Luigi Cavallo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Brescia tu sei maledetta! https://www.carmillaonline.com/2016/05/27/brescia-tu-maledetta/ Fri, 27 May 2016 20:50:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30726 di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della [...]]]> di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della Loggia il 28 maggio 1974 ben contribuì a dimostrare e che in mille forme sembra essere giunta fino ai giorni nostri.

Proprio per questo motivo la riedizione del testo di Valerio Marchi, pubblicato per la prima volta una decina di anni prima della scomparsa dell’autore,1 si rivela ancora particolarmente utile. Non soltanto per riflettere sulla lunga serie di indagini, depistaggi e processi che da quel vile attentato presero il via ma, e forse soprattutto, per la riflessione che l’accurato lavoro di indagine svolto all’epoca dall’autore, oggi arricchito dalla bella ed aggiornata postfazione curata da Silvia Boffelli, costringe a fare sull’uso che di quella strage e della sua immagine e del suo ricordo è stato fatto non solo per ridisegnare i confini del conflitto politico tra le classi, ma anche della memoria collettiva.

Oggi, in tempi di referendum destinati a modificare pesantemente le garanzie costituzionali, in presenza di riforme del lavoro che riportano agli anni precedenti i conflitti degli anni sessanta e settanta la condizione dei lavoratori e dei giovani disoccupati e di criminalizzazione integrale di qualsiasi forma di dissenso che possa far anche solo balenare lo spettro della lotta di classe, si può tranquillamente affermare che quella strategia, troppo semplicemente definita fin da allora come “strategia della tensione”, ha vinto. Momentaneamente magari, come sempre avviene nel ciclo lungo dello scontro tra capitale e lavoro, ma sicuramente per il momento storico che stiamo attraversando. Non solo in Italia, ma a livello europeo.

Che il fascismo più criminale, dalla guerra civile iniziatasi nel 1921 fino agli anni del terrorismo nero oppure delle ben più recenti aggressioni ai giovani profughi riparati nell’Alta Valle Trompia, sia soltanto e sempre uno strumento al servizio del capitale, un tempo agrario ed industriale ed oggi finanziario, lo si poteva facilmente dedurre seguendone il percorso storico e individuale dei suoi rappresentanti palesi ed occulti oppure cogliendo il significato profondo della mancata applicazione di qualsiasi tipo di epurazione reale nelle file della burocrazia statale e dei rappresentanti più compromessi del mondo politico avvenuta fin dai tempi dell’amnistia Togliatti, promulgata con il decreto presidenziale n.4 del 22 giugno 1946.

Quello che, forse, fino ad ora non è mai stato colto nella sua interezza era, e rimane, costituito dal fatto che le strategie di uso della manovalanza fascista e dei servizi , tutt’altro che deviati, erano e permangono di lungo periodo. Periodo talmente lungo da far sì che anche la memoria collettiva possa essere cancellata e manipolata, fino ad essere rovesciata nel contrario di ciò che all’inizio era stata.

Sotto questo punto di vista l’attenzione prestata da Valerio Marchi e dalla “continuatrice” della sua opera, Silvia Boffelli appunto, al modo in cui gli strumenti di informazione e il mondo politico, fin dal primo giorno dell’attentato di piazza della Loggia, hanno presentato e ricostruito i fatti e le responsabilità effettive costituisce forse la parte più importante del libro. Perché il discorso pubblico portato avanti dai media e dai rappresentanti delle istituzioni, da allora in poi, ha contribuito a ridefinire i percorsi della memoria in una maniera distorta e fuorviante che, nella confusa e interclassista iniziativa delle formelle dedicate a tutte le vittime indistinte della violenza “politica”, ha raggiunto proprio a Brescia la sua concreta e piena formalizzazione.

E se si trattasse soltanto delle formelle sulle quali i bresciani e i turisti pongono distrattamente i piedi mentre passeggiano per il centro storico forse non varrebbe nemmeno la pena di parlarne ancora.2 Piuttosto rimane il problema, già sollevato da un vecchio comunista fin dagli anni del secondo dopoguerra3, di un antifascismo istituzionalizzato che “sarebbe stato il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo”. Questo tipo di antifascismo, che ha definito il fascismo solo in rapporto allo stato liberale e democratico e non in termini di dominio di classe, ha così contribuito, in tempi lunghi quasi quanto gli eoni evocati da Lovecraft nel suoi romanzi dell’orrore, ad assimilare il fascismo a qualsiasi forma di violenza o di azione tesa a spodestare il dominio del capitale sulla specie umana.

