra noi – sono anche la cosa migliore di un film che – ridetto tra noi – sembra adatto, nella sua semplice consequenzialità, all’età mentale di un dodicenne. E infatti – seppur turbandomi ideologicamente l’unico neurone funzionante – m’ha divertito. Girato con consueto stile grafico, purtroppo a Ridley scappa la cafonata di qualche modernismo di troppo: l’impressione che ogni paesaggio o scena di massa siano digitalizzati toglie molta magia a una messa in scena che fa (o dovrebbe fare) della grandiosità la sua cifra distintiva. Il belloccio Orlando Bloom se la cava, Eva Green – diamante splendente in The Dreamers del Maestro Bertolucci – mi sembra già appassita. Bravini gli altri e anche i costumi sgargianti. Suvvia: me lo son goduto (Barbara no, era indignata e sicuramente ha ragione lei). (Dvd; 11/4/08)

ddv6305693 – Il classico La carica dei cento e uno di Wolfgang Reitherman, Hamilton Luske, Clyde Geronimi, USA 1961
Regalato a Sofia per i suoi tre anni (festeggiati il 26 aprile e non il 25, a sua insaputa; potere del nostro regime autocratico, neanche in Corea del Nord si cambia il calendario!) e visto praticamente subito assieme a lei. Il commento critico della piccina a fine visione è sintetico e straight to the point: “Questo è un film bellissimo!”. E non ha tutti i torti. Prima di questo ha visto, a inizio aprile, solo Le avventure di Barbapapà (di Talus Taylor e Annette Tison, Olanda 1973) che io ho finora evitato in toto e che in realtà sembra l’assemblaggio di una serie di episodi televisivi, per cui non so se possa valere come film “narrativo” vero e proprio (non c’è insomma la consequenzialità delle storie classiche di Barbapapà e lo dico a ragion veduta perché le ho lette tutte. Non per esclusivo piacer mio, s’intende). La Carica è un film molto “familiare” e lineare, anche se con azzeccata struttura ad inseguimento. Giusto per la cronaca: Crudelia De Mon è considerata una delle cattive più cattive del grande schermo di sempre, una zitellaccia ingrigita dal fumo, secca come un’acciuga e che non deve avere partner da decenni. Vuole farsi un pelliccione di pelle di dalmata e ruba 15 cuccioli a una coppia felice di conoscenti (coppia sana, solida, che tromba, seppur con britannica discrezione), ma in realtà, Crudelia, ne aveva già da parte 84 comprati, suppongo, con regolare fattura, e di cui poteva farne il cazzo che voleva, eh. E quando i 101 (99 cuccioli più Peggy e Pongo, genitori dei 15 rapiti) scappano e si salvano, gli 84 di Crudelia sono effettivamente sottratti alla legittima proprietaria. E questo nessuno lo dice! Ci starebbe un seguito politicamente corretto dove i cuccioli vengono restituiti e giustamente scuoiati, perché se non gli insegniamo l’osservanza della legge fin da piccoli, poi ci aspetta l’anarchia, no? (Dvd: 26/4/08)

ddv6312694 – Good Night, And Good Luck di George Clooney, USA 2005
Stavolta Barbara azzecca l’affitto e il film, effettivamente, merita: Clooney ritorna alla regia con le idee chiare (il suo primo film non m’era piaciuto per niente, vulgo faceva cacare). Qui troviamo afflato democratico, impegno rivendicato anche per un mezzuccio come la televisione, e ottima cinematografia, con gusto e classe. Bravo Giorgetto che non dimentica di reinvestire i mijiardi – guadagnati recitando in puttanate – in qualcosa di durevole e onesto. Film ben fatto e necessario, dài. (Dvd; 3/5/08)

ddv6306695 – Altro classicone: Il libro della giungla di Wolfgang Reitherman, USA 1967
I doveri di babbo mi impongono la visione di un film che non vedo dai miei nove anni (al Manin di Genova, con nonna Franca: avevo scazzato con un bambino di quattro perché disturbava. Avevo vinto). È il film Disney con due dei momenti più divertenti in assoluto: l’amicizia di Baloo e Mowgli e l’incontro con l’orango tersicoreo Re Luigi. Per il resto, il percorso di crescita e maturazione del trovatello tra animali buoni e meno buoni (lo spauracchio Shere Khan) scorre facile, tenero e sereno, narrativamente semplice, disegnato bene e animato meglio, con belle caratterizzazioni e sfondi. Semmai il finale, molto dark e coraggioso, lascia un po’ perplessa Sofia. E due giorni dopo nasce Elena. (Dvd; 4/5/08)

ddv6307696 – Man of the World di un cretino, Gran Bretagna 2007
Una tra le più belle storie del rock. E una delle più tragiche: quella di Peter Green. Giovanissimo chitarrista nei Bluesbreakers di John Mayall in sostituzione del dio Clapton, forma poi i primi Fleetwood Mac (quelli blues, che poi diventeranno pop) e i 3 album che produce in meno di due anni, ’68 e ’69, vendono più di Beatles e Rolling Stones assieme. Albatross, Need Your Love So Bad, Black Magic Woman, Man of the World e The Green Manalishi vanno in testa alle classifiche e rendono l’uomo molto ricco e molto infelice. Ma sarà un’infausta serata a Monaco nel 1970 a farlo uscire completamente di cotenna. Già da un po’ Green era insoddisfatto del suo ruolo di rockstar per caso, del successo e dello show-biz. Andava dicendo agli altri della band: “Diamo tutti i soldi alle popolazioni del Biafra, dài!”. Nessuno che gli desse retta: volevano diventare ricchi sfondati e pochi anni dopo ci sarebbero riusciti eccome. Comunque, alla festicciola di Monaco di cui si diceva, a Peter viene somministrato dell’LSD a tradimento che fa il resto: il genio esplode, vuole solo fare jam oceaniche (tipo 40 minuti di improvvisazione), molla il gruppo, pubblica un disco folle e doloroso (e splendido e dal titolo inconsciamente programmatico: The End of the Game) e poi crolla in una depressione che lo fa finire perfino in casa di cura per malati di mente. Le medicine lo annientano, così come l’elettroshock e il musicista più lirico del British Blues finisce per imbracciare un fucile per minacciare il suo commercialista (cosa che in realtà vorremmo fare tutti, credo, quando ti presenta la dichiarazione dei redditi). Non vuole soldi che ritiene maledetti, vuole solo scomparire. Il recupero è lento e non completo. Oggi Green fa compassione: parla impastato, in maniera incoerente, con sprazzi di amarissima lucidità. Ha tentato un ritorno alla musica negli anni Novanta e a Pistoia fui testimone di un concerto a dir poco straziante. Adesso ha mollato del tutto e forse si gode un po’ di pace, dopo alcuni anni di incisioni (più che dignitose e sicuramente dolorose) e concerti che giustifico solo come trattamento terapeutico per questa anima in pena. Il documentario di Steve Graham è pedestre, senza alcuna idea se non quella della consueta biografia scandita cronologicamente, con interviste molto statiche e non particolarmente brillanti (e riprese cazzo canis). Il film lo tiene a galla il simpaticissimo Mick Fleetwood che è una fucina di ricordi. Musica ovviamente magnifica e immagini di repertorio straviste (da me) e riutilizzate più volte per le due ore del film. Gli do 6 perché l’argomento merita 10, ma la regia non va oltre il 2. Occasione persa molto molto male. (Dvd; 15/5/08)

