Louise Michel – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 23 Apr 2025 19:20:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Comunarde. Storie di donne sulle barricate https://www.carmillaonline.com/2021/05/18/comunarde-storie-di-donne-sulle-barricate/ Tue, 18 May 2021 20:30:24 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66371 di Gioacchino Toni

Federica Castelli, Comunarde. Storie di donne sulle barricate, Armillaria, 2021, pp. 160, € 12.00

«Mi interessa dare voce alle esperienze e alle pratiche radicali agite dalle donne che hanno dato vita alla Comune di Parigi del 1871: le loro parole, i vissuti, la loro incredibile passione politica. Il mutamento totale di immaginario politico che hanno innescato, a volte assieme e a volte in contrasto con i propri compagni. Nel farlo, voglio cercare di mantenere lo sguardo fisso sui loro corpi, sulle esperienze materiali, le pratiche collettive, focalizzandomi sul rapporto tra [...]]]> di Gioacchino Toni

Federica Castelli, Comunarde. Storie di donne sulle barricate, Armillaria, 2021, pp. 160, € 12.00

«Mi interessa dare voce alle esperienze e alle pratiche radicali agite dalle donne che hanno dato vita alla Comune di Parigi del 1871: le loro parole, i vissuti, la loro incredibile passione politica. Il mutamento totale di immaginario politico che hanno innescato, a volte assieme e a volte in contrasto con i propri compagni. Nel farlo, voglio cercare di mantenere lo sguardo fisso sui loro corpi, sulle esperienze materiali, le pratiche collettive, focalizzandomi sul rapporto tra corpi, politica e spazio urbano e sulle differenti modalità del conflitto agite da uomini e donne. Questa visione – incarnata, sessuata e attenta alle dinamiche di genere – dà l’occasione per guardare a un’esperienza, solo apparentemente lontana nel tempo, a partire da una prospettiva inedita e feconda» (pp. 11-12).

È con queste motivazioni che Federica Castelli percorre le strade parigine di fine Ottocento trasformate dall’esperienza della Comune in quella che Lefebvre ebbe a definire come, prima di ogni altra cosa, «una grandiosa festa», un’esperienza collettiva in cui una città intera si è fatta organismo vivente.

Rispetto all’esperienza del 1848 ed alla centralità assegnata al «cittadino in quanto lavoratore» ripresa, almeno formalmente, da numerose repubbliche democratiche successive, nell’esperienza della Comune, sostiene l’autrice, la centralità del lavoro come elemento politico e di cittadinanza viene abbandonata nella convinzione che la soggettività politica derivi dall’azione comune e non dal lavoro. «Durante la Comune viene rifiutata la distinzione moraleggiante tra lavoratore e ozioso, “colui che non produce ed è un parassita della società”. L’ozio è anzi innalzato a valore antiborghese. L’emancipazione passerà per altro, non per il lavoro. Allo stesso tempo, si avvia un ripensamento del lavoro fuori dalle distinzioni borghesi, in primo luogo quella tra arte e lavoro produttivo»1.

La Comune pone al centro dell’agire politico la dimensione relazionale, estetica, corporea, così come il piacere del vivere e immaginare assieme. Intende la politica come insieme di pratiche di autodeterminazione, tra autonomia e autorganizzazione della vita sociale quotidiana. Cerca l’emancipazione politica collettiva, l’abbandono dell’idea del governo come attività per specialisti, […]; mira alla costruzione collettiva di nuovi immaginari, nuove relazioni tra i soggetti e nuove modalità di azione politica; cerca la bellezza nella vita quotidiana, la creazione di nuovi spazi e temporalità, una cultura diversa e condivisa, per la creazione di una società più giusta non in virtù di decreti, leggi o norme calate dall’alto, ma attraverso un cambiamento completo del quotidiano, una rivoluzione del modo di considerare i tempi e gli spazi quotidiani, il linguaggio e le identità2.

L’autrice affronta l’universo comunardo ponendosi alcuni interrogativi. Se l’esperienza della Comune ha saputo rovesciare l’immaginario borghese prospettando una società nuova, si può dire altrettanto a proposito dei rapporti di genere? Perché in tante rivoluzioni la libertà e la giustizia hanno finito per valere soltanto per alcuni soggetti riconosciuti come detentori della cittadinanza? Perché al termine di una lotta condotta collettivamente le donne vengono emarginate dalla scena pubblica? Perché quella femminile tende spesso ad essere vista come una partecipazione non direttamente politica ma di mero supporto all’azione maschile?

Nonostante siano numerosi gli studi riguardanti la Comune parigina, ancora pochi sono quelli dedicati alle comunarde e ai rapporti di genere di questa esperienza. Molte comunarde, sostiene Castelli, consapevoli «che i diritti da soli sono parziali e provvisori, sempre a rischio, e che forniscono una libertà formale che deve accompagnarsi a reali cambiamenti della società e delle relazioni di genere3, non hanno lottato per diritti politici e ciò le ha rese quasi invisibili agli occhi di molte femministe liberali.

Un tratto peculiare dell’azione politica di molte di queste donne è il non perdersi in ideali astratti di uguaglianza e giustizia, ma calare le loro lotte e aspirazioni nel concreto, nel reale, nella sua pluralità, nelle differenze e nelle diseguaglianze che lo contraddistinguono. In base allo stesso approccio, non aspirano all’acquisizione di semplici diritti politici ma si concentrano sui problemi sociali ed economici che incidono sulle vite materiali delle donne, lavorando sui processi e sulle relazioni concrete più che sul piano istituzionale. Inoltre, le comunarde sanno che una società giusta dovrà basarsi (anche) sull’emancipazione delle donne, e che è opportuno articolare e tenere conto delle profonde connessioni tra capitalismo e patriarcato come fattori di dominio e oppressione4.

Evitando di sovrapporre le istanze dei femminismi contemporanei alle lotte delle comunarde, «se per femminismo si intende il rifiuto delle diseguaglianze tra uomini e donne e il desiderio di lavorare su queste relazioni sovvertendone i presupposti»5, allora, sostiene l’autrice, queste donne possono essere dette femministe. Lungi dal focalizzarsi su alcune donne “eccezionali” oscuranti tutte le altre, l’autrice preferisce «parlare delle donne comunarde, delle loro relazioni, dei loro vissuti e dei loro corpi anche quando restano senza nome»6.

