marilù oliva – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 02 Apr 2025 20:00:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Silenzi magnogreci https://www.carmillaonline.com/2023/11/25/silenzi-magnogreci/ Sat, 25 Nov 2023 21:00:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80070 di Franco Pezzini

Marilù Oliva, Atlante della Magna Grecia. Italia del Sud e Sicilia tra mito e archeologia, pp. 224, € 29, Rizzoli, Milano 2023.

La Magna Grecia fu un mondo particolarissimo, mutevole, mai scontato, variegato, nato dalla bellezza dell’integrazione. Sincretismi tra popoli che non si conoscevano e che non sempre si accolsero, relazioni pacifiche o burrascose che portarono comunque a un’assimilazione su diversi fronti. […] l’arte rimasta ci rivela quanto magma creativo ci fosse alla base di tali novelle comunità. Quanta voglia di realizzarsi, di affermarsi, quanti progetti: […] siamo di fronte a comunità reattive. Gente consapevole che si giocava [...]]]> di Franco Pezzini

Marilù Oliva, Atlante della Magna Grecia. Italia del Sud e Sicilia tra mito e archeologia, pp. 224, € 29, Rizzoli, Milano 2023.

La Magna Grecia fu un mondo particolarissimo, mutevole, mai scontato, variegato, nato dalla bellezza dell’integrazione. Sincretismi tra popoli che non si conoscevano e che non sempre si accolsero, relazioni pacifiche o burrascose che portarono comunque a un’assimilazione su diversi fronti. […] l’arte rimasta ci rivela quanto magma creativo ci fosse alla base di tali novelle comunità. Quanta voglia di realizzarsi, di affermarsi, quanti progetti: […] siamo di fronte a comunità reattive. Gente consapevole che si giocava il tutto per tutto sul nuovo territorio e voleva conservare i traguardi conquistati. […] Questo Atlante è una mappatura di luoghi che ora sembrano sopiti, perché gli archeologi li hanno restituiti alla luce dopo secoli in disuso, in cui sono stati sepolti o dimenticati.

E dunque apriamolo, questo Atlante che ridà voce a un triste silenzio e inizia con una citazione fulminante dai Fasti di Ovidio, “Ciò che chiamano Italia era Magna Grecia”. Non male ricordarlo, in un’epoca in cui sgomitano da poltrone e poltroncine i tronfi e ignoranti epigoni della pretesa “razza” italiana e del mascellone romano, “che assoggettò la Magna Grecia, trascinando il Sud Italia in un processo di decadenza devastante”.

Dopo aver rinarrato con la vivacità e i colori propri della sua penna le vicende di Odisseo e di Enea (2020 e 2022), Marilù Oliva ha proseguito la sua immersione nei miti classici attraverso formule di scrittura ulteriori e variegate. Cosciente che certe storie meritino di essere ri-offerte collettivamente – e sembra un esito importante e nobilissimo da parte di chi prima ha mostrato di saper costruire in proprio una ricca produzione di solidi romanzi, ponendosi poi al servizio di fonti antiche –, ha così pubblicato in rapida successione I divini dell’Olimpo. Quattro incontri con gli dèi (Solferino, 2022), Il viaggio mitico (con Matteo B., suo figlio, e illustr. Claudia Plescia – che pure presenta una parte narrativa autonoma: De Agostini, 2022), Miti straordinari. Storie di eroine, eroi, divinità e creature che non ti aspetti (illustr. Rosaria Battiloro: De Agostini, 2023), con ottimi risultati e un linguaggio consono a un pubblico molto ampio. E ora arriva questo nuovo splendido volume, nei fatti un dettagliato atlante archeologico, di elegante scrittura e dotato di un meraviglioso apparato di foto illustrative.

Dopo una bella Prefazione esploriamo così Campania (Cuma, Pithecusa/Ischia, Poseidonia/Paestum, Elea/Velia, Palinuro), Calabria (Reggio Calabria, Locri Epizefiri, Kaulonia/Monasterace, Scolacium/Squillace,  Kroton/Crontone, Petelia/Strongoli, Cirò Marina, Sibari), Basilicata e Puglia (Eraclea, Metaponto, Taranto, Gallipoli, Botromagno), Sicilia (Zancle/Messina, Naxos, Leontinoi/Lentini, Siracusa, Kamarina/Santa Croce Camerina, Gela, Akragas/Agrigento, Selinunte, Segesta/Calatafimi Segesta), con cenni a parecchie altre località.

Zone qui esplorate nelle vestigia archeologiche (colpi d’occhio panoramici sulle singole aree, templi e brandelli di muratura, vasi di straordinaria bellezza, sculture a rilievo, specchi e monete, statue di sirene e teratomachie, mostri marini e laminette orfiche, tavole inscritte, busti di donne, dee o antichi intellettuali barbuti…) come in quelle toponomastiche e mitiche: Cuma da “onda”, Pithecusa da “(Isola) delle scimmie”, Poseidonia da “(Città) di Poseidone”, Zancle da “falce”, Leontinoi da “leone” (forse la pelle di quello nemeo ammazzato da Eracle) e così via, legate alle forme degli insediamenti o ad antiche storie e devozioni dei luoghi.

Poi lo sappiamo, il rapporto tra mito e γεωγραϕία (descrizione della terra) è complesso, elastico ed estremamente variegato – a partire dal fatto che sia il linguaggio del mito (inteso nel senso dell’antropologia religiosa, ma anche nelle accezioni meno tecniche) sia quello geografico si rifanno fondamentalmente all’immaginario, ai suoi sottotesti e implicazioni – compresi stereotipi, paradigmi ideologici, costellazioni valoriali, banali pregiudizi. E per contro il rapporto tra i luoghi e le storie resta sfuggente, affabulatorio. Vero, i miti greci vedono raccordi spesso solidi con i territori di tradizioni e pratiche liturgiche storicamente documentate (Grecia continentale, isole, colonie occidentali – particolarmente, ma non solo, la Magna Grecia – e orientali). Ma a volte si tratta del localizzarsi tardivo di eventi mitici dalla collocazione originaria più sfuggente, magari con uno slittamento a regioni via via più lontane (le Colonne d’Ercole a Gibilterra, per dire, o la destinazione italica di Enea). Ma troviamo anche miti locali per definizione, come quelli legati a eroi eponimi (a volte traghettati con la colonizzazione) e santuari, o a realtà del territorio e relativi fenomeni naturali – per esempio certe peculiarità geografiche o geologiche che sussumono paradigmi teratologici preesistenti, come nella collocazione di Scilla e Cariddi sullo stretto nostrano, o della Chimera in Licia – e insomma il discorso sarebbe molto ampio e costringerebbe a inabissarsi in una casistica capillare.

Resta il fatto che viaggiare con riferimento all’atlante del mito sia possibile, e permetta – come poi per i viaggi informati dalla letteratura o dal cinema – esperienze intellettualmente ed emotivamente forti, a dispetto delle modifiche intervenute nei luoghi a distanza di tempo: emblematico il memoriale vittoriano di George Gissing in una Magna Grecia remotissima da quella offerta dai classici. Anche senza pensare a un’aura speciale dei siti, è indubbio che per chi sia minimamente sensibile il trovarsi in luoghi assurti a veri e propri poli dell’immaginario offra un fascino vertiginoso di secoli (e spesso di bellezza). La studiosa Anna Ferrari, per esempio, ha proposto negli anni una serie di preziosissimi dizionari sul mito e le sue declinazioni anche geografiche, tra i quali un ricco Dizionario dei luoghi del mito (Rizzoli, 2011).

Oliva fa un’operazione diversa, partendo da luoghi reali e cogliendo gli echi. Talora flebili, e torniamo al silenzio citato all’inizio, perché, nonostante gli studi, tanto resta misterioso. Se a volte nomina nuda tenemus perché le antiche storie si sono perdute, per nostra fortuna le biblioteche erudite del mondo classico e postclassico hanno conservato una valanga di dati, versioni anche contraddittorie, minori o (appunto) locali dei miti implicati. Ma cosa racconta la coppa del naufragio del Museo di Pithecusa, con il corpo di un uomo immerso tra pesci e piccole svastiche, forse un cadavere che galleggia come troppi in questo Mediterraneo? A quali idee sulla vita e la morte rimanda la Tomba del Tuffatore di Paestum, con l’affresco oggetto di interpretazioni contraddittorie anche molto recenti?