In questo modo i morti di piazza della Loggia, quasi tutti militanti politici e/o sindacali, sono stati “affratellati” nelle rievocazioni più recenti ai fascisti caduti per mano della reazione di classe alle loro violenze e agli assassini di Stato dalle mani macchiate di sangue operaio e studentesco. Così l’anarchico Serantini, ucciso dalla polizia a Pisa, è affiancato, nel severo e osceno ordine cronologico del percorso, al commissario Calabresi dalla triste fama. Senza vergogna, impudicamente e con grande strombazzamento di discorsi sentimental-catto-patriottici. Falsi, tutti, come uno spin-off di Beautiful.

L’obiettivo di tale politica del ricordo e dello “strazio” pubblico diventa così quello di piangere gli assassini prezzolati insieme alle loro vittime, accomunando tutti nel grande mare della pietà e dell’interesse della riappacificazione nazionale. Magari quella a cui mirava già l’appello “ai fratelli in camicia nera” rivolta nel 1936 dai vertici del Partito Comunista ai fascisti. E di cui le attuali politiche renziane potrebbero essere il frutto supremo e finale.

Ma non corriamo troppo. Riprendiamo il discorso dal testo, per esempio là dove, sulla base degli studi di De Lutiis e Flamini sui servizi segreti e gli apparati politico-militari dello Stato italiano, Marchi sottolineava come “nell’ambito degli ambienti golpisti italiani, nel 1974 giunge a compimento una sorta di resa dei conti tra due differenti visioni delle strategie eversive da seguire: a confrontarsi sono da un lato quella che Flamini definisce l’«ala golpista radicale», che utilizza massicciamente l’estremismo neo-fascista e opera per instaurare in Italia una dittatura militare,e dall’altro quei settori che, pur utilizzando gli stessi sistemi, considerano questo tipo di regime ormai obsoleto,inadatto a gestire uno Stato a sviluppo industriale avanzato, e che operano attraverso la strategia della tensione per favorire l’avvento di una repubblica presidenziale, autoritaria, saldamente inserita nel modello occidentale non soltanto nel campo delle scelte geo-politiche, ma anche in quello delle forme istituzionali.” (pag.48)

Citando, poi, a conferma un testo di De Lutiis, là dove si afferma, quasi profeticamente, che: “I settori meno rozzi del «golpe invisibile» preparano una soluzione diversa da quella del colpo di stato militare. L’alternativa è un golpe incruento, che dovrà avere caratteristiche di riforma istituzionale e venature «di sinistra». Sarà appoggiato dalla parte più moderna del mondo industriale italiano e tenderà a inserire l’Italia – priva del «pericolo comunista» – in un contesto europeo più efficiente […] E’ il progetto noto come «golpe bianco […] che ha come propugnatori Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, ma gode di simpatie in un vasto arco politico […] oltre che l’appoggio determinante della Fiat. Per attuare questo piano è preliminarmente necessario sgombrare il campo dagli ambienti coinvolti nei progetti golpisti più rozzi4 “ (pag.51)

Fin qui, dunque, il discorso sul fascismo e sul suo uso è abbastanza chiaro: manovalanza terroristica buona sia per un golpe un po’demodé, come quello auspicato dai settori più arretrati dell’esercito e delle istituzioni, sia come soggetto su cui scaricare la responsabilità terroristica di una strategia che ha in ambienti più moderni i suoi ideatori che, proprio in nome della difesa della democrazia e dell’interesse nazionale (in realtà sovranazionale e finanziario), chiamano all’union sacrèe tra le classi contro ogni forma di violenza e di opposizione (soprattutto di classe).

Il fatto poi, come i vari processi hanno in seguito dimostrato, che non si sia mai davvero giunti ad una piena resa dei conti “istituzionale”, ma piuttosto ad una sorta di “Patto del Nazareno” ante-litteram e di opportunistica convenienza per le varie parti in causa non cambia di molto il senso del tutto. Se non che “il segreto di Stato” più volte invocato ed utilizzato per impedire, nel corso dei vari processi, di giungere alla piena affermazione della verità e deviarne invece le conclusioni, è oggi ancora estremamente di moda. Una sorta di “per il bene della causa” che tutto deve coprire e giustificare. Confermando così, senza neanche voler troppo stupire i lettori, che il capitalismo non può e non deve processare se stesso. Toccherà ad altri e in altri contesti storici e sociali farlo.