Queste comunarde si sono dovute confrontare con più di un nemico, ed uno di questi è sicuramente l’immaginario ottocentesco con cui si sono trovate a fare i conti, un immaginario che, come sempre è avvenuto del resto, non si colloca soltanto dall’altra parte della barricata. Nell’immaginario borghese del periodo l’idea dominante di cosa sia una donna oscilla tra poli contraddittori: «da una parte la donna idealizzata, che nutre e cura; la donna pura, casta, moralmente superiore. Dall’altra, l’essere demoniaco, pericoloso, bestiale, irrazionale e primitivo, che la società patriarcale deve contenere e civilizzare»7. Per la società ottocentesca spetta all’uomo controllare questa natura femminile.

Nell’immaginario borghese di fine Ottocento, le donne delle élites sono caratterizzate da una certa ‘assenza di emozioni’ che deriva dal controllo esercitato socialmente sui loro ‘ardori’, mentre le donne della classe operaia sono sessualmente sempre disponibili, voraci, perché nessuno vigila sulla loro natura erotica e carnale. In un connubio di sessismo e classismo, le donne della classe operaia sono da considerarsi donne ‘perdute’. La donna è natura ed emozione. Va controllata. […] Questa visione porterà gli stessi comunardi a forti contraddizioni, nella cui analisi occorre tenere conto della grande influenza tra loro delle teorie sociali elaborate da Proudhon, di cui è nota la netta chiusura nei confronti della questione politica delle donne8.

Le comunarde agiscono una rottura totale nei confronti di tale immaginario mettendo in discussione le gerarchie e le ideologie di genere dominanti rendendo «la lotta comune un’occasione per attraversare i confini di classe e genere che limitano i loro comportamenti pubblici e privati […] Per la prima volta denunciano che la diseguaglianza e l’antagonismo tra i sessi costituiscono le basi del potere»9. Se il mondo cambia col suo immaginario, allora occorre agire sulle relazioni, sull’educazione dei bambini e delle bambine a una società altra, più giusta ed equa in cui le differenze non siano fonte di gerarchia.

Soprattutto tra le comunarde di provenienza proletaria è percepito chiaramente il nesso tra sfruttamento economico, lavorativo e subordinazione all’interno dell’ambito famigliare, dunque è diffuso un sentimento antiborghese ed uno spiccato anticlericalismo. Buona parte delle donne di estrazione operaia, sostiene Castelli, «desiderava partecipare alla lotta condivisa per amore della Comune, per sostenerla attivamente e non solo per supportare i mariti o i fratelli lavorando come infermiere o come cuoche cantiniere nei battaglioni maschili. Per queste donne, e per alcuni uomini, la difesa militare della Comune era qualcosa di universale, oltre i ruoli di genere»10.

se nei giorni della semaine sanglante donne e uomini combattono fianco a fianco sulle barricate, se i versagliesi non fecero distinzioni di sesso nel trucidare o arrestare comunarde e comunardi, è anche vero che, fino a poco prima del pericolo, la questione della partecipazione attiva delle donne alla lotta e alla difesa armata era stata un nodo problematico e controverso11.

L’autrice si sofferma sulla molteplicità delle posizioni in ambito femminile a partire da alcuni nomi noti di attiviste. «Il femminismo di Paule Mink (1839-1901) è centrato sulla libertà individuale, focalizzato sulla differenza femminile contro l’idea di eguaglianza tra i sessi, neutralizzante e omologante. Coniuga questa impostazione con un anarchismo non collettivista, un’idea decentrata di autorità, una visione in cui libertà e uguaglianza, sia per gli uomini che per le donne, siano ben bilanciati»12. André Léo (1824-1900) «si muove su piani decisamente diversi. La sua posizione parte dal collettivismo socialista e femminista legato alla lotta per i diritti, che la porta a immaginare la nuova società come fondata sulle libertà individuali e raggiunta tramite l’uguaglianza. […] Per la giornalista e scrittrice, le donne devono avere diritti ed essere libere non in quanto donne ma in quanto esseri umani»13. Elisabeth Dmitrieff (1851-1918) «ha una visione marxista e associazionista, che punta alla nascita di una federazione politicizzata di cooperative di produttori-proprietari per liberare le donne e gli uomini lavoratori dalle oppressioni di genere e di classe»14. Louise Michel (1830-1905) «è profondamente anarchica, si dedica soprattutto a lavorare per il cambiamento passando attraverso il piano simbolico della parola, dei discorsi che infervorano i clubs e delle azioni eclatanti, simboliche che restano negli immaginari collettivi»15. «Victorine B. (Victorine Brocher, 1839-1921) cancellerà sé stessa e il proprio essere donna in nome dell’idea di Repubblica […] Si fa anonima per farsi interprete di tutte le donne che, identificate come pétroleuses, sono state condannate alla violenza, allo stigma, all’esilio»16.

Ad essere tratteggiate sono anche le diverse organizzazioni femminili attive nell’esperienza comunarda come l’Union des femmes pour la défense de Paris et les soins aux blessés fondata da Elisabeth Dmitrieff e Nathalie Lemel, associazione rivoluzionaria composta soprattutto da donne lavoratrici, unica organizzazione femminile a ricevere aiuto e riconoscimento dal governo della Comune a differenza dei clubs femminili a cui non viene nemmeno concesso spazio sulla stampa comunarda. Tra le tante realtà sorte all’epoca, la studiosa si sofferma sui comitati di quartiere come il Comité des femmes de la rue d’Arras e il Comité de vigilance de Montmartre, che intrattiene pessimi rapporti l’Union, che a sua volta struttura comitati di quartiere, accusata di voler monopolizzare l’azione delle donne.

Nel volume viene dedicato spazio anche alle rappresentazioni dell’azione delle donne durante la Comune di Parigi; se la letteratura ad essa favorevole, sia all’epoca che successivamente, ha sostanzialmente ignorato le donne o ne ha discusso sbrigativamente e superficialmente, gli oppositori hanno tendenzialmente presentato queste donne come selvagge, malvagie, contro natura.

Come era accaduto alle donne della Rivoluzione francese anche le comunarde si videro improvvisamente circondare da numerose produzioni iconografiche, racconti e leggende sul loro conto. […] Tali rappresentazioni avevano un tratto ricorrente: il rimando al loro sesso e al loro corpo come, in fin dei conti, elemento di derubricazione. Sia le cronache favorevoli che quelle avverse all’esperienza comunarda sono accomunate da questo processo, che lascia scomparire di fatto la specificità dell’azione delle donne nascondendola dietro ad altri fattori (tradizionalmente ritenuti non politici) e riconducendo ancora una volta l’esercizio della cittadinanza femminile alla natura riproduttiva e sessuale delle donne, togliendo valore (e realtà) al loro contributo alla lotta collettiva.17.

