Luigi Calabresi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Da quell'”incidente” nessuno uscì incolume https://www.carmillaonline.com/2017/04/07/quellincidente-nessuno-uscito-incolume/ Thu, 06 Apr 2017 22:01:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37295 di Fabrizio Salmoni

pinelli Gabriele Fuga, Enrico Maltini, Pinelli. La finestra è ancora aperta, ed. Colibrì 2016, pp. 272, € 14

Non lo hanno mai fatto magistratura e commissioni di inchiesta, sono stati gli autori (un docente universitario e un avvocato) di questa formidabile definitiva inchiesta su Pinelli e la strategia della tensione a completare lo scenario storico e politico, delineato nell’immediato di quei lontani giorni del 1969 nel famoso La Strage di Stato, entro cui quei fatti si svolsero. Ora si può dire che la verità è stabilita con solo pochi dettagli, probabilmente impossibili da recuperare ormai per ragioni anagrafiche, [...]]]> di Fabrizio Salmoni

pinelli Gabriele Fuga, Enrico Maltini, Pinelli. La finestra è ancora aperta, ed. Colibrì 2016, pp. 272, € 14

Non lo hanno mai fatto magistratura e commissioni di inchiesta, sono stati gli autori (un docente universitario e un avvocato) di questa formidabile definitiva inchiesta su Pinelli e la strategia della tensione a completare lo scenario storico e politico, delineato nell’immediato di quei lontani giorni del 1969 nel famoso La Strage di Stato, entro cui quei fatti si svolsero. Ora si può dire che la verità è stabilita con solo pochi dettagli, probabilmente impossibili da recuperare ormai per ragioni anagrafiche, ancora da chiarire.

Va detto subito che tutto quello che si legge è ampiamente documentato con tanto di riproduzioni in copia dei documenti. Persino le note e le schede, dovute principalmente alla meticolosa collaborazione di Fiorenzo Angoscini e Elda Necchi, rivelano il puntiglio virtuoso con cui si è valutato ogni dettaglio dell’intricata vicenda. Ma ora possiamo dire che finalmente SAPPIAMO .

Una premessa: l’inchiesta riparte dall’acquisizione di nuove fonti documentarie indiscutibili, “ufficiali”, un incidente in cui lo Stato si è fatto male da solo ma che nessuno ha mai voluto divulgare: nell’ottobre 1996, i giudici milanesi Massimo Meroni e Maria Grazia Pradella che indagano su piazza Fontana rinvengono in un deposito del Ministero dell’Interno sulla circonvallazione Appia a Roma l’archivio segreto del famigerato Ufficio Affari Riservati, circa 150 mila fascicoli non catalogati. Erano malamente accatastati all’aperto dentro scatoloni che sembravano solo aspettare il macero. I due giudici indagano, convocano testimoni “eccellenti”, verbalizzano, allegano documenti tratti dall’archivio segreto ma poi ancora una volta tutto si ferma con l’archiviazione decretata dalla Procura di Milano nell’ottobre 2013. E’ stata l’Associazione Casa della Memoria di Brescia ad intraprendere la digitalizzazione degli atti giudiziari fornendo cosi il materiale di indagine ai ricercatori indipendenti.

In quel “tesoro” si trovava tutto il necessario per giungere finalmente alla verità: fatti, persone, descrizione dei meccanismi politico-polizieschi che hanno predeterminato e realizzato la strategia della tensione. Solo alcuni dei personaggi “rivelati” furono ascoltati subito dopo il reperimento della
documentazione, nel 1997 ma nessun organo di informazione ne diede notizia e molti altri testimoni eccellenti non furono mai neanche convocati. Quei molti non erano mai stati neanche nominati nei precedenti procedimenti giudiziari.