Resta però, sintetizzando forse fin troppo un testo la cui lettura è davvero molto interessante e coinvolgente, un problema in gran parte irrisolto: perché proprio Brescia fu scelta per costituire quasi il centro di una strategia che, comunque, si manifestò e colpì in più parti d’Italia? Come mai il fascismo era, e rimane ancora, così forte in tale realtà? Una realtà in cui lo squadrismo locale (si pensi soltanto al camerata Silvio Ferrari saltato in aria, con la bomba che stava trasportando sul suo scooter, pochi giorni prima della strage) si mescolava, come per certi versi ancora oggi, con le tifoserie calcistiche e gli uomini degli apparati di “sicurezza e disinformazione” oltre che con un tessuto economico ed imprenditoriale che, sia nell’agricoltura che nell’industria, rimpiangevano, e forse rimpiangono ancora, gli anni della repubblica delle camicie nere e del cattolicesimo più retrivo.

via mancini 1 Una realtà, però, fatta anche, all’epoca, di fabbriche e di forti sindacati, di fiducia nella sinistra istituzionale, di un cattolicesimo sociale che costituiva un po’ l’anima della sinistra DC, in cui la presenza della memoria della lotta partigiana, sia di sinistra che cattolica era ancora molto forte e presente. In cui, però, era forse assente un’autonomia di classe che permettesse nella città e nel territorio circostante quelle forme di auto-organizzazione operaia e giovanile che nelle vicina metropoli industriale di Milano non avevano comunque permesso uno sviluppo, in proporzione, altrettanto ampio del fenomeno e della militanza fascista. Costretta, in qualche modo, ad “emigrare” in quel di Brescia dove, evidentemente, si sentiva più sicura e protetta.

Insomma, forse la coscienza sinceramente anti-fascista della città e dei suoi lavoratori aveva trovato nel “semplice” anti-fascismo il suo limite stesso. Antifascismo spontaneo e sincero che si trovò a fare i conti con una delle stragi più odiose della storia d’Italia e, immediatamente, con una reazione delle forze dell’ordine, di una parte delle istituzioni e di alcuni giornali nazionali che miravano a negare da subito le effettive responsabilità. Ma che non seppe andare al di là della denuncia e dell’attesa di una giustizia di Stato e istituzionale che non avrebbe mai potuto soddisfare le aspettative dei famigliari delle vittime e di tutti coloro che al fascismo volevano opporsi. Favorendo così, indirettamente, anche quel progetto di lungo periodo che nelle manifestazioni istituzionali odierne e nelle scelte della Casa della Memoria vede ancora impegnati alcuni dei suoi protagonisti.

Ecco perché, ancora oggi, la maledetta strage di Brescia non può essere trattata soltanto come Storia oppure ridotta a mera vicenda giudiziaria o, ancor peggio, ad innocua memoria della paura e del dolore. Ciò che l’ha prodotta vive ancora oggi. In mezzo a noi e sui nostri schemi televisivi, sui social e nelle campagne forsennate di riforma istituzionale e del lavoro. Vive nel taglio della spesa sociale e nell’uso dei migranti come ricatto o come paravento. Vive nel lavoro sottopagato e nelle violenze impunite delle forze del disordine. Vive nelle aggressioni ai compagni e agli immigrati. Vive e non è ancora affatto morto.francia-scioperi
E se il suo nome è Fascismo, di cognome fa Capitalismo.
Sarà però la specie nel suo insieme a metterli entrambi in definitiva liquidazione.

N.B.
La foto in bianco e nero, sopra riprodotta, riguarda l’assalto di massa alla sede del Movimento Sociale Italiano di via Mancini a Milano, nell’aprile del 1975, quando la stessa fu incendiata e gravemente danneggiata.


  1. Valerio Marchi (Roma 1955 – Polignano a Mare 2006) è stato fondatore della “Libreria Internazionale” di San Lorenzo e interprete del conflitto giovanile oltre che sociologo estremamente attento alle dinamiche attraverso le quali l’informazione mainstream legge e deforma larealtà. Tra le sue opere si vanno ricordate Teppa (Red Star Press), Ultrà. Le culture giovanili negli stadi d’Europa (Hellnation Libri/Red Star Press), La sindrome di Andy Capp. Culture di strada e conflitto giovanile (2004) e Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio (2005 e 2014)  

  2. L’argomento è già stato affrontato su Carmilla in almeno due occasioni: https://www.carmillaonline.com/2016/05/24/le-formelle-della-memoria-corta-manipolata/
    https://www.carmillaonline.com/2015/06/10/formelle-di-stato/  

  3. Amadeo Bordiga  

  4. G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, editori Riuniti 1991, pag.196  

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Terrorismo, guerra psicologica, manipolazione dell’informazione e costruzione del consenso https://www.carmillaonline.com/2015/12/03/terrorismo-e-guerra-psicologica-manipolazione-dellinformazione-e-costruzione-del-consenso/ Thu, 03 Dec 2015 21:17:55 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27072 di Fiorenzo Angoscini

steranko I recenti avvenimenti francesi (Parigi, 13 novembre) ripropongono all’attenzione generale la funzione del cosiddetto quinto potere: il rapporto tra alcune agenzie di stampa, certuni operatori dell’informazione, testate giornalistiche e gruppi editoriali. In un miscuglio di agenti atlantici, giornalisti-militanti (prevalentemente fascisti) arruolati come consulenti e pennivendoli, vertici militari e dei servizi più o meno segreti, manovali del tritolo, servi senza dignità (politica) e provocatori a tempo pieno. Soprattutto, in riferimento anche ad un recente passato, si può constatare come alcune questioni, per determinati gruppi di pressione, non siano mai superate o passate di moda, ma mantengano piuttosto una [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