ddv6308697 – Classicone aggiornato: Tarzan di Kevin Lima e Chris Buck, USA 1999
Con la minuscola Elena son giorni di gran daffare e faccio questo regalo a sorpresa a Sofia che lo riceve emozionatissima, giacché sono settimane che chiede senza speranze di averlo. Guarda il film a bocca aperta, non si prende particolari spaventi ed è totalmente presa da una vicenda che in effetti non ha un attimo di respiro e va via veloce. Alla fine del film si gira verso di me e sentenzia: “Bello, eh?”. Divertente, ritmato, animato da dio ibridando tecniche tradizionali con quelle più moderne (gli sfondi sembrano statici e molte volte vengono esplorati in 3D), con tentazioni moderne (Tarzan che surfa tra i rami) e concessioni classiche (il cattivone Clayton, molto anni Quaranta), si fa vedere volentieri. Anche più volte, ahinoi, tollerando Phil Collins che canta cose insensate in un italiano degno di Mal. Due giorni dopo Sofia mi chiede se i cattivi esistano anche fuori dai film, nella vita reale. Beata innocenza. (Dvd; 16/5/08)

ddv6309698 – Immagina The U.S. vs. John Lennon di David Leaf e John Scheinfeld, USA 2006
Paratelevisivo, molto lavorato ed effettato, è un discreto racconto della vita politica di John Lennon durante la sua contrastata permanenza negli USA. Parte bene e regge per almeno un’ora, poi si ripete e mostra un po’ la corda anche perché abbiamo capito che John stava sul cazzo a Hoover e non volevano dargli la cittadinanza, però poi non è che sia capitato molto altro. Lennon s’è battuto ancora e alla fine gli han dato la carta verde. Bene, bravo, bis. Oltre a tutto al ripiegamento privato di Lennon e della Ono (che, francamente, nelle scene di repertorio è fuori luogo in maniera evidente e puntualmente sovrastata da Lennon) non corrisponde una virata del racconto, che in troppe parti è meramente cronachistico. Poi, certo, la musica è splendida, Lennon illumina ogni volta lo schermo e i commenti sono interessanti, però si vede che è stato prodotto per la tivù (VH1) e c’è un evidente sentimento agiografico, anche perché la vedova ha collaborato attivamente. Non brutto come avevo letto da qualche parte né neanche lontanamente un capolavoro come molti critici ignoranti di cinema, rock e vita hanno blaterato; mmh. (Dvd; 22/5/08)

ddv6310699 – Non ha bisogno di presentazioni Il secondo tragico Fantozzi di Luciano Salce, Italia 1976
E beh. Secondo shot dopo il successo galattico del primo Fantozzi, uno dei film italiani più visti di sempre come biglietti staccati (non fidatevi delle classifiche degli incassi, vincon sempre gli ultimi!). Qui è evidente come la struttura episodica (e stagionale) non sia sempre riuscita come nel prototipo e viene un po’ a mancare l’evidenza del sottotesto politico, concentrandosi invece più sulla satira grottesca di vizi, manie e sogni dell’italiano medio, un’analisi della sua evoluzione che oggi ha un valore antropologico notevole. Il problema è che Fantozzi siamo noi e chi vede il film preferisce sempre credere che sia qualcun altro diverso da sé, confondendo inoltre il padronato e la sua rappresentazione grottesca con un’esagerazione umoristica. Qui – comunque – abbiamo la corazzata Potemkin imposta dal prof. Guidbaldo Maria Riccardelli, il varo a Genova con cena tra i potenti (con i pomodorini “dentro palla di fuoco a 18mila gradi”), la notte brava di Calboni, Filini e Fantozzi, la seguente fuga d’amore del ragioniere e della signorina Silvani a Capri e anche la clamorosa gita del Duca Conte Semenzara al casinò di Montecarlo. Ci sono pure la fiacchissima battuta di caccia e la truffaldina malattia di Fantozzi con visita al circo, due parti che sembrano outtakes, con umorismo scarico e pure delle scopiazzature (alcune che risalgono addirittura al Chaplin muto… che chissà dove le aveva fregate lui, però). Detto questo, io Fantozzi non lo contesterò mai. Mai. (Diretta tv su Retequattro; 31/5/08)

ddv6311700 – Pensa: Le avventure di Peter Pan di Clyde Geronimi, Hamilton Luske e Wilfred Jackson, USA 1953
Sofia l’ha preteso e, da genitore fermo nelle sue convinzioni pedagogiche, ho ceduto subito. Ma al momento non è sembrata particolarmente impressionata salvo poi diventarne fanatica. Io l’ho sopportato, anche se poi, alla quarta visione, ho cominciato ad affezionarmi (coi bambini la visione ripetuta è d’obbligo: o impazzisci o t’innamori). Disegnato benissimo, musicato con belle canzoni, ci presenta un cast eterogeneo e ben congegnato e noto subito che Capitan Uncino è praticamente Willy DeVille mentre Spugna sembra il Baciccia marinaretto della Sampdoria; assortito anche il cast femminile, con la virginale Wendy, la molto hot Giglio Tigrato e infine la lolita da tasca, Trilli. Il protagonista Peter Pan è invece un’odiosa faccia da cazzo con le orecchie a punta, un coglione dispettoso che non vuol crescere e il povero Capitan Uncino è la sua vittima frignona (pure con l’incubo di un coccodrillo… marino?! Sì, esistono). Il film me lo vedo, ma tutte le menate sulla fantasia, sul rimanere bambini… boh, mica lo so se sono d’accordo. Poi io son cresciuto con Bennato (e il suo layer politico alla vicenda) piuttosto che con questo Disney, per cui tutta la faccenda mi risulta confusa, anche se evidentemente il confuso sono io. E già che ci sono: il Bennato Peter Pan libero contro il movimento giovanile massa di pecoroni, rivoluzionari coi soldi di papà etc. etc. m’è sempre sembrato troppo egocentrico e qualunquistico, anche se non dubito che Edoardo abbia incontrato tanta gente così nella sua carriera. Però il disco era bellissimo: Bennato, quando non gli parte la brocca e il tono profetico/apocalittico, è (stato) un genio. Ma tornando al film: a me sarebbe piaciuto che quelli per cui tenere fossero i pirati, ecco. Cioè, posso farlo lo stesso, ma vallo a spiegare a Sofia, eh. (Dvd; 31/5/08)