Il corpo delle donne risulta centrale nella produzione dell’identità nazionale ottocentesca. Il celebre dipinto La libertà che guida il popolo (1830) di Delacroix è uno egli esempi più noti in cui il corpo femminile veicola contenuti come «l’identità nazionale, la fedeltà alla Patria, la difesa della Nazione, la cittadinanza, la rappresentanza politica»18; tutto l’Ottocento è disseminato di un’iconografia del corpo femminile di volta in volta esaltato o presentato come abietto, sessualmente vorace e demoniaco.

Quando il corpo delle donne di cui si parla non è quello della Madre Patria, ma di donne in carne e ossa, la questione cambia […] soprattutto se si parla di donne della fazione avversaria. In questo caso non solo la donna in rivolta è una strega, come durante la Rivoluzione francese, ma è anche lascivia, lussuria, desiderio sfrenato. […] Per i detrattori della Comune le sue partecipanti erano incarnazione del disordine e dell’assenza di ogni regola, di devianza e orrore. In un gesto molto poco dispendioso nell’immaginario del patriarcato ottocentesco, per questi uomini le donne comunarde diventano il simbolo dell’insurrezione stessa e dei suoi mali. Per questi uomini, l’azione reale delle donne durante la Comune rimane totalmente invisibile. Le pratiche, le alleanze, le rivendicazioni, le elaborazioni teoriche non esistono. Esistono solo gli eccessi di rabbia, la violenza per le strade, l’orrore del loro agire ‘illogico’ e ‘bestiale’. […] Il comportamento bestiale, irrazionale e violento delle donne durante la Comune viene attribuito a un difetto morale legato all’attivismo militante. Da una parte, le donne della classe operaia hanno una ‘naturale’ mancanza di moralità, legata alle condizioni ‘depravate’ in cui socialmente vivono. Dall’altra, le donne di classe borghese che hanno abbracciato l’idea comunarda hanno abbandonato il loro giusto posto, e la moralità, per lasciarsi trascinare nella depravazione. In queste rappresentazioni è molto marcata l’associazione tra classe e sessualità. […] Dunque, se da una parte il conflitto di classe sposta lo stereotipo della donna proletaria dalla cruda e selvaggia sessualità verso l’immagine della donna pericolosamente violenta e ripugnante, allo stesso tempo la donna borghese in rivolta, libera dai vincoli sociali, diventa una donna che seduce e irretisce e, soprattutto, una ‘femmina’ sessualmente disponibile. Potremmo quasi dire che è come se avesse perso la protezione della proprietà privata borghese. Fuori dal controllo dell’autorità maschile, queste ‘femmine’ cadono vittime di influenze nefaste, vengono sviate con facilità, portando devastazione e scompiglio nell’ordine basato su precise gerarchie di genere e di classe. La loro presenza nello spazio pubblico rappresenta un affronto alla centralità della domesticità (e della proprietà) e della separazione tra classi e generi19.

Oltre le narrazioni che vogliono le comunarde come donne senza freni, sguaiate, sanguinarie e bestiali si diffonde anche l’immagine delle pétroleuses, donne descritte come streghe ingannatrici accusate di distruggere col loro fare incendiario gli stessi ideali comunardi.

Fu così che le donne che chiedevano di difendere Parigi con gli uomini divennero il simbolo della violenza – e della malvagità – della Comune. Questa rappresentazione non pesava tanto sulle eroine delle barricate, che erano un’eccezione rispetto al proprio sesso e quindi quasi sante e martiri. Furono le donne ‘comuni’ come le cantiniere a farne le spese. In base a questa accusa, le donne di Parigi colte sole in strada venivano arrestate: bastava a volte che avessero un paniere con sé. Il mito delle petroliere contribuì a creare un clima di violenza contro tutte le donne che si aggiravano per la città20.

L’immaginario misogino ottocentesco abita però entrambi i lati delle barricate: da entrambe le parti si ritrovano le medesime retoriche e gli stessi pregiudizi nei confronti delle donne, che siano versagliesi o le proprie compagne. L’immaginario dell’epoca è permeato da una comune incapacità di vedere nelle donne soggetti politici. Da entrambi i lati si ha la tendenza a celebrare donne ideali che ben poco hanno a che fare con le donne reali. Anzi, sostiene Castelli, l’edificazione delle prime si presta a ratificare ruoli e gerarchie.

I compagni comunardi vacillano, indecisi, tra l’esaltazione e la derubricazione, tra l’orgoglio e il timore. I commentatori celebrano le singole, i poeti le idealizzano. I borghesi negano loro l’umanità, dipingendole come un’orgia di belve. I versagliesi le uccidono, le condannano, le deportano. Sante, puttane, furiose, sanguinarie, bestie, streghe, virago. Eppure, nonostante questa fittissima cortina innalzata su di loro dallo sguardo maschile, le comunarde oggi possono dirci e insegnarci davvero moltissimo21.

Castelli dedica la conclusione del volume ad una riflessione circa l’essere comunarde oggi proprio a partire da come tra le barricate parigine di fine Ottocento le donne abbiano «messo in questione l’impostazione patriarcale dell’agire rivoluzionario, sia aprendo spazio per una nuova immagine della donna nelle rivoluzioni a seguire, sia mettendo in luce le contraddizioni della lotta condivisa»22. Una riflessione circa il cosa significhi essere comunarde oggi, sostiene l’autrice, non può che partire dalla consapevolezza di «come la lotta contro un nemico comune, contro lo stesso potere, non comporti automaticamente la liberazione dei sessi, ma anzi rischi di riprodurla all’infinito, all’interno dei gruppi, dei movimenti, dei partiti e delle case che si condividono con i propri compagni di lotta»23. Le storie delle donne che si sono battute per la Comune parigina mostrano la trasversalità del patriarcato e come «gli uomini, ma in generale i soggetti egemoni, anche quelli più rivoluzionari, quelli mossi dai più puri ideali di giustizia, non siano sempre pronti ad abbandonare i privilegi che la società, anche quella che stanno tentando di abbattere per istituirne una nuova, attribuisce loro»24.


