Marcello Musto – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Marx: scomodo e attuale, anche nella vecchiaia https://www.carmillaonline.com/2024/06/11/marx-scomodo-e-attuale-anche-nella-vecchiaia/ Tue, 11 Jun 2024 20:00:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=82684 di Sandro Moiso

Marcello Musto, L’ultimo Marx. Biografia intellettuale (1881-1883), Donzelli editore, Roma 2023, pp. 278, 19 euro

«L’umanità ora possiede una mente in meno, quella più importante che poteva vantare oggi. Il movimento proletario prosegue il proprio cammino, ma è venuto a mancare il suo punto centrale, quello verso il quale francesi, russi, americani e tedeschi si volgevano automaticamente nei momenti decisivi, per ricevere quel chiaro e inconfutabile consiglio che solo il genio e la completa cognizione di causa potevano offrire loro. I parrucconi locali, i piccoli luminari e forse anche gli impostori si troveranno ad avere mano libera. [...]]]> di Sandro Moiso

Marcello Musto, L’ultimo Marx. Biografia intellettuale (1881-1883), Donzelli editore, Roma 2023, pp. 278, 19 euro

«L’umanità ora possiede una mente in meno, quella più importante che poteva vantare oggi. Il movimento proletario prosegue il proprio cammino, ma è venuto a mancare il suo punto centrale, quello verso il quale francesi, russi, americani e tedeschi si volgevano automaticamente nei momenti decisivi, per ricevere quel chiaro e inconfutabile consiglio che solo il genio e la completa cognizione di causa potevano offrire loro. I parrucconi locali, i piccoli luminari e forse anche gli impostori si troveranno ad avere mano libera. La vittoria finale resta assicurata, ma i giri tortuosi, gli smarrimenti temporanei e locali – già prima inevitabili – aumenteranno adesso più che mai. Bene, dovremo cavarcela. Altrimenti che cosa ci stiamo a fare?» (F. Engels, lettera a F. Sorge, 15 marzo 1883 – 24 ore dopo la morte di Karl Marx)

Marcello Musto, professore di Sociologia presso la York University di Toronto, può essere considerato tra i maggiori, se non il maggiore tra gli stessi, studiosi contemporanei di Karl Marx. Le sue pubblicazioni sono state tradotte in venticinque lingue e annoverano, tra le più recenti, dallo stesso scritte o curate: Karl Marx. Biografia intellettuale e politica (Einaudi 2018), Karl Marx. Scritti sull’alienazione (Donzelli 2018), Marx Revival. Concetti essenziali e nuove letture (Donzelli 2019), Karl Marx. Introduzione alla critica dell’economia politica (Quodlibet 2023) e Ricostruire l’alternativa con Marx. Economia, ecologia, migrazione (Carocci 2023 con M. Iacono).

L’attuale volume costituisce la riedizione ampliata di una ricerca già pubblicata nel 2016 dallo stesso editore che pone al centro dell’attenzione gli ultimi due anni di attività del Moro di Treviri prima della morte, giunta per lui alle 14,45 del 14 marzo 1883. Sono anni di sofferenza fisica e psicologica per Marx, segnati pesantemente, ancor più che dai malanni fisici che lo perseguitano, dalla morte della moglie (Jenny von Westphalen, 12 febbraio 1814 – 2 dicembre 1881) e della figlia maggiore Jenny (1° maggio 1844 – 11 gennaio 1883). Ancora nella stessa lettera citata in esergo, l’amico Engels avrebbe commentato:

Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili. È stato così anche in questo caso. Forse, l’abilità dei medici gli avrebbe potuto assicurare ancora qualche anno di esistenza vegetativa; la vita di un essere impotente, il quale, per il trionfo della medicina, non muore d’un sol colpo, ma soccombe a poco a poco. Tuttavia, il nostro Marx non lo avrebbe mai sopportato. Vivere con tutti quei lavori incompiuti davanti a sé, anelando, come Tantalo, a portarli a termine senza poterlo fare, sarebbe stato per lui mille volte più amaro della dolce morte che lo ha sorpreso. «La morte non è una disgrazia per colui che muore, ma per chi rimane», egli soleva dire con Epicuro. E vedere quest’uomo geniale vegetare come un rudere a maggior gloria della medicina e per lo scherno dei filistei che lui, quando era nel pieno delle sue forze, aveva tanto spesso stroncato… no, mille volte meglio le cose così come sono andate. Mille volte meglio che dopodomani lo porteremo nella tomba dove riposa sua moglie. Dopo tutto quello che era successo precedentemente, di cui neanche i medici sono a conoscenza più di quanto lo sia io, secondo me non ci poteva essere che una scelta1.

Ma al di là delle considerazioni sulle afflizioni personali, è quell’annotazione engelsiana sui “lavori incompiuti” che ci proietta all’interno del lavoro condotto da Musto sugli ultimi anni del rivoluzionario tedesco, che, occorre qui subito dirlo, costituì, più che un’unica opera definitivamente compiuta, un gigantesco laboratorio di riflessioni, intuizioni e rielaborazioni che finiscono col costituire, ancora oggi, l’autentica eredità scientifica dello stesso Marx.

Una scienza definibile come tale non in virtù di dogmi, verità e affermazioni apodittiche espresse una volta per tutte, come molti seguaci e settari eredi ancora vorrebbero, ma proprio per la possibilità di falsificare tante affermazioni date per scontate, costringendo, così come l’autore del Capitale continuò a fare fino al momento della morte, lo scienziato a verificare e riverificare le proprie precedenti osservazioni e formulazioni. Non in nome del dubbio perenne, sempre insoddisfatto, ma della necessità di chiarire meglio concetti, problemi, sistemi di riferimento teorici che pur sempre nella concreta realtà materiale, sia che si trattasse della lotta di classe oppure delle trasformazione dei meccanismi di accumulazione e sfruttamento del capitalismo, dovevano piantare solidamente i piedi.

Una sfida che Marx accettò, e allo stesso si impose, durante l’intero corso del suo operato. Una sorta di gigantesco work in progress, condotto spesso in solitudine e talvolta nel confronto e con la collaborazione con Friedrich Engels, in cui è possibile inserire e verificare tutti i suoi scritti, dagli Annali Franco-tedeschi del 1844 fino agli ultimi scritti e lettere sulla Russia e le sue tradizioni comunalistiche in uso tra i contadini al servizio dei grandi proprietari terrieri ai tempi dello Zar.

Musto nel corso del suo lavoro, e non soltanto in questo caso, fa riferimento sia all’edizione delle opere di Marx-Engels già uscita in 50 volumi (più vecchia e dal travagliato percorso editoriale, soprattutto in Italia), sia a quella più recente, e tutt’ora i corso di pubblicazione, in 114 (che dovrebbe raccogliere tutti gli scritti e relative revisioni degli stessi, pubblicati e non, ad opera dell’autore). Mentre la prima iniziata ancora ai tempi dell’URSS doveva costituire una sorta di monumento all’opera dei due comunisti, trasformatosi, però, per carenza di materiali, rimozioni politiche e ideologiche e frettolose ricostruzioni in una sorta di fossile critico, l’attuale, pur di più difficile consultazione, finirà di fatto col costituire non tanto l’”opera definitiva” quanto piuttosto quella di riferimento filologico per tutti gli studi a venire.