ddv6313701 – L’orrendo The Grand Finale, di due pelandroni, Gran Bretagna 2006
Michael Apted, già responsabile di film più che dignitosi come Gorky Park o Gorilla nella nebbia, di serial goduriosi come Rome e di documentari celebratissimi (il militante – e menoso – Incident at Oglala o il kolossal televisivo Up series) si macchia assieme a tale Pat O’Connor di questo documentario che dovrebbe raccontare il campionato mondiale di calcio del 2006, disputato in Germania. Ne viene fuori una minchiata catatonica, per nulla coinvolgente, col gioco più bello del mondo (in un campionato in effetti non esaltante) raccontato come sarebbe capace di fare solo un appassionato di shangai. Le interviste fanno letteralmente schifo sia come domande poste ai calciatori (all’attaccante Thierry Henry: “Come mai tanti talenti in Francia?”… ma come si può soltanto pensare di porre una domanda così stupida?) che come regia (Cannavaro è ripreso in una palestra, con un audio soffocato e delle luci degne di un’emittente uzbeka). Il commento è spesso fuori luogo e il montaggio e l’impianto generale del film sono disastrosi: non solo manca la cronaca spiccia (l’Italia sembra capitare in finale a Berlino per caso), ma non c’è proprio calore, umanità, curiosità; è un film celebrativo surgelato, con le interviste realizzate dopo, senza avere a disposizione materiali pensati e realizzati prima e durante. Mancano vitalità, ritmo e invenzione; e mancano soprattutto un’idea del cinema e – cosa gravissima e incomprensibile – un’idea del calcio. Oltre a tutto c’è anche uno smarrone clamoroso: dell’arbitro della finale Elizondo (pure intervistato e senza motivo) si sbaglia il nome. Immagino che Apted sia stato locupletato dalla Fifa a suon di milionate di euro e poi non ci abbia perso granché tempo, tanto il committente era quella blatta di Sepp Blatter. Vabbeh, ancora grazie che il film non sia stato affidato al tedesco Wenders: almeno abbiamo evitato l’ennesima colonna sonora modaiola, tipo vecchietti tirolesi che fanno lo yodel e tutti a perderci le bave. (Diretta tv su La7; 1/6/08)

(Continua – 63)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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ALLARME BOMBA https://www.carmillaonline.com/2014/07/14/allarme-bomba/ Mon, 14 Jul 2014 17:48:18 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=16229 di Sandro Moiso bomba 1

La scorsa settimana, nell’arco di quattro giorni, per ben due volte la Procura della Repubblica di Brescia è stata sgomberata d’urgenza a causa di un allarme bomba. Non è la prima volta che questo accade, ma in questo caso il dispiegamento di mezzi, vigli del fuoco e forze dell’ordine è stato superiore alla norma, mentre le vie circostanti venivano chiuse al traffico e gli impiegati e il personale di servizio venivano a loro volta allontanati anche dal piazzale antistante l’edificio.

Oltre a tutto ciò, già di per sé [...]]]> di Sandro Moiso bomba 1

La scorsa settimana, nell’arco di quattro giorni, per ben due volte la Procura della Repubblica di Brescia è stata sgomberata d’urgenza a causa di un allarme bomba.
Non è la prima volta che questo accade, ma in questo caso il dispiegamento di mezzi, vigli del fuoco e forze dell’ordine è stato superiore alla norma, mentre le vie circostanti venivano chiuse al traffico e gli impiegati e il personale di servizio venivano a loro volta allontanati anche dal piazzale antistante l’edificio.

Oltre a tutto ciò, già di per sé in grado di suscitare allarme tra i presenti, sono state fatte circolare voci che attribuivano l’allarme ad una telefonata di avvertimento di stampo jihadista o No Tav.
Naturalmente nessuna bomba è esplosa o è stata ritrovata, ma l’idea che tutto ciò non fosse frutto di uno scherzo è sorta tra chi ha avuto modo di riflettere a freddo sull’avvenimento. Che naturalmente è stato subito accompagnato in rete da messaggi tipo: ”Ecco, oltre a rubarci il lavoro, adesso provano anche ad ammazzarci!”.

Ciò che ha aggiunto qualche sospetto, poi, sono state le rivelazioni, a distanza di circa quarantotto ore dalla seconda evacuazione, riguardanti un ampio articolo del sottosegretario con delega all’intelligence Marco Minniti, che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista Italiani europei diretta da Massimo D’Alema, cui hanno dato immediatamente spazio La Repubblica e RaiNews24.

Negli ultimi anni – spiega Minniti – si sta assistendo alla partenza dall’Europa di volontari, spesso indottrinati sul web, per i teatri di jihad così da “unirsi alla causa”. “Gli elementi di preoccupazione – prosegue il sottosegretario con delega ai servizi segreti e sicurezza – sono legati alla possibilità che questi soggetti, dopo essere entrati in contatto sul campo con gruppi qaedisti e aver acquisito specifiche capacità offensive, decidano di tornare in Occidente, Italia compresa, per attuare attacchi o creare filiere radicali1 .

Il fenomeno – aggiunge Minniti -, benché si presenti con maggiore incidenza in altri paesi europei, esiste anche in territorio nazionale, come reso evidente dalla morte in Siria, principale meta di dispiegamento per i «foreign fighters», di un cittadino italiano unitosi all’insorgenza islamista dopo un periodo di radicalizzazione. Nel contempo, profili di rischio sono legati anche a eventuali iniziative estemporanee in nome della cosiddetta ‘jihad individuale’ da parte di soggetti radicalizzatisi soprattutto sul web”2 .

Che gli avvenimenti in Medio Oriente, dalla Palestina all’Iraq e alla Siria, prima o poi possano ricadere sui paesi limitrofi a causa delle dissennate politiche filo-israeliane e di ingerenza perseguite dai paesi occidentali è possibile. Ma ciò che turba in quell’articolo è la continuazione. Infatti, secondo il sottosegretario resta “alta l’attenzione in Italia all’estremismo antagonista” sulle “rivendicazioni ambientaliste, sul diritto al lavoro e alla casa” sottolineando “la potenzialità dell’eversione di matrice anarco-insurrezionalista” capace di “infiltrare manifestazioni di dissenso, come la mobilitazione No Tav3 .

Ecco il nodo. La Corte Costituzionale ha appena invitato i PM di Torino a riformulare le loro accuse nei confronti di quattro militanti NoTav accusati di terrorismo che già il campo della propaganda tesa a criminalizzare ogni forma di lotta e di dissenso si allarga e si fa più manifesto, anche con l’arresto di altri attivisti NoTav con la stessa accusa e proprio nel giorno, 11 luglio, di uno di questi nuovi boatos.