Agli itinerari offerti seguono Conclusioni, un Dizionario essenziale, Indice e Bibliografia.

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Ambiguus Aeneas https://www.carmillaonline.com/2022/08/26/ambiguus-aeneas/ Fri, 26 Aug 2022 20:00:31 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73756 di Franco Pezzini

Marilù Oliva, L’Eneide di Didone, pp. 266, € 16,50, Solferino, Milano 2022.

 

CORO – Dal fondo del tempo sul mare increspato…

ENEA – Ohè!

CORO – Emerge na nave che viè dal passato.

ENEA – Ohè! CORO – Avanza veloce e punta alla riva…

ENEA – Ohè!

CORO – Se ferma alla foce… anvedi chi ariva!

ENEA – Enea!… So arivato… portato dar fato.

LAVINIA – Ah… sì, sei venuto! T’ho sempre aspettato!

ENEA – Tu nun sai quer ch’ho patito tutto quello ch’ho passato pe’ dà loco a [...]]]> di Franco Pezzini

Marilù Oliva, L’Eneide di Didone, pp. 266, € 16,50, Solferino, Milano 2022.

 

CORO – Dal fondo del tempo sul mare increspato…

ENEA – Ohè!

CORO – Emerge na nave che viè dal passato.

ENEA – Ohè! CORO – Avanza veloce e punta alla riva…

ENEA – Ohè!

CORO – Se ferma alla foce… anvedi chi ariva!

ENEA – Enea!… So arivato… portato dar fato.

LAVINIA – Ah… sì, sei venuto! T’ho sempre aspettato!

ENEA – Tu nun sai quer ch’ho patito tutto quello ch’ho passato pe’ dà loco a sti penati che da Troia ho riportati.

CORO – Cascata Troia, Enea l’eroe troiano senza vortasse pe’ mannaie un bacio, agnede via cor padre n’cavaciecio e er figlio piccinino pe’ la mano, perse la moglie Creusa pe’ la via… lasciò Didone sola a dasse foco e n’antra moje je se para ar gioco, dei fati, a mette su famija.

ENEA – Lavinia se chiamava… era… burina [Lavinia lo guarda malissimo] e m’aspettava in pizzo a la marina. Era la fija d’un re, ei pur burino [altra occhiataccia], de fatti, era Latino de nome e de nazione, ma sempre a conclusione d’una peripezia d’un uomo sballottato dar destino, sempre di un re la fija aspetta e guarda er mare, da dove viè l’eroe, sta de vedetta e aspetta la nave maledetta e l’omo tenebroso che viene dar mistero, aspetta lo straniero buttato su la riva dar mare tempestoso, per cui l’omo in oggetto, dar fato prediletto, mannatove da Dio, guardateme… so’ io!

 

(da I sette re di Roma, di Luigi Magni, con Gigi Proietti)

 

Nella sua rilettura al femminile – e femminista – dei miti classici, Marilù Oliva dopo Odisseo affronta Enea: un eroe che, è chiaro, la convince molto meno. Non si tratta solo del cambio di registro dal vitalismo di Omero alla malinconia virgiliana: il fatto è che il pius Aeneas di tante banalizzazioni ginnasiali e strumentalizzazioni fascistoidi appare già in età antica una figura non proprio entusiasmante.

Si parte dai cenni un po’ criptici dell’Iliade, dove Enea ce l’ha con i parenti della casa reale troiana, per cui combatte a singhiozzo; salvo trovarsi griffato da una strana profezia in grazia della quale viene salvato a più riprese dagli Dei. La spiegazione è probabilmente metatestuale: l’Omero che sta cantando quei versi intende celebrare qualche ascoltatore celebre, monarca o principe micrasiatico (al Lazio non ci si pensa proprio) alla cui corte è ospitato, un dinasta che si presenta come discendente di Enea. Cosa di meglio che attribuire il salvataggio di tanto tempo prima proprio a un piano divino mirante a salvaguardare tale gloriosa schiatta?

Anche perché, facciamocene una ragione: se è storicamente credibile che i Popoli del mare alla cui risacca potrebbe aggregarsi un Enea storico abbiano trovato effettivamente spazio nello scacchiere italico del collasso dell’età del bronzo, l’Enea dei miti più antichi non si spostava così tanto. Probabilmente non partiva neppure dalla costa anatolica, dove sarebbe subentrato all’inaccorta casa priamide (con le sue storie di harem sultaneschi e figli maleducati che seducono mogli altrui) a guida della Troade; ma già Virgilio doveva disporre di una pletora di alternative, con il Nostro a zonzo per buona parte delle coste di Tracia, Macedonia e Grecia continentale – e insediato qui o là a seconda della tradizione, impalmando signorine locali. Immaginando una serie di tappe, Virgilio recupera pro parte queste storie.

Dove però l’esule appare moderatamente pius: se la pietas che tanto colpirebbe i nemici achei da concedergli un salvacondotto particolare – ma le versioni sono davvero tante, comprese quelle di Enea che tradisce Troia e favorisce gli invasori – si esaurisce nella devozione patriarcale verso il genitore, che non a caso terrà sul groppone, per il resto della famiglia in queste storie non emerge particolare beneficio. E insomma ciò spiega non solo la distrazione per cui Enea perde la moglie Creusa in Virgilio (l’episodio è un po’ più complicato ma tant’è) ma le varie storie su un empius Aeneas che stupra principesse al suo passaggio. Quindi non solo un’incertezza sulle vicende umane ma pure sul profilo psicologico dell’eroe: qualcosa su cui Virgilio ha ampia documentazione e da cui spigola con libertà d’artista, brandendo la scelta già maturata in ambiente etrusco/latino del pio Enea e non del furbacchione Odisseo/Ulisse (giunto pure lui su quelle coste) quale protoeroe portatore di valori comunitari. E poi c’è da celebrare la stirpe augustea… salvo il fatto che che man mano che Virgilio scrive, l’entusiasmo per il Grande Timoniere cala.

L’Eneide è un testo rimasto in progress: è una balla colossale la storia – ammannitaci magari sui banchi di scuola delle medie e del ginnasio – che il perfezionista Virgilio volesse solo rifinirne un po’ i versi. Il poema, nella sua struggente bellezza, mantiene contraddizioni stridenti, episodi mancanti, personaggi che all’improvviso cambiano natura senza credibile spiegazione endotestuale. Perché alla grossa la seconda parte del poema, quella tutta trombe e muscoli, è stata scritta prima, con gli dei calorosamente solleciti verso l’eroe: ma la prima parte è ben diversa. Dei di marmo dai quali è vano attendersi un abbraccio, freddi come il committente con la sua spietata Agenda; un eroe pieno di dubbi e ben poco statuario, goffo e pasticcione; e ancora un re Latino genuinamente benevolo e persino coraggioso nel tener testa ai guerrafondai – a differenza che negli ultimi libri (di precedente tessitura), dove è succube del fanfarone protonazionalista Turno. Persino quell’episodio importante che segna il cambio di passo della guerra in Italia, cioè l’incontro di Enea con gli Etruschi (a Corito presunta patria della famiglia di Dardano?), resta sbrigato in modo troppo frettoloso: mentre è credibile che Virgilio, di stirpe etrusca, vi avrebbe dato maggiore spazio. E così via. L’autore contava di dedicare ancora anni al poema: ma poi ecco quel viaggio fatale – come tanti viaggi allora, non è necessario immaginare chissà che cospirazioni imperiali contro Virgilio un po’ meno allineato – e la morte. Un viaggio che forse avrebbe irrobustito la tensione spirituale del poema già fitto di richiami ai Misteri neppure troppo sotto testo (per il pitagorico Virgilio le iniziazioni ai culti misterici aprivano orizzonti assai prossimi): Enea come nuovo Orfeo, i Penati come Grandi Dei flirtanti col culto samotrace eccetera. Ma non possiamo che formulare ipotesi.

Un poema rimasto in progress rappresenta un invito a nozze per un narratore: tanto più che buchi e incongruenze nel meccanismo narrativo possono forse essere identificati con maggiore facilità da un autore di fiction che non dai lettori scolastici ostaggi della reverenza. Provare a leggere l’Eneide come un romanzo in costruzione può in effetti costituire un’esperienza abbastanza sconvolgente: e invito a farne la prova.