steranko I recenti avvenimenti francesi (Parigi, 13 novembre) ripropongono all’attenzione generale la funzione del cosiddetto quinto potere: il rapporto tra alcune agenzie di stampa, certuni operatori dell’informazione, testate giornalistiche e gruppi editoriali. In un miscuglio di agenti atlantici, giornalisti-militanti (prevalentemente fascisti) arruolati come consulenti e pennivendoli, vertici militari e dei servizi più o meno segreti, manovali del tritolo, servi senza dignità (politica) e provocatori a tempo pieno. Soprattutto, in riferimento anche ad un recente passato, si può constatare come alcune questioni, per determinati gruppi di pressione, non siano mai superate o passate di moda, ma mantengano piuttosto una loro freschezza e siano sempre d’attualità così che, teorizzazioni di cinquant’anni fa, possono sembrare enunciate in questi giorni.

In particolare modo è stupefacente la capacità e volontà di amplificare, distorcere, piegare alle necessità politiche, sociali ed economiche, fatti ed avvenimenti apparentemente diversi da quello che sono, manipolando e trasfigurando la realtà. Spiegando che, in nome della lotta al terrorismo mondiale, si possono sacrificare libertà minime, acquisite e consolidate. Cercando di convincere la pubblica opinione che, per sconfiggere il terrore, si deve e si può rinunciare a una quota minima(?) di libertà personali; si può sottostare ad un maggiore controllo poliziesco, accettare l’aumento della produttività (è risaputo che un maggiore impegno lavorativo aiuta a sconfiggere le forze del male) e, infine, assecondare gli immancabili necessari sacrifici, sempre conditi con altre rinunce e privazioni. Una guerra psicologica neppur troppo sottile.

Lo si diceva in premessa: una storia vecchia, ma sempre nuova. Che comincia da lontano.
La seconda guerra mondiale non era ancora finita e già l’Office Strategic Service americano, il precursore della CIA, intesseva rapporti con i fascisti italiani per la futura guerra contro il comunismo, mentre nel giugno del 1950, a Berlino Ovest, viene fondato “Il Congresso per la Libertà della Cultura” (Congress for Cultural Freedom-CCF) sostenuto finanziariamente dalla CIA, la cui vocazione era di riunire gli intellettuali anticomunisti e che sovvenzionava parecchie riviste ed organi di stampa: Preuves in Francia, Encoutern in Gran Bretagna1 e tre servizi di stampa. Uno in inglese (Forum Informations Service) a Londra, l’altro in francese (Preuves Informations) a Parigi, e l’ultimo in spagnolo (El Mundo).

Una branca del CCF, il Forum World Features (FWF) è “un servizio di informazioni internazionali che ha lo scopo dichiarato di procurare una base commerciale, un servizio settimanale che copra gli affari internazionali, l’economia, le scienze, la medicina, recensioni di libri, e di altri argomenti di interesse generale”. Il responsabile delle pubblicazioni di stampa del CCF era Brian Crozier, ex giornalista dell’Economist ed agente CIA.

Un altro ex giornalista dello stesso giornale inglese, Robert Moss, che nel 1974, in una corrispondenza da Bruxelles, definì la capitale belga “un centro di sovversione” a causa dell’ “ampio reclutamento operato dalla Quarta Internazionale trozkista…”, è uno degli autori più in vista e prolifici dell’ Istituto per lo Studio dei Conflitti (ISC). .

Nel maggio del 1954, presso l’Hotel Bilderberg di Osterbeck nei Paesi Bassi (Olanda) si tiene il primo convegno noto di “…un altro club che è per parte sua molto più clandestino ed esclusivo ( e molto più ‘militante’ nel suo anticomunismo che non la commissione Trilaterale i cui scopi sono confessati e confessabili): il gruppo Bilderberg”.
Tema dell’incontro: “La difesa dell’Europa contro il pericolo comunista”.
Gli incontri-convegni si susseguirono poi ogni anno (nel 1955 e 1957 due volte) in località di paesi diversi.