Uno storico avversario della lotta di classe, Giulio Andreotti, era solito affermare che “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca”. Ecco, appunto.
Vediamo perché si può pensare male, partendo proprio dall’allarme in quel di Brescia. Infatti, anche se non è dato sapere se nei giorni scorsi tali allarmi o evacuazioni siano avvenuti anche in altre città italiane, certamente Brescia potrebbe costituire, ancora una volta, un buon terreno per la strategia della tensione.

E’ la città con la più alta percentuale di immigrati rispetto alla popolazione residente, in Italia. Nonostante questo il leghismo ha subito sul territorio bresciano durissimi colpi e una certa qual solidarietà anche di stampo cattolico non ha mai smesso di manifestarsi sia in cittòà che in provincia. Proprio per questo la lotta per la casa è abbastanza sentita e rimane un’area di intervento importante per i giovani dei centri sociali.

E’ una città destinata, nei prossimi anni, ad essere sconvolta dai lavori per la realizzazione della nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità che l’attraverserà per buona parte. Lavori che con gli espropri di terreni a l’abbattimento con le ruspe, in stile “israeliano”, delle case presenti sul tracciato hanno già sollevato tensioni e proteste. E, com’era logico aspettarsi, un rafforzamento dell’attenzione non solo giovanile nei confronti delle problematiche NoTav.

E’ una città al centro di una provincia ormai de-industrializzata in cui le statistiche ufficiali registrano ormai 130.000 disoccupati, di cui 21.100 soltanto in città.
I dati dell’osservatorio provinciale del mercato del lavoro, che fanno riferimento ai dati raccolti dai Centri per l’impiego, parlano di cifre da capogiro. Ci sono comuni come Castelcovati, Orzinuovi o Sirmione dove la disoccupazione raggiunge vette di 17, 14, 23 punti percentuali. Un quadro destinato a peggiorare secondo la Cgil di Brescia e Giorgio Bontempi, assessore provinciale al Lavoro. Nel complesso in territorio bresciano il dato della disoccupazione, secondo questi rilievi, supera il 20 per cento4 .

E’ una città, quindi, in cui il malcontento può ancora salire e allo stesso tempo, però, è ancora una città dove la strage del 1974 non ha mai trovato una risposta definitiva. Dove l’elenco dei colpevoli per Piazza della Loggia è ancora ufficialmente tutto da scrivere. E, anche se molti sono sicuramente già morti, potrebbero non mancare i degni eredi.

Ma se si sposta lo sguardo da Brescia al resto d’Italia ci si accorge che l’intera nazione è pronta per una nuova strategia della tensione.
Le carte buone, si fa per dire, sono state già giocate (Monti, Letta) ed hanno fallito. E’ rimasto il Governo dei cazzari: promesse vacue, fuffa, discorsi beceri in pseudo anglo-toscano.

Un governo che deve distrarre con giochi delle tre carte da quattro soldi perché non ha alcunché d’altro da offrire. Supportato da un’informazione sempre più simile ad un circo mediatico di equilibristi, nani e ballerine preoccupati soltanto di ingrassare all’ombra del regime piuttosto che di svolgere un corretto lavoro giornalistico.

Niente per i milioni di disoccupati. Niente per i giovani. Niente per i poveri integrali che, in cinque anni, sono passati in Italia da 2,4 milioni a 4,8 milioni.
Nessuna risposta per i giganteschi problemi ambientali e i danni alla salute che non si possono più tener nascosti. Dai tumori della Terra dei Fuochi e di Taranto fino a quelli del bresciano prodotti dall’inceneritore , dal PCB oppure dal cromo presente nelle acque “potabili”.

Mentre trionfano il ladrocinio, la truffa e la rapina travestiti da Grandi Opere che di grande avranno solo i danni e i debiti che lasceranno dietro di sé. Un debito pubblico, arrivato a maggio a 2.166 miliardi euro ed aumentato in un solo mese di 20 miliardi, che cresce al ritmo vertiginoso del 10% all’anno (grazie soprattutto ai titoli di stato orgogliosamente e irresponsabilmente ancora emessi e degli interessi pagati a favore delle grandi istituzioni finanziarie) mentre il PIL sale e scende tra + 0,1% e -0,1% su base annua.

Una politica ed un’economia indirizzate soltanto a sfruttare l’istante, la vendita di imprese, la fuga di capitali, l’abbassamento del costo del lavoro e l’annullamento di ogni sua garanzia a fronte dell’accaparramento di prebende e immunità a favore delle compagini politiche di ogni colore e stella. Una folle propensione a far vedere i muscoli, sia militarmente che diplomaticamente, là dove non si hanno nemmeno quelli, già miserabili, di Mussolini. Un paese corrotto, allo sbando, prossimo al commissariamento della troika europea, privo di qualsiasi opposizione reale che non sia quella sui territori e delle lotte locali.

Eppure, eppure…una soluzione la si può sempre trovare.
Perché non criminalizzare l’opposizione reale, le lotte, i movimenti e gli immigrati con un bel botto?
Per ora di carta e/o mediatico…poi si vedrà.


  1. Riportato in Terrorismo, l’allarme di Minniti: ”Jihadismo minaccia anche l’Italia”, La Repubblica, 13 luglio 2014  

  2. art. cit.  

  3. idem  

  4. Silvia Ghilardi, Lavoro, disoccupazione alta ma il mercato è dinamico, Il Corriere della Sera, 12 luglio 2014  

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Divine Divane Visioni (Cinema di papà 06/07) – 61 https://www.carmillaonline.com/2014/07/03/divine-divane-visioni-cinema-papa-0607-61/ Thu, 03 Jul 2014 21:26:38 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15584 di Dziga Cacace

Zitto! La smetta con quel mandolino, altrimenti ci cacciano!

ddv6101 Lost630 – Il mio week end perduto con Lost di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2004 Arriva Pasqua e io devo ovviamente lavorare. Rimango quindi solo a casa mentre Barbara va via con Sofia: tre giorni di silenzio e sonno assicurato per completare un copione impegnativo. Ce la farò. Però non ho considerato che non sono veramente solo: con me, a casa, è rimasto anche il cofanetto della prima serie di Lost. Sono 24 episodi. Ma devo lavorare. E il cofanetto è lì. Venerdì arrivo presto [...]]]> di Dziga Cacace

Zitto! La smetta con quel mandolino, altrimenti ci cacciano!

