Luca Abbà – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La resistenza del popolo valsusino https://www.carmillaonline.com/2022/12/04/la-resistenza-del-popolo-valsusino/ Sun, 04 Dec 2022 21:00:22 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=74970 di Sandro Moiso

Si son sprecate fin troppe parole intorno al termine Resistenza. Soprattutto oggi, nel momento in cui gli interessi imperialistici in gioco sui due fronti della guerra ucraina, cercano di mascherarsi in tal maniera. Eppure basterebbe scorrere anche solo le prime sequenze del bel documentario sulla lotta No Tav diretto da Carlo A. Bachschmid e con la bellissima fotografia di Stefano Barabino, La Scelta, per comprendere tutta la differenza che passa tra una resistenza popolare e una “inventata” a vantaggio degli interessi nazionalistici e geopolitici delle potenze (tante e non [...]]]> di Sandro Moiso

Si son sprecate fin troppe parole intorno al termine Resistenza. Soprattutto oggi, nel momento in cui gli interessi imperialistici in gioco sui due fronti della guerra ucraina, cercano di mascherarsi in tal maniera. Eppure basterebbe scorrere anche solo le prime sequenze del bel documentario sulla lotta No Tav diretto da Carlo A. Bachschmid e con la bellissima fotografia di Stefano Barabino, La Scelta, per comprendere tutta la differenza che passa tra una resistenza popolare e una “inventata” a vantaggio degli interessi nazionalistici e geopolitici delle potenze (tante e non soltanto “locali”) in guerra.

E’ una forma e idea di resistenza che ci viene trasmessa, quando lo schermo è ancora nero e privo di immagini, dalle ultime parole di Luca Abbà comunicate col cellulare ai compagni prima di cadere fulminato dal traliccio su cui si era arrampicato a scopo dimostrativo nei primi mesi del 2012. E sono ancora le sue parole, lette dalla sua compagna all’assemblea del popolo No Tav, dell’aprile di quello stesso anno, scritte dal letto di ospedale, a darci l’idea della forza e dell’irriducibilità di una lotta che lo Stato italiano, da buon occupante coloniale, cerca da trent’anni di schiacciare e cancellare.

Come la Procura di Torino ha ancora una volta dimostrato nei giorni scorsi, con la richiesta di 22 provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di storici militanti della valle, accusati di aver partecipato ad una manifestazione “non autorizzata” convocata tramite il sito FB di Radio NoTa1v.

E sono i volti, scolpiti nella pietra delle montagne della Valsusa e allo stesso tempo dolci, di Nicoletta, Marisa e Paolo, mentre parlano nelle assemblee o discutono con gli “occupanti” oppure scrivono slogan con le bombolette spray sulle barriere del cantiere in Clarea, a rivelarci ancora quanta forza e quanta determinazione ci siano dietro a questa lotta.

Sono le immagini delle incursioni notturne dei folletti della Clarea, delle preghiere dei cattolici della valle in prossimità dello stesso cantiere (sempre accompagnate dal gusto ironico tipico del carattere locale), delle escursioni e delle osservazioni fatte con il binocolo per osservare la massa tumorale del TAV che cresce in quello che era stato un angolo di grande bellezza naturale, a rivelarci che un popolo aggredito sul suo territorio e nella sua vita più intima può decidere di resistere e non piegarsi.

Non contro un nemico esterno del proprio Stato, ma contro il proprio Stato e le sue assurde e inique “leggi”. Contro le sue forze del dis/ordine e quelle dell’esercito che come sempre, prima ancora che difendere i confini esterni della “nazione”, come vorrebbe la narrazione giuridica, son delegate a tracciare con autoritarismo e violenza quelli interni, di classe e di appartenenza sociale e territoriale.

E’ una bella testimonianza quella che il filmato, della durata di circa 80 minuti, ci presenta. Più di carattere impressionistico, e a tratti crepuscolare, che non cronologico-politico, anche se la sua realizzazione è durata circa dieci anni e ha visto coinvolti tanti compagni e tante compagne di quel territorio “liberato” dall’ipocrisia dello sviluppo capitalistico e dalle sue ideologie più banalizzanti. In cui la sicurezza degli abitanti non è affidata né alle milizie dello Stato, né all’audacia di qualche singola iniziativa individuale, ma all’azione collettiva e condivisa della comunità.