Da questo punto di vista, all’interno del volume sugli ultimi anni di Marx, risultano importanti e utili le considerazioni contenute nella parte riguardante i motivi per cui Il capitale non fu mai davvero completato in vita dall’autore.

Tra il 1877 e l’inizio del 1881, Marx redasse nuove versioni di diverse parti del Libro Secondo del Capitale. Nel marzo del 1877, ripartì dalla compilazione di un indice, piuttosto esteso, dei materiali precedentemente raccolti. Si concentrò, poi, quasi esclusivamente sulla prima sezione, dedicata a «Le metamorfosi del capitale e il loro ciclo», eseguendo un’esposizione più avanzata del fenomeno della circolazione del capitale. In seguito, nonostante le cagionevoli condizioni di salute e seppure la necessità di effettuare ulteriori ricerche rendesse il lavoro molto saltuario, Marx continuò a occuparsi di diversi argomenti, tra i quali l’ultimo capitolo «Accumulazione e riproduzione allargata». Risale a questo periodo il cosiddetto «Manoscritto VIII» del Libro Secondo in cui, accanto alla ricapitolazione di testi precedenti, Marx preparò nuove bozze che riteneva utili per il proseguimento dell’opera. Egli comprese anche di avere commesso, e reiterato per lungo tempo, un errore di interpretazione, allorquando aveva ritenuto che le rappresentazioni monetarie fossero meramente un velo del contenuto reale delle relazioni economiche2.

Ma ciò che è stato appena qui riportato costituisce soltanto uno dei tanti ripensamenti che in qualche modo frenarono la definitiva stesura e pubblicazione di quella che avrebbe dovuto costituire l’opera definitiva del Moro di Treviri e che, invece, tale non fu e non avrebbe potuto essere. Ai problemi di carattere economico, politico, tecnologico, agrario e monetario che Marx si sforzò di comprendere per dare validità al proprio lavoro, si aggiunsero, oltre a quelli già segnalati di salute e gravi lutti famigliari, anche quelli legati alla traduzione in altre lingue del testo stesso. Fin dalla pubblicazione del primo volume dell’opera (l’unico comparso con l’autore ancora in vita).

Ecco allora che appare evidente la forzatura, iniziata già con Engels, di completare la pubblicazione del secondo e terzo volume basandosi (prima con il lavoro dello stesso amico e sodale tra il 1885 e il 1894 e poi per il quarto, noto anche come Teorie del plusvalore, pubblicato tra il 1905 e il 1910 a cura di Karl Kautsky, ex-segretario personale di Engels e all’epoca massimo esponente della socialdemocrazia tedesca e del marxismo cosiddetto ortodosso) sugli appunti sparsi e disordinatissimi, nonostante il rigore degli studi, dello stesso Marx. Errore che non è stato migliorato, e non poteva esserlo, nemmeno nell’edizione francese della Pléiade delle opere di Marx curata da Maximilien Rubel, in cui, grazie anche al contributo di Suzanne Voute, vecchia militante internazionalista di Marsiglia, sia il secondo che il terzo libro dell’opera stesso venivano, in qualche modo, risistemati sulla base di materiali tralasciati da Engels e Kautsky durante i precedenti lavori di sistemazione.

Riportare qui le vicende di quegli studi ripensati, sospesi e ripresi da Marx sarebbe troppo lungo nell’ambito di una recensione e per questo motivo non si può far altro che rinviare il lettore al teso pubblicato da Donzelli, in cui Musto sottolinea ancora come, ad ogni modo, «lo spirito problematico con il quale Marx scrisse e continuò a ripensare la sua opera palesa l’enorme distanza che lo separa dalla rappresentazione di autore dogmatico, proposta sia da molti avversari che da tanti presunti seguaci»3.

Ma questo carattere distintivo di Marx, questa sua estrema attenzione alla realtà delle cose e alla necessità di una spiegazione dei fatti sociali, economici e politici che fosse pienamente convincentte e utile ai fini dello sviluppo di un vittorioso confronto con l’avversario di classe, lo si può riscontrare anche nei confronti dell’”autonomia” della lotta di classe, del suo naturale svilupparsi a partire dall’azione dei lavoratori e delle loro lotte senza alcuna necessità di attori esterni che spingessero in tale direzione oppure, ancora,nei confronti sollevati dai socialisti rivoluzionari russi, quando questi si rivolsero a Marx e al suo giudizio proprio a proposito della comune contadina rssa e sulle sue potenzialità di sviluppo. Cui Marx rispose in maniera tale da demolire a priori qualsiasi tentativo di dare per scontati cicli storici di sviluppo sociale ed economici forzatamente uguali in ogni angolo del mondo.

Tanti, dopo la morte di Marx, avrebbero innalzato la sua o le sue bandiere, però, come ci ricorda in chiusura Marcello Musto:

Nel corso di questo lungo processo – durante il quale Marx è stato studiato a fondo, trasformato in icona, imbalsamato in manuali di regime, frainteso, censurato, dichiarato morto e, di volta in volta, sempre riscoperto – alcuni hanno completamente stravolto le sue idee con dottrine e prassi che, in vita, egli avrebbe irriducibilmente combattuto. Altri, invece, le hanno arricchite, aggiornate e ne hanno messo in evidenza problemi e contraddizioni, con spirito critico simile a quello da lui sempre adoperato e che egli avrebbe apprezzato.
Coloro che oggi ritornano a sfogliare le pagine dei suoi testi, o quanti si cimentano con essi per la prima volta, non possono che restare affascinati dalla capacità esplicativa dell’analisi economico-sociale di Marx e coinvolti dal messaggio che trapela, incessantemente, da tutta la sua opera: organizzare la lotta per porre fine al modo di produzione borghese e per la completa emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, di tutto il mondo, dal dominio del capitale4.

Ancora oggi, dunque, è utile tornare ai suoi testi e al suo metodo, anche attraverso le pagine di questo libro.


  1. F. Engels a F. Sorge, cit. ora in M. Musto, L’ultimo Marx. Biografia intellettuale (1881-1883), Donzelli editore, Roma 2023, pp. 252-253.  