ddv6101 Lost630 – Il mio week end perduto con Lost di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber, USA 2004
Arriva Pasqua e io devo ovviamente lavorare. Rimango quindi solo a casa mentre Barbara va via con Sofia: tre giorni di silenzio e sonno assicurato per completare un copione impegnativo. Ce la farò. Però non ho considerato che non sono veramente solo: con me, a casa, è rimasto anche il cofanetto della prima serie di Lost. Sono 24 episodi. Ma devo lavorare. E il cofanetto è lì.
Venerdì arrivo presto dall’ufficio, faccio una spesa blietzkrieg comprando cibi strategici e mi metto subito sotto, senza indugi, sono uno serio, io. Cioè vedo le prime quattro puntate del serial, sbafando patatine all’aceto e un caprice des dieux scartocciato e addentato come una banana. Sabato mi sveglio ad orario congruo e faccio il mio dovere professionale fino a tarda mattinata, quando ci stanno un kebab leggerissimo con Coca Cola e altre due puntate. Le vedo ruttando cipolla cruda. Riprendo a scrivere e a merenda gradisco ancora due episodi accompagnati da un Twix ciascheduno. Arrivo a sera stanco e un po’ appesantito, chissà perché, e allora ci sta una diavola presa sotto casa con litrozzo di Menabrea ghiacciata e come niente mi scoppio altre quattro puntate. Ormai ho preso il ritmo, sono a metà dell’opera (del cofanetto, intendo) e ho un’efficienza produttiva sudcoreana con rigore (e prevedibili punizioni, in caso di fallimento) nordcoreano. È già domenica e per pranzo concludo il mio lavoro, che non è neanche male. Santifico la festa e la libertà con Cipster, un intero salame di Piacenza ben stagionato che non mi preoccupo neanche di tagliare – tanto va via a morsi che è una meraviglia – e innaffiando il tutto con Lemonsoda a 4 gradi, uno dei piaceri della vita. Una festa a sorpresa per il mio colesterolo, ma chi ne gode di più sono i miei lobi cerebrali perché il fiero pasto viene consumato pazientemente mentre assumo dodici episodi di Lost, uno via l’altro, concedendomi giusto una pisciatina ogni tanto. E arrivato alla fine della maratona gastroseriale dichiaro convinto che probabilmente, ad oggi, questa è l’esperienza televisiva più clamorosa di ogni tempo. Fate questa semplice addizione: Robinson Crusoe + Cast Away + L’isola del dottor Moureau + Il signore delle mosche + il telefilm Le isole perdute + il videogame Monkey Island + la saga di Airport + L’isola del tesoro + il reality Survivors + l’estetica primi seventies e tutto l’immaginario pop che vi possa venire in mente. Ganci narrativi a profusione, apparato tecnico e artistico a livelli sublimi, attori azzeccati, dialoghi (in originale) perfetti: è impossibile mollarlo, è una droga potentissima, che il crack al confronto smetti quando vuoi. La storia la sapete e non ve la ripeto e l’intreccio è clamoroso. Ma la formula prevede anche flashback che illustrano il passato dei 14 protagonisti, formula quasi banale orchestrata magistralmente: ognuno ha un passato che nasconde qualcosa, tutti sono inspiegabilmente legati, anche senza saperlo. Alla fine ne viene fuori una macchina narrativa perfetta: si può fare di meglio, ma 24 episodi in 52 ore – dovendo lavorare – sono un mio personale piccolo record. Gli extra del cofanetto sono interessanti: i creatori di questa macchina da guerra sono tre trentenni adrenalinici, cazzoni e affilati come rasoi, capaci di mettere in piedi lo show – come lo chiamano loro – in pochi giorni, assoldando il cast mentre lo script era ancora in embrione. Oppure diciamo che la mitologia agiografica vuole così, ma non importa: la prima serie di Lost è un capolavoro, comunque vada a finire. (Dvd; 6, 7, 8/4/07)

ddv6102Douro632 – Compiacimento archeologico con Douro faina fluvial di Manoel De Oliveira, Portogallo 1931
Altra Vhs da estinguere, con una registrazione che mi aspetta da diversi anni: il primissimo film di De Oliveira, quando era appena ventitreenne. Il documentario è fortemente debitore del cinema sovietico ed è assimilabile alle tante “sinfonie urbane” di quegli anni. La vita sul fiume Douro, sotto il ponte Luiz I, dall’alba alla notte: grafismi, assonanze visive, dinamismi, nature morte, riflessi, ombre, particolari, montaggio analogico, primi piani, grandangolate. Ci rivedi dentro Ivens, Chomette, Ruttman, Clair (La Tour), Vertov, Vigo e molta avanguardia coeva: un film piccolo, bellissimo e montato da dio. Appagante il gusto per la bella immagine, pulita, pregnante. Non si è più abituati a questo nitore e la volgarità della tivù è nell’averci disabituato alla bellezza compositiva, all’inquadratura filmica come opera d’arte. Ecco. E De Oliveira l’anno prossimo compie cent’anni: ha cominciato col muto e il bianco e nero ed è ancora lì che gira e produce a tutto spiano. Magari chiava pure, non so. Pazzesco. (Vhs da RaiTre; 10/4/07)

