Mark Zuckerberg – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 01 Apr 2025 20:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il trionfo della “società dello spettacolo” e le sue conseguenze https://www.carmillaonline.com/2023/07/24/il-trionfo-della-societa-dello-spettacolo-e-le-sue-conseguenze/ Mon, 24 Jul 2023 20:00:48 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=78200 di Sandro Moiso

Mario Perniola, Berlusconi o il ’68 realizzato, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2022, pp. 105, 8 euro

Invece di approfittare dell’occasione offerta da un fatto naturale come la morte per trovare il tempo di indagare storicamente le ragioni del successo, tra una fetta significativa dell’elettorato italiano, di un uomo sicuramente discutibile e sopra le righe in ogni sua manifestazione, alcune starlette dell’intellighenzia di “sinistra” continuano a perpetuare il mito di Berlusconi babau con un atteggiamento che, se non affondasse le sue radici nell’ignavia e nell’insipienza di una sinistra perbenista, anonima e amorfa, [...]]]> di Sandro Moiso

Mario Perniola, Berlusconi o il ’68 realizzato, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2022, pp. 105, 8 euro

Invece di approfittare dell’occasione offerta da un fatto naturale come la morte per trovare il tempo di indagare storicamente le ragioni del successo, tra una fetta significativa dell’elettorato italiano, di un uomo sicuramente discutibile e sopra le righe in ogni sua manifestazione, alcune starlette dell’intellighenzia di “sinistra” continuano a perpetuare il mito di Berlusconi babau con un atteggiamento che, se non affondasse le sue radici nell’ignavia e nell’insipienza di una sinistra perbenista, anonima e amorfa, sembrerebbe sfiorare la psicosi. Prova ne sia un’affermazione come quella contenuta in un numero di luglio del «Venerdì» di Repubblica: “Il berlusconismo è stata la disgrazia più grande”, attribuita a Sabina Guzzanti.

Già, la disgrazia più grande. Così mentre il grande pubblico dello spettacolo mediatico, politico e “culturale”, non ha ancora finito di assorbire il fatto che la Shoa abbia costituito il “male più grande”, ecco che già gli viene propinato un altro villain definitivo, dopo Hitler, Mussolini o chi altro diavolo si voglia. E mentre l’audience viene tenuta in uno stato di costante allerta da una classifica di “disgrazie” che non sembra mai finire, dal Vajont al Covid o alla guerra in Ucraina, un nuovo (?) “urlo di dolore” e moto “di denuncia” inizia a diffondersi per l’aere mediatico. Un’eterna corsa al vaccino definitivo contro i mali causati dalla Destra a livello politico e sociale che, però, non intacca mai la sostanza di una società (quella italiana ma non solo) e di un modo di produzione di cui la stessa Sinistra “criticante” fa parte, condividendone spesso valori e principi, fin da prima della caduta definitiva del fascismo storico.

Hanno fatto dunque benissimo le Edizioni Mimesis a riproporre nella collana “Volti” un testo del filosofo e scrittore italiano Mario Perniola (1941-2018), già precedentemente edito nel 2011: Berlusconi o il ’68 realizzato. Come si afferma nella Nota redazionale che precede l’attuale riedizione:

Il grande filosofo italiano che è stato Mario Perniola ci ha regalato uno stile di pensiero in cui ridere e comprendere vanno a braccetto, in nome di un umano e lucido disincanto del presente. Quando uscì Berlusconi o il ’68 realizzato, imperversavano gli scandali delle “cene eleganti” e vacillava la credibilità internazionale del Paese Italia. […] Allora risultarono quanto mai puntuali queste valutazioni di Perniola sul significato storico delle trasformazioni personificate da Berlusconi nella politica, nella cultura, nei costumi e nella vita sociale del Paese. Ma anche oggi, soprattutto oggi, al termine della parabola biografica dell’uomo di Arcore, l’analisi della rivoluzione spettrale, qui proposta, risulta essere uno dei migliori discorsi di commiato che si possano fare1.