Oltre al Club fu creata anche la Commissione Trilaterale che raccoglieva, e raccoglie ancora, nomi del capitale multinazionale americano, europeo e giapponese, uomini politici, sindacalisti e studiosi dei paesi del triangolo: USA, Europa e Giappone.
E’ un gruppo di riflessione, un circolo più o meno chiuso che ha lo scopo di elaborare una teoria e di coordinare le politiche dei vari governi. La Commissione ha proposto in occasione dei suoi seminari una serie di misure concrete per raggiungere nel minor tempo possibile gli obiettivi prefissati. A poco a poco questi obiettivi si sono realizzati, tanto più in fretta in quanto alcuni membri degli attuali governi dei paesi del triangolo hanno partecipato ai lavori della commissione.2

Un’altra università di condizionamento psicologico è costituita dall’ Istituto di alti studi internazionali di Ginevra. L’èlite della diplomazia mondiale è passata per l’istituto. Sino dagli inizi negli anni 60, il bilancio dell’istituto proveniva principalmente da fondazioni americane come Ford e Rockefeller. Ma il sostegno americano non è stato solo finanziario: gli americani vi hanno egualmente trasmesso la loro concezione del ruolo dei diplomatici e dei funzionari internazionali…Formando vari consiglieri ‘diplomatici’ che, in epoche diverse, hanno sparpagliato per il mondo: Corea del Nord, Vietnam, Cile, America Latina, Medio Oriente.

In Italia il primo ‘ingegnere della provocazione‘ è stato Luigi Cavallo. Personaggio che definire ambiguo è riduttivo e che inizia la sua attività già nel 1937. Stranamente, nel 1945 riesce ad iscriversi al PCI, poi inizia, tra tutte la altre imprese, una frenetica attività di collaborazione con Edgardo Sogno. In stretto contatto con Valletta e il colonnello Renzo Rocca (che verrà ‘suicidato’ il 27 giugno 1968) dell’Ufficio Rei del Sifar, pubblica, o è direttore di fogli e riviste ultra reazionarie come Pace e Libertà, oppure fintamente rivoluzionarie: Il Fronte del Lavoro, Satira Socialista, Problemi del Comunismo e del Socialismo, Enciclopedia Operaia, In difesa dell’Albania e della Cina, fino (1960) alla creazione di “Agenzia A”, una vera e propria centrale della falsificazione, della manipolazione, mistificazione e provocazione.

La rivista CONTROinformazione3 nel suo numero 9-10 del novembre 1977 gli dedica un corposo dossier (pag. 22-37) dall’esplicito titolo: “Controrivoluzione di stato, LUIGI CAVALLO, Lo scienziato della provocazione”.

In quegli anni, inizia il proprio ‘lavoro’, coniugando teoria (deformazione della realtà) e pratica (pianificazione di interventi energici su treni, dentro le banche, nelle piazze) l’Aginter Presse emanazione diretta del controspionaggio atlantico in collaborazione con la PIDE polizia segreta portoghese del dittatore Salazar.
Fondata a Lisbona-attorno ad un gruppo di reduci dell’Organisation Armèe Segrète-nel 1966(operativa fino alla vittoria della Rivoluzione dei garofani, aprile 1974) da Yves Guillou, in ‘arte’ Yves Guèrin Sèrac, ex capitano paracadutista del Service de Documentation Extèrieure et de Contre-Espionagge durante la guerra di Algeria, che ha disertato nel 1962 per unirsi all’OAS, insignito dalla Bronze Star americana per ‘meriti’ acquisti nella guerra di Corea e che è stato, per circa vent’anni, il direttore d’orchestra dell’Internazionale nera. La più pericolosa e sanguinaria organizzazione nazi-fascista che abbia operato in Europa negli anni sessanta-settanta. La cui missione principale era di “schiacciare lo sciacallo comunista”, con ogni mezzo necessario.

In Italia, ‘collaboratori’ dell’Aginter Presse sono stati diversi giornalisti-militanti-fascisti: Giano Accame (Sid, Bnd, Il Borghese, Il Fiorino, La Folla, Nuova Repubblica), Gino Agnese (Sid, Il Tempo), Guido Giannettini (Sid, Lo Specchio, Il Tempo, L’Italiano, Il Corriere della Sera), Pino Rauti (Sid e Kyp, Il Tempo) e Giorgio Torchia (Sid e Bnd, Il Tempo).

Accame, Giannettini, Rauti e Torchia sono stati ‘oratori’ (o hanno presentato relazioni scritte) al famigerato I° Convegno di Sudio promosso ed organizzato dall’Istituto Alberto Pollio di studi storici e militari svoltosi a Roma nei giorni 3, 4 e 5 maggio 1965 presso l’hotel Parco dei Principi.4

Il primo ed unico, secondo uno dei fondatori e promotori del convegno, organizzato dall’Istituto dedicato al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Alberto Pollio.5 Il convegno, sponsorizzato dallo Stato Maggiore Difesa, e il cui tema era “La guerra rivoluzionaria. Il terzo conflitto mondiale è già cominciato”, ha costituito uno degli snodi principali della guerra a bassa intensità scatenata in Italia a partire da quegli anni.