Leggendo il libro, non si fa fatica a capire il perchè: nessuno ne esce incolume. Né le più alte autorità politiche del tempo, né i partiti, né gli apparati, né i media, né la magistratura, né i singoli protagonisti, Calabresi compreso, per intenderci. Niente finte-verità che tengono, come le usurate, reiterate, comode espressioni “servizi deviati”, “pezzi dello Stato”: no, TUTTO lo Stato, intimorito dal montare impetuoso della protesta sociale e marcato stretto dall’alleato americano in preda alla paranoia da guerra fredda, era coinvolto nella pianificazione della strategia della tensione, nella premeditazione dello sbocco autoritario (esautorazione del Parlamento, leggi di emergenza, carta bianca alle bande fasciste, arresti e repressione estesa) che doveva seguire il caos causato dalle bombe. Aveva ragione la sinistra extraparlamentare che lo disse subito: la strage era di Stato. Aveva ragione ad attrezzarsi per difendersi da ciò che doveva seguire alle bombe. La tragedia del golpe fu evitata per un soffio e grazie proprio alla reazione dell’ opinione pubblica, della società civile, dei militanti della sinistra e di alcuni giornalisti intraprendenti e coraggiosi. Questa nuova inchiesta getta nel totale discredito tutto il sistema politico di allora e, di conseguenza, per continuità e diritto ereditario, anche quello attuale che si è ben guardato dal cercare la verità.

E’ rivelato il ruolo fondamentale dell’Ufficio Affari Riservati condotto da Federico D’Amato con la sua corte di sbirri fascistoidi che quella notte del 15 Dicembre “comandavano” alla Questura milanese e dettavano persino il testo della conferenza stampa in cui Guida, Allegra e Calabresi dovevano affermare che Pinelli si era suicidato perchè colpevole.
Della presenza di quel manipolo dell’UAR non si è mai saputo nulla fino alla scoperta dell’archivio segreto.

Anche dalle nuove evidenze Calabresi esce molto male. E su questo niente da stupirsi. Malgrado le contrastanti versioni sulla sua presenza nella stanza che gli hanno sempre lasciato il beneficio del (minimo) dubbio, le sue responsabilità secondo l’inchiesta sono gravi e decisive. Sono diversi i motivi elencati “per ritenerlo responsabile della morte di Pinelli e dell’offesa continuata alla sua memoria“.

C’è poi il capitolo, fondamentale per novità, delle spie che contribuiscono a preparare la trappola per gli anarchici, concertando la strategia con l’UAR. Un nome su tutti che vale la pena fare e divulgare e su cui si concentrano le peggiori responsabilità: quell’Enrico Rovelli che a Milano è conosciuto per aver aperto e gestito noti locali per concerti come il Carta Vetrata di Bollate, il Rolling Stone e l’Alcatraz. Il suo nome era già stato fatto dal foglio anarchico Umanità Nuova nel 1975 ma vista la fonte nessun organo di informazione vi aveva dato peso. Con lui vengono poste le basi della montatura che porterà a incastrare Valpreda e al tentativo di coinvolgere Pinelli. Rovelli è ancora vivo e residente nel milanese. Dicono che abbia avuto fortune alterne nella sua carriera di promoter, alti e bassi economici, ma è riuscito a nascondere il suo passato. Chissà se almeno soffre di incubi notturni.

Un discorso specifico è dedicato alla magistratura. Oltre alla prima inchiesta sulla morte di Pinelli condotta prima dal Pm Caizzi e archiviata subito dal G.I. Amati con la motivazione del suicidio, e alle vicissitudini del processo Calbresi-Baldelli (Lc), il dato politico più significativo proviene dall’inchiesta successiva del giudice D’Ambrosio generata nel 1971, dopo la sospensione del processo, dall’esposto della signora Pinelli per omicidio volontario, violenze private, sequestro di persona, abuso d’ufficio e abuso di autorità nei confronti di tutti i poliziotti coinvolti. L’inchiesta si chiude nel 1975 con la nota conclusione detta del “malore attivo” che proscioglie i querelati e lascia la materia nella più profonda ambiguità. D’Ambrosio cosi sentenziando si sfila dalle responsabilità, eppure è un magistrato “democratico” che nelle dichiarazioni fa capire di aver capito il grande gioco e i suoi protagonisti, che porta in fondo l’indagine su Freda e Ventura, che addirittura accusa i colleghi magistrati della prima indagine di essere stati “condotti per mano dalla polizia“.

D’Ambrosio però era anche “in forte sintonia” con il Pci ed è opinione degli autori che “per denunciare o perseguire i responsabili diretti e indiretti (Dc, Psdi, le destre) e le forze oscure della vicenda (UARR, Sid, Gladio, Nato, Cia, ecc.) che a quei partiti o settori erano legate, occorreva una forza che sia lui che il Pci non potevano o non volevano avere…tanto più che la richiesta di legittimazione politica cui quel partito ambiva era rivolta a quelle stesse forze“. Quindi, “meglio non vedere, non sentire, non parlare e nel caso specifico non indagare…“.
Naturalmente gli autori si addentrano nell’anomalia D’Ambrosio, ma la sostanza è che D’Ambrosio ha verosimilmente abdicato ai propri doveri negando la verità al Paese e facendo scelte “coerenti con la logica del compromesso storico“.