  2. M. Musto, op. cit. pp. 172-173.  

  3. Ibidem, p. 190.  

  4. Ibid, pp. 253-254.  

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C’era una volta… oppure c’è ancora Marx? https://www.carmillaonline.com/2024/02/14/cera-una-volta-oppure-ce-ancora-marx/ Wed, 14 Feb 2024 21:00:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80491 di Sandro Moiso

Marcello Musto, Alfonso Maurizio Iacono (a cura di), Ricostruire l’alternativa con Marx. Economia, ecologia, migrazione, Carocci editore, Roma 2023, pp. 350, 32 euro

Si adopera l’espressione «marxismo» non nel senso di una dottrina scoperta o introdotta da Carlo Marx in persona, ma per riferirsi alla dottrina che sorge col moderno proletariato industriale e lo «accompagna» in tutto il corso di una rivoluzione sociale e conserviamo il termine «marxismo» malgrado il vasto campo di speculazioni e di sfruttamento di esso da parte di una serie di movimenti antirivoluzionari. (Amadeo Bordiga – Riunione di Milano, 7 settembre 1952)

Occorre [...]]]> di Sandro Moiso

Marcello Musto, Alfonso Maurizio Iacono (a cura di), Ricostruire l’alternativa con Marx. Economia, ecologia, migrazione, Carocci editore, Roma 2023, pp. 350, 32 euro

Si adopera l’espressione «marxismo» non nel senso di una dottrina scoperta o introdotta da Carlo Marx in persona, ma per riferirsi alla dottrina che sorge col moderno proletariato industriale e lo «accompagna» in tutto il corso di una rivoluzione sociale e conserviamo il termine «marxismo» malgrado il vasto campo di speculazioni e di sfruttamento di esso da parte di una serie di movimenti antirivoluzionari. (Amadeo Bordiga – Riunione di Milano, 7 settembre 1952)

Occorre iniziare dalla perentoria e sintetica frase pronunciata da Amadeo Bordiga più di settant’anni fa per cogliere lo smarrimento che al giorno d’oggi può cogliere un certo numero di militanti antagonisti ogni qualvolta sentono usare il nome del filosofo di Treviri oppure il termine che ne indica l’opera e la sua interpretazione da parte di terzi.

Condizione che, spesso, trasmette un’idea di inutile deja vù o, ancor peggio, di opportunistica rivendicazione di una dottrina ridotta a fantasma di se stessa proprio ad opera di coloro che un tempo, ora sempre meno, a Marx ed Engels si richiamavano, magari insieme al nome di Lenin o di altri appartenenti al periodo dello stalinismo trionfante e dell’opposizione allo stesso.

Per far uscire l’opera di Marx da questa sorta di terra di nessuno in cui è stata relegata, grazie anche all’assenza di una significativa ripresa della lotta di classe, può risultare utile la lettura del volume collettivo appena pubblicato da Carocci editore che raccoglie i contributi di quattordici studiosi di fama mondiale, appartenenti a diversi ambiti disciplinari e provenienti da vari paesi, nei quali si prova ad offrire uno sguardo più moderno e attualizzato sulle idee del filosofo tedesco riguardo all’ecologia, ai processi migratori, alle questioni di genere, al modo di produzione e riproduzione capitalistico, alla composizione del movimento operaio, alla globalizzazione e alle possibili caratteristiche di un’alternativa allo stato di cose presente.

Marcello Musto il primo dei due curatori, che insegna Sociologia alla York University di Toronto in Canada, può essere considerato forse il principale marxologo del tempo presente, grazie anche alla pubblicazione di opere quali L’ultimo Marx (Donzelli, 2016), Karl Marx – Biografia intellettuale e politica (Einaudi, 2018) e, ancora con Carocci editore, Ripensare Marx e i marxismi (2011).
Mentre Alfonso Maurizio Iacono, l’altro curatore, insegna Teoria e storia dei sistemi filosofici all’Università di Pisa ed è autore di numerose opere, tra le quali vanno ricordate Teorie del feticismo (Giuffrè, 1985), Autonomia, potere, minorità (Feltrinelli, 2000), L’illusione e il sostituto (Bruno Mondadori, 2010) e Studi su Marx (ETS, 2018).

Dopo aver sottolineato il rinnovato interesse nei confronti di Marx a partire dalla crisi iniziatasi nel 2008, Musto, nella sua introduzione al testo, ci ricorda che Il capitale non fu l’unico progetto rimasto incompiuto del filosofo e rivoluzionario tedesco.

La spietata autocritica di Marx aumentò le difficoltà di più di una delle sue imprese e la grande quantità di tempo che dedicò a molti progetti che voleva pubblicare era dovuta all’estremo rigore a cui sottoponeva tutto il suo pensiero. Quando Marx era giovane, era noto tra i compagni di università per la meticolosità. Si racconta che si rifiutasse «di scrivere una frase se non era in grado di dimostrarla in dieci modi diversi». E’ per questo che il giovane studioso della sinistra hegeliana pubblicò ancor meno di molti altri. La convinzione di Marx che le sue informazioni fossero insufficienti e i suoi giudizi immaturi gli impediva di pubblicare scritti che rimanessero sotto forma di abbozzi o frammenti1.

Già questo basterebbe a differenziarlo da tanti suoi successivi emulatori e seguaci, sia nella superficialità con cui tante volte hanno dato alle stampe testi poco rigorosi, ma molto ideologici, quanto da coloro che hanno fatto di ogni sua affermazione un’autentica e immutabile parola di veritas.

Alcuni dei testi pubblicati da Marx non devono essere considerati come la sua parola definitiva sui temi in questione. Ad esempio, il Manifesto del Partito comunista è stato considerato da Friedrich Engels e Marx come un documento storico della loro giovinezza e non come il testo definitivo in cui venivano enunciate le loro principali concezioni politiche. Inoltre, bisogna tener presente che gli scritti di propaganda politica e quelli scientifici spesso non sono combinabili. Questo tipo di errori è molto frequente nella letteratura secondaria su Marx2.

Questa mancata contestualizzazione dell’opera spesso si accompagna a un timore reverenziale nell’interpretarla, fin dalla sua morte, a partire dalla quale forse anche lo stesso Engels fu responsabile di un eccesso di imbalsamazione cercando di fissare in una forma definitiva, ad esempio, sia il secondo che il terzo libro del Capitale di cui esistevano varie stesure in forma di appunti, nessuna delle quali aveva convinto del tutto l’autore.

Nasceva così, probabilmente, proprio dal lavoro comprensibilmente rispettoso di Engels, nei confronti dell’amico scomparso, un’interpretazione “dottrinaria” che spesso si è preoccupata più del “monumento Marx” che dell’effettiva utilizzazione della sua opera. Cosicché spesso l’interpretazione della sua opera è stata fin troppo spesso collegata alla mera dinamica di sviluppo delle forze produttive, mentre, in particolare, è stata in seguito dimostrata anche la rilevanza che Marx assegnò alla questione ecologica, a quella delle migrazioni e a quella coloniale.

E proprio a questi tre, attualissimi, temi sono rivolti numerosi saggi tra quelli contenuti in Ricostruire l’alternativa Marx, in particolare in quelli di Silvia Federici su Genere, razza e riproduzione sociale in Marx: una prospettiva femminista; quello di Kohei Saito su L’accumulazione originaria come causa del disastro economico ed ecologico e, ancora, quello di Pietro Basso su Marx sull’esercito industriale di riserva e le migrazioni: vietato abusarne.

Ci si accontenterà qui, per necessità di spazio espositivo, di prendere in esame il saggio di Pietro Basso che, senza nulla togliere all’importanza degli altri citati e non, ha il merito di occuparsi di una questione particolarmente sentita all’interno del dibattito politico contemporaneo e, allo stesso tempo, di rivelare l’abuso fatto, in nome di un “marxismo” superficiale e travisato, dell’opera del rivoluzionario (autentico) tedesco.