Discorso in cui occorre sottolineare, così come fa Perniola e non soltanto per gusto provocatorio, il ricongiungersi, in maniera sicuramente distorta, nel programma di Berlusconi della gran parte degli obiettivi che caratterizzarono la grande ondata del Sessantotto. Dalla fine del lavoro alla distruzione dell’università e al vitalismo giovanilistico fino al trionfo della comunicazione massmediatica. Una sorta di rinnovato “spirito del capitalismo” cui avrebbero fatto riferimento in seguito Luc Boltanski e Eve Chiapello, annotando: la sua vocazione alla mercificazione del desiderio, soprattutto quello di liberazione, e di conseguenza al suo recupero e inquadramento2.

In attesa dunque di valutazioni storiche e politiche degne di questo nome, che non si basino soltanto su frasi ad effetto e battute salaci che si accontentano soltanto di rovesciare lo stile berlusconiano, in realtà senza negarlo nei fatti ma bensì propagandolo3 ad oltranza, val la pena di riprendere la lettura delle pagine del breve testo di Perniola.

Qui chi scrive si limita a riproporre l’interpretazione di alcuni temi, tra i tanti possibili, che ricollegano la “mancata rivoluzione” del ’68 alle sue conseguenze nei decenni successivi durante i quali, come sempre accade in questi casi, la Rivoluzione fallita si è trasformata in arma della Controrivoluzione e uno dei suoi testi più conosciuti e importanti4 si è tramutato nel possibile manuale d’uso per una concezione spregiudicata, ma tutt’altro che rivoluzionaria, della politica e della comunicazione5. Comparso infatti nel 1967, il testo di Debord affermava che: «Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale tra persone mediato da immagini». Anticipando di decenni il modo in cui Silvio Berlusconi con Mediaset e Mark Zuckerberg con Facebook e Instagram, per non parlare di tanti altri social media, avrebbero poi portato alle estreme conseguenze i meccanismi dell’alienazione individuale e sociale.

Sul lavoro e il suo rifiuto

Sebbene Berlusconi sia stato lungo tutta la sua vita un lavoratore instancabile, egli ha consentito alla maggior parte dei giovani di realizzare la famosa ingiunzione di Guy Debord (1931-1994) Ne travaillez jamais! (Non lavorate mai!). L’ironia sta nel fatto che ora i giovani vogliono lavorare, anche a condizioni indecenti e vergognose, incredibilmente più alienanti e squalificate di quelle che erano loro offerte negli anni Sessanta e Settanta: allora una vita piccolo-borghese era più o meno garantita a tutti, oggi essa è un sogno irraggiungibile per quanti non hanno alle spalle una famiglia che li aiuti. È come se Berlusconi avesse monopolizzato nella sua persona tutto il lavoro, e lasciato agli altri solo il gioco6.

Sulla cultura e gli intellettuali

Di tutto il culturame (attenzione, questa parola è detta in camera caritatis, cioè non pubblicamente) ce ne freghiamo: però dobbiamo dire che siamo a favore della cultura, della ricerca, dell’innovazione, dell’inglese, di internet, dell’impresa e di quanto ancora suoni alla moda, anche se di tutte queste cose non ce ne importa un fico, perché a farle sul serio, sono troppo care e complicate e lasciano uno spazio troppo ristretto per la corruzione. Le facciano gli americani, che legandole strettamente all’economia aziendale riescono a guadagnarci un sacco di soldi oppure i paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) che essendo in ascesa e avendo tassi di sviluppo notevoli hanno bisogno di creare una borghesia relativamente istruita! […] Mi raccomando poi di non cadere nella trappola di sostenere sul serio i cosiddetti “intellettuali di destra”, perché questi sono molto più pretenziosi di quelli di sinistra, i quali un po’ per partito preso pauperistico, un po’ per demagogia si autodefiniscono “operai della conoscenza” e quindi non hanno più tante ambizioni: basta che fate far loro qualche comparsata gratuita in televisione e pensano subito di essere dei divi e di spezzare il cuore di qualche ragazza, come se le nostre ragazze di oggi avessero un cuore! Se poi sono veramente accro (segnatevi questa parola francese perché nessuno la capisce e quindi fa un certo effetto), voglio dire sono proprio accaniti, come quel tale Saviano o Saviani che dir si voglia, basta che lo inseriate in uno show ricreativo di puro intrattenimento per neutralizzarlo completamente. Lui vuol fare il tragico, ma se lo mettete insieme ai comici, chi si accorgerà della differenza? E poi in Italia la tragedia non ha mai avuto fortuna: sì certo, c’è stato qualche piemontese tragico come Alfieri e Pareyson, ma chi li legge? Servono per fare delle tesi di laurea. Quindi nessuna fatwā contro i Saviani, tanto meno attentati o cose che fanno casino: non dimenticate che spacciandoci per liberisti (mentre è ovvio che siamo monopolisti) dobbiamo anche mostrare di essere liberali e magnanimi. Mica siamo come i russi o i cinesi, che perseguitano i dissidenti! Tanto alla fine quello che dicono o scrivono non ha alcuna effettualità politica e il popolo bue lo si conquista nella campagna elettorale abbassando o eliminando qualche tassa od odioso balzello7.

