Liguria – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 17 Apr 2025 20:00:02 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il cannocchiale del tenente Dumont, di Marino Magliani https://www.carmillaonline.com/2021/05/17/il-cannocchiale-del-tenente-dumont-di-marino-magliani/ Mon, 17 May 2021 20:15:06 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66350 L’Orma, Roma 2021, pagg. 296, € 20

[Marino Magliani, classe 1960, è un ex giramondo che ha trascorso una parte della vita in Sud America e in Spagna, vivendo di mille mestieri, e incamerando, forse, dentro di sé la melodia un po’ scalena dell’esule tra gli esuli. Tra l’altro la conoscenza acquisita dello spagnolo gli serve per il mestiere di traduttore e curatore di una collana di letteratura latino-americana. Ora si è fermato in una cittadina dell’Olanda, spazzata da un vento che scorre come uno spiritello sulle acque grigie del mare del Nord. [...]]]> L’Orma, Roma 2021, pagg. 296, € 20

[Marino Magliani, classe 1960, è un ex giramondo che ha trascorso una parte della vita in Sud America e in Spagna, vivendo di mille mestieri, e incamerando, forse, dentro di sé la melodia un po’ scalena dell’esule tra gli esuli. Tra l’altro la conoscenza acquisita dello spagnolo gli serve per il mestiere di traduttore e curatore di una collana di letteratura latino-americana. Ora si è fermato in una cittadina dell’Olanda, spazzata da un vento che scorre come uno spiritello sulle acque grigie del mare del Nord. Ma è un ligure, un duro, spartano uomo ligure, con poche smancerie e tanta volontà di sopravvivere e di studiare. E un ligure può emigrare, soffrire, combattere, ma non dimenticherà mai la sua terra, coi carrugi, i boschi, il mare che schiaffeggia e accarezza le rocce. Pertanto i suoi libri lo portano sempre lassù, in quei territori aspri e assolati, coi muretti a secco e i viottoli impervi che bucano i macchioni e incidono quella terra dura e sassosa. Col suo personalissimo stile, un mix consapevole di popolano e di raffinatezza non si dilunga in descrizioni, ma cerca di evocarne le atmosfere, le luminosità e le suggestioni notturne. Sembra fondersi col territorio, in una formula chimica uomo/Liguria, uomo/ambiente, forse l’unico modo per non rinunciare alla sua origine, e al contempo senza negarsi la scoperta del resto del mondo.

Anche in questo nuovo romanzo storico i protagonisti, tre soldati dell’armata napoleonica in Egitto, esausti, ormai disanimati dalla guerra, decidono di disertare e di fuggire, seguiti dal dottor Zomer, che vuole indagare sugli effetti di una nuova sostanza, l’hasisc, che pare sia una delle cause delle numerose diserzioni. Approdano in un visionario paesaggio ligure, incontrando sulla loro strada spie e nemici, ma anche amori più o meno disperati, spinti dalla ricerca, forse impossibile, della libertà.

Di seguito pubblichiamo la “Notizia”, il capitolo iniziale che funziona da prefazione al testo. MB]

“In seguito all’inquietante numero di defezioni subite dal suo esercito in Egitto, nel 1799 Napoleone decise di costituire una commissione composta da ufficiali e uomini di scienza affinche si indagassero le cause del fenomeno.Tra queste furono individuate la desolazione dell’ambiente e il tentativo di fuggire alla peste che aveva infettato gli accampamenti attorno a Jaffa.

La missione di Johan Cornelius Zomer, un dottore di origini fiamminghe al servizio dell’ospedale da campo di Jaffa, fu quella di convincere i colleghi che a determinare l’alto tasso di abbandono dei ranghi avesse contribuito in gran parte una sostanza estratta da piante angiosperme dell’ordine Urticales.

Quella sostanza in Algeria ed Egitto era consumata in un composto chiamato madjound; in seguito, in Europa e altrove si sarebbe diffusa con il nome di hascisc.

L’incarico conferito al dottor Zomer forni uno studio approfondito sugli usi e i costumi dei consumatori di hascisc, i metodi di approvvigionamento, la diffusione, i crimini legati a quel commercio. Il dottor Zomer chiamò attorno a sé alcuni aiutanti, stipendio guide indigene e uomini di azione, reclutando agenti della polizia segreta, tra cui il suo piu fidato collaboratore, Victor Pangloss. Si trattava di monitorare, seguire i consumatori e i rifornitori durante i loro movimenti, intuire e in qualche modo prevenire. E una delle intuizioni del dottor Zomer, sebbene scontata, fu proprio quella di prevedere che prima o poi qualche reduce dalla campagna delle Piramidi avrebbe attraversato il Mediterraneo, in rotta verso la Francia, portando con sé una grossa scorta di hascisc.