Ma poi c’è un’altra sfida, rappresentata dal personaggio di Didone. Il primo a parlare di Didone è lo storico Timeo di Tauromenio (attivo tra il IV e il III sec. a.C.), che la chiama Theiosso, detta in fenicio Elissa e poi dai Libici appunto Deidó per il suo lungo peregrinare. Esempio paradigmatico di fedeltà allo sposo perduto, Theiosso – transfuga dopo che il fratello le ha ammazzato il marito – si uccide quando il suo popolo vuole obbligarla alle nozze con un re libico. La leggenda potrebbe essere autenticamente punica, Timeo lavora in Sicilia e insomma può attingere tradizioni circolanti, nell’eco anche di altri racconti su mogli suicide nel fuoco (come quella di Asdrubale alla presa di Cartagine da parte dei Romani): ma la critica recente è divisa. Virgilio può avere per le mani il lavoro di Timeo, non lo sappiamo; ma molto probabilmente ha quello di Pompeo Trogo, non pervenutoci se non attraverso un’epitome che dettaglia la storia – sempre quella – della bella e coraggiosa Elissa (Alissar, Elissar, Elishat). Poi certo, c’è un grave problema cronologico, perché la fondazione di Cartagine viene avvicinata a quella di Roma: in un primo tempo tra Enea e Romolo si calcola uno scarto molto limitato, ma lentamente le date si distanziano, per cui Enea arriverebbe sulla costa africana secoli prima di Didone (per chi abbia familiarità con le cronologie bibliche, è pronipote della biblica Gezabele, morta circa 842 a.C.). Però il Bellum Poenicum di Gneo Nevio, risalente al periodo della Seconda guerra punica (219-202 a.C.) ma echeggiante gli eventi della prima, faceva già fatalmente incontrare i due personaggi, mostrando forse Didone come una maga (simile a quel punto a Medea o Circe) che cerca di irretire Enea. Insomma uno spunto troppo bello per non usarlo, a prescindere dall’altra versione registrata da Varrone secondo cui a innamorarsi di Enea sarebbe stata non Didone ma la sorella Anna.

È un fatto che per il lettore di Virgilio il punto di più bassa affezione al personaggio Enea sia proprio in rapporto alla vicenda con Didone: una storia d’amore che anche e proprio nel suo fallimento mantiene una tale carica di autenticità da colpirci a distanza di tanto tempo. A trattare forse con pragmatico scetticismo gran parte degli innamoramenti e le inevitabili crisi nel rapporto tra parallele solitudini e fragilità psicologiche di fondo: la regina che viveva col freno tirato in un orizzonte di doveri, forte nell’azione ma aggrappata all’immagine di vedova madre d’un popolo, e che vede andare in frantumi la propria identità, versus l’eroe involontario che fatica a riconoscersi in una missione non scelta e alla prima prova di adultità (il vecchio pater familias è appena morto) si trova tentato a una vacanza esistenziale. Non stupisce che, nel rendere questa storia materia del suo delicato e malinconico sceneggiato per la RAI, Franco Rossi ritocchi un po’ il quadro, rendendo Enea più nobile e duro, e facendoci amare appassionatamente Didone.

Il problema a questo punto per un recensore di L’Eneide di Didone è non spoilerare sulle libertà dalla tradizione: per cui è impossibile raccontare la soluzione – ingegnosa, avventurosissima e un tantino improbabile – adottata da Oliva nel tratteggiare con occhi moderni la sua bella figura di donna combattente, indomita, dotata di mille risorse come i suoi Fenici e inizialmente scettica verso quegli dei – dee, soprattutto – che invece avranno parte nella vicenda. Perché la vita conosce dinamiche e incidenti che sfuggono alle previsioni umane… Il romanzo, intelligente, filologicamente ricco (appena può l’autrice mostra grande rispetto per il testo virgiliano), reca una provocazione interessante.

E il nodo, evidenziato dalle Note finali, si traduce in una domanda: “come è possibile che una donna forte, determinata e autonoma come Didone, regina di popoli, in fuga da un fratello assassino e avido, abbia deciso di uccidersi per un uomo che – si sapeva fin dall’inizio – era solo di passaggio?”. Di qui la scelta di una variatio che in questa sede non si narra, forte della plasticità (sempre) del materiale mitico e della consuetudine, soprattutto in altri linguaggi artistici come il teatro o l’opera lirica, di licenze anche forti nella gestione di storie tradizionali. Per cui accantoniamo le risposte che i commentatori antichi avrebbero fornito alla domanda di Oliva (tutti uomini, l’amore di Didone ed Enea non appariva loro materia troppo seria) e soprattutto quelle di Virgilio (che intende immettere nell’epos lo scontro – proprio del linguaggio dei tragici – tra punti di vista diversi, capitalizzare un dramma a monte dei rapporti tra Cartagine e Roma, e mostrare come l’eros possa essere la leva che fa frantumare l’equilibrio psicologico profondo di una figura già troppo rivolta ai morti, nonché erede della simil-Medea neviana); accantoniamo lo scarto tra la visione di un’antica società mediterranea e una moderna. E lasciamoci cullare dalla voce di Oliva, calda di volti e di colori, nel suo sforzo di recuperare spazio a una figura eccezionale.

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Principesse e matrigne (Profili di donne, 1) https://www.carmillaonline.com/2021/07/20/principesse-e-matrigne-profili-di-donne-1/ Tue, 20 Jul 2021 20:30:45 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67175 di Franco Pezzini

Marilù Oliva, Biancaneve nel Novecento, pp. 351, € 19,00, Solferino, Milano 2021.

Nel corso di questi anni, la produzione di Marilù Oliva ha mirato sempre più alto. Dai deliziosi romanzi della Guerrera, che non si esaurivano in un puro genere né quanto a contenuti (abbracciando visionarie panoramiche tra mitologie del fuoco e storia sociale delle danze sudamericane) né per forma, con la loro policroma eleganza narrativa, è passata così a una seconda fase in cui la visionarietà – le anziane sultane, i freak, gli scrutatori del cielo stellato – [...]]]> di Franco Pezzini

Marilù Oliva, Biancaneve nel Novecento, pp. 351, € 19,00, Solferino, Milano 2021.

Nel corso di questi anni, la produzione di Marilù Oliva ha mirato sempre più alto. Dai deliziosi romanzi della Guerrera, che non si esaurivano in un puro genere né quanto a contenuti (abbracciando visionarie panoramiche tra mitologie del fuoco e storia sociale delle danze sudamericane) né per forma, con la loro policroma eleganza narrativa, è passata così a una seconda fase in cui la visionarietà – le anziane sultane, i freak, gli scrutatori del cielo stellato – spalanca discorsi enormi in chiave mainstream. Poi, spinto il genere un po’ a lato con un paio di godibili polizieschi – colti, ricchi di provocazioni –, una terza fase conduce ancora più in alto, alla recente rilettura al femminile dell’Odissea e a questo compatto, drammatico, vivido Biancaneve nel Novecento. Dove, di nuovo, non mancano chiavi affabulatorie (non gli dei del fuoco o le macchine del tempo, ma la fiaba di Biancaneve incalzata nella sua evoluzione filologica come uno specchio che trasfigura e – di volta in volta – rischia di deformare la realtà, polarizzando i volti in maschere), anche per una solida tecnica narrativa, ma dove il dito è puntato sulle piaghe del Secolo breve.

Le vite parallele di nonna e nipote si dipanano così a mappare gli eventi, i dolori e le tragedie – fino a fatti di cronaca che possiamo ricordare sui giornali – ma dal grembo concreto della storia, quella grande delle nazioni e quella piccola familiare e individuale. Non stride dunque il passaggio dalle scene a Buchenwald dove Lili (la nonna) è prigioniera nel bordello del lager a quelle dei locali pubblici da movida dove Bianca (la nipote) recupera le danze care alla Guerrera, in un richiamo dell’autrice agli inizi della sua scrittura, e che ne salda idealmente le fasi. Del resto l’incomprensibile senso del rifiuto materno e l’inadeguatezza patiti da Bianca si specchiano nell’altrettanto incomprensibile realtà vissuta da Lili nei rapporti con la piccola e grande Storia – nell’una e nell’altra situazione con il senso di una mancanza di giustizia al mondo che lascia feriti, umilia e consuma. Ma tutto il romanzo è fitto di questi giochi a incastro, frutti di un’estrema consapevolezza letteraria: certo ricca di dati documentali (l’autrice offre alla fine anche una bibliografia storica “minima”, di grosso interesse) e comunque di una profondità umana ben avvertibile, ma che mai cede sul fronte della narrazione. Se Biancaneve è principessa, lo è Mafalda di Savoia alla cui morte nel lager Lili assiste impotente; e in compenso il ragazzo che Bianca vede come principe si rivela un antipatico, mediocre cercatore di asfittiche normalità. Così, paradossalmente, funziona la vita.