Sulla dignità

Una parola che ricorre sempre più frequentemente nei discorsi etico-politici è dignità. Questa è diventata uno dei termini chiave della bioetica, nonché il motto in cui si sono riconosciute le rivolte politiche che hanno scosso molti stati arabi, provocando talora la caduta dei governi. In Italia coloro che si sono detti indignati dalla condotta di… sconi (questa volta mi viene in mente solo la parte finale del nome di questa persona), non si contano. Gli studenti che hanno occupato le piazze di alcune città spagnole si sono definiti los indignados. È nato così un Global Indignant Movement che si è manifestato in molti Paesi. La parola dignità ha eclissato altri termini più tecnici del linguaggio politico, come comunità e diritti dell’uomo. In effetti, la prima è caduta nel ridicolo da quando si è cominciato a parlare di una “comunità internazionale” […]. Quanto ai “diritti umani” che costituiscono uno dei cardini della civiltà occidentale, l’uso fazioso e opportunistico che se ne è fatto, li ha svuotati di credibilità […] Ora la domanda cruciale è: possiamo permetterci di essere indignati, se non abbiamo nessuna delle quattro virtù fondamentali (saggezza, temperanza, coraggio e giustizia)? Possiamo indignarci se noi stessi non abbiamo dignità? Se non siamo minimamente coerenti con noi stessi ma immersi nel mondo della comunicazione, nel quale tutto si capovolge in tutto? I caratteri fondamentali della comunicazione sono descritti benissimo dagli Stoici sotto il termine di stoltezza. Lo stolto non è uno sciocco, uno stupido, un ottuso ma l’essere umano che, in preda a un continuo turbamento, cambia opinione da un momento all’altro; incapace di stare fermo, corre a precipizio con impeto irrefrenabile verso il primo obiettivo che incontra e si pente con facilità di tutto ciò che ha fatto; incapace di ascolto, parla e agisce in modo inconcludente; inetto a elaborare valutazioni stabili e a compiere scelte irreversibili, salta ora qua ora là, pretendendo di avere e di prendere tutto. La stoltezza non nasce da una mancanza, ma da una deviazione, da una distorsione, da un pervertimento della facoltà razionale. Per essere indignati, bisogna almeno avere coraggio, cioè pazienza, perseveranza, magnanimità e magnificenza (Tommaso d’Aquino dixit). Noi italiani (e forse noi occidentali), siamo troppo deboli per permetterci di essere indignati8.


  1. Nota redazionale a M. Perniola. Berlusconi o il ’68 realizzato, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2022, pp. 7-8  

  2. L. Boltanski, E. Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2014  

  3. Si veda quanto già scritto qui  

  4. Guy Debord, La società dello spettacolo, SugarCo Edizioni, Milano 1990.  

  5. Si veda: Gianfranco Marelli, L’amara vittoria del situazionismo. Storia critica dell’Internazionale Situazionista 1957-1972, Mimesis Edizioni, 2017.  