Inoltre, nel tentativo di capire come un fenomeno del genere si fosse potuto propagare, al di la delle cause che l’avevano provocato, il dottor Zomer cercò di individuare il periodo preciso e circoscrivere il luogo in cui era iniziato tutto quanto. Le notizie raccolte a questo proposito non lasciavano dubbi: in grande scala, l’armata francese aveva fatto conoscenza con l’hascisc sulle rive di uno strano lago salmastro e paludoso, non distante dalle foci del Nilo. Gli indigeni chiamavano quelle acque Maryut, per gli antichi Greci era Mareotis.”

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L’esilio danzante di Marino Magliani https://www.carmillaonline.com/2017/06/21/lesilio-danzante-marino-magliani/ Tue, 20 Jun 2017 22:03:02 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38735 L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi, Exòrma Edizioni, Roma 2017, pagg. 178 € 14,50

di Mauro Baldrati

“Sono tra i cinquanta e i sessanta, più o meno l’età di mio padre quando sono nato. Ho smesso da tempo di fare cose importanti, e a parte questo, da stamattina ho ripreso a inseguire una rotta giovane.” cap. terzo, pag. 15

Pubblichiamo l’incipit del romanzo di Marino Magliani, quattro pagine sulle donne della Liguria, velocissime e infallibili cacciatrici di mosche anche mentre sono sedute, in stato di riposo. Chi, tra coloro che [...]]]> L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi, Exòrma Edizioni, Roma 2017, pagg. 178 € 14,50

di Mauro Baldrati

“Sono tra i cinquanta e i sessanta, più o meno l’età di mio padre quando sono nato. Ho smesso da tempo di fare cose importanti, e a parte questo, da stamattina ho ripreso a inseguire una rotta giovane.”
cap. terzo, pag. 15

Pubblichiamo l’incipit del romanzo di Marino Magliani, quattro pagine sulle donne della Liguria, velocissime e infallibili cacciatrici di mosche anche mentre sono sedute, in stato di riposo. Chi, tra coloro che hanno avuto la ventura di vivere in campagna, non conosce la compagnia invasiva e implacabile delle mosche?
L’autore, quasi con echi proustiani del Combray, rievoca i tempi che furono, i tempi perduti, forse sprecati, del suo destino di nomade, acquisito già nell’infanzia come figlio di un lavorante nei grandi alberghi. E’ uno straniero errante che passa dall’emisfero sub tropicale alla Spagna, al Portogallo, alla Francia, al Sud America, ma sempre con l’Unica Terra nel cuore e nel cervello, il suo punto fisso; quella Liguria un po’ arcaica e barbarica che ha lasciato da anni per vivere in una cittadina olandese sul mare del Nord, flagellata dal vento e dalla pioggia: “Vivere in esilio è svegliarsi all’alba, colazione, lavorare un’ora, poi tornare a dormire e risvegliarsi a metà mattinata. Un piede nudo sul pietraio del passato, l’altro su quello del presente, e il rumore che senti nella testa rigonfia di sonno sono i sonagli dei serpenti sotto le pietre.”
Cap.24 pagg. 53 – 54