pollio Stranamente, la seconda parte del tema all’ordine del giorno, viene sempre dimenticato, volontariamente rimosso, probabilmente per l’esplicito coinvolgimento che, il solo ricordarlo, comporta. Ammettere cioè che, in quella sede, ma anche prima, è stato dato il via ad una guerra civile di lunga durata mai dichiarata, ma teorizzata, praticata e combattuta da una sola delle parti (agenti di servizi segreti nazionali e transnazionali, appartenenti ad organizzazioni ‘extraparlamentari’ fasciste, forze di polizia e militari, giornalisti nella triplice veste di ‘operatori di una certa informazione’, leader politici, provocatori) in causa. L’altra parte si è trovata costretta a subirla e ha dovuto difendersi. Passando, in certi casi e momenti, al contrattacco.

Al convegno, “ha partecipato un Gruppo di studio di studenti universitari”. Tra di essi il falso anarchico Michele Mario Merlino e, anche se in alcune circostanze lo ha smentito, il capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie. Oltre ai già citati hanno preso parte a questa chiamata alle armi atlantico-fascista, altri ‘giornalisti’ asserviti: Eggardo Beltrametti (Sid), giornalista del quotidiano Roma diretto da Alberto Giovannini (che ama definirsi fascista di sinistra), Gianfranco Finaldi (Sid) seguace di Pino Romualdi ed attivo (anni cinquanta) nei Fasci Azione Rivoluzionari, de Lo Specchio e Il Settimanale, Enrico De Boccard (Sid) Lo Specchio, Marino Bon Valsassina (Sid) Il Giornale d’Italia, Giorgio Pisanò (Sid) direttore de Il Candido, Giuseppe Dall’Ongaro (Sid) Il Giornale d’Italia, Vanni Angeli (Sid) Il Tempo, Fausto Gianfranceschi (Sid) Lo Specchio e Il Tempo.6

Questi principi neri della penna sono stati affiancati da Ivan Matteo Lombardo, ex ministro socialdemocratico (Psdi), Pio Filippani Ronconi, ex ufficiale delle SS italiane, Alfredo Cattabiani, uno dei massimi esponenti dell’integralismo cattolico.
Alla presidenza: Salvatore Alagna, consigliere di Corte d’Appello di Milano, Alceste Nulli Augusti, generale dei paracadutisti, Adriano Giulio Cesare Magi-Braschi, tenente colonnello già responsabile del Nucleo guerra non ortodossa del Sifar ed intervenuto (così qualificato anche negli atti del convegno) sotto le mentite spoglie di avvocato.7 Considerato da Ordine Nuovo l’elemento essenziale di collegamento nella prospettiva del colpo di stato.

In quel convegno, due ‘giornalisti’ di complemento dei servizi, esprimono alcuni concetti di strettissima attualità. Nell’inaugurazione, Gianfranco Finaldi, presidente del Pollio, chiarisce scopi e finalità del convegno: “Noi affermiamo cioè che la terza guerra mondiale è già scoppiata, che essa si sta combattendo nel mondo, anche se, nel suo quadro, non è ancora stata usata l’arma atomica…Simile nuovo tipo di guerra si chiama appunto ‘guerra non ortodossa’ o ‘guerra rivoluzionaria’ “. Poi, ancora: “Abbiamo qui fra noi venti studenti universitari che l’Istituto Pollio ha pregato-dopo una selezione di merito-di prendere parte ai lavori, appunto come gruppo…L’Istituto Pollio si sforzerà di aiutarli in ogni modo: facilitando le loro ricerche, promuovendo le loro sessioni di studio, ponendo a loro disposizione il materiale necessario..”.
Alcune considerazioni: chi fossero alcuni degli ‘studenti universitari’ si è già detto. Interessante sapere che sono stati selezionati per il loro merito, che partecipano ed agiscono come ‘gruppo’. Quale materiale venga, poi, messo a disposizione, viste le successive imprese, potrebbe chiarirlo un esperto balistico…

Finaldi specifica che “la relazione-cardine” del convegno verrà sviluppata da Eggardo Beltrametti. Così, Beltrametti, curatore anche della pubblicazione degli atti del convegno, avvenuta solo un mese dopo il suo svolgimento, oltre ad illustrare perché è stato organizzato il convegno ed essere l’autore dello ‘sguardo riassuntivo’ finale, presenta una relazione imperniata su “La guerra rivoluzionaria: filosofia, linguaggio e procedimenti. Accenni ad una prasseologia per la risposta”.
Ribaltando, come si suol dire, il sacco, Beltrametti attribuisce ai Comunisti (comprendendo in tale definizione tutti coloro che non sono allineati con le convinzioni dei convenuti) quello che, assieme ai suoi accoliti, sta già praticando: “Dalle decisioni di governo alla politica per favorire lo sviluppo scientifico, dall’economia pianificata all’approntamento di mezzi atomici fino al pugnale dato in mano all’attivista fanatizzato per uccidere, dalla propaganda alle manovre diplomatiche…il seminare il senso d’incertezza, d’insicurezza economica e politica, le delazioni e le provocazioni…
Fino al colpo di teatro, alla negazione-affermazione: “…(il) tipo di libertà democratica per cui il nemico ci combatte in nome di quei nostri principi, che egli distruggerà appena avrà raggiunto il successo. Si tratta quindi di un atto di saggezza e di giustizia togliere ai movimenti, ai partiti ed ai gruppi al (loro) servizio la libertà d’azione”.