Occorre non equivocare sulla natura di romanzo: la nipote narrante – sia chiaro – non è l’autrice più di quanto possa esserlo qualunque personaggio di narrazione, quasi a stabilire un gioco parallelo di rifrazioni parziali, in parte calzanti e in parte svianti tra Marilù e Bianca, come tra Bianca e Lili e tra Bianca e Biancaneve. Dove ciò che svia e distingue, però, produce domande ed è anche lì che troviamo a interpellarci l’autrice.

Ogni scrittore riporta se stesso e altri – familiari, amici, protagonisti di storie reali avvicinate in modo diverso e a volte accidentale – nei dettagli e nelle emozioni dei suoi personaggi: si tratti degli eroi della vicenda, o invece di figure defilate ma non meno sue, e persino in quelle antipatiche o ripugnanti. Tutto ciò in grazia di un’empatia che nella vita fatichiamo a trovare con chi ci passi accanto: e il personaggio forse più tragico di questo romanzo, la vera mattatrice delle pagine si consuma nell’interstizio tra le vicende parallele, quella Candi che è all’inizio cattiva matrigna di Bianca(neve) e alla fine – compresa ormai nelle sue ragioni umane – mamma rimpianta. La chiave di tutto – e di più non si dice, per non smontare un meccanismo narrativo – sembra stare nella chioma di Candi, bella donna resa aggressiva dall’alcool e dalla ribellione a una Storia che non risparmia nessuno. Come scrive Maria Rosa Cutrufelli presentando Biancaneve nel Novecento  all’edizione 2021 del Premio Strega:

 

I due racconti si alternano fin quasi alla fine, fino al momento in cui i ricordi di Lili e la vita di Bianca trovano il punto di sutura. E allora le voci si placano e, in un certo senso, si fondono in un nuovo equilibrio.

Un romanzo tenero e feroce, che entra nella Storia per farci capire come il male generi altro male, inevitabilmente. Come il nostro “passato” non passi mai, se non lo mettiamo a fuoco, con tutti i suoi errori e orrori. E, soprattutto, se non esercitiamo la nostra capacità di empatia e di compassione, cercando di sanare le ferite degli altri, che sono anche le nostre.

 

È in questo senso più ampio, di percezioni acquisite al di là di ogni maschera di personaggio, che il libro protesta dimensioni concretamente autobiografiche: solo facendo esperienza, in contesti anche distanti, di questa realtà fondamentale – un’esperienza psicologica che diventa però fisica nei nostri carne e sangue – possiamo approdare a una pacificazione interiore, sempre parziale e dialettica, con la sincerità di queste pagine. Dove la speranza – quella di spezzare taluni meccanismi che perpetuano il male moltiplicandolo a cascata lungo il flusso delle generazioni – non arriva quale dolciastro lieto fine appiccicato col nastro adesivo, quale “Mondo belo” da buonisti idioti, ma come frutto di una faticosa, onesta arte quotidiana a capire senza sconti la realtà e a ricordarla. Il fitto calendario di eventi-chiave di un secolo ha anche questa funzione, di memoria necessaria per capire. E allora butteremo via le pacificazioni-fuffa – quelle che parificano persecutori e perseguitati, quelle che obbligano vedove a stringersi la mano in contesti dove dovrebbe essere lo stato a chiedere scusa, quelle che tentano di trasformare feste dal contenuto valoriale pregnante in mischioni memoriali buoni a ogni retorica – e potremo avvicinare in modo più onesto e sano sofferenze da poveri diavoli, storie di bambini poco amati, drammi d’innocenti macinati dalla società o dalla Storia.

Nelle fiabe il Male c’è: in questo senso il richiamo alla fiaba di Biancaneve non si consuma nella semplice contrapposizione tra la giovane buona perseguitata e la matrigna cattiva, ma in una più sottile presa d’atto che il Male debba essere preso sul serio, e che l’unico uso sensato dello specchio incantato stia nel porre domande. Qualcosa che, fuor di metafora, conduce a una necessità di porre domande e capire attraverso i mezzi a nostra disposizione: fonti, documenti, voci… Che potranno allora rivelarci moltissimo su chi sono coloro che ci fanno del male, sulla loro storia, e – in parallelo – su chi realmente siamo noi. Senza cadere nelle trappole delle geremiadi pilotate, dei documenti farlocchi quanto i Savi di Sion, delle informazioni incontrollate e brandite come clave – inevitabile pensare allo storytelling tossico che uno storico serio come Eric Gobetti ha decostruito a suon di dati oggettivi (E allora le foibe?, Laterza, 2021, nell’ambito di una bella collana tesa proprio a smontare retoriche falsanti) ricevendo raffiche di minacce e di sgangherati attacchi anche giornalistici.

Però le cifre con cui accostare Biancaneve nel Novecento sono varie: una doppia storia di formazione compresa di fasi decreative – gli shock nel lager, la droga… – e di laceranti fallimenti; una storia sull’amore e su quegli amori che possono salvare, a volte, solo fino a un certo punto; una storia appunto sull’identità e le identità, di continuo perdute e reinventate imperfette (Biancaneve per Bianca), ricostruite, trasformate anche grazie alla chiave della sorellanza. Che è anche dunque una storia della donna e delle donne nel Secolo breve, ed è impensabile non pensare alle iniziative condotte dall’autrice in questi anni – contro il femminicidio e la violenza alle donne, per un’accresciuta presa di coscienza critica su un certo lascito patriarcale nell’Italietta familista, eccetera. Nei suoi aspetti da romanzo drammatico popolare (formula in nessun modo svilente, che guarda alla capacità di scrivere per un grande pubblico e non solo per i salotti), Biancaneve nel Novecento è un libro importante, che permette di riflettere su scelte e pratiche di una lotta per la sopravvivenza che è anche una forma di lotta per la dignità. E può passare persino attraverso il letto del postribolo di un lager, se continuiamo a sognare rabbiosamente una realtà diversa. Pur tra cadute da cui nessuno potrà dirsi indenne.

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Io sono Nessuno https://www.carmillaonline.com/2020/07/11/io-sono-nessuno/ Sat, 11 Jul 2020 21:04:41 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=61285 di Franco Pezzini

Marilù Oliva, L’ Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, pp. 217, € 16, Solferino, Milano 2020.

1968: dopo un’abboffata di peplum da grande schermo – i “sandaloni”, come venivano chiamati – che del mondo antico e particolarmente di quello mitico regalavano all’Italia popolare versioni simpaticamente fumettistiche tra bicipiti, rossetti similhollywoodiani & tunichette con le greche, la RAI propone agli spettatori qualcosa di molto diverso.

Il fatto è che nel 1950 si era verificato un evento capitale nella riproposta dei poemi omerici. Dagli uffici Einaudi Pavese aveva voluto [...]]]> di Franco Pezzini

Marilù Oliva, L’ Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, pp. 217, € 16, Solferino, Milano 2020.

1968: dopo un’abboffata di peplum da grande schermo – i “sandaloni”, come venivano chiamati – che del mondo antico e particolarmente di quello mitico regalavano all’Italia popolare versioni simpaticamente fumettistiche tra bicipiti, rossetti similhollywoodiani & tunichette con le greche, la RAI propone agli spettatori qualcosa di molto diverso.

Il fatto è che nel 1950 si era verificato un evento capitale nella riproposta dei poemi omerici. Dagli uffici Einaudi Pavese aveva voluto con forza una nuova versione dell’Iliade affidandola a una traduttrice giovane ed entusiasta, Rosa Calzecchi Onesti (1916-2011): scopo, scrostare la lettura del poema da tutta l’ampollosità trombona sedimentata in secoli di traduzioni “solenni” per ritrovare il vero Omero, arcaico e scabro, con le sue formule ritmate da un Mediterraneo remotissimo. Quest’Iliade meravigliosa, che oggi alla lettura accusa un po’ il passare degli anni ma resta godibilissima e comunque un modello di lavoro – ormai le traduzioni sono tante, alcune davvero stupefacenti per un rigore filologico che apre continue domande e può talora rispondervi solo in termini ipotetici – era uscita poco dopo la morte di Pavese, appunto nel 1950; e nel 1963 con la stessa formula viene edita l’Odissea.