Nella rinnovata attenzione al suo pensiero, è toccato a Marx esser chiamato in causa, da sinistra e perfino da destra, in particolare in Italia e in Germania, per legittimare con la sua autorità le politiche di “chiusura delle frontiere” agli immigrati che impazzano in Europa, e spesso fuori dall’Europa. Si tratta di uno sfacciato abuso del pensiero di Marx, compiuto facendo riferimento alla sua analisi della funzione dell’esercito industriale di riserva e delle migrazioni nel capitalismo, ma falsificandola (in parte) e amputandola (del tutto) delle sue conclusioni politiche. Mi occuperò qui di tale abuso prendendo in considerazione la logica di alcuni falsari di successo (Diego Fusaro, Wolfang Streeck, Sahra Wagenknecht)3.

Per poter fare ciò, Basso riprende l’originale riflessione di Marx sull’importante categoria, ai fini dell’analisi della struttura sociale ed economica capitalistica, “esercito industriale di riserva”, presentata fin dai Grundrisse tra le contraddizioni chiave insopprimibili del modo di espansione del capitale. Per dirla con le parole dello stesso Marx: « Il capitale tende sia ad aumentare la popolazione lavoratrice [questo aumento è il primo presupposto dell’aumento del plusvalore – N.d.A.], sia a porre incessantemente una sua parte come sovrappopolazione – popolazione inutile fino al momento in cui il capitale può valorizzarla»4.

Anche se ai tempi di Marx, che prendeva in esame soprattutto lo sviluppo del capitalismo in Gran Bretagna, il problema migratorio era rappresentato soprattutto dalle relazioni e dalle rivalità che intercorrevano tra la manodopera inglese e quella irlandese, ciò non toglie che il fondatore del pensiero e dell’agire rivoluzionario moderno fosse sufficientemente attento alle dinamiche e all’evoluzione di quel rapporto e, in particolare, a ciò che la forzata emigrazione irlandese finisse con l’avere sugli irlandesi stessi e le loro lotte, sia che queste fossero a carattere nazionale che sindacale.

In tale contesto, in cui il capitale tende ad usare ogni arma ideologica e non soltanto per dividere al suo interno il proletariato, Marx si schierò sempre apertamente e risolutamente a favore della «collaborazione sistematica tra occupati e disoccupati per infrangere o indebolire le conseguenze rovinose sulla propria classe di quella legge naturale della produzione capitalistica […] ogni solidarietà tra occupati e disoccupati turba infatti il “puro” gioco di quella legge»5.

Per Marx, quindi, la produzione da parte del capitale di un esercito industriale di riserva è una legge, non un evento passeggero, un’occasionale disfunzione del capitalismo legata a questa o quella politica sociale, ovvero – per stare in tema – a questa o quella politica migratoria. E l’unica forza che può contrastarla è la lotta unitaria tra proletari occupati e disoccupati. Omettere tale doppia conclusione, storico-teorica e politica, è falsificare in modo impudente il pensiero marxiano e marxista in materia6.

A più riprese, Marx, parlando dei vasti spostamenti forzati di popolazioni da un continente all’altro dovuti alle esigenze del colonialismo che alimentavano lo sviluppo del capitalismo, «sostiene a più riprese che il capitale si alimenta di una “doppia schiavitù”: la schiavitù salariata, indiretta, in Europa, e la schiavitù “pura e semplice”, diretta, degli sfruttati di colore nelle colonie»7.

Veniamo ora gli utilizzatori/falsificatori del pensiero di Marx. Costoro si richiamano all’analisi marxiana dell’esercito di riserva e del suo inquadramento delle migrazioni come migrazioni forzate, distorcendoli e amputandoli delle loro conclusioni politiche, per tentare un’operazione impossibile: farne un argomento forte del loro nazionalismo “sociale”. […] Un fritto misto di verità e spudorate falsificazioni. La verità-confessione è che Fusaro e suoi sodali sognano l’avvento di uno Stato nazionale che sia capace di regolamentare l’anarchia del capitale e del mercato, e sia forte, italianissimo, fino al punto di essere sovrano rispetto alla “power-élite globalista” – un vuoto idealismo antistorico che ignora le barriere che si sono frapposte in passato, e ancor più si frappongono oggi, a un tale sogno retrogrado. A seguire un coacervo di mistificazioni sinistreggianti. Sfugge a questo “filosofo” (Diego Fusaro- N.d.R.) e ai suoi sodali rosso-bruni che nelle società occidentali è in atto una acutissima polarizzazione di classe, classe capitalistica versus classe-che-vive-del-proprio-lavoro, e la più radicale sussunzione di sempre del politico all’economico, anche nelle singole nazioni, non solo alla scala globale8.

Il filo rosso del recupero moderno del pensiero e dell’opera di Karl Marx si svolge, tra le pagine e i saggi raccolti nel testo, attraverso queste e altre necessarie e importanti riflessioni che hanno, tutte, il merito di presentare un Marx svecchiato dalle antiche appropriazioni ideologiche e adattissimo, se interpretato conseguentemente e non “falsificato”, a funzionare ancora come metro di paragone per ciò che è rivoluzionario separandolo dalle vuote e, troppo spesso reazionarie, chiacchiere di maniera. Non resta dunque, a chi scrive, che lasciare ai lettori il piacere di scoprire, ancora una volta insieme a Marx, una possibile alternativa all’attuale modo di produzione e ai suoi flagelli ambientali, sociali, economici, militari, razziali e di genere.


  1. M. Musto, Introduzione a Marcello Musto, Alfonso Maurizio Iacono (a cura di), Ricostruire l’alternativa con Marx. Economia, ecologia, migrazione, Carocci editore, Roma 2023, pp.13-14.  

  2. Ivi, p. 14.  

  3. P. Basso, Marx sull’esercito industriale di riserva e le migrazioni: vietato abusarne in Ricostruire l’alternativa Marx, op. cit., p.219.  

  4. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 1857-1858, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 414.  

  5. Marx, Il capitale, Libro I, a cura di A. Macchioro e B. Maffi, UTET, Torino 1974, p. 815.  

  6. P. Basso, op. cit., p.222.  

  7. Ivi, p. 223.  

  8. Ivi, pp. 227-229.  

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Il Necronomicon di Karl Marx https://www.carmillaonline.com/2018/12/18/il-necronomicon-di-karl-marx/ Mon, 17 Dec 2018 23:01:52 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=50194 di Luca Cangianti

Marcello Musto, Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883, Einaudi, 2018, pp. 344, € 30,00.

È impossibile non notare alcuni elementi tragici e a tratti orrifici nella vita di Karl Marx. La biografia di questo filosofo è una lunga lotta prometeica per completare Il capitale, il «più terribile proiettile che sia mai stato scagliato contro i borghesi», il libro magico che a detta del suo autore avrebbe inflitto «alla borghesia, sul piano teorico, un colpo dal quale non si riprenderà più». Il rapporto tra Marx [...]]]> di Luca Cangianti

Marcello Musto, Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883, Einaudi, 2018, pp. 344, € 30,00.