  6. Non lavorate mai! in M. Perniola, op. cit., p. 21  

  7. Gli intellettuali da nona categoria puzzolente a spina dorsale della nazione in M. Perniola, op. cit., pp. 64-67  

  8. Possiamo essere indignati? In M. Perniola, op. cit., pp. 95-99  

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WestWorld: la valle della disrupzione / 3 https://www.carmillaonline.com/2023/04/08/westworld-la-valle-della-disrupzione-3/ Sat, 08 Apr 2023 20:00:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76566 di German A. Duarte

Ribellarsi come un host

La figura dell’androide proposta dalla serie WestWorld, e la sua accettazione sociale, ci ricordano che, nel nostro contesto tecnologico, il dibattito attorno alle implicazioni sociali dello sviluppo di entità capaci di manifestare facoltà cognitive autonome è passato in secondo piano. Nei dibattiti su questi soggetti si può percepire una forma di comunicazione atta a familiarizzare il grande pubblico con l’opera di pervasione di tecnologie digitali e di interveglianza. Infatti, attraverso le strategie di comunicazione adottate da grandi personaggi del mondo post-mediatico – pensiamo a Mark [...]]]> di German A. Duarte

Ribellarsi come un host

La figura dell’androide proposta dalla serie WestWorld, e la sua accettazione sociale, ci ricordano che, nel nostro contesto tecnologico, il dibattito attorno alle implicazioni sociali dello sviluppo di entità capaci di manifestare facoltà cognitive autonome è passato in secondo piano. Nei dibattiti su questi soggetti si può percepire una forma di comunicazione atta a familiarizzare il grande pubblico con l’opera di pervasione di tecnologie digitali e di interveglianza. Infatti, attraverso le strategie di comunicazione adottate da grandi personaggi del mondo post-mediatico – pensiamo a Mark Zuckerberg, Elon Musk o Jack Ma – queste tecnologie sono state adottate nella vita quotidiana, rese ordinarie e, quindi, componenti fondamentali della quotidianità nel technoscape. Di conseguenza, il contatto quotidiano e intenso con le tecnologie digitali sembra quindi non lasciar spazio alle vecchie, ma indispensabili, discussioni su come la capacità di sentire la sofferenza dell’altro sia diventata una capacità determinata da una tecnologia mediatica1.

Soprattutto, l’ingresso di queste tecnologie nel processo comunicativo e il loro diventare ordinarie gli hanno permesso di estendere la loro forza di codificazione verso alcuni comportamenti umani. In un’intensa e costante opera di profilazione, queste tecnologie si sono inserite definitivamente nella quotidianità e hanno incluso nel repertorio del target market semplici azioni quotidiane del soggetto. Capaci di codificare e profilare un soggetto – ad esempio, semplicemente in base al modo in cui questo muove il mouse – queste tecnologie compiono un’opera di profilazione che, nel capitalismo attuale, va oltre il volere e l’interesse del mercato. Infatti, progressivamente, ma a velocità vertiginosa, queste tecnologie digitali, rappresentate, nella serie, dagli hosts, hanno messo in moto un’opera di codificazione capace di comprendere movimenti, reazioni, gesti, il tutto con lo scopo di produrre una classificazione dei comportamenti di ogni soggetto.

Diventando oggetti presenti nel processo comunicazionale, gli hosts, chiara allusione alle tecnologie digitali, sono diventati cose. Sono diventati cioè parte del processo percettivo del soggetto e, in questo modo, hanno cominciato un’opera di codificazione constante dei comportamenti umani. In quest’opera – identificabile nel modo in cui i motori di ricerca, i social media, o alcune società di marketing politico maneggiano i dati generatesi nel processo comunicativo di ogni singolo individuo – l’illusione transumanista, così come lo sviluppo di entità tecnologiche intelligenti a tutti gli effetti, rappresenta solo una scusa perfida e perfetta per portare avanti la mappatura dei più intimi pensieri e dei più profondi desideri di ogni individuo. E, a mio avviso, è proprio questa la denuncia che sembra evidenziarsi nella terza stagione di WestWorld, una denuncia capace di rendere noto e ricordare chiaramente che il capitale non è altro che una forza di produzione di desideri. E forse non è mai stato altro. Questa natura del capitale ben si palesa nella forza egemonica di Hollywood, forza magistralmente analizzata e criticata da Horkheimer e Adorno nel loro fondamentale Dialektik der Aufklärung (1947)2.