Come già detto, Finaldi e Beltrametti, non furono gli unici ‘operatori della (dis)informazione’, della manipolazione, della falsificazione plateale a prendere parte alle tre giorni di Parco dei Principi. Probabilmente furono i più espliciti rispetto alle tecniche contro rivoluzionarie da approntare.
Filiazione del Pollio, un anno dopo (siamo sempre a metà, o poco più) degli anni sessanta, è stato il ‘terroristico’ opuscoletto scritto da Giannettini e Rauti (pubblicato con la pseudonimo Flavio Messalla) “Le mani rosse sulle forze armate”. E’ del 1964 il tentativo di colpo di stato (Piano Solo) De Lorenzo-Sifar-Segni e gli ‘artigli’ delle FFAA erano di tutt’altro colore…

A queste azioni ed operazioni di ‘fusione’ fisica, operativa ed ideologica tra agenti atlantici, strateghi della controrivoluzione, vertici militari, pennivendoli di regime, manovali del terrore, provocatori di tutte le risme si sono affiancati anche altri ‘attori’, forse più subdoli ed ambigui, ma sempre mefitici.
Noti anche come il ‘Duo di Padova’: Elio Franzin e Mario Quaranta, che sul finire degli anni sessanta pubblicano, per una delle case editrici (Pamphlets) di Giovanni Ventura, loro mecenate ed editore, un opuscoletto molto significativo, intitolato: “Gli attentati e lo scioglimento del parlamento”. E già si capisce quali sono le tesi sostenute e a cosa si mira.

Un piccolo saggio delle loro perle di verità a proposito del libro contro inchiesta “La strage di stato”: “…è il caso di Giovanni Ventura, a cui il libretto attribuisce fatti e atteggiamenti di tutta invenzione. E’ noto che quando si prospetta un caso giudiziario particolarmente vistoso, si fanno avanti mitomani, pazzi, cretini, i quali garantiscono di avere decisive rivelazioni da fare”.
Così, il povero Giovanni Ventura è “…stato costretto a denunciare e a querelarmi nei confronti della casa editrice Samonà e Savelli di Roma e “La strage di stato”, a causa del carattere calunniatorio nei miei confronti delle affermazioni ivi contenute”.

Franzin e Quaranta, in compagnia di altri, compaiono anche come componenti promotori del ‘Comitato di Controinformazione “Giuseppe Pinelli” di Padova’, il quale, nel febbraio del 1971, per un’altra casa editrice di Ventura, la Galileo Editori, pubblica “Pinelli: un omicidio politico”. Tanto per intorbidire ancora un po’ le acque. In maniera, direi stupefacente, nel maggio 1970, per Marsilio editori (casa editrice da sempre ‘vicina’ al PSI) riescono a farsi pubblicare: “Eugenio Curiel. Dall’antifascismo alla democrazia progressiva”. Dei veri camaleonti.

Infine, in questa piccola galleria del condizionamento ideologico e della manipolazione dell’informazione, non poteva mancare un rimando al settimanale Epoca (1959-1997) di proprietà della Mondadori, per le sue capacità ‘divinatorie’ ed anticipatorie di avvenimenti non ancora (naturalmente) accaduti.
Il primo colpo da ‘sfera di cristallo’ è del luglio 1964-il tentativo di golpe non era ancora stato denunciato e rilanciato da L’Espresso– e, con sospetta tempestività, la rivista esce con una copertina tricolore sulla quale campeggia questa dichiarazione: “L’Italia che lavora chiede al Capo dello Stato un governo ENERGICO E COMPETENTE che affronti subito con responsabilità la crisi economica e il malessere morale che avvelena la nazione”. Si potrebbe dire: c’è chi agisce, e chi rivendica, anticipando l’avvenimento.