È impossibile non notare alcuni elementi tragici e a tratti orrifici nella vita di Karl Marx. La biografia di questo filosofo è una lunga lotta prometeica per completare Il capitale, il «più terribile proiettile che sia mai stato scagliato contro i borghesi», il libro magico che a detta del suo autore avrebbe inflitto «alla borghesia, sul piano teorico, un colpo dal quale non si riprenderà più». Il rapporto tra Marx e Il capitale è paragonabile a quello tra l’«arabo pazzo» Abdul Alhazred e il Necronomicon, lo pseudobiblion inventato dallo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft. L’autore di quel grimorio immaginario muore divorato in pieno giorno da una creatura invisibile, così come tutta la vita del filosofo di Treviri è fagocitata da un progetto incompletabile: «il mio tempo di lavoro appartiene interamente alla mia opera» confessa Marx, evidenziando il paradossale processo di alienazione nei confronti del suo libro.
La scrittura del Capitale è un viaggio eroico, portato avanti con passione cristologica tra i tormenti di un corpo mutante afflitto da insonnia, da emicrania, da un fegato duro e ingrossato, dal continuo insorgere di dolorosissimi favi e di lesioni pustolose sui genitali. Marx è un immigrato apolide, senza mai un soldo in tasca, inseguito da droghieri, macellai e lancinanti sensi di colpa nei confronti della famiglia. È costretto a interrompere continuamente la scrittura della sua opera per guadagnare qualche sterlina e per non venir meno a una militanza politica senza la quale niente avrebbe più senso. Riempendo con una grafia maledetta decine di quaderni, bozza dopo bozza, include maniacalmente nella sua opera sempre nuovi aspetti della realtà sociale: «una mia caratteristica: quando ho davanti una cosa scritta daccapo quattro settimane prima, la trovo insufficiente e la riscrivo completamente». Marx si paragona così al pittore Frenhofer descritto da Honoré de Balzac: ossessionato dal desiderio di realizzare un dipinto nel modo più preciso possibile, il protagonista del racconto Il capolavoro sconosciuto, ritocca all’infinito il suo quadro senza mai completarlo.

La nuova biografia di Marcello Musto, Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883, ha il grande pregio di restituire il profilo malinconicamente tragico di questo filosofo militante, liberandolo definitivamente dalle granitiche apologie del marxismo-leninismo. Tale operazione è condotta utilizzando gli apporti della Mega2, la nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels, che permette di valorizzare molti spunti postcoloniali, antropologici e antieconomicisti presenti nella riflessione matura del filosofo tedesco. Grazie a una attenta analisi della corrispondenza inviata e ricevuta e ai quaderni di appunti nei quali Marx riassumeva meticolosamente le proprie letture di economia politica, algebra, antropologia, geologia, mineralogia e chimica agraria, emerge un pensiero flessibile che sfugge a ogni asfittica sistematicità. Per esempio circa il rapporto tra struttura e sovrastruttura, a dispetto della famosa e problematica metafora architettonica presente in Per la critica dell’economia politica, Marx, grazie ai suoi studi più tardi, affermò che «per l’arte è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, né quindi con la base materiale, con l’ossatura […] della sua organizzazione». Musto sostiene di conseguenza che il filosofo di Treviri «ebbe un approccio antidogmatico rispetto alle relazioni tra le forme della produzione materiale da una parte e le creazioni e i comportamenti intellettuali dall’altra. La consapevolezza dello “sviluppo ineguale”, tra loro esistente, implicava il rifiuto di ogni procedimento schematico che prospettasse un rapporto uniforme tra i diversi ambiti della totalità sociale».
Molto attuali, anche alla luce del dibattito contemporaneo sull’opportunità o meno di sganciarsi dall’Unione europea, sono le riflessioni sull’indipendenza dell’Irlanda nei confronti dell’Inghilterra. Marx la sostiene pragmaticamente perché la ritiene capace di acuire le contraddizioni della maggior potenza capitalistica del tempo e non per un astratto diritto all’autodeterminazione. Riguardo alla gestione delle differenze in chiave di comando della forza lavoro il filosofo affermava inoltre: «L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime i salari e il suo tenore di vita. Egli prova per lui antipatie nazionali e religiose. Lo considera all’incirca come i bianchi poveri considerano gli schiavi neri negli stati meridionali dell’America del Nord. Questo antagonismo tra i proletari in Inghilterra viene nutrito e viene tenuto desto ad arte dalla borghesia. Essa sa che questa divisione è il vero segreto del mantenimento del suo potere». Per questi motivi in età matura Marx condannò senza esitazione il colonialismo e affermò che «Il lavoro di pelle bianca non può emanciparsi in un paese dove viene marchiato se ha la pelle nera».

La biografia intellettuale di Marcello Musto è divisa in quattro parti: la prima si occupa della scrittura del Capitale, la seconda della militanza politica nell’Internazionale e poi dei rapporti con i nascenti partiti socialisti europei, la terza analizza la corrispondenza e i manoscritti, alcuni dei quali ancora inediti, mentre la quarta è dedicata alla teoria politica e al profilo che avrebbe assunto la futura società comunista. A tale formazione sociale Marx non si riferì mai con intenti prescrittivi e non fornì di conseguenza descrizioni di come dovesse essere organizzata, limitandosi ad abbozzare alcune caratteristiche generali desunte dalla dinamica del modo di produzione capitalistico e dallo studio delle società precapitaliste.
Nell’ultimo anno di vita Marx si recò a Ventnor, sperando che il clima “mediterraneo” dell’Isola di Wight potesse migliorare le sue precarie condizioni di salute. Proviamo a immaginarlo mentre cammina lungo la spiaggia, lento, con la mascherina del respiratore sul volto. Ascolta il rombo del mare invernale e ripensa alle rivoluzioni delle quali è stato testimone, agli entusiasmi, alle successive delusioni, all’esilio, ai lutti, ai nuovi entusiasmi. E al suo libro. Il capitale non è più un Necronomicon che gli divora la vita: ormai sa che non lo terminerà mai e forse si è convinto che la realtà infinita può esser contenuta solo in un’opera altrettanto infinita. Proprio come quella che ci ha lasciato Marx, consegnandoci un intero cantiere teorico utile a capire il mondo per cambiarlo.

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L’ultimo Marx https://www.carmillaonline.com/2016/12/24/lultimo-marx/ Fri, 23 Dec 2016 23:20:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=35484 di Alfio Neri

lultimo-marxMarcello Musto, L’ultimo Marx. 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale, Donzelli, 2016.

Non era solo un vecchio malandato. La salute di Marx era malferma ma il suo cervello funzionava. Avere problemi fisici non significa essere rincoglioniti. La tradizione marxista lo descrive come un vecchio infermo, un santo laico che aveva appena fatto in tempo a finire la sua immane opera. La verità è diversa. Il vecchio tabagista non mollò mai, anche dopo aver smesso di fumare. Marx non fu mai la sfinge granitica dei monumenti sovietici e non ebbe mai la triste [...]]]> di Alfio Neri

lultimo-marxMarcello Musto, L’ultimo Marx. 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale, Donzelli, 2016.