Inevitabile che tutto ciò approdi anche agli schermi nel clima di sperimentazioni di quegli anni. Nel 1967 Pasolini propone un Edipo re del tutto eversivo, cui farà seguire nel 1969 il famoso Medea con Maria Callas (sul progetto, come già ricordato in altra sede, è oggi preziosa la ricostruzione offerta da Paolo Lago nel bellissimo Lo spazio e il deserto nel cinema di Pasolini. Edipo re, Teorema, Porcile, Medea, Mimesis, 2020); e nel 1969, con un’operazione diversa ma in qualche modo parallela, Fellini e l’assai meno noto Gian Luigi Polidoro muoveranno a decostruire una certa visione del mondo romano imperiale nelle rispettive e diversissime trasposizioni del Satyricon.

Ma se tutto ciò riguarda il grande schermo, il boom della comunicazione di quegli anni passa attraverso la televisione, e l’Odissea – presentata l’anno dopo l’Edipo re di Pasolini, e l’anno prima del suo Medea e dei due Satyricon – annuncia un nuovo corso nello sguardo ai classici. Articolata come sceneggiato in otto puntate, vede una coproduzione tra Italia, Francia, Iugoslavia e Germania occidentale, la prima della Rai a venir realizzata a colori. Al timone, il regista quasi cinquantenne Franco Rossi con robuste esperienze teatrali e cinematografiche, e una formazione nell’orizzonte del neorealismo (tra l’altro ha diretto un Calypso nel 1958 e Odissea nuda nel 1961), supportato per singole puntate da Piero Schivazappa e Mario Bava; mentre alla sceneggiatura lavora un’intera squadra – Gian Piero Bona, Vittorio Bonicelli, Fabio Carpi, Luciano Codignola, Mario Prosperi, Renzo Rosso – riuscendo a restituire voce a Omero anche attraverso una dimensione corale di sottofondo supportata da un’ottima musica (Carlo Rustichelli, Bruno Nicolai). Per contro Dario Cecchi coi costumi, Luciano Ricceri all’Art Direction e Mario Altieri alla Set Decoration ripudiano in blocco lo stile peplum per seguire invece il regista in una lettura stilizzata, a tratti fiabescamente teatrale (l’episodio di Eolo, per esempio), ma in ogni caso felicemente armonizzata a tutto un orizzonte storico e antropologico. Insediamenti arcaici con focolari fuligginosi, maschere funebri da modellare sul viso, abiti ruvidi di lana e poi imbarcazioni, telai, cordami, vasi o oggetti di vita quotidiana… un mondo insomma ricostruito con attenzione agli scavi archeologici e alla linea ideale Pavese-Calzecchi Onesti, lontano e primitivo quanto è in effetti quello narrato da Omero. Un’impressione ora rafforzata dalla scelta di numerosi attori iugoslavi – tra i quali lo stesso protagonista, l’attore bosniaco trentaduenne Bekim Fehmiu (1936-2010, bello ricordare questo attore/intellettuale morto nel giugno di dieci anni fa) – coi loro tratti ruvidi e antichi, sconosciuti agli spettatori italiani e tanto diversi dai divi occidentali.

Ovvio che per noi, figli dei primi anni Sessanta, quest’Odissea circonfusa di sogno avesse una valenza affabulatoria unica. Anche se vigeva il coprifuoco con Carosello, l’operazione aveva fatto emergere sui banconi delle librerie versioni bellissime anche per ragazzi (come una Storia di re Odisseo proprio di Calzecchi Onesti, edita da Piccoli nel 1966 e regalatami nel 1968, con un Odisseo dai lunghi capelli quasi annunciante la svolta di un’epoca) e persino una splendida cartina del viaggio dell’eroe sul Corriere dei piccoli, puntualmente appesa sopra il mio letto. Se con gli anni mi sarei convinto che l’Odissea è forse – senza far torto a nessuno – il romanzo più bello mai scritto, Odisseo era al tempo per me un grande modello (lo sarebbe rimasto, ma questa è un’altra storia): l’uomo simpatico, fantasioso fino alla visionarietà, astuto, saggio, dalle mille risorse, che a volte sbaglia ma lo ammette e sa ripartire… E ci sarà tempo per incontrare il suo volto terribile nei tragici greci e poi nel mondo romano, il Grande Consigliere che Dante renderà un fatale affabulatore. Ma insomma quello sceneggiato che poi avrei visto infinite volte in repliche e in seguito in VHS e in DVD, come pure quelle riduzioni per ragazzi, e i racconti stessi ricevuti in casa con mio padre e mio nonno che mi disegnano Ciclopi, sono stati per me d’importanza capitale: e se cito l’esperienza personale è perché sono convinto di essere solo uno tra i tantissimi figli di quell’epoca ad aver vissuto (in forme diverse) una simile fortuna. Di aver ricevuto – sintetizzo – il racconto dell’Odissea.

Perché l’Odissea, come già l’Iliade ma in modo diverso e più universale per la varietà di registri, è fatta per essere raccontata. Letta, certo, ma ancor prima raccontata, perché ai bambini ci si avvicina col loro linguaggio: penso che la storia del Piccolo Furbo e del gigante Chiacchierone (Polifemo significa in fondo questo) venga ancora narrata nell’Egeo in chiave folklorica, ma di questa storia abbiamo bisogno anche noi, gente metropolitana del terzo millennio. Alla deriva di una crisi globale come i nostri predecessori al tempo del collasso dell’Età del bronzo (quello a cui, in soldoni, si ascrive la fine di Troia e degli Achei stessi che l’avrebbero espugnata), ereditiamo da loro le storie con cui si sono salvati: cioè da un lato l’epos che per convenzione diciamo greco, ma fiorito da un Mediterraneo miceneo e comunque meticcio, e dall’altro i canti di liberazione e di gesta alle basi del Pentateuco, legati ad altri incontri di genti.

Abbiamo bisogno di confrontarci con l’eroismo del porsi questioni – questo fa Odisseo – e del sapersi assumere l’urto della realtà senza eccessive lamentele, anche se a volte possiamo scoppiare in pianto senza vergognarci (Odisseo alla corte dei Feaci). Abbiamo bisogno, in questo mondo di narcisismo vuoto, di poter dire “Io sono Nessuno” e far la nostra parte fuori dai riflettori – persino quelli del nostro teatro privatissimo. Abbiamo bisogno di saper scegliere tra algide immortalità e invece faticosi ritorni a una dimensione segnata dal tempo, ma esistenzialmente “nostra” (Odisseo che rifiuta l’immortalità di Calipso per tornare a un’Itaca dove neppure sa cosa l’aspetti). Abbiamo bisogno come Odisseo di collocare i padri e i figli al loro giusto posto, in chiave di sana autonomia generazionale e insieme di sana solidarietà. Abbiamo bisogno come lui di affrontare con dignità, intelligenza e – perché no – astuzia i problemi pratici della vita, e a volte di lottare contro i Proci fuori di noi o anche dentro di noi…

Insomma, l’Odissea va narrata, rinarrata continuamente. Ed è in questo spirito che tanta gioia dà trovare in libreria – e vedere letta, perché il volume sta “correndo” – l’ottima rinarrazione che ne offre Marilù Oliva, con un’attenzione particolare alle voci femminili. Attenzione, un approccio superficiale al poema omerico potrebbe condurre alla lettura distorta, machista di figure femminili quali semplici “oggetti” della narrazione: l’odissea dell’eroe figaccione vedrebbe singole donne – sedotte, usate e in pratica abbandonate serialmente – come semplici step e snodi narrativi. In realtà simili letture sono contraddette fin dall’antichità in nome della peculiare sensibilità del poema alle voci femminili, a porre domande radicali sull’opera e le ragioni di chi l’ha scritta.