Ipotesi che fa ricordare altri pm, altri giudici “democratici” che da allora a oggi hanno operato favorendo più o meno direttamente il Pci e i suoi derivati. Pensiamo al Catalanotti bolognese che si impegna a stroncare il movimento del ’77 nella città-modello del Pci e manda impunito il carabiniere Tramontani assassino di Francesco Lorusso; pensiamo al Calogero dell’inchiesta “7 Aprile” che solo quattro anni dopo (1979) portò in carcere tutti i vertici ideologici dell’Autonomia Operaia con il Pci in piena dirittura di arrivo al governo; pensiamo ai Violante e Caselli che un Partito rabbioso per aver perso il treno del governo scatena contro le organizzazioni combattenti, e arriviamo all’attualità con il Caselli che dal 2012 si dedica a perseguire i valsusini che ostacolano la realizzazione dell’inutile Tav su cui il Pd è il primo ad avere forti interessi.
E’ una finestra drammatica e inquietante quella che questo libro apre su questo nostro disgraziato Paese che non riesce ancora a liberarsi di una classe politica legata e sopravvissuta al filo lungo delle stragi e della strategia della tensione.

Dobbiamo tutti grande riconoscenza agli autori di questo libro (Maltini è deceduto proprio durante la lavorazione finale) e all’editore per aver ripreso e concluso il lavoro iniziato con l’edizione precedente dello stesso testo1 e dalla la prima inchiesta (La Strage di Stato) e per mantenere viva la memoria di Giuseppe Pinelli. E’ un libro “eversivo” perchè la Verità è tale, anche a distanza di 47 anni, e perchè scopre il verminaio che è stata la classe politica che ha retto il Paese nella sua continuità fino ad oggi e l’intreccio infame delle complicità tra tutti i poteri dello Stato, media compresi. Meriterebbe di essere divulgato, presentato e commentato su ampia scala. Non avremo mai la verità giudiziaria ma quella storica è più che sufficiente.


  1. Gabriele Fuga, Enrico Maltini, E a finestra c’è la morti. Pinelli: chi c’era quella notte, Zero in Condotta 2013, già recensito su Carmilla da Gianfranco Marelli: https://www.carmillaonline.com/2013/08/10/gabriele-fuga-enrico-maltini-e-a-finestra-ce-la-morti-pinelli-chi-cera-quella-notte/  

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Un granello di sabbia/4 https://www.carmillaonline.com/2015/12/15/un-granello-di-sabbia4/ Tue, 15 Dec 2015 06:30:53 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27340 pinellidi Alexik

[A questo link il capitolo precedente.]

Era quasi menzanotte e cadiu nella corti e strisciò lu cornicioni ch’era sutta a lu balconi. Era mortu n’allìstanti stiso in terra malamenti e pareva fossi mortu un’istanti prìcidenti. Lu questuri dissi poi non l’abbiamo ucciso noi !” (Franco Trincale)

“Vi giuro che non l’abbiamo ucciso noi !”. È la mattina del 16 dicembre 1969, sono passati quattro giorni dalla strage di Piazza Fontana, e poche ore dal volo di Giuseppe Pinelli da una finestra del quarto piano [...]]]> pinellidi Alexik

[A questo link il capitolo precedente.]

Era quasi menzanotte e cadiu nella corti e strisciò lu cornicioni ch’era sutta a lu balconi. Era mortu n’allìstanti stiso in terra malamenti e pareva fossi mortu un’istanti prìcidenti. Lu questuri dissi poi non l’abbiamo ucciso noi !” (Franco Trincale)

“Vi giuro che non l’abbiamo ucciso noi !”. È la mattina del 16 dicembre 1969, sono passati quattro giorni dalla strage di Piazza Fontana, e poche ore dal volo di Giuseppe Pinelli da una finestra del quarto piano della Questura di Milano, in via Fatebenefratelli. L’autore della ’excusatio non petita’ è Marcello Guida, questore di Milano, che aggiunge: “Quel poveretto ha agito coerentemente con le proprie idee. Quando si è accorto che lo Stato, che lui combatte, lo stava per incastrare ha agito come avrei agito io stesso se fossi un anarchico”.