Iniziativa che ha la sua forza non tanto nella determinazione, che pur c’è e deve esserci, negli scontri scaturiti dalla repressione delle manifestazioni, ma soprattutto dall’idea condivisa di “partire e tornare tutti insieme”. Sempre, comunque, ovunque.
In valle tra i gas e i boschi, nelle assemblee pubbliche, nelle aule dei tribunali, fuori e dentro il carcere. Insieme, sempre, come solo un’autentica “associazione a resistere” può, deve e sa fare.

Sono immagini e parole importanti quelle che vengono trasmesse con efficacia agli spettatori.
Sono parole di lotta e di irriducibilità, di speranza e di dolore e spesso di intensa riflessione personale. Sia sui drammi e problemi esistenziali scaturiti dalle conseguenze famigliari o sociali della lotta, come nelle parole di Luca, oppure dall’esperienza della violenza e del suo utilizzo per una giusta causa, come in quelle sul Rojava del Davide Grasso di diverso tempo fa.

Chi conosce la lotta valsusina e i suoi protagonisti, vedendo il documentario, ne rivedrà i volti, riascolterà le voci e i toni, ripercorrerà i sentieri della speranza e della battaglia. Chi non conosce direttamente tutto ciò potrà trarne un utile insegnamento oppure una visione della stessa al di fuori della narrazione mainstream e nemica oppure soltanto ideologica.

Le riprese del documentario La scelta2 sono iniziate nel 2012, successivamente all’apertura del cantiere a Chiomonte (2011) e come affermano gli autori e produttori, Carlo A. Bachschmidt, Stefano Barabino, Michele Ruvioli:

È possibile essere militanti, fare politica, senza riprodurre nella lotta quegli stessi meccanismi ai quali ci si oppone? In questi dieci anni di lavorazione del film abbiamo vissuto nel movimento No Tav in una forte consonanza ideale con esso. Che cosa permette a questo movimento di continuare ad esistere nonostante la repressione di Stato nelle sue molteplici forme? Il film fa emergere una soggettività che dà senso a cosa significhi fare politica. […] Siamo stati abituati a delegare ad altri le scelte di fondo delle nostre vite. Raccontare la lotta No Tav per noi ha significato capovolgere questo assunto, partire dalle responsabilità che ciascun individuo assume verso se stesso.

Da qui la scelta del titolo, che rinvia a ciò che afferma Nicoletta Dosio i proposito:

La scelta: vivere significa scegliere. Questo film documenta con grande efficacia la forza e la dolcezza di una scelta individuale e, insieme, collettiva; la storia di un territorio che, per amore e dignità, ha deciso di opporsi alla grande mala opera e, insieme, al sistema che di oppressione e devastazione vive. La lotta contro il TAV è stata fin da subito punto di arrivo e, insieme, punto di partenza di storie, idee, esperienze diverse; le sue radici si sono ramificate ed hanno dato frutti di utopie concrete. […] Momenti che riemergono dal passato e ci riportano i boschi, i sentieri, le acque, le rocce di un paradiso perduto, sventrato dalle trivelle e dalle ruspe, trasformato in deserto di ferro e cemento. Un’opera bella e commovente, frutto dell’impegno lungo, attento e coraggioso di chi, tramite la cinepresa, ha scelto da che parte stare.

Carlo A. Bachschmidt è un documentarista nato a Genova nel 1965. In occasione del G8 del 2001 diviene responsabile della segreteria organizzativa del Genova Social Forum, il coordinamento delle organizzazioni no profit che espressero il proprio dissenso nei confronti del vertice. Nel 2002 viene nominato consulente tecnico di parte (CTP) dagli avvocati impegnati nei processi per la ricostruzione attraverso l’analisi della documentazione video-fotografica delle violenze verificatesi nei giorni del G8. Ha presentato presso i tribunali di Genova, Torino e Milano 24 consulenze tecniche che sono state acquisite agli atti dei processi e svolge tuttora tale professione. Tra il 2003 ed il 2009 realizza video indipendenti e nel 2011 scrive e dirige il documentario Black Block (menzione speciale alla sezione Controcampo della 68ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia) e lo spettacolo teatrale I giorni di Genova nell’ambito del Festival di Internazionale a Ferrara.