“Mia madre era una formidabile sterminatrice di mosche. In paese la morte delle mosche dipendeva dalle donne, se quel giorno si decideva di prendere il tè da scià Rafelina, a morire erano le mosche della cucina di scià Rafelina. Non importa se giravano nelle stanze o in sala, prima o poi si sarebbero posate da qualche parte in cucina e scià Rafelina e le sue amiche le avrebbero uccise.
Era un paese stradale, a tratti l’asfalto seguiva le anse ghiaiose del torrente, con vicoli eternamente all’ombra, e panchine di pietra su cui d’estate sedevano donne di ogni età. Poi a una cert’ora le braccianti tornavano agli uliveti e al fresco restavano solo le vecchie.
Vedevo tutte quelle donne salire in colonna come formiche, su per le mulattiere che dividevano gli orti e le vigne, e sparire dietro il costone, per poi rispuntare un attimo, fin quando la fronda azzurra non inghiottiva definitivamente scalinata e colonna.
Le vecchie raccontavano che anticamente esisteva anche un secondo paese, poi erano arrivate le formiche e il fiume nero aveva divorato le case.
Le formiche mi sembravano molto meno furbe delle mosche, le formiche argentine ad esempio entravano e uscivano dalle stesse fessure e bastava spruzzarci un po’ di ddt per mandarcele a morire tutte quante. Le mosche invece certi pericoli li intuiscono e dove andava una non ci girava l’altra o ci arrivava per voli diversi.
Mia madre era la donna più buona della valle ed era una formidabile sterminatrice di mosche. Aveva imparato da sua zia, Lalla Tilina. Lalla Tilina stava seduta in cucina e tu non te ne accorgevi, ma lei mentre ti parlava, studiava le mosche, se erano nervose e avevano scoperto il cibo, una goccia d’acqua, lo zucchero. Quando una mosca si posava sul tavolo (le gambe verniciate di verde, il piano di marmo, con una tovaglia di plastica, corta e piuttosto sbiadita) lei apriva la mano, le dita larghe, e intanto che discorreva, succedeva: la mano si muoveva a rastrello, dava uno schiaffetto all’aria, le dita si chiudevano. La mosca veniva uccisa dal mignolo, schiacciata contro il palmo della mano e trascinata, finché il tatto non portava a Lalla Tilina notizie di strutture devastate.
La mosca era morta, e chi stava di fronte alla zia lo capiva dai suoi occhi che cercavano altri voli.
Erano bestioline tenaci e sulla loro solidità avevo fatto delle prove. Ogni tanto ne catturavo una anch’io e la sbattevo violentemente al suolo. La mosca accusava il colpo e rimaneva immobile una mezz’ora. Poi, come se niente fosse, si dava una scrollata e riprendeva il volo.
Chi non era veloce come Lalla Tilina, dal soffitto della cucina faceva pendere un paio di canne spalmate di vischio. Prima o poi le mosche ci toccavano e la sera le canne erano un nerume di ali e corpi magri di libellule, mosche, moscerini, zanzare.
Lalla Tilina era italiana, ma viveva a Nizza da molti anni.
Io immaginavo che la Francia fosse un paese pieno di insetti, un luogo di esercizio dove la popolazione poteva tenersi continuamente in allenamento.
Lalla Tilina mischiava dialetto ligure con italiano e dialetto nizzardo. Qualcuno diceva lo facesse apposta perché detestava passare per italiana. A volte pranzava da noi o noi da lei, e a tavola, tra una mosca e l’altra, raccontava del grandeur della Francia, di profumi straordinari, di magliette di marca, di cibi sconosciuti.
Presa, segnalavo io a mia madre che stava ai fornelli e si perdeva la scena. Mia madre si voltava e protestava, Lalla Tilina si andava a lavare le mani e per un po’ lasciava vivere le mosche.
(…)
Le mosche del torrente, dove d’estate noi ragazzi andavamo a fare il bagno – io non sapevo nuotare, una pietra – erano le più testarde, mordevano a tradimento, affondando la proboscide nei capillari. Erano talmente ghiotte di sangue che non si riuscivano più a staccare e la mano aperta le sorprendeva prima che si alzassero in volo. Cadevano in acqua, tramortite, e se la corrente non se le portava via, prima o poi le risvegliava il gusto del sangue e tornavano all’attacco. Annegarle era impossibile, ci avevo provato tenendole sott’acqua quattro o cinque minuti, ma quando le liberavo schizzavano fuori ancora più imbestialite. Per saperle davvero morte, una volta ridotte all’incoscienza, bisognava sfilare loro la testolina. A quel punto restavano a galla giusto il tempo di farsi tirare giù da un pesciolino.
A galla ci vivevano anche le cravemutte, le capremute, specie di insetti di cui non conosco il nome in italiano, innocue e lunghe, con quattro zampette, le madri portavano in groppa i piccoli.
Erano le cose che esistevano solo in dialetto, e se da tempo sono scomparse è perché sono intraducibili o sono come le mosche che le cerco nel posto sbagliato.
In Olanda le mosche non sanno dove posarsi e se ne vanno. D’estate, attorno agli stagni, sì, ce ne resiste qualcuna, prima o poi si perde e vaga fino a trovare una casa abitata, fornita di cibo, dove trascorrere agosto e settembre. Poi la prima notte fredda la paralizza. Non sono dure a morire come le mosche liguri, ma da morte si conservano più a lungo, e l’anno dopo le ritrovi in un angolo, sul dorso, le zampette all’aria, stecchite, ma come se aspettassero il sole.”

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Il Cazzaro Dimezzato https://www.carmillaonline.com/2015/06/07/il-cazzaro-dimezzato/ Sun, 07 Jun 2015 19:14:43 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23092 di Alessandra Daniele

Wow, that was quick.

renzi-dimezzatoA quanto pare la Golden Age del Renzismo è durata meno di un anno. Gli agiografi che ne prevedevano almeno venti si stanno già contorcendo in una patetica marcia indietro. E nel PD sono ai materassi. Il solo valore aggiunto di Renzi era essere un vincente. L’unica cosa che spingeva quasi tutti nel suo partito e dintorni a sopportarne arroganza e incompetenza era la sua promessa di tenerli comunque quasi tutti al potere. Un Renzi che perde non serve più a niente. Un Renzi che [...]]]> di Alessandra Daniele

Wow, that was quick.