Notte bianca per il questore Guida, passata a intrattenere i giornalisti assieme al commissario aggiunto Luigi Calabresi, al capo dell’ufficio politico della questura Antonino Allegra ed al tenente dei carabinieri Savino Lograno. Notte insonne per avvalorare una tesi già strillata dai principali quotidiani, che fin da subito – Corsera in testa – avevano attribuito agli anarchici la paternità politica della bomba. La sera stessa della strage erano stati istruiti in tal senso.

Pinelli3

Enrico Baj: Funerali dell’anarchico Pinelli, 1972. Particolare.

A Guida, quella notte, non rimane dunque che arricchire un copione già in atto con il ‘suicidio’ di un anarchico, da rivendere alla stampa come una palese ammissione di colpa. “Era fortemente indiziato di concorso in strage… era un anarchico individualista… il suo alibi era crollato… non posso dire altro… si è visto perduto… è stato un gesto disperato… una specie di autoaccusa insomma…”. Rincarano la dose AllegraLo conoscevamo da tempo, era stato interrogato anche per gli attentati del 25 aprile”, e Calabresi “Lo credevamo incapace di violenze, invece… è risultato collegato a persone sospette… le sue erano implicazioni politiche…”1.

Licia Pinelli, che in quel momento sta correndo in ospedale, non sa che suo marito è morto, e nemmeno che in questura stanno cercando di ucciderlo ancora, sporcandone il nome. Licia ha saputo dai giornalisti, che sono andati a svegliarla a casa, che suo marito è caduto da una finestra della questura. È stata lei a dover chiamare via Fatebenefratelli per averne conferma. “Perché non mi ha avvisata?”, ha chiesto a Calabresi. “Ma sa signora – si è sentita rispondere – abbiamo molto da fare”. All’ospedale, davanti al corpo di Pino senza vita, sua suocera l’avverte: “Licia, vedrà domani i giornali … gli daranno la colpa di tutto”. Ed ha ragione. Di lì a poco l’arresto di Valpedra è la quadratura del cerchio: un anarchico è colpevole di strage, un altro si suicida sentendosi incastrato.

Il 17 dicembre il ‘Corriere d’informazione’ (edizione pomeridiana del Corriere della Sera) titola accanto alla foto di Valpreda: ‘La furia della bestia umana’. L’articolo che segue è forse più becero del titolo: “La macchina del terrore è saltata, ormai si tratta soltanto di raccoglierne le schegge. La bestia umana che ha fatto i quattordici morti di piazza Fontana e forse anche il morto, il suicida di via Fatebenefratelli, è stata presa, è inchiodata: la sua faccia è qui, su questa pagina di giornale, non la dimenticheremo mai”.

Dalla RAI anche Bruno Vespa (ebbene si ! Imperversava anche allora !) emette la sentenza: “Pietro è un colpevole, uno dei responsabili della strage di Milano e degli attentati di Roma“. Tutta la stampa, ad eccezione di Lotta Continua, diffonde senza alcuna obiezione o perplessità le veline delle questure, compresi nuovi dettagli sulla dinamica della morte di Pinelli e sulla sua prodigiosa agilità. Con uno scatto felino, eludendo la sorveglianza di cinque agenti, il ferroviere anarchico si sarebbe tuffato oltre la finestra, dopo aver appreso da Calabresi che l’amico Valpreda aveva confessato la propria colpevolezza per la strage. Prima di lanciarsi, avrebbe gridato “Allora è la fine dell’Anarchia !”

Pinelli2

Enrico Baj: Funerali dell’anarchico Pinelli, 1972. Particolare.

Non tutti però credono alle veline. Duemila persone sfilano al funerale, coi pugni chiusi e le bandiere nere. Pochissimi in confronto ai cortei dell’epoca, ma a Licia sembrano “tantissima gente se pensi alla paura di quei giorni, al linciaggio. All’Università solo in 23 avevano firmato quella lettera in cui dicevano di non credere al suicidio di Pino. E tutto il quartiere era circondato da polizia e carabinieri. Polizia dappertutto2.

Pian piano però le testimonianze di chi l’ha conosciuto, cominciano a farsi strada. Persone insolite frequentavano questo pericoloso anarchico: intellettuali cristiani, quali Bruno Manghi e Luigi Ruggiu, e Giuseppe Gozzini, il primo obiettore di coscienza cattolico. Tutti ne ricostruiscono la generosità smisurata, l’apertura mentale, la curiosità, l’umanesimo, la purezza.