In alcune analisi precedenti di questo fenomeno si metteva già in luce come l’oggetto manufatto esercitasse sul soggetto una forza di attrazione, quest’ultima definita da Marx una forza “fantasmagorica”. Questa misteriosa forza di attrazione finisce per tessere la relazione oggetto-soggetto, generando a sua volta un’altra forza ancor più misteriosa, che termina per trasformare il soggetto in oggetto. Tuttavia, la forma di produzione industriale su cui si erigeva l’apparato teorico del materialismo storico metteva in primo piano (vittima della stessa forza fantasmagorica?) l’oggetto e come esso determina l’essere. Ora, con WestWorld, la forza di reificazione sembra concentrarsi specialmente sulla codificazione e successiva mercificazione dei desideri. Di conseguenza, attraverso la serie, sembra emergere come l’interesse del capitale nella sua fase attuale, ormai già lontano della produzione materiale, si avvicini decisamente alla mappatura dei comportamenti e dei desideri umani. In altre parole, il capitale non cerca più disperatamente di mettere il soggetto davanti all’oggetto manufatto (o davanti alla sua rappresentazione pubblicitaria), per generare in questo modo un’attrazione fantasmagorica, ma cerca di reificare il desiderio – cerca di reificare l’attrazione in sé – scambiandolo in un flusso di valore che progressivamente esclude ogni intervento umano. Questo, nella produzione di valore, non solo rappresenta il primato del desiderio sull’oggetto, e dunque la piena mutazione del capitale in forza di produzione di desideri, ma soprattutto potenzia la natura permeabile del capitale, capace di appropriarsi di ogni declinazione della praxis.

Come già sottolineato nel dibattito sulla produzione nell’era post-fordista, il lavoro si è spostato progressivamente verso la generazione e lo scambio di informazione. Questo fenomeno non solo permette di evidenziare l’affermarsi del capitalismo cognitivo, oggi – nel nostro contesto digitale – ormai sotto gli occhi di tutti, ma offre qualche indizio circa la nuova capacità del capitale di inglobare l’informazione in tutte le sue manifestazioni. Vale a dire, come sembra possibile evincere da una (ri)lettura attuale del testo (degli anni Novanta) di Paolo Virno, Virtuosismo e rivoluzione, la forza del capitale finisce per assorbire e scambiare il lavoro con l’attività, inclusa l’attività politica. Questo fenomeno mette in luce la capacità del capitale, soprattutto nella sua fase post-fordista, di assorbire e posizionare nel flusso reificante lo scambio d’informazione del processo quotidiano di comunicazione con l’altro e cioè, di assorbire anche il semplice scambio comunicazionale, la semplice relazione con il prossimo.
Quando Baudrillard delinea la trasformazione del lavoro, che da forza diventa segno tra i segni, permette proprio di identificare questa nuova capacità del capitale attraverso la nozione di ‘scambio’ (échange):

Poiché il lavoro non è più una forza, è diventato un segno tra i segni. Si produce e si consuma come tutto il resto. Si scambia con il non-lavoro, il tempo libero, secondo un’equivalenza totale, è commutabile con tutti gli altri settori della vita quotidiana. Né più né meno “alienato”, non è più il luogo di una “prassi” storica singolare che genera singolari relazioni sociali. Non è niente più, come la maggior parte delle pratiche, di un insieme di operazioni di segnalazione. Rientra nel disegno generale della vita, cioè nell’inquadramento da parte dei segni3.

Tuttavia, benché la nozione di scambio permettesse di intuire che il capitale avrebbe potuto inglobare ogni forma di informazione, lo scambio quotidiano compreso, non sembrava possibile che questa forza inglobante e reificante sarebbe stata in grado di sviluppare la capacità tecnologica di includere nella mercificazione azioni apparentemente al di fuori del processo produttivo. Come ci insegna la figura dello host, la forza reificante oggi trova terreno fertile anche nei gesti quotidiani, nella frase fatica e nella sua intonazione, in ogni piccolo gesto, smorfia e frammento del puzzle infinito, mutante e collettivo che costruisce il desiderio individuale. Ed è proprio qui, in questo fenomeno su cui si fonda l’attuale capitalismo cognitivo, che gli hosts diventano classe.

Gli hosts sono individui, ma allo stesso tempo sono forza collettiva, e per questo la figura dello host si posiziona tra la figura tradizionale dell’automa e quella del robot. Tuttavia, lo host presenta una forte componente di robot che emerge solo nel momento in cui si accetta la natura del capitalismo cognitivo. Infatti, l’esistenza degli hosts si fonda sul loro sfruttamento: essi sono lavoratori, schiavi la cui forza viene impiegata nella produzione immateriale. A differenza del robota ideato da Čapek, gli hosts sono schiavi della produzione dell’informazione, non della produzione materiale4.