renzi-dimezzatoA quanto pare la Golden Age del Renzismo è durata meno di un anno. Gli agiografi che ne prevedevano almeno venti si stanno già contorcendo in una patetica marcia indietro. E nel PD sono ai materassi.
Il solo valore aggiunto di Renzi era essere un vincente. L’unica cosa che spingeva quasi tutti nel suo partito e dintorni a sopportarne arroganza e incompetenza era la sua promessa di tenerli comunque quasi tutti al potere.
Un Renzi che perde non serve più a niente.
Un Renzi che si fa fottere persino dall’ottantenne Berlusconi che dopo aver lanciato in alto la Paita alle primarie, l’ha impallinata come una quaglia alle regionali, piazzando l’ex direttore di Studio Aperto alla presidenza della Liguria. Un Renzi che si fa fottere persino da Civati, il fuffoso zimbello di Twitter che contro la Paita ha rastrellato il doppio di SEL al primo tentativo.
Un Renzi che perde metà dei voti, e scappa in Afghanistan con metà mimetica ha ormai perduto anche la sua immunità.
In meno d’un anno delle sue cazzate, la percentuale nazionale del PD è crollata dal 41% delle europee al 23%, due punti sotto la tanto perculata vecchia Ditta Bersani, alla quale appartengono tutti i presidenti regionali PD eletti, mentre le renziane hanno fatto la fine d’una Barbie in bocca a un cane.
Calcolato il 50% d’astensione, ormai meno d’un italiano su dieci ha ancora voglia di tapparsi il naso e il culo per votare PD.
Ed è pure troppo, viste tutte le porcate di cui l’aspirante Partito della Nazione s’è reso responsabile.
La legittimità politica del governo Renzi, già fantasmatica fin dall’inizio, esce da queste regionali completamente azzerata.
L’ascesa di Renzi è stata rapida, la discesa potrebbe esserlo altrettanto. Questo non significa che abbia smesso d’essere pericoloso, purtroppo per quanto sonora questa sconfitta è ancora soltanto una mezza misura. Ci sono altre porcate che il Cazzaro corrente firmerà prima di venire sostituito col prossimo come un filtro intasato.
Probabilmente la Finanziaria di quest’anno, e qualche altra tappa della demolizione controllata della Costituzione.
Poi auspicabilmente finirà nella spazzatura insieme ai leccaculo che l’avevano scambiato per il giovane invincibile führer del reich millenario. E toccherà al successore.
Di Maio promette 780 euro al mese per tutti i disoccupati e i pensionati.
Salvini promette di tagliare l’aliquota fiscale al 15% per tutti gli italiani purosangue.
Le semifinali per il titolo di Cazzaro 2.0 sono cominciate.

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Renzimandias https://www.carmillaonline.com/2015/06/01/renzimandias/ Mon, 01 Jun 2015 04:55:33 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22893 di Alessandra Daniele

“Any man who must say “I am the king” is no true king at all”

Renzi è un cazzaro.RENZI Il suo petulante ottimismo è solo una sceneggiata per i media di corte. Il suo presunto carisma è un prodotto sintetico di quegli stessi media. Il suo pseudo consenso maggioritario in un anno s’è già praticamente dimezzato. E come queste regionali hanno dimostrato, il suo personale potere effettivo non gli basta nemmeno a controllare il suo stesso partito. Un PD più dilaniato che mai dalla guerra fra bande, con arroganti capibastone che [...]]]>

di Alessandra Daniele

“Any man who must say “I am the king” is no true king at all”

Renzi è un cazzaro.RENZI
Il suo petulante ottimismo è solo una sceneggiata per i media di corte.
Il suo presunto carisma è un prodotto sintetico di quegli stessi media.
Il suo pseudo consenso maggioritario in un anno s’è già praticamente dimezzato.
E come queste regionali hanno dimostrato, il suo personale potere effettivo non gli basta nemmeno a controllare il suo stesso partito. Un PD più dilaniato che mai dalla guerra fra bande, con arroganti capibastone che spadroneggiano alla faccia dell’immagine che Renzi vorrebbe spacciare, e cadaveri eccellenti pronti a cogliere l’occasione giusta per vendicarsi dell’usurpatore fiorentino.
Grazie a Cofferati, ne ha trovato il modo persino l’ex sodale Pippo Civati: dopo un anno di travagliati monologhi con in mano il teschio di Letta, il Principe Triste s’è deciso a lasciare il partito e riciclarsi come Principe del Popolo, sostenendo un candidato ligure inventato apposta per fottere – meritatamente – il PD. Un fuoco amico che Renzi non ha saputo fronteggiare, se non con inutili appelli al voto utile anti-berlusconiano, che da parte sua suonano particolarmente grotteschi, visto che Berlusconi è stato un suo grande elettore almeno quanto Marchionne.
E i califfati di Puglia e Campania, con Emiliano e De Luca, minacciano d’essere per Renzi – in modo diverso – una zeppa nel culo persino peggiore della bruciante sconfitta ligure.
Anche a prescindere dall’assegnazione delle singole poltrone, queste regionali sanciscono comunque il tramonto di quell’apparente consenso plebiscitario manifestatosi alle elezioni europee, che non potrà più essere sbandierato dal premier come simulacro di legittimazione popolare per ogni sua porcata.
Come un reggente fantoccio insediato da un esercito occupante, Renzi non ha il controllo del territorio. Tutto il potere che ostenta deriva dalle lobby che lo sostengono al governo nazionale, e che alle amministrazioni locali sono in definitiva meno interessate.
Quello che a loro importa è controllare la politica economica nazionale, in modo che l’Italia  continui a togliere ai lavoratori per dare agli speculatori, e che ogni ostacolo residuo sul percorso di questo denarodotto venga spazzato via.
Infatti l’attuale bersaglio privilegiato del premier, dopo l’istruzione pubblica, sono il diritto di sciopero e i sindacati, soprattutto quelli di base, che progetta di abolire.
Con tutta la sua vanagloria Renzi non è affatto un sovrano.
Per citare Apocalypse Now, è soltanto un garzone mandato dal droghiere a incassare i sospesi. 
Politicamente parlando, Renzi è un killer.
E il suo obiettivo siamo noi.
La Renxit però è già cominciata.
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Poco di buono. Il Romanzo (Capitolo V) https://www.carmillaonline.com/2013/04/28/poco-di-buono-il-romanzo-capitolo-v/ Sat, 27 Apr 2013 22:39:55 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=4969 di Marco Galeotti