Pino PinelliGozzini così lo ricorda: “Io gli parlavo di ‘società basata sull’egoismo istituzionalizzato,’ di ‘disordine costituito,’ di ‘lotta di classe’ e lui mi riportava oltre le formule, alla radice dei problemi, incrollabile nella sua fede nell’uomo e nella necessità di edificare ‘l’uomo nuovo,’ lavorando dal basso…. Viveva del suo lavoro, povero ‘come gli uccelli dell’aria,’ solido negli affetti, assetato di amicizia, e gli amici li scuoteva con la sua inesauribile carica umana. Le etichette non mi sono mai piaciute. Quella che hanno appioppato a Pinelli: ‘anarchico individualista,’ è melensa, per non dire sconcia. Si è sempre battuto infatti contro l’individualismo delle coscienze addomesticate: lui, ateo, aiutava i cristiani a credere; lui operaio, insegnava agli intellettuali a pensare, finalmente liberi da schemi asfittici….È orribile pensare che si sia potuto sospettare di lui. Che si fosse ucciso non ci ho mai creduto. Alla notizia ho pensato che ‘fosse stato morto,’ ecco quello che ho pensato3.

Mentre la statura umana di Pino Pinelli riemerge dal fango sotto cui stampa e questura intendevano seppellirla, dalle pagine di Lotta Continua si comincia a smontare il teorema imbastito contro gli anarchici, ad indicare i fascisti e i servizi come gli esecutori della strage, e a collocare gli attentati all’interno di un progetto politico finalizzato a fermare le spinte rivoluzionarie del ’68 e’69, utilizzando la paura e la diffamazione dei movimenti. Un golpe strisciante, meno evidente e più subdolo, perché “i colpi di stato si fanno in molti modi. Non sempre vanno bene i carri armati che possono dar fastidio a una parte della borghesia4 … “un piano politico (attentato e strage) che, dando l’illusione di accontentare la destra e di favorirne l’azione, è in effetti lo strumento più funzionale ad una stabilizzazione moderata, ad una involuzione « legale e costituzionale », che non è il colpo di stato dei colonnelli“.

Giorno dopo giorno, man mano che emergono sempre più le contraddizioni e l’inconsistenza probatoria della pista anarchica, si sgretolano anche le affermazioni infamanti sulla figura di Pinelli. Anche Calabresi cambia versione smentendo il suo stesso questore: “Non avevamo niente contro di lui, era un bravo ragazzo, l’avremmo rilasciato il giorno dopo.”

LC - paracadute

Paracadutismo. Tratto da: Lotta Continua del 28/02/70.

Ma in questo modo fa crollare uno dei pilastri a sostegno dell’ipotesi del suicidio, il cui movente risiedeva nel fatto che Pinelli si sentisse incastrato a fronte di gravi indizi di colpevolezza. Fra l’altro, l’ipotesi del suicidio già traballa da tutte le parti, sia perché l’alibi di Pinelli per il 12 dicembre è confermato, sia perché le modalità di  caduta da quella finestra del quarto piano somigliano proprio tanto ad una discesa a peso morto .

A ciò si aggiunge la testimonianza di Pasquale Valitutti, fermato assieme a Pinelli, che afferma di  aver sentito provenire dalla stanza dell’interrogatorio di Pino “dei rumori sospetti come di una rissa”. Rumori piuttosto strani per un colloquio ufficialmente civile e tranquillo. Valitutti smentisce inoltre la versione di Calabresi, che ha sempre sostenuto di essere uscito da quella stanza prima del ‘balzo felino’5, e le sue dichiarazioni, sempre coerenti, contrastano con quelle degli inquisitori, che invece mutano in continuazione:

Prima versione: «quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo ma non ci siamo riusciti ». Seconda versione: abbiamo tentato di fermarlo « ma ci siamo riusciti solo parzialmente ». Terza versione: «abbiamo tentato di fermarlo e il brigadiere Vito Panessa con un balzo cercò di afferrarlo e salvarlo; in mano gli rimase soltanto una scarpa del suicida ». E bravo il brigadiere Vito Panessa ! Abile e veloce, ma un po’ miope forse, dal momento che non ha visto che il Pinelli aveva 3 scarpe. Le persone che si sono avvicinate al corpo del «suicida », nell’aiuola del cortile della Questura, affermano infatti di aver visto chiaramente ai piedi di Pinelli le due scarpe di pelle scamosciata. Come si spiega allora la scarpa rimasta in mano al brigadiere Vito Panessa? A meno che questi anarchici non abbiano addirittura tre piedi; gente strana d’altronde, da cui ci si può aspettare qualsiasi cosa”.6