Non era solo un vecchio malandato. La salute di Marx era malferma ma il suo cervello funzionava.
Avere problemi fisici non significa essere rincoglioniti.
La tradizione marxista lo descrive come un vecchio infermo, un santo laico che aveva appena fatto in tempo a finire la sua immane opera.
La verità è diversa. Il vecchio tabagista non mollò mai, anche dopo aver smesso di fumare.
Marx non fu mai la sfinge granitica dei monumenti sovietici e non ebbe mai la triste certezza dogmatica dei suoi peggiori seguaci.
Diffidò sempre delle dottrine tascabili sfornate dai suoi seguaci più ottusi.
Non recitò mai la parte del profeta barbuto che indica il sol dell’avvenire.
Dalle lettere si vede molto bene che non si fidava di parecchia gente; spesso gli stessi che, più avanti, avrebbero fatto del marxismo il loro mestiere.
Di Kautsky pensava che fosse una “mediocrità”1. Il suo giudizio sul futuro massimo dirigente della socialdemocrazia tedesca mostra il suo enorme intuito.
La leggenda che, alla fine della sua vita, il vecchio ex-tabagista avesse soddisfatto la propria curiosità intellettuale è falsa. Marx continuò a studiare e a proporre soluzioni nuove fino alla fine dei suoi giorni.
Nelle opere complete stanno per essere pubblicati gli ultimi duecento quaderni.
Il lavoro filologico ha riportato alla luce gli appunti personali di questi anni. Da questi materiali emerge un autore diverso da quello consueto. Il profilo intellettuale appare completamente nuovo.
I nuovi documenti e l’implosione dell’URSS hanno liberato Marx dalla necessità di interpretarlo alla luce della ragion di stato e del dogmatismo dottrinario.
Il rinnovato interesse sulla sua figura e il nuovo materiale fanno pensare che la reinterpretazione della sua opera sia destinata a continuare. Il punto di svolta ermeneutico, per Marcello Musto, inizia con la rilettura della parte terminale della sua opera.
In questa sede non bisogna adagiarsi sull’elegia.
La dignità della sua morte ricorda le trame di un racconto ottocentesco in cui le tragedie personali si intrecciano nelle grandi tempeste della storia moderna.
Tuttavia, al di là della questione umana, leggere la storia dell’ultimo Marx come il racconto storico di un uomo dalla vita romanzesca, non ha molto senso.
Per quanto si possa perdonare chi legge l’ultimo Marx con le lenti dell’analitica della finitudine umana, non è lecito proporre la vicenda intellettuale del vecchio Marx nell’ottica di un’estetica del tramonto. Il materiale mostra che il vecchio scorbutico (era davvero molto scorbutico) continua a combattere e studiare.
Nei suoi ultimi due anni, Marx studia antropologia, non passa il tempo a leggere romanzetti rosa.
La nascita di un movimento socialista in Russia lo pone di fronte a nuove importanti questioni. Vera Zasulič (fuggita dopo aver tentato di assassinare lo Zar) gli chiede se, nella sua opinione, sia possibile arrivare al socialismo senza passare per una fase di egemonia borghese.
Per dare una risposta alla questione inizia a studiare in profondità l’argomento ed entra in campi di studio che fino ad allora aveva trascurato.
I manoscritti inediti e le bozze delle lettere (inviate e non inviate) indicano che non era per niente soddisfatto delle risposte teoriche che aveva già formulato. Si accorge che la comunità rurale slava poteva essere lo strumento adeguato per passare dal feudalesimo al socialismo senza passare per il capitalismo2.
detesto-dirveloMarx non pubblica nulla di rilevante ma lo svolgimento dei materiali che elabora è antitetico a quello del marxismo storico.
Il percorso dialettico del suo pensiero gli evita di avvicinarsi alla questione in modo dottrinario e gli fa vedere subito cose che i suoi futuri seguaci non sarebbero mai stati capaci di comprendere.
Del resto è evidente che non si fidava di quelli che dicevano di ispirarsi ai suoi scritti. Sconfessa Hyndman perché era riformista3, ma le sue parole per i sedicenti discepoli ‘ortodossi’ non erano poi tanto diverse.
Di fronte a chi si dichiarava suo seguace, rispondeva con ironia “quel che è certo è che io non sono marxista”4.
Il punto di partenza per rileggere Marx sono queste sue ultime parole.
Adesso è finalmente possibile fare un bilancio perché tutta la sua opera sta diventando finalmente accessibile5.
Le nuove interpretazioni di Marx non possono che iniziare da qui, dalle sue ultime ricerche.
Nessuna elegia funebre, nessun interesse antiquario, nessuna estetica del tramonto, la posta in gioco è sempre la trasformazione del mondo.


  1. Cfr. p. 46. Nell’epistolario Marx definisce Kautsky saccente, sputasentenze e di vedute ristrette; per quanto diligente per Marx rimane un mediocre. Engels definisce Kautsky un pedante, un dottrinario e un cavillatore nato. Come lato positivo trova che abbia un gran talento nel bere. 

  2. Cfr. pp. 49-75. 

  3. Cfr. pp. 84-87. 

  4. Cfr. p. 25. 

  5. Fra le opere che possono essere un nuovo punto di partenza critico segnalo il notevole E. Dussel, L’ultimo Marx, manifestolibri, 2009 (dimostra come l’opera di Marx sia costitutivamente aperta) e il pionieristico M. Rubel, Marx critico del marxismo, Cappelli, 1981. 

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Leggere i Grundrisse https://www.carmillaonline.com/2016/01/07/leggere-i-grundrisse/ Thu, 07 Jan 2016 22:40:20 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27820 di Alfio Neri

I Grundrisse di Karl MarxI Grundrisse di Karl Marx. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 150 anni dopo, a cura di Marcello Musto, prefazione di Eric Hobsbawm, Edizioni ETS, Pisa, 2015.

Da cinquant’anni mancava un’introduzione ai Grundrisse. Oggi finalmente abbiamo un testo che ci permette di affrontare i Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica. I Grundrisse sono un testo enormemente difficile sotto tutti punti di vista. Sono appunti non destinati alla pubblicazione che offrono problemi di lettura colossali. Tuttavia, dietro la loro forma contorta, [...]]]> di Alfio Neri

I Grundrisse di Karl MarxI Grundrisse di Karl Marx. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 150 anni dopo, a cura di Marcello Musto, prefazione di Eric Hobsbawm, Edizioni ETS, Pisa, 2015.

Da cinquant’anni mancava un’introduzione ai Grundrisse. Oggi finalmente abbiamo un testo che ci permette di affrontare i Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica. I Grundrisse sono un testo enormemente difficile sotto tutti punti di vista. Sono appunti non destinati alla pubblicazione che offrono problemi di lettura colossali. Tuttavia, dietro la loro forma contorta, essi percorrono vie analitiche molto originali non sempre sfruttate.