Non torno qui all’ipotesi già vittoriana (Samuel Butler, 1897) di un Omero donna che produrrà riletture meravigliose come La figlia di Omero di Robert Graves (1955) e sviluppi ancora più recenti: sono suggestioni bellissime, anche se restano ipotesi. Mentre è un fatto che Odisseo sia in continuo dialogo con una dea – Atena – divertita e sollecita protettrice dell’eroe πολύτροπος (colui cioè che sa volgersi da molte parti, “versatile” è un po’ riduttivo) con un rapporto di complicità che non rende proprio possibile svilire il Femminile. Se poi pensiamo che Odisseo intende tornare da una compagna di pari accortezza – la storia della tela per ingannare i Proci rimanda al patrocinio di Atena sulla tessitura ma anche a un’astuzia da lei benedetta, cioè anche Penelope sa volgersi da molte parti secondo lo stile della dea  –, una compagna che anzi a sua volta metterà alla prova con astuzia il marito vittorioso prima di riaccoglierlo, allora ci rendiamo conto che forse l’Odissea andrebbe proposta persino di più di quanto oggi avvenga.

Se dunque tutti siamo Omero – senza barriere di genere – nel riproporre questa storia davvero sapienziale, pagine come quelle di Oliva uniscono a questo illuminante taglio al femminile una qualità di scrittura davvero alta. Però rigorosamente fedele al sapore omerico (al di là di qualche licenza comunque motivata e denunciata nelle Note finali), com’è nel gusto di chi da sempre frequenta letture classiche: fedele sia nei colori mediterranei – del resto Oliva nei suoi romanzi ha questa peculiare vocazione al colore – sia in una musicalità di ritmo che echeggia l’originale e non ne forza neppure i silenzi.

Non è strano che, nel taglio scelto da Oliva, Atena vanti ben tre ampi intermezzi, in modo da narrare parti sconosciute agli altri personaggi anche in grazia della sua vicinanza a Odisseo. Ma la storia è dipanata come una polifonia, da voci femminili diverse – ciascuna con una personalità propria, vivida, e in grazia di rapporti personalissimi con il viaggiatore. Da mattatrici spiazzate ma in nessun modo diminuite in dignità come Calipso e Circe alla tenerissima e incantata Nausicaa, dalle seduttrici Sirene a Euriclea provata dalla vita, fino ovviamente a Penelope; più caratteriste o semplici comparse, da Elena di Sparta ai mostri-femmina Scilla e Cariddi alle ancelle di Penelope e tante altre. Una polifonia che oltretutto ha il pregio di spingere i lettori, chiuse queste pagine bellissime, a cercare il testo-fonte. Alla luce di quanto detto, e tanto più in questo momento di diffusa, scarsa capacità critica, un ritorno alle fondamentali macchine per pensare dei classici, all’eroe πολύτροπος e alle sue fondamentali interlocutrici, è davvero un servizio prezioso.

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I difetti fondamentali di Luca Ricci https://www.carmillaonline.com/2017/03/23/difetti-fondamentali-luca-ricci/ Thu, 23 Mar 2017 21:58:24 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36924 di Marilù Oliva

lucaricciLuca Ricci, I difetti fondamentali, Rizzoli 2017, pp.352, € 20

Il racconto, questo negletto ritenuto incautamente – e solo dai profani – meno impegnativo del romanzo, come se davvero si potesse fare una classifica delle forme letterarie. In un periodo in cui in pochissimi editori investono sul racconto, l’editore Rizzoli è andato controcorrente puntando su un libro composto da quattordici racconti. I difetti fondamentali di Luca Ricci ha un epicentro, quello della scrittura, con tutti gli attori – attivi e passivi – che ne partecipano: autori, agenti, critici, e anche [...]]]> di Marilù Oliva

lucaricciLuca Ricci, I difetti fondamentali, Rizzoli 2017, pp.352, € 20

Il racconto, questo negletto ritenuto incautamente – e solo dai profani – meno impegnativo del romanzo, come se davvero si potesse fare una classifica delle forme letterarie. In un periodo in cui in pochissimi editori investono sul racconto, l’editore Rizzoli è andato controcorrente puntando su un libro composto da quattordici racconti.
I difetti fondamentali di Luca Ricci ha un epicentro, quello della scrittura, con tutti gli attori – attivi e passivi – che ne partecipano: autori, agenti, critici, e anche coloro che vivono dietro le quinte dell’industria editoriale: editor e redattori. I titoli dei racconti sono quasi tutti aggettivi o participi passati che alludono a qualche condizione fondante di un protagonista o di chi gli sta accanto: da Il rifiutato a L’invidioso, da Il manierista a Il folle, i difetti non sono altro che l’imperfezione, l’ossessione, il sogno inseguito e mai compiuto che si declinano a una dimensione, quella della scrittura e dell’editoria, che per sua stessa natura poggia su un basamento che ha la sostanza impalpabile dei sogni. Normale, dunque, che la figura dell’autore e di chi gli sta attorno venga restituita al lettore più nelle ombre che nelle glorie, ma senza dimenticare mai il compito nobilissimo che gli compete. Così, infatti, Luca Ricci ha dichiarato in un’intervista rilasciata a Vanni Santoni su Minima & Moralia:
«I difetti fondamentali è il tentativo di restituire un poco d’importanza, di preminenza, perfino di autorialità agli autori. M’interessava parlare di scrittori, sì, ma attingendo alla mia forza creativa primordiale, e a quasi null’altro. Ogni scrittore ha il diritto e il dovere di ricreare il mondo dal principio».

E dal momento che questo atto (ri)creativo permette di estendere i mondi, l’autore ne tratteggia diversi. Ne Il rothiano, ad esempio, un ambiente universitario vecchio stampo si erge quasi a personaggio petulante che non esita a fare mobbing, ne L’adultero, invece, il matrimonio viene scandagliato nelle sue prosaicità e nei suoi slanci poetici – ma le due polarità sono indissolubilmente connesse. Ne L’affittacamere – dove il protagonista è un aspirante scrittore che ha già accatastato bizzeffe di rifiuti editoriali – è stato scelto come scenografia un appartamento crocevia di turisti che non si accorgono dell’intrinseca decadenza delle stanze in cui soggiornano. E quando, tra questi, compare in maniera assolutamente casuale un potente agente letterario, lo scrittore-affittuario pensa di essere baciato dal destino e ardisce proporre il suo manoscritto. Anche se hanno un ruolo rilevantissimo, i desideri non sono l’unico motore di quest’opera. A volte si intersecano, come accade a chiunque lavori nel settore librario, con rabbie, frustrazioni, obiezioni, rifiuti. Come nel caso dell’editor che procrastina all’infinito la lettura di un manoscritto, mentre l’aspirante si ostina a sollecitarlo, ogni lunedì, creando un appuntamento che finisce col diventare prezioso per entrambi. La realtà della scrittura viene resa in maniera non esaustiva, ma senza dubbio completa e non manca l’allusione misogina. Infatti l’unica scrittrice che compare è La canonizzata, specchio veritiero di come viene percepita, da alcuni, l’immagine della donna-artista. Questa scrittrice scala le classifiche di vendita non in virtù della sua bravura (infatti non ha talento), bensì solo perché si fidanza con un potentissimo critico letterario, uno di quelli determinanti per il successo di un’opera. Ma la gloria avrà breve durata e per fortuna, pensa il lettore, amareggiato per le ingiustizie che aleggiano anche quando vanno a coprire un’altra ingiustizia.
Luca Ricci, autore pisano classe 1974, insegnante alla Scuola Holden e alla Scuola del Libro, ha ricreato – con una prosa originale ma che risente della lezione di Čechov e Murakami – un universo fittizio molto simile alla realtà, una parodia dove il fiele del mestiere, la ferocia delle ossessioni e il cinismo di alcune acutizzazioni vengono mitigati dalla passione sincera, profonda e dolcissima per la letteratura. Ma soprattutto per la vita e l’umanità che da quella si dispiegano, anche quando si crede che tutto sia perduto.