warA questo link i capitoli precedenti

Seconda Parte – GIORNATE CON MOLTE PRETESE

Quando scesero a valle erano ubriachi, stanchi e stanchi di esserlo. Era giá buio e decisero di andare a dormire nello Studio, un posto mistico, ideale per riflettere. Erano stati tanto da Dino a parlare a lui e tra di loro di quelle ultime 24 ore, di quello che poteva essere successo e che non sapevano.  Perché li inseguivano quei quattro bastardi? Sapevano dove trovarli? Chiesero al DJ le chiavi dello Studio e lui gliele diede senza bisogno di tante spiegazioni. “Se domani ve ne [...]]]> di Marco Galeotti

warA questo link i capitoli precedenti

Seconda Parte – GIORNATE CON MOLTE PRETESE

Quando scesero a valle erano ubriachi, stanchi e stanchi di esserlo. Era giá buio e decisero di andare a dormire nello Studio, un posto mistico, ideale per riflettere. Erano stati tanto da Dino a parlare a lui e tra di loro di quelle ultime 24 ore, di quello che poteva essere successo e che non sapevano.  Perché li inseguivano quei quattro bastardi? Sapevano dove trovarli? Chiesero al DJ le chiavi dello Studio e lui gliele diede senza bisogno di tante spiegazioni. “Se domani ve ne andate, lasciatele sotto il tappetino”.Fece.

Anche lo Studio aveva un tappetino. Di Bob Marley.Nadine non sapeva, chiaramente, che l’infame spia era il suo tipo il quale, avendo sentito l’ultima telefonata dell’Altro, seppe del sole che splendeva nel Principato di Monaco e, gelosissimo, in qualche modo avvertí quelli dell’agguato. Nadine non sapeva nemmeno come avesse fatto, se e perché il suo tipo conosceva i quattro bastardi. Nadine, in definitiva, sapeva solo quello che gli avevano raccontato da Dino e forse proprio per questo motivo, parlando con Jaz e non troppo impaurita dalla Situazione, propose

“Sentite, ragazzi, ma perché non li cercate voi?”.

“In che senso?”. – Ito

“Fino a quando vi cercano loro, voi dovete scappare, ma sono a casa vostra e voi sapete cose, tipo che sono in quattro, che hanno accoltellato un ragazzo albanese nel locale di Rave, che vanno su non so quale macchina eccetera”.

“Era una Punto”. Chiarì Jaz.

“Una pinche Punto nera”. Aggiunse l’Altro.

Non fecero l’amore, ma dormirono abbracciati due a due, che é bellissimo. La cosa più bella in assoluto fu il risveglio: quella domenica lo Studio gli si presentò come una taverna medievale, una grotta di segreti avvolta da una luce rosa che, coccolandoli, li convinse che era tutto meraviglioso. Perché erano vivi, innanzitutto.

Dovevano, questo sí, decidere che fare ed era meglio dividersi.

“Jaz, stammi a sentire – sussurrò Ito all’orecchio dell’amica-complice-amante. Qualunque cosa succeda chiamami, ti giuro che a ‘sto giro terrò il cellulare acceso”.

“Ok campione”.

Gli piaceva molto quando lo chiamava campione e il risveglio, quella domenica nella grotta del DJ, abbracciati e rosa, fu solenne e degno di un campione vero.

“Jaz, mi raccomando: qualunque cosa ti sembri importante, diccela!”.

“Certo. Nadine, ce ne andiamo a casa?”.

“Sí, aspetta un secondo. “ E si giróòverso l’Altro, lo guardò seria e scelse le parole:

“Sai che per me sei speciale, non permetterò che ti succeda niente. Qualunque cosa sappia te la dirò e se hai bisogno chiama. Hai capito, stupido?”

“Sí, certo”.