Lotta Continua analizza quotidianamente ogni incongruenza delle versioni ufficiali. Per i suoi redattori (e non solo per loro) non ci sono dubbi: Giuseppe Pinelli è stato assassinato. Ne sono responsabili Guida, Allegra e Calabresi, i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli, assieme al tenente dei C.C. Savino Lograno.

LC - Calabresi 3

Ma Dotto’! .. che fa spinge ? Tratto da: Lotta Continua del 28/02/70.

Il giornale evidenzia come in tutte le inchieste sulle bombe dell’ultimo anno (bomba del 25 aprile al padiglione Fiat della stazione centrale, bombe sui treni dell’8 e 9 agosto) si riscontri la presenza del giudice Amati, di Calabresi o Guida, impegnati a perseguitare gli anarchici seguendo teoremi dall’esito infruttuoso, tralasciando invece le piste neofasciste7.

Si denunciano lunghe carcerazioni di anarchici basate su prove false, si raccolgono testimonianze sui pestaggi che coinvolgono gli stessi poliziotti presenti all’interrogatorio di Pinelli:

Ma quello che più ha influito nel farmi firmare i verbali scritti dalla polizia sono state le percosse e le minacce. Era la prima volta che subivo violenza fisica. Sono stato schiaffeggiato, colpito alla nuca, preso a pugni, mi venivano tirati i capelli, e torti i nervi del collo. Rendeva più terribile le percosse il fatto che avvenivano all’improvviso dopo aver fatto chiudere le imposte, e venivo colpito al buio. In particolare ricordo di essere stato colpito dal dr. Zagari che mi accolse al mio arrivo da Pisa alle 3 di notte con una nutrita scarica di schiaffi, e dagli agenti Mucilli e Panessa. Quanto alle minacce, consistevano nel terrorizzarmi annunciandomi, codice alla mano, a quanti anni di carcere avrei potuto essere condannato, cioè fino a venti anni. Tali minacce mi furono ripetute in carcere da parte del dr. Calabresi”.8

Infine, sulle pagine di L.C. non manca mai, per Calabresi, lo sberleffo della satira.

Nel frattempo, la ‘giustizia’ sul caso Pinelli fa il suo corso … verso un vicolo cieco: il procuratore Caizzi conclude con un’archiviazione l’istruttoria preliminare per la morte del ferroviere, avvalorando in toto la versione della questura. Caizzi non permette nemmeno ai familiari di Pinelli di costituirsi parte civile. In questura tutti sono rimasti al loro posto, in posizioni tali da poter inquinare prove e imbastire provocazioni. Strani interrogatori ai vicini di casa dei Pinelli sembrano ricercare prove di immoralità della madre e della moglie, ree di aver denunciato il questore Guida per le infamie dette sul loro congiunto (denuncia che non avrà nessun seguito).

Ogni via giudiziaria sembra chiudersi, tranne una. Perché Calabresi querela Pio Baldelli, direttore responsabile di Lotta Continua, per diffamazione continuata e aggravata. E commette un errore. (Continua)

LC - questura di Milano

A Dotto’ ! Me lo potevate dire ch’ era un confronto. Tratto da Lotta Continua.

 

 


  1. Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage, Feltrinelli, 1971, pp. 3/4. 

  2. Licia Pinelli, Piero Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia, Feltrinelli, 2009, p. 22. 

  3. Camilla Cederna, op. cit., p. 5. 

  4. Lotta Continua, 17 gennaio 1970. Lotta Continua, 24 marzo 1970. 

  5. Cederna, op. cit., p. 7. 

  6. Lotta Continua, 21 febbraio 1970 

  7. Lotta Continua , 24 marzo 1970, p. 5. 

  8. Lotta Continua, 1° maggio 1970. 

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Formelle di Stato https://www.carmillaonline.com/2015/06/10/formelle-di-stato/ Wed, 10 Jun 2015 20:12:57 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23144 di Rinaldo Capra

formella 1Dalla pagina Facebook di Viviana Beccalosi, “notorio” assessore della giunta Maroni in quota Fratelli d’Italia, leggo: “Vigilia dell’anniversario della strage di Piazza della Loggia: ecco la “pacificazione” tanto cara alla sinistra: nella notte trafugata la lapide che ricorda Sergio Ramelli in Contrada Sant’Urbano,…. A Brescia continuano a esserci morti di serie A e di serie B. Vergogna!