Un altra fortuita coincidenza si verifica con il numero della rivista in edicola l’11 dicembre 1969, proprio il giorno prima della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, con la seconda operazione tricolore. Il settimanale neo-gollista titola: “Senza peli sulla lingua, senza conformismi. CHE COSA PUO’ ACCADERE IN ITALIA”. Un incredibile fiuto per i colpi di stato e le manovre che destabilizzano per stabilizzare il sistema.
Il giorno dopo, durante il mercatino pomeridiano degli agricoltori, a Milano, in Italia, accade che una bomba atlantico-clerico-fascista, provoca, nel salone di una banca, sedici vittime (diventeranno 17).
Nel 1951, corrispondente dagli Stati Uniti per la rivista dei ‘tre colori’ è l’immancabile Luigi Cavallo.8

A metà anni sessanta, per tutti questi logorroici e monotoni (ma pericolosi) arnesi della reazione e soldati della contro guerriglia, il nemico sempre presente, che si materializzava ad ogni iniziativa e in qualsiasi circostanza e contesto diverso dal loro, era il Comunismo. Oggi è mutato (relativamente) il bersaglio: gli hanno cucito addosso l’abito di precostituiti fanatici religiosi oppure è fornito dai migranti in fuga da ‘guerre umanitarie’, disperazione e fame e, naturalmente, da qualsiasi tipo di antagonismo sociale non ancora integrato nei partiti di regime. Le strategie e le tattiche non sono cambiate di molto e la sostanza e gli antidoti proposti neppure: falsità, manipolazione della realtà, forzatura del contesto generale, diffusione del senso di paura, innalzamento del livello di allerta, per stimolare la richiesta di ritorno all’ordine, naturalmente con l’instaurazione (o consolidamento) di un governo ‘forte’.

Così la peste bruna potrà mietere nuove vittime e, forse, ottenere ancora una volta i suoi trofei di barbarie e di sangue.


  1. Su Encounter, Tom Braden, ex direttore del Dipartimento delle organizzazioni internazionali della CIA, scrisse un articolo dall’eloquente titolo: “Sono felice che la CIA sia immorale”  

  2. Per CCF, ISC, Bilderberg, Trilaterale, Istituto alti studi internazionali, vedi CONTROinformazione n° 11-12, luglio 1978  

  3. Che Umberto Eco e Patrizia Violi (in La Controinformazione, in V. Castronovo e N. Tranfaglia, La stampa italiana del neocapitalismo, Laterza, Bari, 1976) descrivono così: “Controinformazione che appare subito come una fra le riviste più curate nella veste grafica…Coerentemente all’impegno di rigore e precisione documentativa, anche il linguaggio tende ad essere il più puntuale e scientifico possibile, pur mantenendosi ad un elevato grado di leggibilità, realizzando una scrittura di tipo saggistico dimostrativo. Sono del tutto assenti, anche là dove si parla di situazioni particolarmente tragiche e drammatiche, le forti connotazioni emotive, le invettive, le ingiurie o le forme sarcastiche e allusive utilizzate da altre pubblicazioni di informazione alternativa…dove si attua un vero e proprio smontaggio di tutti quegli artifici tecnici e linguistici di cui comunemente l’informazione ufficiale si serve per deformare e modificare la portata e il senso di certe notizie e tanti altri espedienti ancora che possiamo quotidianamente verificare su qualsiasi foglio di informazione, tutti rigorosamente suffragati da esempi”per concludere con la denuncia: “…(del) ruolo egemone dell’imperialismo americano alla funzione portante delle multinazionali, dalla riorganizzazione del lavoro in fabbrica all’uso del fascismo e della provocazione, dalla più aperta repressione poliziesca e giudiziaria, ai vari aspetti che essa assume nella quotidiana manipolazione culturale ed ideologica, fino ad una precisa denuncia dei meccanismi dell’inganno informativo da parte della stampa e della radiotelevisione”  

  4. Per Aginter Presse e Convegno Pollio: S. Ferrari, I denti del drago. Storia dell’Internazionale nera tra mito e realtà, BFS Edizioni, Pisa, 2013; M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Editori Laterza, Roma-Bari, novembre 2015  

  5. Per Alberto Pollio: Giovanni d’Angelo, La strana morte del tenente generale Alberto Pollio. Capo di stato maggiore dell’esercito. 1° luglio 1914, Gino Rossato Editore, Valdagno (Vi) 2009 e http://www.archiviostorico.info/interviste/4215-la-strana-morte-del-tenente-generale-alberto-pollio-intervista-con-giovanni-dangelo  

  6. Vedi: M. Dondi, citato 

  7. Per Parco dei Principi: E. Beltrametti (a cura di) La guerra rivoluzionaria. Il terzo conflitto mondiale è già cominciato, Atti del primo convegno organizzato dall’ Istituto Pollio, Giovanni Volpe Editore, Roma, 1965  

  8. Per Piano Solo e copertine Epoca: Brescia, 28 maggio 1974. Strage di Piazza della Loggia, Colibrì edizioni, Paderno Dugnano (Mi) giugno 2008  

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