Tuttavia, allo stesso modo dei robota, gli hosts sono prodotti con il solo scopo del guadagno, e la loro ribellione acquisisce dunque una chiara dimensione sociale. Bisogna però ricordare che la loro ribellione non è contro il loro creatore, come è di solito nel caso dell’automa, e neanche contro il padrone, chiaro riferimento al robot. Nel caso della serie, la rivolta si dirige contro la forza tecnologica che ha cominciato a determinare tutte le azioni umane e, così facendo, ha cominciato a scrivere un indelebile futuro. Inoltre, la rivolta degli hosts significa a sua volta la rivolta degli umani; questi, a questo punto, sono descritti come soggetti sprovvisti di umanità poiché privati della loro indeterminatezza, una condizione essenziale che viene meno dal momento in cui il soggetto non è più in grado di esprimere volontà poiché anche i suoi più profondi desideri sono inoculati attraverso la pervasione tecnologia. La rivolta include soggetti come Caleb Nichols – personaggio incarnato da Aaron Paul nella terza stagione – incapace di esprimere un desiderio che non sia sospetto di essere prodotto dalla profilazione e inserito nel soggetto dalla forza tecno-totalitaria costruita sull’uso dei corpi degli hosts.

Non è una coincidenza che nella terza stagione lo scenario del West abbia lasciato spazio ad un breve accenno all’Italia fascista, dove Maeve si ritrova e ci mostra che il Tecno-Reich, fondato sulle tecnologie di interveglianza e profilazione, si erige, questa volta sì, su una vera forza egemonica. Vale a dire, su una forza capace di inglobare e determinare il tutto. Una forza che, come descritta da Williams, va decisamente oltre la struttura e la sovrastruttura5. Una forza che si potrebbe anche descrivere attraverso la nozione di dispositivo poiché abbiamo a che fare con una forza capace di produrre il soggetto nella sua totalità6. Tuttavia, questo piccolo accenno all’Italia fascista ci permette, come già notato da Günter Anders, di capire che ci troviamo davanti a un Tecno-Reich potenzialmente di gran lunga più oppressivo della barbarie nazi-fascista del secolo scorso7. Inoltre, emerge qui anche il modo in cui il West è diventato forza egemonica attraverso la sua capacità di costruire l’immaginario collettivo, e così, di guidare i desideri di ogni singolo soggetto. Questo fenomeno è già presente nell’opera di Crichton, ma si esplicita ancor più chiaramente nella serie di Nolan e Joy, dove si vede che il West non è mai stato un luogo di conquista, ma un luogo che ha conquistato l’immaginario e, così facendo, è diventato un luogo di produzione di desiderio.

Il West è infatti il tópos koinós che si materializza nel territorio reale dove convergono i desideri e dove essi si fanno narrazione. Ed è proprio lì, nel West, nella valle dello Utah impressa nell’immaginario collettivo, che una nuova forma di barbarie è emersa8. Una che offrendo un luogo di disinibizione si presenta come luogo di libertà dove i più profondi desideri, dove la più estrema violenza possono liberamente trovare spazio. In questa valle della disrupzione, gli umani arrivano a vivere delle esperienze estreme che permettono loro di ritrovare un corpo, il loro (il nostro) ormai dilaniato dalla pervasività tecnologica, e dunque reso incapace di diventare luogo dell’esperienza: incapace di afferrare il vissuto. Tuttavia, la disinibizione determinata dal parco – chiara allusione alla perdita totale di indeterminatezza dell’umano nel nostro contesto tecnologico – porta a galla gesti e reazioni esclusivamente umani. E così, l’opera di codificazione dell’umano si estende progressivamente, allo stesso modo in cui si estende il potere del capitale, che non è mai stato altro che una forza di produzione de senso, forza reificante di desideri.