La sua esperienza si è dimostrata utilissima per testimoniare la guerra che lo Stato ha condotto contro i movimenti, dal 2001 ad oggi, e la Resistenza che questi, soprattutto in valle, hanno saputo opporgli, motivo per cui a lui e ai suoi collaboratori va il più sentito ringraziamento di chi scrive.

N. B.
Per richiedere una proiezione: lascelta.ilfilm@gmail.com


  1. Ridotti, significativamente, ad uno solo dal GIP  

  2. Presentato in anteprima nazionale il 26 novembre 2022 al Torino Film Festival  

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Il nemico interno/8 https://www.carmillaonline.com/2021/04/18/il-nemico-interno-8/ Sun, 18 Apr 2021 08:38:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66024 di Alexik

[La sera di lunedì 12 aprile, in pieno coprifuoco, oltre 1000 agenti antisommossa con idranti e lacrimogeni hanno scortato le ruspe fino ai terreni dell’ex autoporto di San Didero, caricando il presidio No TAV che da mesi occupa quest’area boschiva per impedire la costruzione di un ulteriore ecomostro. Da allora in questa parte della Valsusa vige un sostanziale stato d’assedio, con una massiccia presenza poliziesca che in questi giorni si è distinta per le cariche sui manifestanti, l’uso dei gas fin dentro il paese di San [...]]]> di Alexik

[La sera di lunedì 12 aprile, in pieno coprifuoco, oltre 1000 agenti antisommossa con idranti e lacrimogeni hanno scortato le ruspe fino ai terreni dell’ex autoporto di San Didero, caricando il presidio No TAV che da mesi occupa quest’area boschiva per impedire la costruzione di un ulteriore ecomostro.
Da allora in questa parte della Valsusa vige un sostanziale stato d’assedio, con una massiccia presenza poliziesca che in questi giorni si è distinta per le cariche sui manifestanti, l’uso dei gas fin dentro il paese di San Didero, l’incendio di una macchina di una attivista No TAV, lo spargimento nei campi di cartucce di lacrimogeni inesplose, lo schieramento di truppe per impedire l’apertura del mercato cittadino.
Tutta questa violenza è finalizzata a proteggere il cantiere per la costruzione di un nuovo autoporto, un’opera funzionale al progetto complessivo del TAV Torino/Lione, irrazionale rispetto alle sue funzioni dichiarate e foriera di un impatto ambientale pesante e permanente sugli abitati vicini (qui i dettagli).
Nel pomeriggio di ieri il movimento No TAV ha risposto con migliaia di persone, unite in un bellissimo corteo contro questa ulteriore aggressione.
Un corteo che ha espresso tutto il suo caloroso affetto alle compagne e ai compagni che non hanno potuto parteciparvi perché privati della libertà personale. A loro dedichiamo l’articolo che segue.]

Da giovedì scorso Dana è finalmente a casa, anche se non è ancora libera.
Il processo che ha portato alla sua carcerazione, oltre a quella di Fabiola (che è ancora alle Vallette) e, prima ancora, di Nicoletta, riassume in sé ed estremizza alcune caratteristiche ricorrenti nella criminalizzazione giudiziaria del movimento No TAV.
I fatti all’origine delle loro condanne sono noti.
Il 3 marzo del 2012 circa 300 manifestanti occuparono per mezz’ora il casello dell’autostrada Torino-Bardonecchia all’altezza di Avigliana al grido di “OGGI PAGA MONTI”, per contestare sia la politica dei sacrifici voluta dal governo tecnico che la complicità della Sitaf (società gestrice dell’autostrada) con il progetto del TAV Torino/Lione.
In quell’occasione venne alzata la sbarra del casello permettendo agli automobilisti di uscire senza pagare il pedaggio, mentre si provvedeva ad un volantinaggio e speakeraggio per spiegare le motivazioni alla base della protesta.
Erano giorni di forti mobilitazioni, giorni in cui Luca Abbà lottava fra la vita e la morte dopo la folgorazione e la caduta da un traliccio dell’alta tensione in seguito all’inseguimento di un poliziotto.
La manifestazione al casello era una fra le tante di quel periodo, e si concluse defluendo senza nessun incidente o contatto con le forze di polizia.  Il danno alla Sitaf per mancati introiti venne quantificato in 777,00 euro.