  1. p. 21. 

  2. p. 33. 

  3. pp. 13-14. 

  4. p. 75. 

  5. p. 39. 

  6. p. 43. 

  7. p. 57. 

  8. pp. 57-58. 

  9. p. 66. 

  10. p. 97 

  11. p. 94. 

  12. p. 80. 

  13. p. 81. 

  14. p. 83. 

  15. p. 85. 

  16. pp.86-87 

  17. pp. 102-103. 

  18. pp. 105-106. 

  19. pp. 109-112. 

  20. p. 123. 

  21. p. 131-132. 

  22. pp. 135-136. 

  23. p. 136. 

  24. p. 136-137. 

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Io sono la Comune https://www.carmillaonline.com/2018/06/13/io-sono-la-comune/ Wed, 13 Jun 2018 19:30:59 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=45951 di Sandro Moiso

Marco Rovelli, Il tempo delle ciliegie, elèuthera 2018, pp. 125, € 14,00

In questi tempi di vacche magre e magrissime per un’autentica riflessione politica e, al contrario, di gran spolvero per i vuoti dibattiti mediatico-ideologici su un governo mal nato, si rivela assolutamente liberatorio e necessario il testo di Marco Rovelli sull’esperienza rivoluzionaria di Louise Michel, una delle più ferventi animatrici della Comune parigina del 1871, pubblicato de elèuthera. Testo in cui l’autore, particolarmente attratto dalle vicende e dalle vite di donne misuratesi con l’esperienza rivoluzionaria, mette la sua esperienza di scrittore e intellettuale militante al [...]]]> di Sandro Moiso

Marco Rovelli, Il tempo delle ciliegie, elèuthera 2018, pp. 125, € 14,00

In questi tempi di vacche magre e magrissime per un’autentica riflessione politica e, al contrario, di gran spolvero per i vuoti dibattiti mediatico-ideologici su un governo mal nato, si rivela assolutamente liberatorio e necessario il testo di Marco Rovelli sull’esperienza rivoluzionaria di Louise Michel, una delle più ferventi animatrici della Comune parigina del 1871, pubblicato de elèuthera. Testo in cui l’autore, particolarmente attratto dalle vicende e dalle vite di donne misuratesi con l’esperienza rivoluzionaria, mette la sua esperienza di scrittore e intellettuale militante al servizio di una causa straordinaria.

Straordinaria sia per l’esemplarità della vita e delle lotte dell’anarchica francese, sia per l’esperimento, oggi sottostimato e ricordato quasi sempre in maniera un po’ troppo superficiale e retorica, che , almeno per l’Europa occidentale, rese chiaro ai lavoratori, ai proletari e ai rivoluzionari in lotta contro l’esistente, l’impossibilità della collaborazione in senso nazionale tra classi sociali, quali la borghesia e il proletariato, i cui interessi politici, economici e storici erano (e rimangono) radicalmente divergenti.

Un tema sul quale, in tempi di generici appelli anti-fascisti, anti-berlusconiani e troppo spesso sostanzialmente perbenistici di una sinistra che si rivela cazzara anche quando non è di stretta osservanza renziana, si tende a glissare poiché destinato a portare alla ribalta problemi concreti quali quello dell’azione realmente antagonista e rivoluzionaria contro l’attuale modo di produzione e dell’uso della violenza e della sua organizzazione da parte dei movimenti di resistenza contro le condizioni di vita e di lavoro condizionate dal capitalismo, non solo finanziario.

Un tema che si riflette in ogni lotta attuale: dal Rojava alla Val di Susa, dalla ZAD di Notre Dame des Landes al Salento. Lotte ed esperienze i cui protagonisti non potranno mai dichiarare altro ancora che: Noi siamo la Comune! Così come l’avrebbero potuto urlare gli studenti del Maggio parigino, gli operai di Mirafiori delle grandi lotte a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, gli operai di Berlino Est nel 1953 e i rivoluzionari ungheresi del 1956 insieme a tutti coloro che sono insorti, insorgono e ancora insorgeranno contro lo stato di cose presente e che, finché esisteranno i confini giuridici della proprietà privata dei mezzi di produzione e dello Stato, non avranno mai governi amici.
Come i protagonisti delle vicende narrate nelle pagine, vivaci e attente alla ricostruzione storica, che riportiamo qui di seguito.

“Io sono la Comune. La moltitudine interminata dei senza nome. Il fuoco che sprigiona un tempo nuovo. La festa di ciò che diviene. La felicità di ciascuno e di tutti, di tutti e di ciascuno, l’una condizione dell’altra. Io sono la Comune, il tempo che rinasce e divampa, il tempo che si riproduce per scissione, a due a due come le ciliegie, in una catena infinita e senza centro. Io sono la Comune, e dunque non sono Io, ma la disseminazione dei corpi e delle anime confuse in un grappolo di suoni senza fine, che si eleva al cielo estendendone il limite, perché nostra è la forza, nostro è il coraggio, nostra è la gioia. Io sono la Comune, che non può morire, e danza.

Fu quando Thomas e Lecomte vennero per riprendersi i nostri cannoni che insorgemmo. Era il 18 marzo. Il giorno prima Thiers aveva dato l’ultimatum. I prussiani sono andati via, dunque ridateci i cannoni e obbedite all’ordine costituito. Ma chi credeva ormai ai generali a cui ci si chiedeva di sottometterci? A Parigi non ci credeva più nessuno. E comunque sì, Thiers aveva ragione quando diceva che c’erano dei malintenzionati che col pretesto dei prussiani volevano prendere il controllo della città. Si trattava di cambiare davvero, stavolta salvare la Francia era tutt’uno con il cambiarla. Bisognava farla finita con quella vecchia Francia borghese, che ci aveva esposto alla rovina e che adesso, esaurito l’Impero, pretendeva di riciclarsi in Repubblica.