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Segnali di Fumo: Lo zoo / di Marilù Oliva https://www.carmillaonline.com/2017/01/31/segnali-fumo-lo-zoo-marilu-oliva/ Tue, 31 Jan 2017 00:58:42 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36258 di Nicola Gobbi e Simone Scaffidi

copertina

tot parte1tot parte2

 

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di Nicola Gobbi e Simone Scaffidi

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Questo libro non esiste di Marilù Oliva https://www.carmillaonline.com/2016/07/19/libro-non-esiste/ Tue, 19 Jul 2016 21:27:23 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=31777 Copertina1Marilù Oliva, Questo libro non esiste, Elliot Edizioni, 2016, pp.192, € 16

È da poco in libreria l’ottavo romanzo di Marilù Oliva, il terzo (e conclusivo) della saga sul tempo cominciata con Le Sultane (2014) e proseguita con Lo Zoo (2015). Narrato in prima persona da Mathias, un aspirante scrittore che ha perso il suo manoscritto, il libro è giocato sul triplo registro del presente – ovvero la narrazione della spasmodica ricerca del libro perduto -, del passato – attraverso i flashback dai quali emerge come secondo protagonista un nonno despota – [...]]]> Copertina1Marilù Oliva, Questo libro non esiste, Elliot Edizioni, 2016, pp.192, € 16

È da poco in libreria l’ottavo romanzo di Marilù Oliva, il terzo (e conclusivo) della saga sul tempo cominciata con Le Sultane (2014) e proseguita con Lo Zoo (2015). Narrato in prima persona da Mathias, un aspirante scrittore che ha perso il suo manoscritto, il libro è giocato sul triplo registro del presente – ovvero la narrazione della spasmodica ricerca del libro perduto -, del passato – attraverso i flashback dai quali emerge come secondo protagonista un nonno despota – e del futuro – ovvero lo spazio, che in realtà diviene metafora di un tempo circolare che, piegandosi su stesso, cela l’eterno. Ma questo romanzo è anche un noir, perché Mathias deve vedersela con un omicidio in cui viene coinvolto, essendo stato l’ultima persona a incontrare la vittima.
E poi c’è l’impresa titanica della costruzione della macchina del tempo: le quattro parti in cui è diviso il romanzo costituiscono i dispositivi necessari alla sua realizzazione e non mancano le istruzioni per i coraggiosi che volessero cimentarsi. Con uno sguardo disincantato sul nostro sistema editoriale, non sempre limpidissimo, descritto nei suoi splendori ma soprattutto nei suoi baratri, Marilù Oliva si diverte a tuffarsi nel tempo astrofisico, attraverso continui rimandi ai corpi astrali, come anticipa la copertina.
Vi proponiamo un brano in cui Mathias tenta di spiegare quanto sia pervasiva la sua ossessione per il tempo.

***

La smania avanza inesorabile, la sento implacabile come la sentiva il nonno quando urlava alle pareti che voleva una soluzione. Perché mio nonno non si rassegnava, voleva acchiappare il tempo. Una volta, eravamo soli, vagava avanti e indietro per le stanze, aveva trascorso le ultime notti leggendo i libri di un ciarlatano che parlava di mondi comunicanti, elettromagnetismo e modalità strambe per controllare l’intero geosistema. Quel giorno toccò i muri, il nonno, li misurò col suo vecchio metro, alzò il naso al soffitto, di colpo si fermò davanti a me e mi disse: «Bisogna tornare indietro. Sai quante cose potrei fare? Quel giorno, alla stazione di Bologna, potrei andare in sala d’attesa e bloccare quei due disgraziati con la valigia piena di tritolo… E gli anni dello stragismo, Piazza della Loggia, Piazza Fontana, avviserei chi di dovere, al diavolo se c’è lo zampino dei servizi segreti: metterei sottosopra la stampa di tutto il mondo. Ma questo è niente: se tornassi indietro di tanto, tanto tempo, potrei conoscere Giulio Cesare, Carlo Magno… viaggiare con Colombo, potrei finire in Europa, vivere alle corti dei grandi re e consigliarli sulle loro mosse politiche, certo questo renderebbe il mondo migliore. E poi potrei… mi ascolti?».
«Certo!» sobbalzai. La paura di sbagliare risposta mi si annidava in bocca ogni volta che mi rivolgeva un’interrogazione.
«Potrei indirizzarmi al primo Novecento e sopprimere tutti i dittatori quando sono ancora inoffensivi… Poi tornerei qui, per essere acclamato».
Lo guardavo come un tifoso di calcio guarderebbe il suo idolo. Non facevo caso ai suoi controsensi, ai suoi slanci di onnipotenza, alle sue pecche, all’impreparazione che tamponava con libri improbabili di magia e pseudofantascienza.
Capite, vero, come ci si sente schiacciati quando si pensa al tempo? Mistificare l’attimo che si dilegua, ritornare allo stesso punto come un cane che si morde la coda. Quanti giorni sprecati, quante ore che scorrono sornione via dalle dita e noi ci ripetiamo che no, non è possibile che siamo sempre qui, ogni sera dopo la sera prima, chiusi gli occhi, ad accorgerci che è già filato via un giorno e noi cambiamo, anche impercettibilmente, mentre il tempo incede come se fosse solo una giostra che, con un sempiterno girotondo, ci stermina dolcemente.
Mio nonno era un autodidatta che aveva costruito la sua scienza profana accogliendo anche le teorie più fantastiche, lettore vorace le notti, mentre, di giorno, lavorava come netturbino nell’azienda urbana presso la quale sarebbe diventato responsabile di quartiere – vale a dire che decideva quali strade i camioncini dei rifiuti avrebbero spazzato e a quali ore. Non si arrendeva, voleva comprendere il tempo, voleva farselo amico. Quel presuntuoso voleva superare Einstein, il cui limite, stando alle aritmetiche del nonno, risiedeva proprio nell’acume scientifico: «Einstein era un grande studioso. Tedesco, eh. Il più fantastico uomo che abbia calpestato il suolo europeo ce l’ha regalato la Germania. Rispetto ai cervelloni che lo avevano preceduto ha fatto un salto qualitativo: ha accostato tempo e spazio, sostenendo che s’influenzano reciprocamente.
Però Einstein non ha mai preso in considerazione il fatto che il tempo possa ridursi a un concetto puramente astratto, eppure reale. Una cosa che non sussiste ma si percepisce, al di là del linguaggio. Vedi la forza della parola? Non c’è, non la tocchi. Ma nel momento in cui la pronunci, già esiste».

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Interruzioni, di Camilla Ghedini https://www.carmillaonline.com/2016/05/04/interruzioni-camilla-ghedini/ Tue, 03 May 2016 22:03:44 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30190 Layout 1[Pubblichiamo un estratto del libro di Camilla Ghedini, Interruzioni, Giraldi editore, Bologna 2016, pagg. 100 € 10. Si tratta di quattro racconti dedicati alla maternità, intesa come evento collegato all’amore, ma anche al male e alla negazione, come scrive Marilù Oliva nella prefazione: “c’è anche l’amore collegato al male, al di là di qualsiasi banalità: l’amore/disamore per un figlio, per una madre, per se stessi, per un sogno, l’amore rincorso o negato, che si culli in un ricordo lontano o in una visione, che si plasmi in accettazione sorda. Che [...]]]> Layout 1[Pubblichiamo un estratto del libro di Camilla Ghedini, Interruzioni, Giraldi editore, Bologna 2016, pagg. 100 € 10. Si tratta di quattro racconti dedicati alla maternità, intesa come evento collegato all’amore, ma anche al male e alla negazione, come scrive Marilù Oliva nella prefazione: “c’è anche l’amore collegato al male, al di là di qualsiasi banalità: l’amore/disamore per un figlio, per una madre, per se stessi, per un sogno, l’amore rincorso o negato, che si culli in un ricordo lontano o in una visione, che si plasmi in accettazione sorda. Che scelga di votarsi all’egoismo o di ripudiarlo, che tenti di salvare ciò che è perduto o che lo lasci scivolare via. Il sentimento si fa premessa, dunque: ma è la donna a divenire soggetto.”
Il testo che segue deriva dal secondo racconto, che ha come oggetto l’infanticidio (MB).]