“Ma cosa pensate di fare?”.

“Dobbiamo riflettere, ma faremo molte cose, te lo prometto”.

Si salutarono e le donne dissero addio come facevano ai tempi dei partigiani che scendevano a valle solo per il loro amore e un po’ di cibo, che poi sarebbero tornati su sulle montagne a sfidare il loro destino. Dissero addio come quelle donne di un tempo, forse come le loro nonne, sperando di rivedere quegli amanti, pregando che non finissero come Felice Cascione[1] che fu ucciso dai fascisti per aver salvato le loro vite.

 Ito: “Sai che non ha mica torto Nadine? Perché se loro ci cercano io non dormo tranquillo, ma se li cerchiamo noi…”.

“Già. Ma, Ito, non siamo molto bravi a fare questo tipo di roba…”.

“Hai ragione, ma abbiamo trent’anni e se non diventiamo grandi ora…”.

“E questo per te significa doventare grande?”.

“S-i”.

“Anche per me amico”.

“Bene. Come facciamo per il lavoro?”.

“Licenziamoci”. Disse l’Altro, flemmatico, accendendosi una sigaretta. Lo avevano giá fatto piú volte, uno a Barcellona, l’Altro a Genova, uno in qualche posto in Inghilterra, l’Altro in altri mondi. Lo avevano giá fatto piú volte, parallelamente, di mollare tutto per motivi validi e poi pensare a dove e come e quando ricominciare.

In quel momento, l’unica cosa chiara era che dovevano dire basta con la scura Milano ed iniziare ad inseguire quei porci. Passarono la domenica ad imbastire possibili strategie d’azione ed arrivarono alla conclusione che qualcuno sicuramente gli avrebbe detto qualcosa su quella fottuta Punto nera e sui quattro che c’erano sopra, e magari avrebbero anche scoperto qualcosa di più su quel venerdì notte e sull’evolversi della Situazione. Poi, scrissero pazientemente e diligentemente le letterine elettroniche ai loro datori di lavoro ai quali spiegavano che per la Situazione in cui si trovavano non potevano continuare a lavorare in quei posti, che si dispiacevano per non aver dato preavviso e che per quel motivo non volevano niente, anzi, sapevano di dover rinunciare ai possibili diritti che avevano in quanto lavoratori. Scrissero anche frasi di circostanza misteriose e per questo abbastanza convincenti, frasi che potevano far pensare a problemi seri, familiari o di salute, come in realtà avevano perché si sentivano una famiglia malconcia.studio

La domenica sera, quindi, non tornarono a Milano come previsto, ma si fermarono in quell’angolo di mondo per iniziare una serie di consultazioni, telefoniche per lo più, al fine di avere informazioni sui loro nemici. Seppero cose.

La piú importante fu che una Punto nera aveva fatto un incidente nella Val Prino e che era stato chiamato il carro attrezzi perché intralciava il traffico. Alla fine, però, il proprietario parlò alla Polizia e la convinse che lui e i suoi amici erano solo di passaggio e se ne dovevano andare. Per cui pagarono quello che c’era da pagare e portarono via la vettura, danneggiata ma funzionante proprio come la loro Storia Grigia.

Il carro attrezzi. Bingo.

“Ciao cara, sono Ito. Sì, lo so… é tanto che non ci sentiamo… troppo… come stai? Mi hanno detto che convivi! Sei contenta? Sì, ti sento che sei contenta… ascolta, ti devo chiedere una cosa. No, non ti chiamo solo per chiederti questa cosa… o meglio, sí, in effetti non ti avrei chiamata se non fosse per questa cosa ma questa cosa é molto importante, davvero, e mi fa molto piacere sentirti”.

“Dimmi”.

“Mi ha detto l’Uomo Lupo che ieri hanno chiamato il carro attrezzi per una macchina da rimuovere. Ora, sicuramente hanno chiamato tuo padre e… gli puoi chiedere… cioè, devo sapere chi erano quelli là e dove andavano, Credimi, é importante”.

“Ti chiamo tra cinque minuti”.

“Yeah”.

Cinque minuti lunghissimi nei quali si fecero una partita a cirulla. Vinse l’Altro 51 a 38 e come sempre avevano scommesso da bere, ma questa volta quella vinta o persa sarebbe stata la prima bevuta dell’inseguimento.

Drin. “Sí?”.

“Ciao, sono io. Allora, i tipi sono di Milano e hanno detto alla Polizia che stavano andando a Barcellona per l’addio al celibato di uno di loro, che si sposerà domenica prossima. Dice mio padre che uno ha pure tirato fuori l’invito al matrimonio”.

“Nient’altro?”.

“No, ma se mio a mio padre viene in mente qualcosa di più ti richiamo”.

“Si, presto peró perché domani partiamo per Barcellona. Grazie cara”.

“Di niente. Mi raccomando, stai attento! Con chi vai a Barcellona? Non dirmi che sei con…”.