ddv6103 JCS639 – Oddio, Jesus Christ Superstar di Norman Jewison, USA 1973
Nuova passione di Sofia duenne, che ne ha visto un pezzettino e non lo ha voluto mollare più. Ovviamente la visione è di pochi minuti per volta ed è rigidamente censurata quando le cose volgono al peggio per Nostro Signore Hippie. Il quesito che Sofia mi pone continuamente è perché litigano tutti (Gesù con Giuda, Giuda con gli apostoli, i farisei con Gesù etc.) e non s’immagina neanche lontanamente come finiscano malissimo tutte queste discussioni. Il film io lo ritrovo splendido e le ripetute visioni me ne fanno apprezzare ogni sfumatura. La musica, beh, è clamorosa, lo sappiamo già: prima di tutto, Jesus Christ Superstar è stato un disco strepitoso, realizzato perché in teatro nessuno si sentiva di produrre un’opera con protagonista Gesù. Se ti dicevano che l’ottica era quella di Giuda, poi… I due autori ventenni, Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, oggi baronetti, hanno poi fatto la storia del genere, ma all’epoca scommisero pesante. Girava una parola nuova, allora: “Superstar”. Decisero di fare i gggiovani e di usarla per un titolo che colpiva e per analogia costruirono un Gesù rockstar, con Giuda ideologo preoccupato dal troppo successo d’immagine che oscurava il messaggio. La storia acquisì anche sottotesti politici e, per me, una costante tensione omosessuale. Musicalmente siamo allo stato dell’arte del rock di quegli anni: influenzato dal pop, con reminiscenze di ragtime quando serve, perlopiù improntato da un rhythm and blues da infarto, non disdegnando tracce di psichedelia e hard (con la chitarra scatenata di Henry McCollough). Da contrapporre al Giuda discografico di Murray Head (quello di One Night In Bangkok!) serviva un Gesù potente e incazzoso, umano e non divino (stesse conclusioni di De André per il coevo La buona novella): l’ascolto delle urla barbariche di Child in Time sul non ancora pubblicato In Rock dei Deep Purple fece trovare l’uomo giusto, Ian Gillan. Maria Maddalena venne invece scovata per caso, mentre cantava in un club postribolare: era la Yvonne Elliman, che purtroppo dopo fu solo corista e amante di Clapton. Nell’ottobre 1970 uscì l’album doppio, da considerare assieme a Tommy capostipite di tutte le rock opera. Oggi siamo oltre le 20 milioni di copie vendute: avesse esordito come musical in un teatro di provincia non ne conosceremmo neppure l’esistenza. Invece il successo del disco fece fare due più due a qualche impresario che portò l’opera per 8 anni consecutivi nel West End londinese (record dell’epoca, oggi non so). Nel 1973 – sull’onda del successo ormai planetario – venne realizzato questo film meraviglioso che accentua gli anacronismi (e la stessa temperie hippie era già bella che passata) e leviga lo score musicale con l’orchestra, ma senza esagerare: infatti la chitarra continua a improvvisare a latere. Gillan, interpellato, non partecipò per impegni che dovete conoscere e nel cast subentrarono l’ottimo e strabico Ted Neeley e soprattutto il Giuda marxista che non dimenticheremo mai, Carl Anderson, morto tre anni fa, pace all’anima sua. In questo Jesus Christ Superstar sono eccezionali anche il montaggio, i costumi, la recitazione generale o le incredibili location on site, con il sole sempre basso (doveva fare un caldo dell’accidente, eh). Siccome sono prodotti del loro tempo – album doppio e film –, i critici li hanno sempre un po’ snobbati e li dimenticano ogni volta che bisogna fare una di quelle stupide classifiche che servono a riempire le riviste durante i mesi estivi. Ma sbagliano e le due opere meritano ancora oggi lo status di capolavoro assoluto. Oh, stiamo ben parlando di Dio, eh? (Dvd; maggio ’07)

ddv6104 Bova640 – Io, l’altro di uno inadeguato, Italia 2007
Devo confessare l’antefatto: nell’ultima puntata del programma tivù cui lavoro è stato ospite gradito Raoul Bova, un educatissimo gnoccolone – lo confermo per le lettrici femminili con la Bova alla bocca –, molto carino. E che a registrazione ultimata ci ha invitato tutti alla prima di un film che ha prodotto e interpretato, credendoci molto. Promettono tutti di venire ma al cinema mi presento solo io (redazione di paccari snob!) e siccome non ho faccia tosta abbastanza mi siedo in mezzo al pubblico plebeo e scoprirò solo dopo che avevo un posto riservato di fianco a Giorgio Armani. Pensa cosa s’è perso: un Cacace in camicia da boscaiolo e pantaloni cargo lerci, roba che ci tirava fuori due collezioni estate-inverno per l’uomo casual. Vabbeh: il film. Due pescatori, uno italiano, uno arabo, con lo stesso nome (Giuseppe e Youssef) lavorano assieme su un peschereccio, sinché non emergono dubbi e differenze e accuse. Va prevedibilmente a schifìo: il film ha sicuramente un intento meritorio ma il veleno del terrorismo raccontato da un regista con poche letture (il tunisino Mohsen Melliti) fa crollare le aspirazioni di un apologo teatrale molto scarno. I due attori (Bova e Giovanni Martorana) tengono in piedi il film nonostante lo script schematico, con passaggi di sceneggiatura che sfiorano il ridicolo e dialoghi maldestri a dir tanto. E qui la colpa è di sceneggiatori che per conto mio meriterebbero la radiazione dall’albo, se mai esiste, perché i buoni propositi non bastano. A fine proiezione esco dalla sala perplesso, pensando ai fatti miei, dimentico dell’atmosfera celebrativa e in cima alla scalinata che dà sull’esterno mi ritrovo all’improvviso abbracciato dal coraggioso Raoul Bova, accecato da un crepitare di flash che mi avranno sicuramente guadagnato una partecipazione involontaria a Sipario su Retequattro. Succede. A me. (Multisala Odeon, Milano; 14/5/07)

ddv6105 24641 – Lo stupefacente 24 – Season 1 di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2001
Di questo seriale controverso e altamente addictive, che è il non plus ultra dell’adrenalina televisiva e che porta a un consumo compulsivo simile a quanto avviene con Lost, parlo più avanti. Qui rilevo solo l’incredibile finale del thriller spionistico, una cosa che mai potreste immaginare. Abbiate fede, procuratevelo, deliziatevene e andate all’incredibile, ricchissimo, innovativo e geniale parere d’autore (cioè il mio) che troverete alla rec. #655. (Dvd; maggio e giugno ’07)

ddv6106 Uccidete la democrazia642 – Lo spaventoso Uccidete la democrazia! di Ruben H. Oliva, Italia 2006
Documentario maldestro e, purtroppo, senza uno straccio di prova esibita, sulle elezioni politiche dell’anno scorso, quando nel corso di una giornata si passò da una vittoria schiacciante dell’armata Brancaleone di Prodi a una risicatissima maggioranza a notte fonda, pelo pelo, tanto che oggi ‘sto governo vivacchia sperando che la Levi Montalcini arrivi oltre i cento anni. A urne chiuse il nano gridò subito al broglio, e siccome “l’ho detto prima io” nessuno fece notare granché che il sospetto, al limite, era per chi aveva gestito informaticamente il voto, cioè il governo uscente. Vabbeh. Sennonché sulla vicenda è tornato quel drittone di D’Alema, parlandone en passant da Fabio Fazio, dicendo cose gravissime senza però andare fino in fondo alla faccenda (lui, Fazio, i giornalisti, tutti, CAZZO!), perché tanto siamo superiori o più semplicemente complici. Il documentario in questione affronta la vicenda ed è sgrammaticato, sceneggiato male, con escursioni narrative che confondono (Portella delle Ginestre, il cospiratore americano) e con parti ricostruite in fiction semplicemente agghiaccianti, da non poterci credere, al di là del bene e del male come recitazione e testo. Mi stupisce che nessuno si sia preso la briga di prendere una videocamera e un microfono per andare da D’Alema a fare la domanda che Fazio non ha fatto: “A Massimo bello, spiegami un po’ BENE cos’è successo… perché quando si stava mettendo veramente male hai mandato Minnitti al Viminale? Cos’ha fatto là?”. E poi, facendo la fatica di cambiare interlocutore: “Caro Minnitti, spiegaci perché arrivi tu e s’inverte la tendenza dei voti…”. E magari una domandina anche a Pisanu, via!, ministro responsabile dell’epoca. Perché il flusso anomalo di voti e l’anomalia statistica della scomparsa delle schede bianche (in tutte le regioni, con le stesse percentuali, mai successo in 50 anni di Repubblica), non sono una prova, però un bell’argomento sì. E invece rimane tutto lì, adombrato, guadagnando al film la facile accusa di complottismo. Peccato, ma proprio “no buono”, come diceva Andy Luotto. (Dvd; 21/5/07)