[…] Le truppe del generale stavano arrivando; avevano occupato la riva destra della Senna e alcuni distaccamenti salivano la collina. Suonarono le campane, i tamburi chiamarono a raccolta: Louise, con un fucile nascosto sotto il cappotto, corse giù dalla collina, gridando «tradimento!». Al comitato di vigilanza si stava già formando una colonna , sotto il comando di Ferré.[…] La folla sciamava verso l’alto, le donne si imposero, erano loro a precedere gli uomini, c’erano anche tanti bambini. I soldati no si aspettavano di vederle arrivare con quella irruenza, con quella decisione, fu una sorpresa, e non reagirono. «Giù le armi!» gridavano le donne. «Siamo donne e bambini!», Louise era in prima fila a gridare ai soldati di non sparare, e intanto faceva mostra di proteggere le donne che si erano gettate a corpo morto sui cannoni. «Sono nostri!».
Il generale Lecomte, allora, ordinò ai suoi soldati di sparare sulla folla che avanzava. Ma i suoi soldati avevano deciso che non erano più suoi. Nessuno sparò.[…] I soldati non più suoi gli si avvicinarono, lo presero in custodia: «Venga con noi generale, adesso tocca a lei obbedirci!».[…] Erano le undici del mattino del 18 marzo 1871. Eravamo raggianti. Louise abbracciava tutti. Il popolo aveva manifestato, e aveva vinto. Era appena l’inizio.
Nel pomeriggio, dopo la decisione del Comitato centrale della Guardia nazionale, occupammo municipi, caserme, palazzi di governo, e cominciammo a costruire barricate. La bella tradizione di Parigi ribelle riprendeva, finalmente, nonostante i boulevard di Haussmann. Thiers e i suoi ministri scapparono come topi, rifugiandosi a Versailles, il luogo degli autocrati e della capitolazione.
Alla sera Lecomte venne fucilato, insieme all’altro generale, Thomas, di cui tutti ricordavano il massacro che aveva compiuto nel giugno del ‘48”.1


  1. pp. 40-43  

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“Un fiore è sbocciato” https://www.carmillaonline.com/2017/07/05/un-fiore-sbocciato/ Tue, 04 Jul 2017 22:01:52 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=39059 di Fiorenzo Angoscini

Davide Steccanella, Le indomabili. Storie di donne rivoluzionarie, Edizioni Pagina Uno, Vedano al Lambro (Mb) pag. 224, febbraio 2017, € 15,00

L’ultimo lavoro di Davide Steccanella, insieme a quello realizzato da Milton Danilo Fernàndez (“Donne, pazze, sognatrici, rivoluzionarie…”, Rayuela Edizioni, Milano, 2015), può essere considerato l’ unico libro scritto da un uomo, con al centro solo e tutte donne ribelli, che valga la pena di essere preso in considerazione. Donne si è detto: anticonformiste, ribelli, spregiudicate, indipendenti. E belle, al di fuori e al di sopra dei canoni fisici ed estetici ormai predominanti.

Steccanella, affianca alla [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Davide Steccanella, Le indomabili. Storie di donne rivoluzionarie, Edizioni Pagina Uno, Vedano al Lambro (Mb) pag. 224, febbraio 2017, € 15,00

L’ultimo lavoro di Davide Steccanella, insieme a quello realizzato da Milton Danilo Fernàndez (“Donne, pazze, sognatrici, rivoluzionarie…”, Rayuela Edizioni, Milano, 2015), può essere considerato l’ unico libro scritto da un uomo, con al centro solo e tutte donne ribelli, che valga la pena di essere preso in considerazione. Donne si è detto: anticonformiste, ribelli, spregiudicate, indipendenti. E belle, al di fuori e al di sopra dei canoni fisici ed estetici ormai predominanti.

Steccanella, affianca alla sua attività professionale, l’amore e la passione per alcuni argomenti e temi specifici che, spesso, finalizza in scritti e pubblicazioni. Così il suo amore per la musica lirica si è concretizzato con un libro sull'”ultimo soprano assoluto”, Montserrat Caballè, e con una serie di appunti per l’ascolto dell’opera lirica. Steccanella è anche un cultore di musica rock e appassionato tifoso (Interista-Leninista) dell’Internazionale, quella nerazzurra di Milano. Al calcio ha dedicato “Non passa lo straniero (Ovvero quando il calcio era autarchico)”.

Negli ultimi anni ha particolarmente analizzato e studiato le esperienze rivoluzionarie e di lotta armata. Frutto di questi approfondimenti alcune pubblicazioni, dalla prima bozza1 di quello che diventerà Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata2 fino a “Rivoluzionaria. 2017 Agenda 12 mesi”3 nella quale, per ogni giorno dell’anno, ricorda un avvenimento o un fatto particolarmente significativo: il trionfo della Rivoluzione Cubana, l’assassinio di Ernesto Che Guevara, il sequestro di Mario Sossi, l’evasione dal carcere di Pozzuoli (Na) di Franca Salerno e Maria Pia Vianale, la vittoria dei No al referendum per l’abrogazione del divorzio.

Sull’esperienza militante e rivoluzionaria delle donne altri contributi, esclusivamente al femminile, hanno un particolare significato e valore.
Dal primissimo omaggio di Ida Farè a Margherita Cagol4 sino all’ultimo (per ordine cronologico di pubblicazione) di Paola Staccioli5 di cui sono state realizzate diverse ristampe. Senza dimenticare l’altro contributo di Paola Staccioli, scritto a quattro mani con Haidi Gaggio Giuliani con prefazione di Silvia Baraldini.6 Mentre su un piano, e in un’ottica, completamente diversi, si colloca “Donne oltre le armi”.7

L’autore, dopo aver dedicato la sua attuale fatica a Maria Elena, Paola e Valentina inizia la propria cavalcata storico-politica partendo da metà ‘800. Tra le prime ‘femmine ribelli’ ricorda Louise Michel (1830-1905) combattente durante le giornate della Comune. Per il suo carattere indomito e guerriero, dalla stampa benpensante venne definita ‘La belva assetata di sangue’ e Paul Verlaine le dedicò una poesia, “Lei ama il povero”.

Nel suo ‘excursus’, passa poi a Rosa Rossa Luxemburg, ed arriva alla prima (novembre 1910) ‘rivoluzione’ del XX° secolo , quella messicana, con la sua protagonista femminile principale: Petra Herrera detta Pedro che “…andava all’assalto con tale ardore da trascinare con il suo esempio uomini e donne insieme”. Per addentrarsi poi nella Rivoluzione più significativa, simbolica e importante che ha caratterizzato il secolo scorso, quella Bolscevica d’ottobre (1917).