“Tranquilla, tutto a posto, ci sentiamo presto, te lo prometto. Stammi bene! Ciao!”.

Ancora una volta Barcellona. Ma sarà stata vera, poi, la storia dell’addio al celibato? Per reggere reggeva, pensarono quella domenica sera, ma poteva anche essere una balla per la pula. Sì, c’era quel particolare dell’invito, ma chissà se era quel matrimonio o un altro.

Abbastanza presto, però, decisero che era la loro unica pista e che per essere l’unica non era mica male.

Il gioco dell’inseguimento cominciava a piacergli e, anche se erano consapevoli di non essere bravi ad inseguire, programmarono prima di addormentarsi il giorno che stava per arrivare: partenza ore 9, autostrada spediti verso la meta, c’era solo da attraversare il sud della Francia e da resistere alla tentazione di fermarsi a Marsiglia. No, questa volta non si sarebbero fermati a Marsiglia. Magari al ritorno per festeggiare qualcosa, ma all’andata no.

Capitolo soldi: non stavano male, fortunatamente. Pur essendosi da poco licenziati, erano appena stati pagati, circa 2700 euro in due. Avevano anche già pagato l’affitto, a meno che non si mentissero. Sonno.

Una bella dormita di 8 ore non sbronzi, La cosa migliore per ripartire di slancio, E così, lunedì mattina alle ore 8.30 stavano scrivendo un biglietto al DJ, per ringraziarlo e per dirgli che gli avrebbero portato una bottiglia di assenzio da Barcellona. Alle ore 8.45 erano al mare a fare un bagno, perché quel lunedì era un giorno che apparteneva ad una stagione e quella stagione era l’estate e quel giorno era il 21 giugno, ossia il primo giorno d’estate e loro avevano delle certezze.

Fecero un bagno nell’acqua fredda e pulitissima delle mattine di fine giugno, presero due cappucci e due focacce con stracchino e dedicarono quei minuti a Jimmy Hollywood, perché lui era l’estate e la Milano che gli piaceva. Nello stesso momento in cui pensarono a Jimmy, lui apparve.

 “Ciao ragazzi!”.

“Jimmy! Come stai?”.

“Beh, oggi benissimo. Sapete, é il primo giorno d’estate ed io rivivo. Volete un pastis?”.

“No, grazie. Vedi, ci prendi in un momento, diciamo così, particolare”.

Ito raccontò in sintesi parte dell’accaduto, pensando anche di allertare il signor Holliwood, che magari poteva aiutarli in qualche modo, in quanto milanese ed amico. Jimmy  ascoltò con estrema attenzione. Era lucido e riposatissimo, d’altronde, essendo che, come ogni anno, era uscito dal letargo per dedicarsi all’estate rivierasca anima e corpo. Prese il suo tempo, sorseggiando il pastis senza ghiaccio e dopo poco disse:

“C’é posto sulla Storia? Sapete, vorrei venire con voi”.

Si guardarono e valutarono rapidamente i pro e i contro. A favore di Hollywood giocava la sua simpatia e la sua lucida follia. Contro, il fatto che d’estate non fosse proprio morigerato e in quei momenti vedevano la loro missione come una cosa serissima,

Ciò nonostante decisero che sì, poteva andare con loro.

“Ma non ci fermiamo a Marsiglia!”.

“Neanche un paio d’ore?”.

“No”.

“Va bene”.

“Sapreste riconoscere questi quattro?”.  Gli fece poi Hollywood, pagando il conto della colazione e del Pastis per impressionarli sulla sua florida situazione economica.

“Sí”. Gli risposero avviandosi verso la macchina. Il viaggio iniziò nel migliore dei modi: ritmo di marcia sobrio ma fermo sui 130 km/h, imposto da Ito ed accettato dagli altri.

Niente alcool, sguardi seri, facce dure.

D’altronde, stavano diventando grandi.

Jimmy, camaleontico fino al midollo, si calò perfettamente nella parte, tanto che sembrava che le avesse passate anche lui tutte quelle cose. Anzi, visto come somatizzava, le stava passando, si stava davvero mettendo in pari. Il suo look, poi, era perfetto per l’azione: stempiato, sudato, stava fumando-quasi-mangiando un sigaro e pensando a ció che “gli avevano fatto quei porci”.

La fotocopia di Johnny Depp in Paura e delirio a las Vegas, senza acchiappamosche. Varcando l’ex confine con la Francia pensarono ad una cosa abbastanza importante che solo due dei tre componenti della missione sapevano:

“Cazzo, se ci fermano é dura. Senza frontiere, ma con mille rotture di coglioni, ‘st’Europa”.

“Perché?”. Chiese ingenuo Hollywood all’Altro.

“Per via del ferro”- intervenne Ito, pronunciando ferro con lo stesso tono con cui anni prima aveva pronunciato quella parola Rocco Musco in “Milano calibro 9”.