La storia dei Grundrisse è fortunosa. Rimasti nascosti per un secolo, pubblicati durante la Seconda Guerra Mondiale, divennero noti dopo la prima ristampa tedesca del 1953. Negli anni cinquanta non furono quasi letti e solo in seguito furono recepiti come possibile alternativa al dogmatismo dell’ortodossia sovietica. Assieme agli scritti di Gramsci e ai manoscritti economico-filosofici del 1844, i Grundrisse aprirono la via alla possibilità di un nuovo marxismo critico di cui vi era un enorme bisogno teorico.

Nonostante il loro importante apporto concettuale, i Grundrisse non furono recepiti subito. Una ragione stava nelle loro enormi difficoltà di comprensione. Il testo non era destinato alla pubblicazione e questo lo si vede ancora benissimo. Adesso, dopo cinquant’anni, finalmente abbiamo un’opera che ci permette un approccio critico. Di questo lavoro, così prezioso e così inattuale, dobbiamo ringraziare il curatore, Marcello Musto. La sua opera di analisi storico-filologico-concettuale è di un’utilità straordinaria.

Il lavoro si articola in tre parti: nella prima vi sono le interpretazioni critiche dei Grundrisse; nella seconda le vicende di Marx al tempo della loro stesura; nella terza c’è la storia straordinaria della loro diffusione e recezione.

I saggi della raccolta, che comprende i contributi di 32 autori, permettono di affrontare i testi marxiani a strati, procedendo per gradi. Il lavoro è pensato per affrontare percorsi concettuali differenti e per focalizzare tematiche analitiche differenziate. Per questi motivi, mi permetto di segnalare una serie di percorsi di lettura di questo libro. Ne rimangono comunque molti altri che, per brevità, non riporto ma che, non per questo, sono meno importanti.

La porta d’ingresso dei Grundrisse è l’ Introduzione del 1857. In questo scritto Marx afferma chiaramente che la filiera Produzione/Distribuzione/Scambio/Consumo va intesa come una totalità. Non esistono individui isolati che lavorano separatamente, così come non esistono individui separati che parlano fra loro lingue private. Analogamente il processo di produzione va inteso come una totalità organica e storico-sociale. Questi concetti sono resi (più) comprensibili dall’attento saggio di Musto Storia, produzione e metodo nella Introduzione del 18571.

Un intervento centrale è quello di Carver sull’alienazione2. Lo segnalo perché dimostra la continuità fra il concetto di alienazione presente nel giovane Marx e il concetto di sfruttamento del Marx maturo. La dimostrazione di questa continuità di temi, fa tramontare definitivamente l’interpretazione di Althusser imperniata sull’ipotesi di una cesura epistemologica fra il giovane Marx e il Marx maturo3.

Un altro contributo rilevante riguarda le Forme che precedono la produzione capitalistica. Questa sezione, in passato pubblicata separatamente dagli Editori Riuniti, è illuminata dal saggio di Ellen Meiksins Wood4. L’autrice evidenzia i contributi storiografici degli ultimi decenni, rileva come Marx, mentre sviluppa la sua analisi storico-sociale, diventi sempre meno determinista, dimostra in modo convincente che la sequenza Modo di Produzione Asiatico-Classico-Feudale-Capitalistico non ha alcun valore teleologico.

Il cuore incandescente del dibattito teorico è però incentrato sulla teoria del Valore. Questo concetto è analizzato, ricostruito e riconfrontato con la tarda modernità nell’importante saggio di Postone5, forse il più importante dell’intera raccolta. Si tratta di un saggio che, per quanto sembri un commento esegetico, in realtà è l’abbozzo di un orizzonte marxiano di superamento dell’ortodossia marxista.

In questo momento, questo libro è il miglior approccio possibile alla lettura dei Grundrisse6. I saggi guardano al futuro e non hanno un’ottica antiquaria o nostalgica. Capiamoci, il passato si è ormai dileguato. Quello che conta è guardare al futuro.

Nota: Sono liberamente scaricabili qui l’indice del libro, il retro di copertina, la premessa di M. Musto, l’introduzione di Eric Hobsbawm e il saggio di M. Musto Diffusione e recezione dei Grundrisse nel mondo.


  1. Cfr. M. Musto, Storia, produzione e metodo nella Introduzione del 1857, pp. 58-97. 

  2. Cfr. T. Carver, La concezione marxiana dell’alienazione nei Grundrisse, pp. 118-145. 

  3. Althusser non ha letto sul serio i Grundrisse, cfr. 352, per questo non vi trova il concetto di alienazione, cfr. p. 355. 

  4. Cfr. E.M. Wood, Il materialismo storico nelle Forme che precedono la produzione capitalistica, pp. 161-179. 

  5. Cfr. M. Postone, Ripensare Il Capitale alla luce dei Grundrisse, pp. 217-241. 

  6. Esistono diverse edizioni italiane dei Grundrisse. In genere le citazioni nel libro curato da Musto fanno riferimento all’ultima: K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Manifestolibri, Roma, 2012. 

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Prima Internazionale https://www.carmillaonline.com/2014/11/15/prima-internazionale/ Sat, 15 Nov 2014 04:10:34 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18676 di Alfio Neri

Prima InternazionalePrima Internazionale. Lavoratori di tutto il mondo, unitevi! Indirizzi, Risoluzioni, Discorsi e Documenti. Edizione del centocinquantennale, a cura di Marcello Musto, Donzelli Editore, Roma 2014, pp.256, € 25,00

Negli anni Settanta questo libro avrebbe davvero spopolato. Sarebbe stata un’autentica bomba. Avrebbe creato un dibattito enorme. Poteva fare davvero piazza pulita di molti luoghi comuni. Molte cose sarebbero apparse sotto una nuova luce. Non sto facendo affermazioni avventate. Gli anni Settanta erano abitati da militanti con una formazione culturale trascurata. Era un’epoca in cui premeva l’immediato, la [...]]]> di Alfio Neri

Prima InternazionalePrima Internazionale. Lavoratori di tutto il mondo, unitevi! Indirizzi, Risoluzioni, Discorsi e Documenti. Edizione del centocinquantennale, a cura di Marcello Musto, Donzelli Editore, Roma 2014, pp.256, € 25,00

Negli anni Settanta questo libro avrebbe davvero spopolato. Sarebbe stata un’autentica bomba. Avrebbe creato un dibattito enorme. Poteva fare davvero piazza pulita di molti luoghi comuni. Molte cose sarebbero apparse sotto una nuova luce. Non sto facendo affermazioni avventate. Gli anni Settanta erano abitati da militanti con una formazione culturale trascurata. Era un’epoca in cui premeva l’immediato, la grande svolta sembrava proprio dietro l’angolo. La stessa fiducia riposta in tante organizzazioni politiche era legata più a una mitologia rivoluzionaria che alla realtà storica. Non la voglio fare lunga, dico solo che questa lettura avrebbe davvero fatto un gran bene.