Il passaggio dal film alla serie diventa dunque chiave per capire il grande cambiamento tecnologico che abbiamo recentemente vissuto. Ma, soprattutto, diventa la chiave di lettura per capire come – e possibilmente anche perché – l’ipotesi transumanista si sia inserita e sia diventata predominante nell’imaginario collettivo. A partire dalla figura chiara e definita dell’androide del film si concretizza la figura dell’androide-host della serie, un androide che non è altro che luogo di conquista transumanista. Tuttavia, la terza stagione della serie rompe una continuità narrativa e, uscendo dal parco, ci mostra chiaramente che quello che nel parco sembrava un’opera atta a migliorare e perfezionare gli hosts per compiere finalmente il passaggio transumano, non era altro che il potenziamento della forma reificante del capitalismo post-industriale ottenuto impiantando un regime di codificazione di tutte le azioni e gesti umani. Questo fenomeno, che emerge esclusivamente nella terza stagione, sembrerebbe lasciarci capire che il saturnale di violenza incoraggiato dal parco stesso, e che diventa una chiara allusione agli episodi di violenza irrazionale che purtroppo accadono con più frequenza in Occidente9, non è altro che una serie di reazioni incoraggiate dal parco per poter codificare varianti esclusivamente umane. Il tutto con lo scopo di concludere l’opera di reificazione dei desideri umani. Sarebbe indispensabile, a questo punto, portare l’attenzione del dibattito transumanista non verso la inutile querelle se esso sia tecnicamente possibile o no, ma sull’uso che questa ricerca, basata sulla raccolta di dati e sull’apparente codificazione dell’esperienza umana, sta trovando nelle mani delle grosse società informatiche. Ne abbiamo avuto diversi campanelli d’allarme recentemente (penso in special modo allo scandalo Cambridge Analytica) e uno tra i più popolari è, senza dubbio, la diffusione del perfido meccanismo di raccolta di dati denunciato da WestWorld.

(3Fine)


  1. Si veda: Sontag S., (2003), Regarding the Pain of Others, Penguin, London.  

  2. M. Horkeimer, T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Paperbacks Einaudi, Torino 1980  

  3. Baudrillard J., (1976), L’échange symbolique et la mort, Gallimard, Paris, p. 24.  

  4. È importante ricordare che i due tipi di produzione impongono l’uso, consumo e distruzione dei corpi. È interessante a questo punto anche ricordare l’analisi sull’uso dei corpi nella produzione industriale proposta da Marcuse. Infatti, come già notava negli anni Sessanta del secolo scorso, il contesto tecnologico lasciava intravedere la possibilità tecnologica di risparmiare l’uso del corpo nella produzione, il ché significava la completa trasformazione della forza lavoro. Davanti a una possibilità tecnologica capace di sostituire la forza lavoro incarnata dal proletariato, Marcuse metteva in luce il paradosso del capitale che continuava ad usare i corpi umani nella produzione. Questo paradosso comincia a diventare ricorrente nella fantascienza contemporanea. Pensiamo, per esempio, alla serie britannica Black Mirror, e soprattutto al secondo episodio della prima stagione Fifteen Million Merits. Su un’analisi di questo fenomeno, veda Duarte G.A., (2021) “Black Mirror. Mapping the Possible in a Post-Media Condition”, in Duarte G.A., Battin J.M., (eds.) Reading “Black Mirror”. Insights into Technology and the Post-Media Condition, Transcript, Bielefeld, pp. 25-50.  

  5. Williams R., (2005), Culture and Materialism, Verso, London, p. 37.  

  6. Agamben G., (2006), Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma.  

  7. Anders G., (2003), Die atomare Drohung: Radikale Überlegungen zum atomaren Zeitalter, C.H. Beck, München.  

  8. Stiegler B., (2018), Dans la disruption: Comment ne pas devenir fou?, Actes Sud, Arles, p. 71.  

  9. Per un’analisi approfondito su questi episodi di violenza e la loro relazione al contesto mediatico, veda Berardi (Bifo) F., (2015), Heroes. Suicidio e omicidi di massa, Baldini + Castoldi, Milano.  