Parlando di essa, traccia il profilo di alcune protagoniste della stessa: Aleksandra Michajlovna Kollontaj, ‘Commissaria del Popolo per l’Assistenza sociale’, di cui Steccanella evidenzia come “…sia stata la prima donna al mondo a essere ministro di un governo”, promotrice, con molte altre donne Sovietiche, delle leggi su aborto e divorzio (1920). Nella patria dei Soviet le donne godevano già del diritto di voto e all’istruzione, di essere elette, e di percepire un salario uguale agli uomini. La Kollontaj, durante il suo incarico, dispose la distribuzione ai contadini delle terre appartenenti ai monasteri, l’istituzione degli asili nido statali e l’assistenza di maternità.

Un’altra ‘Bolscevica’ (“Bolscevica entusiasta e intelligente” la definirà Lenin) è Inessa Armand, nata Elise Stèphanne, che stabilì rapporti e instaurò relazioni politiche con i rivoluzionari russi fino al compimento e costituzione del governo degli operai e contadini. Quando (16 luglio 1914) “L’Ufficio dell’Internazionale Socialista convoca, a Bruxelles, una conferenza per ridiscutere della riunificazione di tutte le correnti dei socialdemocratici russi” Lenin, fiutata la trappola con cui si tentava di far approvare, dall’Internazionale, una mozione favorevole all’unificazione, consapevole delle capacità e doti della ‘compagna’, chiese ad Inessa di rappresentarlo, scatenando le ire di Kautsky, Luxemburg, Trockij, Plechanov e Marlov. All’ambigua risoluzione oppose una proposta che invitava tutti i socialdemocratici a unirsi al programma bolscevico. Nonostante la sua contro-risoluzione venisse respinta, Lenin fu più che soddisfatto: “Hai condotto l’affare molto meglio di quanto io avrei potuto fare. Io sarei esploso. Non avrei potuto sopportare quella commedia e li avrei trattati da canaglie”.
Brava pianista, eseguì La Patetica, la sonata preferita di Vladimir Ilic Ulianov (Lenin) e ai funerali di Paul Lafargue e Laura Marx (Parigi, 3 dicembre 1911) l’orazione funebre letta da Lenin fu tradotta in francese da Inessa che, oltre alla madre lingua francese, era un’ottima conoscitrice di altre lingue straniere.

Dopo Messico e ‘Ottobre’, Arriva Spagna!.
Il 17 luglio 1936 i golpisti, con a capo Franco, proclamano il ‘sollevamento’, l’attacco armato fascista alla Repubblica spagnola. Tra le principali figure della lotta al franchismo, spicca quella della Pasionaria, la basca Dolores Ibàrruri, amica personale di Stalin e, come si autodefinisce, una donna “di pura razza mineraria”. Nel suo libro autobiografico che riprende, nel titolo, il discorso pronunciato in difesa della Repubblica a nome del Partito Comunista Spagnolo il 19 Luglio 1936, “No pasaràn!-Memorie di una rivoluzionaria” 8 ribadisce come sia riuscita a modificare la “rabbia disperata e il sentimento di ribellione in consapevolezza politica e ideale, per quella trasformazione di una semplice donna del popolo in una combattente rivoluzionaria, in una Comunista”.

Dopo la Spagna, la montagna…
Davvero tante, e con ruoli di primo piano, le combattenti per la libertà italiane. Steccanella ricorda la numerosa rappresentanza: “70.000 organizzate nei Gruppi di difesa della donna; 35.000 partigiane combattenti; 20.000 con funzioni di supporto; 4.563 arrestate, torturate e condannate dai Tribunali fascisti; 2.900 cadute o uccise in combattimento; 2.750 deportate in Germania nei lager nazisti; 1.700 ferite; 623 fucilate; 512 Commissarie di guerra; 19 medaglie d’oro e 17 d’argento”.
Alcuni nomi, famosi e meno noti, per tutte: Irma Bandiera, Carla Capponi, Iris Versari, Joyce Lussu, Vandina Saltini, e molte altre ‘Stelle Rosse’.

Altre significative presenze, sono quelle delle donne protagoniste nella lotta per i diritti degli afroamericani, per l’emancipazione degli ‘ultimi’ e per il riscatto sociale, del nord America: Rosa Louise Parks, la Pantera Nera Kathleen Claver poi, quando rompe con il BPP, militante del ‘Revolutionary People’s Communication Network’; e il simbolo più conosciuto della ribellione dei neri d’America: Angela Davis. Nel volume viene ricordata la definizione che la Davis fornisce per ‘radicale’: “Radicale significa semplicemente comprendere le cose dalle loro radici”.
Forse, in questa sezione, sarebbe dovuta essere ricordata anche Ethel Rosenberg, capro espiatorio del maccartismo imperante.

Direttamente e indirettamente, l’America Latina forgia molte donne-guerrigliere. Ricordiamo Tania Haydèe Tamara Bunke Bider,9 uccisa ventinovenne a Puerto Mauricio dove era al seguito della spedizione boliviana del Che. Un’altra teutonico-latina è Monika Ertl Imilla,10 che il 1 aprile 1967, ad Amburgo, armata da Feltrinelli, vendica il Comandante Che, giustiziando il suo boia: Roberto Quintanilla.
Rimanendo nell’ ambito dell’isola caraibica, Steccanella ricorda come a Cuba, con molte altre donne che sono state formate ideologicamente e militarmente nell’ isola felice, abbia trovato asilo politico e continui a viverci la rivoluzionaria afro-giamaicana, militante del Black Liberation Army, Assata Shakur, nome da schiava JoAnne Chesimard, alla cui liberazione (non evasione, come tiene a specificare) ha partecipato, nella sua parte finale, anche Silvia Baraldini.11

L’autore dedica attenzione anche alle donne che hanno partecipato alle lotte d’indipendenza europea del secolo appena passato: Irlanda del Nord e Euskadi.
Nel conflitto Nord Irlandese hanno combattuto Bernadette Devlin, Mairead Farrell uccisa a Gibilterra, il 6 marzo 1988, da uno ‘squadrone della morte’ dell’esercito inglese.
Uno dei maggiori ‘simboli’, per autorevolezza e significato, della lotta del popolo basco, è senz’altro Eva Forest, artefice del ‘Piano Ogro’ (eliminazione di Luis Carrero Blanco, ‘capo’ del governo di Franco). Fatto saltare in aria con la sua auto a Madrid il 20 dicembre 1973. Nel suo “Operazione Ogro. Come e perchè abbiamo ucciso Carrero Blanco” 12 inizia il racconto così: “Carrero Blanco aveva un sogno: volare. Un giorno Eta ha reso il suo sogno una grande realtà”.