Per questo episodio puramente dimostrativo 12 compagn*, fra cui Dana, Fabiola e Nicoletta, sono stat* condannat* ad un totale di 18 anni di carcere con le accuse di violenza privata e interruzione aggravata di servizio di pubblica necessità, al termine di una vicenda processuale che può essere considerata emblematica della persecuzione penale dell’opposizione al TAV.
Alessandro Senaldi, nella sua analisi1 su 151 procedimenti penali contro il movimento (che abbiamo commentato nei capitoli precedenti) identifica, fra gli elementi ricorrenti nei processi, la tendenza al “sovra-dimensionamento del fatto di reato“, cioè l’attribuzione di imputazioni abnormi  rispetto alla realtà dei fatti contestati.

“Nel materiale studiato è presente un sovra-dimensionamento del fatto di reato, operato principalmente attraverso due strade, per un verso, con una elefantiasi delle imputazioni, …. per un altro verso, utilizzando largamente gli istituti del concorso di persone e delle aggravanti. Tale sovra-dimensionamento produce alcuni importanti effetti dal punto di vista giuridico, infatti: permette alla procura di richiedere ed ottenere le misure cautelari, l’eventuale proroga delle indagini preliminari e l’uso di strumenti probatori invasivi e lesivi delle libertà individuali; rende praticamente impossibile il raggiungimento della prescrizione; comporta – rispetto a fatti analoghi – un indurimento delle pene comminate dai giudici”.

Nella storia giudiziaria del movimento No TAV, l’esempio più eclatante di  “sovra-dimensionamento del fatto di reato“,  è sicuramente quello relativo al cd “processo del compressore”, che vide nel 2013 quattro militanti No TAV accusati di terrorismo a fronte del danneggiamento di un mezzo di cantiere2.
Ma anche nel “processo del casello”, la dismisura dell’imputazione salta agli occhi, nel definire “violenza” il fatto di incanalare gli automobilisti verso un varco aperto, o attribuire l’interruzione di pubblico servizio in assenza di un blocco della circolazione disposto dai manifestanti.
L’incriminazione di Nicoletta, che davanti a quel casello reggeva uno striscione, di Dana, che parlava al megafono, di Stella – oggi ai domiciliari – che distribuiva i volantini, si è articolata grazie all’utilizzo del concorso di persone, una modalità per attribuire qualsiasi reato commesso durante una manifestazione non solo, e non tanto, all’eventuale artefice ma alla generalità dei presenti.
Una modalità di uso frequente per i processi No TAV, rilevata da Senaldi in più di un terzo dei procedimenti presi in esame nella sua indagine
Nelle parole di Livio Pepino:

Una delle connotazioni della modernità, nel diritto, è il carattere personale della responsabilità penale, proclamato, nel nostro sistema, dal primo comma dell’art. 27 della Carta fondamentale…
Eppure, nei processi per fatti “di piazza” la tendenza a dilatare la responsabilità, con una sorta di proprietà transitiva, a tutti i partecipi a manifestazioni nel corso delle quali vengono commessi reati, pur in assenza di specifiche condotte individuali antigiuridiche e/o della prova di un previo accordo con gli autori dei delitti commessi, è un classico. 
Di ciò v’è ben più che una traccia nelle ordinanze cautelari emesse nei procedimenti valsusini per resistenza, violenza e lesioni3.