Non vuoi sorridere a un’assassina. Eppure devi farlo. È il prezzo che devi pagare per sentirti buona. Perché tu vuoi raccontare di me per fare capire agli altri che può succedere. Mi hai detto così, ricordi, per convincermi. Mi hai detto così, ricordi, per tentarmi. E io sto al gioco, sto facendo il tuo gioco. Però sì, lo intuisco che hai la nausea, che vorresti andartene, lasciarmi qui, che ti faccio schifo. Vorresti chiedermi urlando come ho fatto. Ma non puoi. Non puoi per tanti motivi. Dai, fai l’amica, che hai bisogno di me. Lo sappiamo tutte e due. Sappiamo tutte e due che tu non sei nessuno per me. Se nessuno saprà la
mia storia, per me non cambierà nulla. Sarà tutto come prima, come ora. Ma se tu non potrai raccontarla, non avrai raggiunto l’obiettivo. Per te sarebbe tutto diverso. E allora, visto che sei solo un’estranea che ha bisogno della mia intimità, devi essere educata con me. Sì, devi essere educata. Devi ascoltarmi, rivolgerti a me con calma, devi stare attenta a non fare trapelare giudizi. Non puoi mica permettertelo, io ti servo. Per la tua carriera. Io e te dobbiamo andare d’accordo. Dobbiamo essere almeno un po’ complici. Complici nell’inganno di essere confidenti.

Sì lo so, tu non vuoi essere mia complice, tu vorresti passare per quella che mi ha aiutato a liberarmi, a capire il mio stesso dramma, ad essere indulgente con me stessa, ad entrare in una seconda vita. Non è così. Io non piango perché io non soffro. Il problema è che così tu non puoi perdonarmi. Giusto? Se non chiedo pietà, se non chiedo comprensione, tu non puoi concedermele. E allora sei debole. Non sei la più forte.
Non sei la più giusta. Sei impotente. Perché mentre sei così, di fronte a me, io e te siamo
uguali, sullo stesso livello. Tu non ti elevi. Tu ti abbassi. Tu pensavi di usare me, io invece sto usando te. Perché tu non sei migliore di me. Tu non sei migliore di me perché non hai ucciso il tuo bimbo.

Poi tu, chissà, chi lo sa se anche tu non ne saresti capace. Sono tutte uguali le mamme del mondo. Non si dice così? È questo vero che ti tormenta? Hai studiato tanto prima di venire qui, hai letto tanti libri e tante testimonianze. Hai parlato con tanti esperti e ti hanno convinto che si perde la ragione, è un attimo, la testa vola via e si compie l’irreparabile. Poi ci si pente. Poi si vuole morire. Poi no, non si vuole più morire perché è continuare a vivere la vera punizione. Se muori, se ti uccidi, se accorci la sofferenza, la fai franca. Se sei pentita devi vivere. E male. Ogni giorno deve pesare come mille. E invece io non sto male, io non mi affliggo, io voglio essere felice. E tu sei in collera.

Sei nel pallone, perché se io non mi odio, se io per prima non odio me stessa, tu non sei autorizzata né a disprezzarmi né ad assolvermi. Non sai da che parte devi stare, la mia di prima o la mia di ora. Stai cercando di riflettere su cosa è più giusto, più corretto, più etico. Per te. Ma hai il voltastomaco, perché immagini la scena, vedi solo il sangue e ti sembra di sentirne l’odore acre e nauseabondo. Hai paura di sporcarti. Il tuo istinto ti porta ad allontanarti, per non essere colpita da uno schizzo, per non essere insozzata. Ma stai tranquilla, siamo io e te qui, qui, al sicuro. Da fuori ci osservano, non può capitarti nulla.

Ti sembra di essere paranoica, che no, non è possibile che io sia di fronte a te, seduta, coi jeans e una maglietta attillata e scollata, con le paillettes all’altezza del seno. Stringi gli occhi, come quando ci si sveglia, li riapri. Ma io sono sempre io, non ho cambiato volto, non ho cambiato abiti, non ho cambiato postura. Non sai cosa fare.

Te lo dico io cosa non fare. Non devi perdonarmi, io non te l’ho chiesto. Non devi biasimarmi, tu non sai cosa è successo. Tu quel momento di follia non lo hai mai provato. Tu quella lucidità non sai cosa sia. Eppure ti faccio schifo, io lo vedo, mi reputi riprovevole perché io voglio ancora essere felice.

[Camilla Ghedini giornalista libera professionista e PR letteraria, vive a Ferrara. E’ autrice di diversi libri nei quali, con stile narrativo, affronta temi sociali.]

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Gli eBook di Carmilla: Malevisione, di Marilù Oliva https://www.carmillaonline.com/2016/01/19/gli-ebook-di-carmilla-malevisione-di-marilu-oliva/ Mon, 18 Jan 2016 23:00:50 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28103 di Redazione

Cover eBook Marilù Oliva MALEVISIONE (Medium)Dopo l’uscita del primo eBook di Mauro Baldrati, Fuga, Carmilla ci ha preso gusto e il libro elettronico diventa seriale. Pubblichiamo dunque (sempre gratuitamente) il nostro secondo eBook carmilliano: Malevisione di Marilù Oliva. Potete scaricarlo cliccando sui link alla fine del post.

Malevisione è un’indagine letteraria attraverso gli abissi della nostra televisione. Reality show che si trasformano in stragi, principi che cantano nel più seguito festival canoro del Bel Paese, telegiornali infarciti di sciocchezze e gossip, programmi [...]]]> di Redazione

Cover eBook Marilù Oliva MALEVISIONE (Medium)Dopo l’uscita del primo eBook di Mauro Baldrati, Fuga, Carmilla ci ha preso gusto e il libro elettronico diventa seriale. Pubblichiamo dunque (sempre gratuitamente) il nostro secondo eBook carmilliano: Malevisione di Marilù Oliva. Potete scaricarlo cliccando sui link alla fine del post.

Malevisione è un’indagine letteraria attraverso gli abissi della nostra televisione. Reality show che si trasformano in stragi, principi che cantano nel più seguito festival canoro del Bel Paese, telegiornali infarciti di sciocchezze e gossip, programmi culinari con imprevedibili ricette: questi racconti si spingono verso il paradossale, ma dimostrano che tutto è lecito pur di mantenere l’audience.

E alla fine della fiera occorre porsi alcune domande. Nessuno dice niente? E se l’utente, attraverso un nemmeno troppo sofisticato sistema di lavaggio del cervello e assuefazione, venisse cannibalizzato? Se ciò che in televisione ci viene propinato per bellezza non fosse altro che orrore? Un viaggio grottesco nel piccolo schermo che vi farà divertire ma anche rabbrividire: certo qualcuno, se già non se ne era liberato prima, ora sceglierà di non accendere più la TV.

Scarica l’ebook: Marilù Oliva, Malevisione, Carmilla eBook, 2016, formati EPUB, MOBI, PDF (Link di download temporanei, presto in arrivo quelli definitivi).

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Zitta! Un video-inchiesta https://www.carmillaonline.com/2015/11/26/26872/ Thu, 26 Nov 2015 21:27:45 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=26872 DOLCE“Esiste un legame tra svalutazione delle donne, oggi, in Italia, e violenza in tutte le sue forme incluso il femminicidio?” Questa è una delle domande che si pongono le autrici di questo video inchiesta, Zitta, prodotto dalla factory Kinedimorae con Marilù Oliva e la filmmaker Elena Araldi. Attraverso interviste con Dacia Maraini, l’inviato delle Iene Matteo Viviani, l’economista Marcella Corsi, lo scrittore Matteo Strukul, e una puntuale indagine sulle pubblicità sessuofobe, le canzoni ammiccanti di rappers piuttosto confusi, gli insulti sul web, la situazione economica e tutte le versioni più o meno striscianti di emarginazione-svalutazione, questo lavoro si addentra nelle mille [...]]]> DOLCE“Esiste un legame tra svalutazione delle donne, oggi, in Italia, e violenza in tutte le sue forme incluso il femminicidio?”
Questa è una delle domande che si pongono le autrici di questo video inchiesta, Zitta, prodotto dalla factory Kinedimorae con Marilù Oliva e la filmmaker Elena Araldi. Attraverso interviste con Dacia Maraini, l’inviato delle Iene Matteo Viviani, l’economista Marcella Corsi, lo scrittore Matteo Strukul, e una puntuale indagine sulle pubblicità sessuofobe, le canzoni ammiccanti di rappers piuttosto confusi, gli insulti sul web, la situazione economica e tutte le versioni più o meno striscianti di emarginazione-svalutazione, questo lavoro si addentra nelle mille forme del maschilismo, dello svilimento e della violenza. Ma non solo: senza reticenze indaga anche sull’atteggiamento complice di alcune donne, che contribuiscono in maniera subalterna alla svalutazione di loro stesse, adeguandosi alle cosiddette “regole mediatiche del mercato”.

C’è una via d’uscita?

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