ddv6107 apocalypto645 – Corri! Arriva Apocalypto di Mel Gibson, USA 2006
Seratina genovese, con papà che sonnecchia mentre su Sky passa Ogni cosa è illuminata, film rischiosissimo, tratto da uno dei romanzi più belli letti di recente. A film finito (e direi riuscito) e papà a letto ito, rimango solo con un dvd che mi attira terribilmente. Qui ne hanno parlato tutti malissimo – lo so – perché Mel Gibson sta prepotentemente sulle palle ai nostri critici. Del resto è un fascistone. Ma oltremare il film è stato ben accolto. Io non ho visto Braveheart la Passione di Cristo per cui non ho preconcetti e se puttanata dev’essere, che puttanata sia: me lo vedo anche se è tardi perché di sonno non ne ho per niente, domani non lavoro e ho diritto ogni tanto anch’io, eccheccazzo, al diavolo l’ideologia. E poi per me Gibson rimane l’amabile tamarro con la testa gonfia di Arma letale, l’eroe post-atomico di Mad Max e il soldatino eroico de Gli anni spezzati, mio personale stracult. Gli perdono tante cose, insomma. E vengo premiato in toto perché Apocalypto è una sesquipedale e clamorosamente divertente stronzata, un videogioco indiavolato dove un povero maya della foresta dello Yucatan deve fuggire da rapitori carogne e sacerdoti amabili che ti estraggono il cuore senza anestesia. Non ho verificato l’attendibilità storica del prodottino, ma non m’importa per niente: il thriller azteco è ritmato, colorato ed efferato e va via che è una meraviglia. E poi – per fortuna, verrebbe da dire – arrivano i conquistadores che sbarcano a sinistra dello schermo, cioè percettivamente a ovest (come se arrivassero dall’oceano Pacifico, insomma): il ribaltamento di campo geografico mi manda in sbattimento psicomotorio, tipo pilota di jet che perde l’orizzonte, e mi consegna a un sonno inquieto. Apocalypto è come una parmigiana di melanzane bisunta: sai che non devi mangiarla, lo fai, ti strafoghi, ne godi. E poi hai gli incubi. (Dvd; 26/5/07)

ddv6108 HRCCacace a Mosca (con filmino ad hoc!)
Per la consueta settimana di festeggiamento annuale dei 138 Hard Rock Cafe sparsi nel mondo, me ne vò con Riccardo a Mosca, a riprendere il concerto del nostro amico Vic Vergeat.
L’arrivo nella capitale è incredibile: smog come a Mexico City e traffico come a Mumbay, con SUV giganteschi e Lada arrugginite fianco a fianco. I semafori sono a gusto della Polizia che può cambiare segnale all’improvviso, rendendo l’attraversamento pedonale divertente come una roulette russa. Il mio albergo è davanti al Ministero dell’Interno, un imponente palazzo staliniano che negli anni Cinquanta, se eri un Giovane Pioniere, doveva sembrarti un missile puntato verso il cosmo. O verso le tue terga se eri un dissidente. Dicono che l’albergo – molto frequentato da politici stranieri – sia controllato dai servizi segreti che l’hanno tutto cablato. Mah: non ci credo, non voglio intaccare il mio sincero fervore sovietico.
L’Hard Rock invece è davanti alla casa di Puskin, sul vecchio Arbat, il corso dove la gente fa le vasche come in tutto il mondo e dove puoi vedere splendide ragazze, militari sfaccendati, facce piatte di buriati e calmucchi, artisti fasulli che disegnano caricature invendibili e turisti che ci cascano. Aperto nel 2003, il locale presenta reliquie decisamente cafone come gli abiti di scena di Ozzy Osbourne e Paul Stanley dei Kiss, gli stivalazzi di quella gran signora di Lita Ford e anche la clamorosa chitarra dei Blue Öyster Cult, sagomata come il simbolo di Cronos. Il tocco indigeno è dato da qualche balalaika elettrica di artisti francamente ignoti a noi occidentali. E a tavola altro che bortsch e blinis: panini molto yankee e per i fanatici degli Aerosmith pure la “Quesadilla alla Joe Perry”, polletto con una salsina urticante con cui faccio merenda. E poi si può fumare che è un vantaggio niente male.
Dopo le prime prove acustiche e di regia torniamo in albergo a prepararci per la serata. Vic è inquieto e accusa curiosi fastidi alla schiena, sinché non scopre che è venuto in Russia con due scarpe diverse (!) che lo fanno zoppicare. Ci prepariamo ad uscire, vagamente storditi dalla conturbante frequentazione dell’albergo di donne single eleganti ed altere che intuisco potrebbero incenerirti la carta di credito. Ma io ho una faccia da deficit e non vengo considerato come possibile cliente. Ci succede di peggio: siamo nella hall con la band e, momento surreale come pochi, da una rumorosa delegazione di politici italiani si stacca l’ineffabile Giulio Tremonti – lui, giuro – che ci piomba addosso curioso. Vuol sapere chi siamo e che facciamo a Mosca e nella vita. Non a caso non si offre come commercialista a nessuno di noi. È lì con Bertinotti per non so quale incarico comunitario (Tremonti: “Una gvuan vottua di balle”) e quando sa del nostro concerto dell’indomani e dell’abilità di Vic esclama “Magavui mi imbuco!”. Fausto non ci degna che di un cenno e devo dire che tra il rotacismo dei due risulta più simpatico quello di destra, mannaggia.
Andiamo nel ristorante più quotato della capitale in questo momento, italiano. È tutto offerto dal fantastico organizzatore della trasferta Luca e siamo trattati come superstar, con cibi nostrani pregiati e freschissimi, come certe burratine che vengono fatte arrivare dalla Puglia con voli giornalieri. Fuori dal locale una teoria di Hummer corazzati tutti col motore acceso. Chiedo distrattamente il perché a chi sa di cose moscovite e la risposta mi lascia la burratina a metà gargarozzo: “Per scappare subito in caso di attentato”. Comincio a osservare allarmato la clientela e ai miei occhi diventano tutti mafiosi ceceni, trafficanti georgiani, industriali del gas e generici tagliagole. Si finisce con classici brindisi e abbracci lacrimosi con sconosciuti e seppur barcollanti guadagniamo di nuovo l’albergo. Ric dorme 9 ore consecutive, senza pipì; io sono svegliato dagli SMS di sua moglie e tormentato da un’aria condizionata siberiana inarrestabile.
Il giovedì mattina è dedicato a un ovvio pellegrinaggio alla piazza Rossa. Vic compra delle scarpe nuove ai magazzini GUM, io mi faccio turlupinare acquistando alcune memorabilia sovietiche palesemente false, Ric riprende tutto, anche quando una guardia ci invita ad abbassare le telecamere, non capiamo se volendo una mancetta o cosa. La piazza è grossa ma non come credevo e San Basilio è proprio piccina, un labirinto espressionista. Pranziamo all’Hard Rock Cafe e poi dedichiamo il pomeriggio a prove estenuanti, fino all’ennesimo frugale spuntino e al concerto vero e proprio, davanti a una cinquantina di persone.
ddv6109 MoscaDopo l’esibizione ceniamo per l’ennesima volta nel locale, un po’ appesantiti, francamente, e nell’euforia post partum Vic ci racconta convinto della storia dell’uomo bicazzo, cui Ric e io non crediamo assolutamente. Complice la birra prima e le vodke dopo chiedo curioso di come siano posizionati i peni e ipotizzo rapporti a “presa elettrica” con la famosa donna con due buchi del culo. Ric ha un attacco di risa isterico e in albergo deve prendere il Ventolin perché ha ancora l’affanno asmatico un’ora dopo. Però poi scopriamo che la difallia esiste eccome (sui due buchi del culo non ho investigato).
Il venerdì siamo ancora storditi da alcolici, fumo e rivelazioni morfologiche, ma ci concediamo una visita più accurata del centro di Mosca, ritornando infine sulla piazza Rossa e visitando l’emozionante monumento dei caduti della seconda guerra mondiale. Ci sono segni dell’impero sovietico un po’ ovunque, non nascosti, neanche esaltati, ma presenti. Come il paragone quasi orgoglioso tra Putin e Lenin. Poi è già ora di ritorno a casa e dopo due ore in coda fino all’aeroporto Sheremetyevo, con un tempismo da film thrilling saliamo a bordo. Mosca addio. Come diceva Abatantuono nell’immortale Eccezzziunale veramente: “Che popolo, lo slafo!”. Ah: poi al concerto Tremonti ha dato buca. (Live 13, 14, 15/6/07)