Il libro curato da Marcello Musto è una raccolta di documenti della Prima Internazionale. I suoi meriti sono molti. Colpisce la correttezza espositiva. Qualche doverosa parola di introduzione viene giustamente fatta, ma i documenti non sono mai affogati da commenti che interrompono inutilmente il flusso argomentativo. L’intervento del filologo, che è presente, non nasconde i testi sotto un mare di parole. I documenti sono raggruppati per temi e seguono un ordine tendenzialmente cronologico. Il libro è leggibile tutto di un fiato, ma consente di focalizzare molte specifiche questioni.

Un’occhiata superficiale mostra che Marx non era solo. La Prima Internazionale era tutto un ribollire d’idee (talvolta confuse) portate avanti da personaggi assolutamente unici. Da un punto di vista teorico Marx era sicuramente preparatissimo ma, da un punto di vista politico, la sua presenza era valorizzata da molti altri personaggi di assoluto primordine. Marx non era il profeta del socialismo; nella Prima Internazionale i profeti del sole dell’avvenire erano davvero parecchi. Marx era solo un militante fra tanti che, per capacità e preparazione teorica, tendeva a risaltare.

Nella prima fase della storia dell’organizzazione, gli avversari di Marx erano i mutualisti francesi. Questi si rifacevano a Proudhon e sognavano una qualche strategia politica ed economica per affrontare l’incipiente proletarizzazione. Da un punto di vista operativo chiedevano che il lavoro avesse l’accesso al credito bancario. Questa posizione, oggettivamente poco dinamica (ricorda per impostazione le posizioni teoriche delle cooperative rosse), era avversata dalla segreteria londinese (fra cui Marx) e dall’incipiente corrente libertaria. La convergenza teorica fra la segreteria e le correnti autonomiste (che poi diventeranno anarchiche) è palese. Erano unite da diverse questioni centrali. Entrambe teorizzavano l’azione operaia come fattore strategico di emancipazione sociale. Entrambe avevano idee simili sullo stato borghese e sulla necessità storica di abbatterlo. Entrambe erano a favore dell’internazionalismo e dell’opposizione alla guerra. Erano divise dall’idea che vi potesse essere una rivoluzione a breve termine, non dalla questione se fosse auspicabile o meno una rivoluzione sociale. Per molti anni gli anarchici e la segreteria londinese furono oggettivamente alleati contro i mutualisti e contro i sindacati riformisti inglesi. Questi ultimi avevano promosso materialmente l’Internazionale per impedire le azioni di crumiraggio da parte del capitalismo inglese (per esempio lanciarono una mobilitazione per impedire il reclutamento di sarti belgi durante lo sciopero dei sarti londinesi). Di fatto però i sindacati inglesi, nel dibattito, espressero sempre una sconcertante debolezza teorica. Nelle riunioni londinesi la parola era spesso presa da altri gruppi più radicali. Legati da una comune sensibilità rivoluzionaria, Marx e gli anarchici belgi, svizzeri e francesi avevano posizioni teoriche sorprendentemente simili.

I documenti della Prima Internazionale mostrano sempre un’organizzazione aperta al dibattito. Sembra banale dirlo ma Marx non era leninista e la Prima Internazionale non era la centrale cospirativa di un oscuro partito di rivoluzionari di professione. Il dibattito novecentesco sul partito rivoluzionario come strumento strategico di presa del potere politico è completamente estraneo a queste pagine. Inoltre la sensibilità rivoluzionaria allontanava Marx anche dall’ortodossia scientista ed economicista della socialdemocrazia. Esistevano luoghi in cui si contava più di altri (ne sia prova la quantità di documenti editi a Londra) ma la presenza di vivace dibattito interno mostrava un’apertura mentale che farebbe invidia a molte organizzazioni rivoluzionarie contemporanee. Banalmente, la Prima Internazionale non era un’organizzazione settaria.

Quarto_Stato[1]La raccolta dei testi focalizza anche la rottura con gli anarchici e la decisione di spostare la segreteria negli Stati Uniti. Mentre nell’Europa continentale la maggioranza delle federazioni si schierava con gli anarchici, Marx si opponeva con fermezza alla loro strategia politica. Tuttavia, malgrado lo scontro aperto, il tono della polemica rimaneva sempre molto più rispettoso di quanto si possa immaginare (e intendiamoci Marx quando si trattava di insultare e di satireggiare aveva una creatività linguistica assolutamente ragguardevole). La rottura non riguardava due visioni teoriche contrapposte ma piuttosto due diverse strategie politiche. Entrambi erano su posizioni rivoluzionarie. Entrambi auspicavano la fine dello stato. Entrambi volevano organizzazioni rivoluzionarie ma anche strutture di massa aperte e democratiche. Queste posizioni erano lontane anni luce dai deliri economicisti della socialdemocrazia e dalle pratiche manipolatrici dell’Internazionale Comunista. La documentazione, talvolta ingenua, non aveva nulla dei deliri gesuitici del Novecento. Certo, con il senno di poi, oggi gli anarchici dell’azione insurrezionalista sembrano proprio degli eroici sprovveduti; i mutualisti con l’idea del credito agli artigiani e alle cooperative sembrano degli illusi; anche Marx, quando redigeva il saluto dell’Internazionale per la rielezione di Lincoln nel 1864, sembra veramente un’anima bella. Però le cose importanti sono altre. Con tutti i loro limiti, i documenti erano lontani anni luce dalle paludi novecentesche fatte di citazioni strumentali che occultavano svolte inconfessabili.

Per queste ragioni, il paziente lavoro di Musto è importante. Da un punto di vista storiografico molta parte della storia nel Novecento è già tutta in queste pagine. Socialismo, Comunismo e Anarchismo nacquero nei dibattiti riportati da questi documenti. Il loro battesimo si svolse davvero in lunghe riunioni di militanti sconosciuti. Con il senno di poi possiamo anche sorridere delle loro facili speranze. Però le ragioni che vi stavano dietro ritornano ancora oggi con forza. Per questo i documenti della Prima Internazionale sono qualcosa di più di un importante capitolo di storia antiquaria. La loro rilettura ci permette di ripensare i possibili percorsi del nostro futuro. La storia della Prima Internazionale non è un capitolo chiuso di storia ottocentesca perché ci permette di affrontare meglio vecchi problemi. Per esempio il leninismo non è l’esito necessario del dibattito organizzativo della prima Internazionale. Anche in passato era chiaro che si poteva essere rivoluzionari senza essere leninisti. Tuttavia questi documenti, letti senza filtro ideologico, mostrano che lo spirito della Prima Internazionale era pluralista. L’organizzazione si divide su dibattiti razionali senza scomuniche e senza inutili deliri psichiatrici. Inoltre, letteralmente, Marx e gli anarchici erano su posizioni teoriche talvolta davvero molto vicine. Oggi il contesto politico e sociale è mutato profondamente. Per questo questa vecchia contrapposizione non ha ormai più nulla di attuale e di necessario. La Prima Internazionale era un’organizzazione pluralista, rivoluzionaria e democratica. Il minimo che si possa dire è che qualsiasi prassi rivoluzionaria non potrà prescindere da queste scelte strategiche. É evidente che il cammino da fare è ancora lungo.

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