Nell’ampia rassegna di circa quaranta profili di rivoluzionarie (anche se ci sarebbe piaciuto fossero state ricordate Olga Benario, comunista ed ebrea, emissaria dell’Internazionale Comunista in Brasile, assassinata nel lager di Bernburg-Euthanasia Centre il 23 aprile 1942;13 la comandante Celia Sànchez della rivoluzione cubana: “quella che prendeva le principali decisioni”; 14 Genoeffa Cocconi, madre dei fratelli Cervi e Carla Verbano.15 ) Steccanella coltiva due ‘fiori rossi’ particolari: Margherita Mara Cagol (fondatrice delle Brigate Rosse, ‘giustiziata’, secondo la testimonianza di un militante presente al precedente conflitto a fuoco, con un colpo di pistola sparato alla nuca, quando era inginocchiata ed arresa, il 5 giugno 1975 presso la Cascina Spiotta frazione Arzello di Melazzo (Al). I suoi Compagni nel comunicato di saluto affermano: “Mara, un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo!”) e Ulrike Meinhof, giornalista e militante della Rote Armee Fraktion, morta ‘misteriosamente’ nel carcere di Stammheim la notte tra l’8 e il 9 maggio 1976. Un manifesto del Soccorso Rosso la ricorda così: “Un fiore è sbocciato. Lo coltiveranno i rivoluzionari di tutto il mondo. Lo coltiveranno fino alla vittoria”.16

Per solidarietà militante, rispetto ed apprezzamento, le ultime due donne ricordate nel libro sono “Nonna Mao”-Cesarina Carletti, ex partigiana, libraia dell’usato al mercato di Porta Palazzo a Torino, arrestata il 15 luglio 1975 in quanto sospetta brigatista: “C’è proprio da ridere, con quest’ultima sono ventuno volte che sono stata in galera. E non mi sarei mai immaginata di ritrovarmi con le stesse imputazioni di trentatrè anni fa, quando ero partigiana: appartenenza a banda armata”.

Caterina Rina Picasso, classe 1908, ‘la nonnina delle BR’, viene ricordata così da Prospero Gallinari: “Caterina Picasso è un pezzo del nostro passato. Un volto della città profonda, dell’intensità antifascista e comunista della storia genovese”. All’età di 72 anni è “condannata in primo grado a tre anni e quattro mesi , aumentati in appello a quattro anni . Fuori dalla sua cella espone una rudimentale bandiera rossa cucita con vari pezzi di stoffa”.

Infine, ma non assolutamente ultima, va ricordata una, a modo suo, ‘combattente’ che mai nessuna antologia, libro di biografie o rassegna di donne menziona: Anna Magnani. Quando, ormai segnata dalle ‘offese del tempo’, incurante dell’estetica ribadiva: “Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele
Un’assunzione di consapevolezza molto diversa dagli attuali stereotipi estetici ed artistici, non solo, femminili.


  1. Davide Steccanella, Le Brigate Rosse e la lotta armata in Italia. Cronologia degli eventi che hanno contrassegnato 15 anni del nostro paese, Simplicissimus, Loreto (An)-Catania, 2012  

  2. Davide Steccanella, Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata, Bietti, Milano, 2013  

  3. Davide Steccanella, Rivoluzionaria. 2017 Agenda 12 mesi, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi), 2016  

  4. Ida Farè-Franca Spirito, Mara e le altre. Le donne e la lotta armata: storie interviste riflessioni, Feltrinelli, Milano, 1979  

  5. Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, DeriveApprodi, Roma, 2015  

  6. Haidi Gaggio Giuliani-Paola Staccioli, Non per odio ma per amore. Storie di donne internazionaliste, DeriveApprodi, Roma, 2012  

  7. Rosella Simone, Donne oltre le armi. Tredici storie di sovversione e genere, Milieu Edizioni, Milano 2017  

  8. Dolores Ibàrruri, Memorie di una rivoluzionaria, Editori Riuniti, Roma, 1963  

  9. Marta Rojas-Mirta Rodriguez Caldiron, a cura di, Tania la guerrigliera, Feltrinelli, Milano, 1971  

  10. Jurgen Schreiber, La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl, casa editrice Nutrimenti, Roma, 2011  

  11. Assata Shakur, Assata, un’autobiografia, introduzione e cura di Giovanni Senzani, CONTROInformazione internazionale, Erre emme Edizioni, Roma, dicembre 1992  

  12. Marco Laurenzano, a cura di, Eva Forest, Operazione Ogro. Come e perchè abbiamo ucciso Carrero Blanco, Red Star Press, Roma, dicembre 2013  

  13. Ruth Wener, Olga Benario. Una vita per la rivoluzione. La storia di una vita coraggiosa, Zambon Editore, Francoforte, 2012  

  14. Dieci donne rivoluzionarie…che non appaiono nei libri di storia, Kathleen Harris, 2014 https://www.bibliotecapleyades.net/sociopolitica/sociopol_globalupraising81.htm  

  15. Carla Verbano con Alessandra Capponi, Sia folgorante la fine, Rizzoli, Milano, 2010  

  16. La morte di Ulrike Meinhof, Rapporto della Commissione Internazionale d’inchiesta, traduzione di Petra Krause ed Elisa D’Ambrosio, Tullio Pironti Editore, Napoli, settembre 1979 – Ulrike Meinhof, Bambule. Rieducazione, ma per chi?, Edizioni della battaglia, Palermo, gennaio 1998  

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Rossa come una ciliegia – di Roberto Gastaldo https://www.carmillaonline.com/2016/03/22/rossa-come-una-ciliegia-di-roberto-gastaldo/ Mon, 21 Mar 2016 23:01:30 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29198 di Roberto Gastaldo

Gastaldo-400x585[Pubblichiamo il prologo del nuovo libro di Roberto Gastaldo, Rossa come una ciliegia. Parigi si ripopola. Parigi si ribella, Habanero Edizioni, 2016, pp. 250, € 16.00. La storia è ambientata negli anni della Comune e della Guerra Franco-Prussiana ed è popolata da numerosi personaggi storici, tra cui Louise Michel, Bakunin, Courbet, Verlaine, Garibaldi, Owen, Cipriani e molti altri. s.s.]