655 – 24 – Season 2 di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2002
Se arrivate dalla recensione #641 vi ho fregati: per i miei pensierini su questa serie magistrale vi tocca aspettare la #688 perché, lo confesso, ciurlo nel manico anche nella #672. (Dvd; agosto ‘07)

ddv6110 History Of Violence660 – Non ho capito benissimo A History Of Violence di David Cronenberg, USA 2005
Mah! Adesso: non è che se un film lo firma Cronenberg, debba per forza essere un colpo di genio… io son rimasto freddo, confesso, mentre tutto il mondo ha gridato al miracolo. L’unica cosa che mi ha colpito è quando a metà pellicola c’è l’idea clamorosa della lite che finisce in trombata: Viggo Mortensen e Maria Bello litigano furiosamente, si menano di brutto e poi – dopo un’occhiata elettrica – scopano come cani per le scale di casa. Detto questo, mi pare un film algido, in qualche maniera irrisolto, che parte bene per poi andare totalmente sopra le righe nella seconda parte. Ma non sembra averlo notato nessuno. Boh, sbaglierò io! Ed ero pure di buon umore: l’oracolo immerso nella pipì ha confermato, l’anno prossimo ripartono le notti magiche perché arriva un altro figlio, oh yeah! (Dvd; 25/9/07)

(Continua – 61)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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The Incident https://www.carmillaonline.com/2014/04/06/incident/ Sun, 06 Apr 2014 20:57:34 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=13921 alleati-di-renzidi Alessandra Daniele

Tutti gli alleati di Renzi, fuori e dentro al governo, hanno una cosa in comune: lo odiano. Il PD lo considera una metastasi berlusconiana che ha approfittato della crisi per usurpare la guida del partito. Berlusconi lo riconosce come simile, quindi come potenziale concorrente. Per centristi e montiani la sua riforma elettorale falcia-minoranze è una vera e propria minaccia di estinzione. Persino i suoi petulanti fedelissimi, con quell’aria plasticosa da manichini dell’Oviesse, già si provano allo specchio la sua corona di stagnola. Renzi è un cazzaro, e lo sa. [...]]]> alleati-di-renzidi Alessandra Daniele

Tutti gli alleati di Renzi, fuori e dentro al governo, hanno una cosa in comune: lo odiano.
Il PD lo considera una metastasi berlusconiana che ha approfittato della crisi per usurpare la guida del partito. Berlusconi lo riconosce come simile, quindi come potenziale concorrente. Per centristi e montiani la sua riforma elettorale falcia-minoranze è una vera e propria minaccia di estinzione. Persino i suoi petulanti fedelissimi, con quell’aria plasticosa da manichini dell’Oviesse, già si provano allo specchio la sua corona di stagnola.
Renzi è un cazzaro, e lo sa. Le sue ”riforme” se approvate faranno del precariato l’unica forma di lavoro possibile, e trasformeranno il Senato in una sala Bingo.
Non è per timore d’essere smascherato però che Renzi è così impaziente. La causa del suo nervosismo è più personale. Tutti vogliono farlo fuori.
Nessuno però vuole assumersene la responsabilità di fronte all’opinione pubblica, che secondo i sondaggi è stupidamente ancora dalla sua parte. Renzi deve cadere, ma, come dicono nei polizieschi, deve sembrare un incidente.
Il governo Renzi è stato caricato di troppe (decerebrate) aspettative salvifiche, per la sua caduta non basterebbe dare la colpa al solito Mastella o Turigliatto. Tutti quelli che la progettano, più la vogliono, più hanno bisogno di sembrarne innocenti. E stanno cercando un modo per riuscirci.
La fretta di Renzi non è ansia di salvare il Paese, ma il culo.
Ogni mattina, Matteo Renzi si sveglia, e sa di dover correre più veloce di tutti i suoi alleati. Ogni mattina, i suoi alleati si svegliano, e sanno di dover correre più veloce di lui per trovare chi lo elimini.
In realtà a qualcuno stanno già pensando.
Stanno pensando a noi.
Noi elettori. Se alle europee il PD prendesse meno del 30% sarebbe l’inizio della fine per Renzi.
Quindi, sempre che il suo governo di marpioni e miracolate duri fino a maggio, questa è la scelta che gli elettori si troveranno di fronte alle elezioni europee: eliminare Renzi per conto di Berlusconi, Alfano, Monti, e D’Alema, oppure consentirgli di continuare a governare insieme a loro, a nostre spese.

Se avessimo una mega bomba atomica da far esplodere per cercare di resettare la timeline, sarebbe una terza soluzione preferibile.

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