Le sparate della Beccalossi ci ricordano i conflitti concreti della memoria incapsulati nelle lapidi, come se la celebrazione dell’indelebile scritta nel marmo, rappresentasse un’irrequieta memoria del confronto irrisolto tra principi opposti. Una conversazione sociale sull’Italia post-fascista e post-strategia della [...]]]> di Rinaldo Capra

formella 1Dalla pagina Facebook di Viviana Beccalosi, “notorio” assessore della giunta Maroni in quota Fratelli d’Italia, leggo: “Vigilia dell’anniversario della strage di Piazza della Loggia: ecco la “pacificazione” tanto cara alla sinistra: nella notte trafugata la lapide che ricorda Sergio Ramelli in Contrada Sant’Urbano,…. A Brescia continuano a esserci morti di serie A e di serie B. Vergogna!

Le sparate della Beccalossi ci ricordano i conflitti concreti della memoria incapsulati nelle lapidi, come se la celebrazione dell’indelebile scritta nel marmo, rappresentasse un’irrequieta memoria del confronto irrisolto tra principi opposti. Una conversazione sociale sull’Italia post-fascista e post-strategia della tensione, che apre una negoziazione tra le parti nella ricerca di una normalizzazione ideologica, ancor prima che emotiva.

Gli scontri sulle lapidi sorgono quando gli eventi che trattano sono ancora vicini e dividono profondamente. L’uso strumentale della memoria attraverso la lapide mira a un’indeterminatezza del sapere collettivo, per legarlo al racconto della lapide stessa e rendere la storia e i valori che l’hanno determinata un ricordo residuale, indifferenziato, alieno e confuso.

Lo stato, attraverso i suoi istituti, gestisce la memoria collettiva per normalizzare e mistificare la storia di strategia della tensione, conflitti di classe, terrorismo di stato e mitigare la tensione agli scontri sociali e ideali, sempre brucianti, che pervadono la società. La memoria condivisa, l’imposizione della compassione per le vittime, sempre e comunque, senza nessun distinguo, unisce tutti in un unico grumo d’incoscienza e in nome della non violenza, della conciliazione e del perdono per il bene comune ci rende plasmabili e reclutabili per tutte le lotte del capitale con violenza inaudita. La dissoluzione dei contenuti della storia ci sottrae non solo coscienza, ma libero arbitrio.

La rimozione della formella che commemora Ramelli è emblematica; il lavoro di alcuni storici (più storia e meno memoria?) vuole, ma non ha ancora potuto, archiviare e conciliare le cronache animate da fronti opposti, che si stanno fronteggiando in una partita tuttora in corso, con un neo-revisionismo del fascismo, in qualsiasi forma si sia manifestato.

In quest’ottica è esemplare il progetto di Casa della Memoria, Rotary Club, Comune di Brescia, Gruppo Locale Bu e Bei per il “ Percorso della Memoria”, sancito con Delibera Comunale n° 230 2012 e con l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica (è già eloquente la composizione dei promotori). Esso prevede la posa di formelle commemorative di tutte le vittime della violenza politica dal 1962 a oggi, in forma indifferenziata e arbitraria, ordinate in fuorviante ordine cronologico. Il percorso si snoda da Piazza della Loggia, esattamente dalla Stele che ricorda la bomba, verso la salita al Castello, via Sant’Urbano.

Ecco le finalità, testualmente: “Si ritiene che una collettività, desiderosa di giudicare serenamente una parentesi tragica della propria storia, debba avere il coraggio di ammettere e di ricordare il dolore pagato quale prezzo per sconfiggere la violenza di quegli anni. Questa testimonianza vuole raccogliere in un’unica espressione ciò che è affidato all’episodica rievocazione in manifestazioni deputate.

brescia_loggiaBene: raccogliere il tutto in “un’unica espressione” avvicinando, nelle lapidi poste con tanta pompa, vittime e carnefici in nome di una stagione di tolleranza e “serenità” è la manipolazione delle coscienze, assolvendo e riabilitando, senza che ci sia stata nessuna espiazione, i fascisti di ieri e di oggi e i loro folli ideali. Vedere in un tratto di quattro metri le formelle di Pinelli, di Serantini e più in alto di Calabresi è simbolicamente il rinnovato controllo di polizia su quei compagni, è disinnescare ogni possibile consapevolezza e mistificare la storia, oltre che fare un torto a Pinelli e Serantini. Ironia inconsapevole della cronologia esasperata.