“Ferro come sinonimo di pistola? Volete dire che abbiamo una pistola? Che bello! E’ la prima volta… sono un po’ emozionato, cari. Qualcuno di voi sa sparare bene?” – continuò Hollywood, che nel frattempo aveva trovato l’acchiappamosche mancante e cercava di uccidere i brutti pensieri che gli svolazzavano davanti al naso.

“No, Jimmy. Non siamo capaci e lo sai. Non lo abbiamo mai fatto e, sinceramente, spero di non farlo mai”. Nicchiò l’Altro.

“E allora perché viaggiamo con un’arma a bordo?”.

“Ce l’hanno data. Ce l’ha data un amico dicendo che ci sarebbe servita” – concluse Ito.

Non li fermarono, anche perché non c’era nessuno in quella che una volta era la frontiera.

La strada li prendeva per mano. Curvando, a volte, volava fino a toccare cieli di Francia selvaggia, altre scendeva a valle attraversando la storia cantata dai borghi. Così passarono la Cóte d’Azur e iniziarono ad attraversare la Provenza, ripetendosi che no, niente Marsiglia. Evitando di parlare, quindi, di Izzo, di melting pot, di Sound System e di bere.

Cominciarono, invece, a parlare di Barcellona, visto che quello era il traguardo e, al contempo, l’ennesimo ritorno al passato.

Barcellona era un’idea, prima di essere la capitale della Catalunya. Un’idea quasi anarchica, durante gli anni ottanta, che progressivamente si trasformò in commercio, ma che riusciva seppur a stento a conservare la sua anima. Era anche un’anima del mediterraneo, quindi.

In quella macchina Barcellona parlava da sé grazie alle sue storie e loro la avevano conosciuta e vissuta in tempi diversi dei rispettivi passati. Stavano passando veloci attraverso quei cervelli nomi importanti di cose e persone e di bar, naturalmente.

Raval, Borne, Ramblas, Gracia, Eixample, Poble Nou, Poble Sec, Sants.

Abdul, Gianni, i professori, Bili, Bum, Manel, Pippo, Manu, Pedro.

Bahia, Daiguiri, Mariachi, Quilombo, Salamandra, Iposa  eccetera.

Li avrebbero cercati? Avrebbero avuto tempo e voglia di perdersi ancora una volta per il Raval o sarebbero diventati talmente grandi da dimenticarsi di tutto questo e continuare l’inseguimento?

I cartelli dicevano di andare verso Perpignan e salire poi i monti che separano la Francia dalla Spagna, per arrivare alla Junquera, a Girona e, finalmente, a Barna.

Cosí fecero, pensosi e fumanti. Le camel gialle si spegnevano ripetutamente nei due porta ceneri della Storia Grigia, con Jimmy Hollywood che cercava di star dietro a quei due, accendendosi una sigaretta via l’altra.

Le tre del pomeriggio. Primo autogrill spagnolo, prima ed unica sosta del viaggio.

“Hola, buenos bias. Tres bocadillos de jamon serrano y una botella de agua, por favor”.

“Bon dia. Entrepà amb pernil y que mes[2]?” Rispose l’orgoglio catalano.

Mangiarono velocemente, in silenzio.

Comprarono La Vanguardia, El Pais e El Periodico e ripartirono dopo aver fatto il pieno.



[1] Felice Cascione (2 maggio 1918 – 27 gennaio 1944)) fu un partigiano comunista che morì in battaglia contro i fascisti. Nato ad Imperia da una famiglia di condizioni modeste, si laureò a Bologna nel 1943 in medicina. Quando l’8 settembre i tedeschi occuparono l’Italia e misero un governo fascista fantoccio, Cascione iniziò subito la resistenza a capo di una brigata partigiana e compose la celebre canzone “Fischia il vento”.
Nella battaglia di Montegrazie sconfisse i fascisti e fece prigionieri parecchi. I prigionieri però erano accusati di aver partecipato alle rappresaglie, e per questo, dopo un sommario processo, furono condannati a morte. Cascione però intervenne e li graziò dicendo “ho studiato più di 20 anni per salvare la vita della gente e non voglio che qualcuno muoia per causa mia”. In particolare trattò bene Michele Dogliotti, il prigioniero con la salute più fragile.
Tuttavia non fu ricompensato per la sua generosità. Dogliotti verso la metà di gennaio del 1944 riuscì a fuggire e guidò le “brigate nere” contro i partigiani di Cascione. I fascisti intercettarono la brigata e l’assalirono. Cascione allora, benché ferito, tentò di ricoprire la ritirata dei suoi. Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci non riuscirono a vedere la fine del loro compagno e lo aiutarono. I nemici erano troppi e l’azione fallì subito. Mercati riuscì a fuggire ma Castellucci fu preso e torturato per dire dove era il suo capo. Allora Cascione gridò “il capo sono io!”. Morì crivellato di colpi. Il 27 aprile 2003 gli fu eretto un monumento..
[2] Ibidem

 

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