L’uso abituale del concorso quale forma di punizione collettiva, così come il ripetersi di imputazioni abnormi, rafforza l’ipotesi, descritta da Xenia Chiaramonte4, di una sperimentazione da parte della Procura e del Tribunale di Torino di una giustizia funzionale alla sconfitta di un fenomeno, di “un diritto che si fa arma di lotta, al posto che strumento di garanzia“.
In pratica, di un “diritto penale di lotta” che, a differenza del “diritto penale del nemico”, basato sullo stato di eccezione, s’inscrive ancora dentro a una logica “normale”, mantenendone intatta la forma ma forzandone la sostanza.
La sentenza contro Dana e le altre compagne e compagni è una delle espressioni di questa continua forzatura, che si esprime anche nell’ammontare della condanna a due anni, laddove per la violenza privata si poteva tendere alla pena minima di 15 giorni.
Una scelta eloquente soprattutto se comparata ad altre decisioni dello stesso tribunale, molto meno severe davanti a differenti tipologie di imputati.
Due anni per Dana dopo una dimostrazione simbolica stridono parecchio, per esempio, a confronto con i quattro anni (sicuramente riducibili in appello) comminati dallo stesso tribunale al patron dell’Eternit Stephan Schmidheiney per la morte di due operai dello stabilimento di Cavagnolo, in seguito all’esposizione all’amianto5.

Al “diritto penale d’autore”, per il quale conta più chi sei di quello che eventualmente fai, nel caso di Dana si è affiancato anche il “diritto penitenziario d’autore”, quando il tribunale di sorveglianza di Torino le ha negato, lo scorso settembre, le misure alternative al carcere, per quanto fosse incensurata e avesse un lavoro stabile, e nonostante  la diffusione del COVID-19 alla Vallette.
Sorprendenti le motivazioni del rifiuto: la mancata presa di distanza di Dana dal Movimento No TAV e il fatto di abitare in Val di Susa.

La lunga carriera militante della Lauriola è perdurata fino a epoca recentissima, dando prova della sua incrollabile fede negli ideali politici per i quali non ha mai esitato di porre in essere azioni contrarie alle norme penaliLa collocazione geografica del domicilio del soggetto coincide con il territorio scelto come teatro di azione dal movimento No TAV“.

Motivazioni molto simili a quelle utilizzate, due anni fa, per negare le misure alternative a Luca Abbà, e che stanno sedimentando pessimi precedenti.
L’assurdità della condanna di Dana e della sua detenzione in carcere sono riuscite a smuovere un vasto movimento di opinione, che ha coinvolto giuristi, artisti solidali, associazioni, finanche Amnesty International, preoccupata per la tutela del diritto alla libera espressione pacifica del dissenso. Presa di posizione inimmaginabile fino a qualche anno fa, che rende l’idea della misura della contrazione degli spazi di agibilità politica in questo paese.
Forse di tale involuzione ce ne eravamo già accorti da un pezzo, ma è innegabile il fatto che il messaggio, sia che provenga dal ministero degli interni che dalla magistratura, diventi sempre più chiaro.
“Niente resterà impunito”, nemmeno un  sit in gandhiano, qualora ci si ponga il problema di ostacolare veramente i progetti di devastazione sociale e dei territori. Tantomeno ora, alla vigilia della  “rinascita della patria” a suon di grandi appalti ad altissimo impatto ambientale,  in serbo nel prossimo Recovery Plan.
La strada per reagire a tutto questo, come al solito, ce la mostrano quei testardi valligiani: non lasciare indietro nessun*, non arrendersi, non farne passare una, mettere in conto le conseguenze giudiziarie del proprio agire, organizzarsi e trasformare, se capita, anche la carcerazione in un momento di mobilitazione e di lotta.

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La solidarietà è un arma !
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  1. Alessandro Senaldi, I dati dei processi contro i/le No Tav: un contributo al dibattito, in “Studi sulla questione criminale“, 17 dicembre 2020. 

  2. Xenia Chiaramonte, Bisogna davvero difendere la società? I processi penali a carico degli attivisti No Tav tra difesa sociale e difesa dello stato, Sociologia del diritto 2/2019, p. 163-189. 

  3. Livio Pepino, La Val Susa e il diritto penale del nemico, in Come si reprime un movimento. Il caso TAV. Analisi e materiali giudiziari, Intra Moenia, 2014. 

  4. Xenia Chiaramonte, Governare il conflitto. La criminalizzazione del movimento No TAV, Meltemi, 2019 

  5. Sarah Martinenghi, Eternit, l’imprenditore Schmidheiny condannato a quattro anni di carcere per omicidio colposo, La Repubblica, 23 maggio 2019. 

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