E ancora, se la Delibera del 2012, con il Patrocinio del presidente della Repubblica e della Casa della Memoria, celebra le vittime della violenza politica e Pinelli è morto in questura mentre era affidato a Calabresi, di quale violenza politica è vittima? Calabresi quale violenta parte politica rappresentava, prima di esserne a sua volta vittima? Chi ha scelto, con tanta sensibilità, di metterli vicini evidenzia la volontà di portare avanti il processo tanto caro ai vari La Russa, Beccalossi e assessori della giunta Paroli, con il placet di parte della cosiddetta sinistra, di mettere repubblichini e partigiani, terroristi fascisti e immigrati o sindacalisti tutti sullo stesso piano.

La violenza è sempre inaccettabile, indegna e chi ne è vittima va subito santificato, salvo che sia un immigrato morto in cella nella caserma dei Carabinieri di Piazza Tebaldo Brusati, il 12 Dicembre (bel caso di sincronicità) 2010, in circostanze diciamo oscure, o qualche altro miserabile, che non sarà mai ricordato con una formella sulla salita di via Sant’Urbano.

Per altro ci sarà sempre qualche intellettuale di sinistra pronto a inerpicarsi in ardite teorizzazioni per creare il consenso revisionista; ecco che alla commemorazione del 28 Maggio s’imbarca anche lo storico (ex Lotta Continua) Giovanni de Luna, il quale sostiene la necessità di un nuovo sguardo verso le vittime delle stragi, verso la resistenza e che la strategia della tensione ha perso. Auspica un nuovo patto di cittadinanza per riavvicinare la classe politica all’opinione pubblica per dare spessore alla memoria, che altrimenti rimane sospesa. Paragona Piazza Loggia a Charlie Hebdo: un’apoteosi alla presenza dell’Ambasciatore francese.

Forse sfugge qualcosa: non è la memoria collettiva a essere sospesa, ma è la sua revisione continua che la desertifica. Lo stato non solo ha il monopolio dell’uso della violenza, ma della violenza ha anche il monopolio della gestione della sua memoria e celebrazione, piegandone tratti e contenuti secondo la convenienza politica del momento, e in un’ineguaglianza abissale di rapporti di forza, ci obbliga a guardare la nostra storia con una lente deformante fino a perderne per sempre la cognizione.

Enigmatica, in tal senso, l’adesione di Manlio Milani e della Casa della Memoria al progetto. Quarant’anni passati a elaborare lutti personali e lottare per ottenere una giustizia borghese negata, avrebbero fiaccato chiunque. La perdita, il dolore, la frustrazione è il muro invalicabile con il quale si va a cozzare, noi pensiamo solleciti lo spirito di rivolta, ma l’oppressione, l’umiliazione inesorabile e invincibile, alla lunga genera sottomissione, pietà logora e indeterminata, rabbia esausta e addomesticata. Il ruolo ieratico di infaticabile custode della memoria e della verità, usura e compensa squilibri emotivi, assorbe tutto, ma ha inevitabilmente una funzione politica.

I riti e i protocolli delle istituzioni rapiscono la ragione alla lunga e generano un ruolo pubblico, autoreferenziale, lunare a volte, che crede di incarnare tutte le istanze relative alla storia e alla violenza politica, ma finisce per essere strumento di quel potere che ha creato la strategia della tensione.
Si vede la liturgia e non la fede.

Poi tutti con i capi in testa, Sindaco, Casa della Memoria, Ambasciatore Francese e notabili vari, via di corsa a riposizionare la formella del fascista Ramelli e posare l’ultima, quella per Charlie Hebdo.

Per concludere un proverbio polacco di rara efficacia, citato in uno Spaghetti Western di Sergio Corbucci1 : “Ci stanno facendo spingere un secchio pieno di merda con un bastone troppo corto per non sentirne l’odore”.


  1. Il mercenario, 1969  

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