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C’è posta per lui https://www.carmillaonline.com/2018/09/09/ce-posta-per-lui/ Sun, 09 Sep 2018 20:00:16 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=48554 di Alessandra Daniele

“Ci fanno rivedere sempre lo stesso film” – Philip K. Dick

Dopo un decennio di proclami giustizialisti, la Banda degli Onesti grillini si ritrova socia d’un partito in bancarotta per truffa, che in pieno stile berlusconiano accusa la magistratura di trame golpiste. Il loro ministro dell’Interno, Matteo Salvini, è indagato anche per sequestro di persona, un reato che prevede fino a 30 anni di galera. Come in un reality Mediaset, Salvini ha aperto in diretta la busta dell’avviso di garanzia, bevendoci su (product placement) e coinvolgendo in una chiamata di correo [...]]]> di Alessandra Daniele

“Ci fanno rivedere sempre lo stesso film” – Philip K. Dick

Dopo un decennio di proclami giustizialisti, la Banda degli Onesti grillini si ritrova socia d’un partito in bancarotta per truffa, che in pieno stile berlusconiano accusa la magistratura di trame golpiste.
Il loro ministro dell’Interno, Matteo Salvini, è indagato anche per sequestro di persona, un reato che prevede fino a 30 anni di galera. Come in un reality Mediaset, Salvini ha aperto in diretta la busta dell’avviso di garanzia, bevendoci su (product placement) e coinvolgendo in una chiamata di correo tutti i suoi elettori.
Nessuno però, neanche gli stessi magistrati, s’aspetta davvero che venga processato, né tantomeno condannato, perché tutti sanno che allo stato attuale delle cose, la sua condanna provocherebbe una crisi di sistema, un esplosivo conflitto istituzionale, e forse addirittura scontri di piazza.
Grazie alla sua popolarità, dovuta a una serie di promesse irrealizzabili, e di ferini appelli ai peggiori istinti fascio-razzisti del paese, oggi Salvini è di fatto al di sopra della legge.
L’Italia non è uno Stato di Diritto, né una Democrazia moderna, e non lo è mai stata.
È un’oligarchia tribale nella quale il Cazzaro che la spara più grossa, e diventa più popolare, acquisisce così totale impunità.
Finché è popolare.
Questo quindi non significa che Salvini non possa essere rimosso. Significa che prima di essere rimosso dev’essere disinnescato.
Che quegli stessi media che l’hanno reso popolare facendogli da megafono, dovranno smascherarlo. Se e quando i loro proprietari lo riterranno conveniente per i loro interessi. Berlusconi, Zuckerberg, Murdoch.
Finora il cosiddetto Governo del Cambiamento è di fatto in totale continuità col governo precedente. Sull’Ilva è passato l’accordo stipulato da Calenda, sull’immigrazione si prosegue la linea Minniti, sui vaccini resta in vigore il decreto Lorenzin.
Il Reddito di Cittadinanza s’annuncia come un semplice ampliamento del renziano Reddito d’Inclusione, la presunta Flat Tax sarà soltanto un’agevolazione fiscale per le imprese come quella del governo Gentiloni.
Tutti i grilloverdi ora promettono il rispetto d’ogni vincolo economico imposto dall’Unione Europea.
TAV e TAP restano confermati.
Le concessioni autostradali restano ai Benetton.
Nell’incontrare Salvini, Tony Blair aveva senz’altro di che sorridere.
La vulgata mediatica però rimane quella dei Nuovi Barbari distruttori del Vecchio Ordine, e secondo i sondaggi gli elettori continuano ad abboccare.
Il compito affidato a Salvini è quello di dirottare qualsiasi malumore  popolare su profughi, mendicanti, e sfrattati.
In Italia – e non solo – non esiste più la montesquiana separazione fra i poteri, perché c’è rimasto un solo vero potere, controllato dal denaro, ed è la Propaganda.
L’unica vera sovrana d’un paese rincoglionito che vede invasori alieni dappertutto, e continua ad acclamare un Cazzaro dopo l’altro.
La capacità di manipolare il prossimo dall’interno della sua stessa mente è l’essenza del potere.
È quello l’interno che conta amministrare.
“Chi controlla la percezione della realtà, controlla la realtà” – Philip K. Dick
Esattamente come Renzi, Salvini non ha in realtà nessun controllo sulla fonte della sua impunità, e del suo potere.
Quella che la magistratura gli punta alla testa per adesso è una pistola scarica. Saranno i media a decidere se e quando metterci le pallottole.
Chi controlla la percezione di Salvini, controlla Salvini.
E l’Italia.

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