Prologo

All’inizio c’è solo la notte, con qualche piccolo, pallido bagliore ai margini, verso il basso. Nessun suono all’inizio, nessun movimento (ma è [...]]]> di Roberto Gastaldo

Gastaldo-400x585[Pubblichiamo il prologo del nuovo libro di Roberto Gastaldo, Rossa come una ciliegia. Parigi si ripopola. Parigi si ribella, Habanero Edizioni, 2016, pp. 250, € 16.00. La storia è ambientata negli anni della Comune e della Guerra Franco-Prussiana ed è popolata da numerosi personaggi storici, tra cui Louise Michel, Bakunin, Courbet, Verlaine, Garibaldi, Owen, Cipriani e molti altri. s.s.]

Prologo

All’inizio c’è solo la notte, con qualche piccolo, pallido bagliore ai margini, verso il basso. Nessun suono all’inizio, nessun movimento (ma è davvero il cielo che sto vedendo? O è un fiume, o altro?). In un secondo tempo lo sguardo si abbassa e vi entrano le case e le loro luci fioche, ma sono molte meno di quante dovrebbero (come faccio a sapere quante dovrebbero essere le luci? Non ho nemmeno idea di che ora sia). Infine la visione giunge a livello terra, ora si può riconoscere anche il punto di vista: quella che sta vedendo è la strada dove abita, anche se sembra in qualche modo diversa, e non solo perché più buia (il dolore la fa diversa, questa strada è vuota di gente ma piena di dolore. È l’assenza che la colma di dolore).

L’immagine è sempre quieta, anche se non più del tutto immobile, poche figure scivolano in lontananza rasentando i muri, camuffandosi nella propria ombra (sono le ombre a nascondere, o è l’intera immagine ad essere sfocata?). Non è però con gli occhi che si percepisce il dolore in questa notte, per percepirlo servono le orecchie, e non lo colgono come un frastuono, come ti potresti aspettare, ma piuttosto come lamenti, come brevi e deboli grida di rabbia. Lo colgono soprattutto nel silenzio che ovatta i pochi suoni (ci sono davvero dei suoni? Oppure me li immagino perché non so pensare un silenzio assoluto?). L’immagine ora avanza in direzione delle mura che, anche senza vederlo, sa essere nascoste dietro alle case. Avanza lentamente, dubbiosa e oscillante tra i due lati della strada (e tremolante, come se stessi rabbrividendo. Ma io non ho freddo) cercando di sbirciare attraverso le finestre o le porte socchiuse, soprattutto attraverso quelle da cui non escono voci (cosa ci può essere dietro quel silenzio? Dietro quel buio? Forse niente, forse ancora solo assenza). L’immagine avanza ancora, nella notte, nella strada quasi vuota. I movimenti affrettati delle poche figure in lontananza gli comunicano ulteriore oppressione (perché tutti vanno così di fretta? Vogliono nascondere qualcosa, oppure vogliono nascondersi?).

Poco più avanti, sulla sinistra, c’è una delle poche finestre illuminate, smettendo di ascoltare le case buie punta su quella. Le si avvicina mantenendosi nel centro della strada, sempre preoccupato di non farsi scorgere, e sbircia all’interno. Seduta a tavola c’è una famiglia composta da papà, mamma e tre figli. (li conosco? Mi sembra di conoscerli) Sul lato lungo del tavolo, di fronte a lui, un ragazzo sorride affondando il cucchiaio nella sua ciotola e portandolo alla bocca; i due genitori, a capotavola, sembrano anche loro sorridere, anche se in modo più contenuto, mentre si scambiano uno sguardo complice (sono felici, lo vedo che sono felici. Ma allora perché la loro felicità mi sembra sbagliata?). Delle due bimbe Nicolas non può vedere il volto, sono sedute dandogli le spalle, ma il movimento con cui una di loro solleva la ciotola per chiedere altra zuppa ha un che di gioioso (la vista dice gioioso, ma di nuovo il pensiero dice sbagliato. Prima ‘assenza’, ora ‘sbagliato’, queste parole che mi vengono alla mente sono una specie di indovinello?). La donna si alza, si sporge sul tavolo e impugna il mestolo per servire la figlia; assomiglia molto alla madre di Nicolas, anche se pare più magra e forse un po’ più vecchia (più vecchia, o solo più stanca?). Mentre inclina la pentola per raccoglierne meglio il contenuto lui si avvicina alla finestra, mosso dal bisogno di vedere anche i dettagli, anche a rischio di essere notato (vicino alla finestra sarò in piena luce, eppure so per certo che non mi vedranno. Come posso saperlo? Non ne ho idea, eppure lo sento con certezza). Col volto a pochi centimetri dal vetro ora guarda il mestolo sollevarsi, dall’orlo sporge un filamento bianco-rosato dall’impressione nodosa (cos’è quella cosa? Io so cos’è quella cosa, ma non me lo ricordo. Anche quella cosa è sbagliata). Il filamento, assieme al resto del contenuto, finisce nella ciotola che la bimba riporta sul tavolo con un gesto possessivo; nel frattempo la sorella porge a sua volta la propria (ogni dettaglio mi grida che quel che vedo è sbagliato, ma perché? Voglio capire. Devo capire).

Ora si sposta, cercando un angolo diverso, che dalla finestra gli permetta di far scorrere lo sguardo sul resto della stanza, e metro a metro perlustra il tavolo, le pareti quasi spoglie, il lavello, la dispensa, la madia (è una cucina normale, come la nostra. Perché la sensazione di sbagliato aumenta quando penso ‘nostra’?). Sulla madia c’è un piccolo ritaglio di pelliccia, largo poco più di un palmo, di un colore tra il grigio e il marroncino (quel ritaglio è importante. So che è importante, ma come lo so?). La pelliccia è sporca di qualcosa che potrebbe essere fango, ma anche di molte altre cose, alcune delle quali somigliano a resti di cibo, come se quello scampolo fosse finito dentro alla fogna (gli odori. Se non ci fosse il vetro gli odori mi aiuterebbero a capire, ma questa è la sera dell’assenza. Mancano le luci, mancano i suoni, mancano gli odori). Nicolas continua a fissare quella pelliccia, e quello sporco; li scruta a lungo per carpire il loro segreto e poi, all’improvviso, li collega al filamento, e capisce (la coda! il filamento è la coda!), ed è allora che parte il suo urlo, a distruggere quell’oppressione di silenzio e penombra.

[Qui trovate la colonna sonora del libro e un blog in cui potrete assaggiare un po’ di Rossa come una ciliegia]

 

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